F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 005/CFA del 30 Luglio 2015 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 014/CFA del 11 Agosto 2015 e su www.figc.it 11. RICORSO SIG. BELLOLI FELICE AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 4 INFLITTA AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DI CUI ALL’ART. 1BIS, COMMA 1, NONCHÉ DEGLI ARTT. 5, COMMA 1 E 5, E 11, COMMA 1, C.G.S. (NOTA N. 11614/822 PF14-15 SP/BLP DELL’8.6.2015) – (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 6/TFN del 9.7.2015)

F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO - 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 005/CFA del 30 Luglio 2015 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 014/CFA del 11 Agosto 2015 e su www.figc.it 11. RICORSO SIG. BELLOLI FELICE AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 4 INFLITTA AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DI CUI ALL’ART. 1BIS, COMMA 1, NONCHÉ DEGLI ARTT. 5, COMMA 1 E 5, E 11, COMMA 1, C.G.S. (NOTA N. 11614/822 PF14-15 SP/BLP DELL’8.6.2015) - (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 6/TFN del 9.7.2015) 1. Con atto dell’8.6.62015 il Procuratore Federale, al termine dell’attività di indagine, deferiva Felice Belloli, Presidente della L.N.D., al Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare perché rispondesse, ai sensi dell’art. 1 bis, comma 1 C.G.S. nonché degli artt. 5, commi 1 e 5, e 11, comma 1, dello stesso codice in relazione alla pronuncia, nel corso della riunione del Consiglio Direttivo del Dipartimento Calcio Femminile del 5.3.2015, della frase: “basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste 4 lesbiche”. In tal modo il deferito avrebbe violato i generali doveri di osservanza delle norme e degli atti federali nonché, i principi di lealtà correttezza e probità. Nel corso delle indagini venivano escusse le testimonianze delle persone presenti alla riunione in questione e si segnalava che l’indagine aveva preso avvio da notizie di stampa nonché da dichiarazioni rilasciate dal alcuni dei consiglieri presenti nonché dalla segretaria verbalizzante. Il verbale della riunione in esame veniva, dopo una serie di bozze circolate tra i consiglieri, finalmente approvato nel corso della riunione del 19.5.2015, il cui testo non risultava essere stato previamente inviato all’incolpato. In particolare, dalle indagini emergeva che ad aver distintamente percepito la frase erano stati i consiglieri Polidori, Signorile, Pessotto e Fantini nonché la segretaria Cottini. Altri partecipanti (quali il Vice Presidente Cosentino ed il signor Palagiano) dichiaravano di non aver potuto percepire la locuzione, pur non dubitando del fatto che le dichiarazioni degli altri partecipanti potessero essere genuine. In vista dello svolgimento dell’udienza davanti al T.F.N. la difesa dell’incolpato svolgeva articolate difese di merito e proponeva una specifica istanza istruttoria rivolta all’acquisizione degli appunti manoscritti presi durante lo svolgimento della riunione che qui rileva. 2. Nel corso dell’udienza dell’8.7.2015, i Giudici di primo grado, dopo aver reputato ininfluenti ai fini della decisione le richieste istruttorie della difesa, osservavano che dagli atti si ricavava l’assoluta certezza della effettiva pronuncia della frase in esame e aggiungevano che, stante la univocità delle testimonianze dei presenti alla riunione, appariva del tutto irrilevante che nel corso della riunione non fossero state registrate reazioni alle parole oggetto di contestazione. Né, ad avviso del Tribunale, avrebbe potuto acquisire peso la pluralità di bozze del verbale, in quanto nella versione ufficiale e definitiva compariva, appunto, la locuzione. Considerava, ancora, il Tribunale, che la frase rivestiva un’importante portata denigratoria “per motivi di tendenze sessuali”, essendo stata resa in tono dispregiativo e discriminatorio: la frase, aveva inoltre, acquisito una notevole diffusione mediatica. Alla stregua di tali considerazioni il Tribunale dichiarava l’incolpato colpevole delle infrazioni ascrittegli, senza che potesse essere presa in considerazione l’aggravante della qualifica federale (in quanto l’episodio si era verificato in un ambito nel quale l’incolpato non aveva presieduto la riunione) e gli infliggeva la sanzione dell’inibizione per 4 mesi. 3. Contro la decisione in questione ha proposto articolata impugnazione l’incolpato, preliminarmente ribadendo la necessità che si desse corso alle richieste istruttorie formulate in primo grado. Nel merito l’appello si incentrava sulla inattendibilità della ricostruzione del fatto effettuata dai primi Giudici e sulla conseguente assenza della violazione contestata, di cui si segnalava l’insussistenza fenomenica e, in ogni caso, la carenza dell’elemento offensivo denunciato nell’atto di incolpazione. Sotto questo profilo si chiedeva la completa riforma della decisione di primo grado e la piena assoluzione dell’incolpato. 