F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2016/2017 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 135/CFA del 26 Maggio 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 012/CFA del 28 Luglio 2016 e su www.figc.it 1. RICORSO DEL SIG. PASTORE VINCENZO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI PRESIDENTE DEL C.R. CAMPANIA DAL 5.12.2012 AL 14.09.2015, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. – NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 2. RICORSO DEL SIG. BATTAGLIA GIOVANNI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE MESI 1 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI VICE PRESIDENTE DEL C.R. CAMPANIA, MEMBRO DEL CONSIGLIO DIRETTIVO E DI PRESIDENZA DAL 5.12.2012 AL 14.09.2015, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. – NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 3. RICORSO DEL SIG. CAPUOZZO SALVATORE AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE DI MESI 4 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI COMPONENTE DEL COLLEGIO DEI REVISORI CONTABILI DEL C.R. CAMPANIA DAL 5.12.2012, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. – NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 4. RICORSO DEL SIG. LORIA DONATO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE DI MESI 4 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI COMPONENTE DEL COLLEGIO DEI REVISORI CONTABILI DEL C.R. CAMPANIA DAL 5.12.2012, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. – NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 5. RICORSO DEL SIG. FRAGOMENI PIETRO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE DI MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI PRESIDENTE DEL COLLEGIO DEI REVISORI CONTABILI DEL C.R. CAMPANIA DAL 5.12.2012, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. – NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB 2 DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 6. RICORSO DELL’AVV. COLONNA SALVATORE AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI PRESIDENTE DEL C.R. CAMPANIA DAL 6.11.2000 AL 5.12.2012, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. – NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016)

F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite - 2016/2017 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 135/CFA del 26 Maggio 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 012/CFA del 28 Luglio 2016 e su www.figc.it 1. RICORSO DEL SIG. PASTORE VINCENZO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI PRESIDENTE DEL C.R. CAMPANIA DAL 5.12.2012 AL 14.09.2015, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. - NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 2. RICORSO DEL SIG. BATTAGLIA GIOVANNI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE MESI 1 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI VICE PRESIDENTE DEL C.R. CAMPANIA, MEMBRO DEL CONSIGLIO DIRETTIVO E DI PRESIDENZA DAL 5.12.2012 AL 14.09.2015, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. - NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 3. RICORSO DEL SIG. CAPUOZZO SALVATORE AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE DI MESI 4 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI COMPONENTE DEL COLLEGIO DEI REVISORI CONTABILI DEL C.R. CAMPANIA DAL 5.12.2012, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. - NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 4. RICORSO DEL SIG. LORIA DONATO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE DI MESI 4 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI COMPONENTE DEL COLLEGIO DEI REVISORI CONTABILI DEL C.R. CAMPANIA DAL 5.12.2012, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. - NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 5. RICORSO DEL SIG. FRAGOMENI PIETRO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE DI MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI PRESIDENTE DEL COLLEGIO DEI REVISORI CONTABILI DEL C.R. CAMPANIA DAL 5.12.2012, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. - NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB 2 DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) 6. RICORSO DELL’AVV. COLONNA SALVATORE AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE, NELLA QUALITÀ DI PRESIDENTE DEL C.R. CAMPANIA DAL 6.11.2000 AL 5.12.2012, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1BIS, COMMA 1 C.G.S. - NOTA N. 8999/90PF15-16/SP/GB DEL 2.3.