CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 56 del 21/10/2015 – Felice Belloli /Federazione Italiana Giuoco Calcio
CONI – Collegio di Garanzia dello Sport - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 56 del 21/10/2015 – Felice Belloli /Federazione Italiana Giuoco Calcio
IL COLLEGIO DI GARANZIA SECONDA SEZIONE composta da
Attilio Zimatore - Presidente
Vincenzo Nunziata - Relatore
Gabriella Palmieri Enrico
Del Prato Silvio Martuccelli - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nel giudizio iscritto al R.G. n. 60/2015, presentato, in data 10 settembre 2015, da parte del sig. Felice Belloli avverso la decisione della Corte Federale di Appello della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), Sezioni Unite, di cui al C.U. n. 14/CFA pubblicato l'11 agosto 2015, che ha irrogato nei confronti del ricorrente la sanzione dell'inibizione per mesi quattro (4), “inflitta a seguito del deferimento avanzato dal Procuratore Federale F.I.G.C.”.
viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite; uditi, nell'udienza del 12 ottobre 2015, gli avvocati Pierluigi Varischi e Fabio Re Ferrè per il ricorrente, nonché l'avv. Luigi Medugno e l’avv. Matteo Annunziata, per la resistente Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.);
udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, avv. Vincenzo Nunziata. Ritenuto in fatto
1. Con atto dell’8.6.2015 il Procuratore Federale, al termine dell’attività di indagine, deferiva Felice Belloli, Presidente della L.N.D., al Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - perché rispondesse, ai sensi dell’art. 1 bis, comma 1, C.G.S., nonché degli artt. 5, commi 1 e 5, e 11, comma 1, dello stesso codice in relazione alla pronuncia, nel corso della riunione del Consiglio Direttivo del Dipartimento Calcio Femminile del 5.3.2015, della frase: “basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche”. In tal modo il deferito avrebbe violato i generali doveri di osservanza delle norme e degli atti Federali, nonché i principi di lealtà, correttezza e probità. Nel corso delle indagini venivano escusse le testimonianze delle persone presenti alla riunione in questione. In particolare, dalle indagini emergeva che ad aver distintamente percepito la frase erano stati i consiglieri Polidori, Signorile, Pessotto e Fantini, nonché la segretaria Cottini. Altri partecipanti (quali il Vice Presidente Cosentino ed il signor Palagiano) dichiaravano di non aver potuto percepire la locuzione, pur non dubitando del fatto che le dichiarazioni degli altri partecipanti potessero essere genuine. In vista dello svolgimento dell’udienza davanti al T.F.N. la difesa dell’incolpato svolgeva articolate difese di merito e proponeva una specifica istanza istruttoria rivolta all’acquisizione degli appunti manoscritti presi durante lo svolgimento della riunione.
2. Il giudice di primo grado, dopo aver reputato ininfluenti ai fini della decisione le richieste istruttorie della difesa, osservava che dagli atti si ricavava l’assoluta certezza della effettiva pronuncia della frase in esame; conseguentemente, riteneva del tutto irrilevante che nel corso della riunione non fossero state registrate reazioni alle parole oggetto di contestazione. Considerava, ancora, il Tribunale, che la frase rivestiva una rilevante portata denigratoria “per motivi di tendenze sessuali”, essendo stata resa in tono dispregiativo e discriminatorio: la frase, aveva, inoltre, acquisito una notevole diffusione mediatica. Alla stregua di tali considerazioni il Tribunale dichiarava l’incolpato colpevole delle infrazioni ascrittegli e gli infliggeva la sanzione dell’inibizione per 4 mesi.
3. Contro tale decisione proponeva articolata impugnazione l’incolpato, preliminarmente ribadendo la necessità che si desse corso alle richieste istruttorie formulate in primo grado. Nel merito l’appello si incentrava sulla inattendibilità della ricostruzione del fatto effettuata dai primi Giudici e sulla conseguente assenza della violazione contestata, di cui si segnalava l’insussistenza fenomenica e, in ogni caso, la carenza dell’elemento offensivo denunciato nell’atto di incolpazione.
4. Con la decisione qui censurata la Corte respingeva il gravame. Innanzitutto, la Corte riteneva la superfluità dell’acquisizione documentale chiesta dall’appellante, osservando che il perno dell’accusa, nonché la sua oggettiva ragione d’essere, risiedeva in modo determinante nella effettiva pronuncia della frase e non nella forma o nel mezzo documentale relativo alla sua esteriorizzazione. All’esito dell’istruttoria, infatti, era risultato che i partecipanti alla riunione avevano in misura largamente prevalente dichiarato di averla distintamente percepita, senza essere in questo smentiti dagli altri due partecipanti – indicati nella parte espositiva –, limitatisi a dichiarare di non aver potuto ascoltare le parole, senza per questo in alcun modo mettere in dubbio la veridicità o l’affidabilità delle deposizioni degli altri testimoni. In particolare, osservava la Corte, i testimoni avevano analiticamente riferito della avvenuta pronuncia della frase da parte dell’incolpato, chiarendo il contesto e le circostanze in cui le parole furono dette. In particolare, era emerso che la frase era rivolta a porre termine in forma ultimativa e perentoria (come rende chiaro l’uso del termine “basta”) alla discussione circa la possibilità di attribuire finanziamenti cosiddetti “a pioggia” per lo sviluppo del calcio femminile. Osservava ancora la Corte che tutti i testimoni avevano concordemente dichiarato che i toni della discussione erano stati particolarmente animati, data la rilevanza della questione e l’importanza delle conseguenze della deliberazione consiliare. Da questo punto di vista, conclusivamente, la Corte affermava di non poter nutrire dubbi né del contesto nel quale la frase fu detta, né dello scopo liquidatorio di essa rispetto alla discussione in corso, né, infine, del carattere testuale della locuzione oggetto di incolpazione. Si dilungava ancora la Corte su ulteriori rilevanti circostanze di fatto, inerenti sia alle ragioni per le quali i partecipanti alla riunione non avessero sollevato immediate reazioni, che alla natura intrinsecamente e deliberatamente offensiva delle parole, e, pertanto, alla loro attitudine ad integrare la violazione di doveri generali di lealtà e probità. Ciò, in particolare, per la grave ed allarmante considerazione che l’incolpato fosse addivenuto alla decisione finale solo per ragioni di pregiudizio e discriminazione sessuale. Ancor meno scusabile, secondo la Corte, era la circostanza che tale improvvida espressione avesse trovato come propria cornice una sede ufficiale e fosse riferibile alla massima autorità federale del settore. In conclusione, la Corte confermava la decisione impugnata.