4. Nel corso dell’udienza del 30.7.2015 davanti a queste Sezioni Unite la Procura Federale, dopo aver precisato di essersi opposta in primo grado alla richiesta di mezzi istruttori dell’incolpato, concludeva per il rigetto dell’impugnazione. L’appellante, dopo aver sottolineato la rilevanza delle acquisizioni istruttorie e posto in rilievo che il carattere pregiudizievole della frase era esclusivamente collegato alla sua circolazione nella stampa, certamente non ascrivibile allo stesso incolpato, ribadiva che non vi era prova che la frase fosse stata effettivamente pronunciata e possedesse comunque, natura offensiva. Concludeva, pertanto, per l’accoglimento dell’impugnazione. Prendeva conclusivamente la parola lo stesso incolpato professando la propria innocenza. MOTIVI DELLA DECISIONE La Corte ritiene che l’appello non posso trovare accoglimento in quanto la sentenza impugnata non si espone alle censure che ad essa sono state rivolte. In primo luogo, va chiarito, così implicitamente rendendosi evidente la superfluità dell’acquisizione documentale chiesta dall’appellante, che il perno dell’accusa, nonché la sua oggettiva ragione d’essere, risiede in via determinante nella effettiva pronuncia della frase (nonché nella sua portata offensiva di cui si dirà oltre) e non nella forma o nel mezzo documentale della sua esteriorizzazione. In altri termini, ciò che qui rileva non è tanto la circostanza che la frase sia stata riportata nelle varie versioni gradualmente formate e circolate del verbale della riunione, quanto il fatto in se che i partecipanti alla riunione abbiano in misura largamente prevalente dichiarato di averla distintamente percepita, senza essere in questo smentiti dagli altri due partecipanti – indicati nella parte espositiva –, limitatisi a dichiarare di non aver potuto ascoltare le parole, senza per questo in alcun modo mettere in dubbio la veridicità o l’affidabilità delle deposizioni degli altri testimoni. Ora, questi ultimi, come emerge dalla accurata istruttoria posta in essere dalla Procura Federale, hanno analiticamente riferito della avvenuta pronuncia della frase da parte dell’incolpato, chiarendo il contesto e le circostanze in cui le parole furono dette. In particolare, è emerso che la frase era rivolta a porre termine in forma ultimativa e perentoria (come rende chiaro l’uso del termine “basta”) alla discussione circa la possibilità di attribuire finanziamenti cosi detti a pioggia per lo sviluppo del calcio femminile. Si noti, al riguardo, che nel corso delle proprie dichiarazioni spontanee all’udienza di questo grado di giudizio, lo stesso incolpato ha riconosciuto che l’oggetto della deliberazione riguardava proprio la possibilità di finanziamenti in favore del calcio femminile. Tutti i testimoni hanno concordemente dichiarato che i toni della discussione erano particolarmente animati, data la rilevanza della questione e l’importanza delle conseguenze della deliberazione consiliare. Da questo punto di vista la Corte non può nutrire dubbi né del contesto nel quale la frase fu detta, né dello scopo liquidatorio di essa rispetto alla discussione in corso, né, infine, del carattere testuale della locuzione oggetto di incolpazione. Il fatto che non siano state registrate immediate reazioni e che solo dopo il succedersi di alcune bozze di verbale sia stata licenziata la versione definitiva racchiudente le parole non può certamente sminuire o eliminare la natura obiettiva della conclusione cui si accede. È, infatti, perfettamente spiegabile che i vari partecipanti alla riunione, siano immediatamente rimasti sorpresi e, quindi, non reattivi di fronte alle parole, ragionevolmente implicanti una forma subliminale di timore reverenziale, del Presidente della Lega ed abbiano interiormente elaborato la vicenda, scambiandosi concordi e convergenti ricordi ed impressioni, per poi decidere in modo aperto e non timoroso di rendere pubblico ed evidente l’accaduto. Del resto, tale posizione si è mantenuta ferma e costante nel tempo ed in ogni fase del procedimento disciplinare, senza tentennamenti o contraddizioni. Quanto alla natura intrinsecamente e deliberatamente offensiva delle parole, e, pertanto, alla loro attitudine ad integrare la violazione di doveri generali di lealtà e probità, è agevole rilevare che l’incolpato ha comunque identificato offensivamente la componente femminile del calcio italiano in ragione di un asserito orientamento sessuale che la connoterebbe. E non solo l’incolpato ha mostrato di nutrire sentimenti di discredito e pregiudizio nei confronti del calcio femminile e di chi lo pratica; egli ha altrettanto condannabilmente reso palese che risiedeva nello stesso, ipotetico (e, comunque, libero ed insindacabile, in quanto espressione di un essenziale diritto della personalità umana) orientamento sessuale una ragione fondamentale ostativa alla concessione del finanziamento all’intera categoria del calcio femminile. Di qui una inaccettabile, alla luce anche della posizione rivestita dall’incolpato, pubblica denigrazione dell’intero movimento calcistico femminile, seppur sfuggita, a mò di esclamazione, in un momento di particolare concitazione. Ad avviso della Corte, sta in questo aspetto sostanziale l’elemento più grave ed allarmante della condotta dell’incolpato, ingenerante il più che ragionevole dubbio che la sua determinazione politica obbedisse a ragioni di pregiudizio e discriminazione sessuale più che a limpide scelte o ragionamenti. Ancor meno scusabile è la circostanza che tale improvvida espressione abbia trovato come propria cornice una sede ufficiale e sia riferibile alla massima autorità federale del settore. Considerando questo profilo anche l’entità della sanzione si rivela perfettamente congrua alle peculiarità del caso concreto. In conclusione, la sentenza impugnata non può che essere confermata. Per questi motivi, la C.F.A., respinge il ricorso come sopra proposto dal Sig. Belloli Felice e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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