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 68 del 12.4.2016) Premessa - Il Deferimento della Procura Federale La vicenda trae origine da una nota del Vice Presidente Vicario della Lega Nazionale Dilettanti, del 01.09.2015, con la quale è stata inviata alla Procura Federale copia della relazione conseguente ad una verifica ispettiva effettuata presso il Comitato Regionale Campania - L.N.D. dalla società di consulenza Labet srl. Dall’esito degli accertamenti svolti è emerso che per un lungo periodo di tempo la gestione del Comitato Regionale della Campania è stata caratterizzata da notevoli criticità, nell’ambito delle quali ha assunto una particolare rilevanza una possibile rilevante appropriazione indebita di cospicuo importo, attribuibile all’allora responsabile amministrativo del Comitato regionale, favorita da una diffusa carenza di controlli e vigilanza sul suo operato. Questa circostanza, peraltro, insieme ad altre, ha comportato la necessità di commissariamento del Comitato. In relazione a tale vicenda sono tuttora in corso attività di indagine da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, avviate in ordine alla verifica della effettiva destinazione di somme di denaro concesse dalla Giunta regionale Campania per lavori di ristrutturazione di alcuni campi sportivi. Con provvedimento prot. 8999/90 pf15-16 SP/gb del 2.3.2016 il Procuratore Federale ha deferito al Tribunale Federale Nazionale - Sez. Disciplinare: 1. Salvatore COLONNA, presidente C.R. Campania dal 6/11/2000 al 5/12/2012; 2. Vincenzo PASTORE, presidente C.R. Campania dal 5/12/2012 al 14/09/2015; 3. Domenico Giulio JACOVIELLO, vice presidente vicario C.R. Campania, membro del Consiglio direttivo e di presidenza dal 5/12/2012 al 31/08/2015 (dimissionario); 4. Giovanni BATTAGLIA, vice presidente C.R. Campania, membro del Consiglio direttivo e di presidenza dal 5/12/2012 al 14/09/2015; 5. Pietro FRAGOMENI, presidente del Collegio dei revisori contabili del C.R. Campania dal 5/12/2012; 6. Salvatore CAPUOZZO, componente del Collegio dei revisori contabili del C.R. Campania dal 5/12/2012; 7. Donato LORIA, componente del Collegio dei revisori contabili del C.R. Campania dal 5/12/2012; per rispondere della violazione delle norme di comportamento di cui ai principi di lealtà, correttezza e probità previsti dall’art. 1 bis del vigente CGS, per aver: a) tutti i soggetti sopra indicati, omesso – nello svolgimento dell’incarico a ciascuno attribuito – ogni iniziativa utile ad impedire, contrastare o comunque rendere particolarmente difficile l’appropriazione indebita che, allo stato degli atti, parrebbe perpetrata dal Sig. D.C. (quale responsabile amministrativo del C.R. Campania, nonché di gestore, in totale autonomia, della cassa contanti del predetto C.R. e diretto referente con l’azienda di credito incaricata del servizio di tesoreria del C.R. Campania, non soggetto alla giurisdizione federale), che ha sottratto somme di competenza del C.R. di elevato importo (in corso di definitivo accertamento) con molteplici azioni commesse in un ampio arco di tempo (decorrente presumibilmente dal mese di ottobre 2009), senza che nessuno dei soggetti (Presidente, Vice Presidente, Revisori) competenti ad esercitare su di lui i più opportuni e necessari controlli, in ragione della carica dagli stessi ricoperta e della circostanza 3 che il responsabile dell’Ufficio amministrativo riferisse direttamente a loro in base all’organizzazione interna del Comitato, venendo così meno ai propri ordinari doveri di vigilanza non avendo mai riscontrato nell’illecito comportamento appropriativo, pur reiteratamente posto in essere dall’autore del fatto, aspetti meritevoli di specifico approfondimento, né rivolto allo stesso richiami, contestazioni e/o richieste di produrre documentazione giustificativa del proprio operato, trascurando colpevolmente elementari regole di buona amministrazione e le disposizioni interne della L.N.D.; b) i componenti pro tempore del Consiglio di presidenza del C.R. (signori Colonna, Pastore, Jacoviello e Battaglia), ciascuno per il periodo di rispettiva competenza, omesso di adottare la necessaria delibera del Consiglio di presidenza del C.R. Campania di autorizzazione alla sottoscrizione degli atti relativi ai rapporti bancari, la cui mancata adozione già di per se stessa connota, in senso irregolare, tutta l’attività compiuta (in violazione dell’art. 50 r.a.c.); c) i presidenti pro tempore del C.R. (Signori Colonna e Pastore), esercitato e fatto esercitare al responsabile amministrativo (sig. D.C.), per tutto il periodo considerato, i rapporti bancari benché privi della necessaria delibera autorizzativa del Consiglio di presidenza, mai adottata (in violazione dell’art. 50 r.a.c.); d) i componenti del Collegio dei revisori