5. Ha proposto impugnazione il Belloli, affidata ai motivi di insufficiente motivazione in punto di rigetto delle richieste istruttorie di acquisizione documentale e di insufficiente motivazione in punto di ricostruzione del fatto.
6. Ha depositato atto di intervento ad opponendum la F.I.G.C., rilevando la inammissibilità del ricorso, perché notificato esclusivamente alla Procura Federale e non anche alla Federazione, da ritenersi “parte intimata” ai sensi dell’articolo 59 C.G.S. In via meramente gradata, la F.I.G.C. ha chiesto congruo termine a difesa, ai fini del compiuto esercizio del diritto di difesa.
Considerato in diritto
1. Quanto all’eccepita inammissibilità del ricorso. In punto di diritto appare pacifico che la Federazione costituisca “parte intimata” ai sensi dell’articolo 59 del C.G.S. Con la propria decisione n. 26 del 2015 (ricorso Lavaroni), questa Corte ha riaffermato il suddetto principio, ritenendo dunque la Federazione necessario contraddittore del ricorso e lo stesso inammissibile ove ad essa non notificato. Nella propria discussione in udienza, la difesa del Belloli ha comunque insistito per la ritenuta legittima notificazione alla Procura, organo della Federazione, essendo a suo avviso semmai necessaria la mera estensione della comunicazione a quest’ultima, da effettuarsi a cura degli uffici o da essa medesima, a seguito di provvedimento del Collegio che disponga la integrazione del contraddittorio. Ritiene il Collegio che possa prescindersi dall’esaminare tale questione, e ciò sulla base di quella costante recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentenze 12995/2013; 15106/2013), utilmente richiamabile in questa sede, secondo la quale non è necessario ricorrere alla integrazione del contraddittorio (e quindi, a maggior ragione, neanche porsi il problema della sua necessità), ove il ricorso risulti manifestamente inammissibile o infondato. Come ha osservato la Suprema Corte, tale conclusione trova il proprio fondamento nei principi di economicità delle attività processuali e di speditezza del processo, che impongono di non richiedere alle parti adempimenti processuali che si rivelerebbero privi di utilità sostanziale. Tale principio, a dimostrazione della sua generalità, è stato anzi codificato nel processo amministrativo dall’articolo 49, comma 2, c.p.a.
2. Quanto alla infondatezza del ricorso Ed invero, nella specie, il ricorso impinge in squisite valutazioni di merito (il cui esame è evidentemente precluso alla Corte): né vale a rendere possibile tale esame il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata, peraltro manifestamente insussistente. Come si è ampiamente illustrato in precedenza, infatti, la Corte ha dato ampiamente conto delle ragioni per le quali non ha ritenuto di disporre le acquisizioni documentali richieste. In particolare, la Corte ha osservato che il perno dell’accusa, nonché la sua oggettiva ragione d’essere, risiedeva in via determinante nella effettiva pronuncia della frase e non nella forma o nel mezzo documentale della sua esteriorizzazione. All’esito dell’istruttoria, infatti, era risultato che i partecipanti alla riunione avevano in misura largamente prevalente dichiarato di averla distintamente percepita, senza essere in questo smentiti dagli altri due partecipanti – indicati nella parte espositiva –, limitatisi a dichiarare di non aver potuto ascoltare le parole, senza per questo in alcun modo mettere in dubbio la veridicità o l’affidabilità delle deposizioni degli altri testimoni. Ancora, la Corte ha osservato che i testimoni avevano analiticamente riferito della avvenuta pronuncia della frase da parte dell’incolpato, con la quale il medesimo aveva inteso porre termine in forma ultimativa e perentoria (come rendeva chiaro l’uso del termine “basta”) alla discussione circa la possibilità di attribuire finanziamenti al calcio femminile. Al riguardo, l’ampia motivazione della sentenza impugnata dà ampiamente conto delle ragioni per le quali la Corte ha ritenuto di fondare il proprio convincimento sulla attribuzione della frase al Belloli, sul suo carattere offensivo e sessualmente discriminante ed addirittura sulla possibilità che tali motivi potessero avere costituito l’unica ragione del suo convincimento sulla non necessità dei finanziamenti. Circostanze, evidentemente, idonee ad integrare la violazione dei doveri di probità e lealtà, soprattutto per il contesto nel quale il fatto era avvenuto e per provenire le medesime dalla massima autorità federale. Il ricorso può dunque essere respinto nel merito per la sua evidente infondatezza, con la conseguente pronunzia sulle spese.
P.Q.M.
IL COLLEGIO DI GARANZIA SECONDA SEZIONE
Rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate nella misura di € 1.000,00 in favore della FIGC, oltre accessori di legge.
DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 12 ottobre 2015.
Il Presidente F.to Attilio Zimatore
Il Relatore F.to Vincenzo Nunziata
Depositato in Roma in data 21 ottobre 2015
Il Segretario F.to Alvio La Face