dei conti (signori Fragomeni, Capuozzo e Loria), omesso di verificare la sussistenza della preventiva autorizzazione per lo svolgimento dei rapporti bancari; e) tutti i soggetti sopra indicati (ad eccezione dell’ex presidente sig. Colonna, cessato dall’incarico in epoca precedente), omesso ogni utile iniziativa per assicurare concreta attuazione al “Modello organizzativo, di gestione e controllo ex d. lgs. N. 231 del 2001”, adottato per la parte generale con delibera del Consiglio direttivo del C.R. Campania del 23.12.2012 e per la parte speciale con delibera del 23.12.2014. Il Giudizio di primo grado In data 7.4.2016 si è svolto il dibattimento innanzi il TFN. La Procura Federale, dopo aver illustrato il deferimento, ha richiesto la dichiarazione di responsabilità dei deferiti e la irrogazione delle seguenti sanzioni: 1. Salvatore Colonna, anni 1 (uno) e mesi 3 (tre) di inibizione; 2. Vincenzo Pastore, anni 1 (uno) e mesi 3 (tre) di inibizione; 3. Domenico Giulio Jacovello, mesi 6 (sei) di inibizione; 4. Giovanni Battaglia, mesi 3 (tre) di inibizione; 5. Pietro Fragomeni, mesi 6 (sei) di inibizione; 6. Salvatore Capuozzo, mesi 6 (sei) di inibizione; 7. Donato Loria, mesi 6 (sei) di inibizione. Il Tribunale ha, anzitutto, in via di premessa, evidenziato come l’ordinamento sportivo «imponga ai propri tesserati – attraverso la ampia formulazione dell’art. 1 bis – di “comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità”, giudicando così punibili talune condotte che altri ordinamenti ritengono neutre, o comunque irrilevanti sotto il profilo disciplinare». Con la conseguenza che «le decisioni sanzionatorie di questo ordinamento non comportano, di per sé, un giudizio di disvalore etico e morale, soprattutto allorchè, come nella specie, sono addebitate omissioni nei comiti di vigilanza, e, dunque, la sola infrazione di quella porzione del generale obbligo di correttezza che ricomprende lo svolgimento puntuale e diligente dei compiti affidati». «Di contro devesi sottolineare», prosegue il TFN, «per un verso, come il mancato svolgimento dei propri compiti – pur se qualificato genericamente “colposo” – costituisca, in ultima analisi, un comportamento omissivo volontario (ancorchè senza effettiva previsione dell’evento negativo a esso ricollegato e, comunque, in difetto di ogni intento di realizzarlo), che anche gli altri ordinamenti conoscono e sanzionano (soprattutto in materia “professionale” e societaria), e, per altro verso, come la omissione di un compito di vigilanza può determinare – come è accaduto nella specie – conseguenze assai rilevanti, che, inevitabilmente, si riflettono sul giudizio di gravità in ordine alle omissioni commesse». 4 Il TFN ha, poi, ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione sollevata, dai sigg.ri Colonna e Iacovello, con riferimento a tutte le condotte contestate sino al 30.06.2011, cioè, «sino al termine della quarta stagione sportiva anteriore a quella di apertura del procedimento da parte della P.F. (art. 25 CGS)», ritenendo ricorrere, nella specie, «la figura dell’illecito permanente in presenza del quale – secondo un principio comune a tutti gli ordinamenti generali – il termine della prescrizione “decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza” (art. 158 c.p.)». Quanto al merito delle specifiche incolpazioni, queste, in sintesi, le ragioni della decisione del TFN. «L’articolato capo di imputazione di cui al capo a) del deferimento della P.F. concerne, in buona sostanza, la mancata adozione di ogni attività di controllo e vigilanza idonea a contrastare le appropriazioni indebite perpetrate - per molti anni, e per rilevanti importi - in danno del C.R. campano dal suo responsabile amministrativo». Orbene, ritiene, il TFN, che assumano rilievo maggiore le responsabilità dei revisori dei conti, la cui funzione concerne proprio il controllo e la vigilanza delle attività contabili e amministrative. Con riferimento alle giustificazioni offerte dai revisori (segnatamente, mole enorme delle scritture contabili da controllare; corretto svolgimento degli ordinari controlli “a campione”, che ad essi competevano; la circostanza che nessuna irregolarità era stata mai rilevata nemmeno dalla società di revisione incaricata dalla LND), il Tribunale di prime cure ritiene come le difese non siano «prive di pregio» quanto «al grado della colpa da ascrivere ai soggetti revisori, ma non possono escludere la responsabilità di soggetti il cui precipuo compito era proprio quello di sorvegliare e vigilare la correttezza contabile di una gestione amministrativa, che, per oltre cinque anni, è stata, impunemente oggetto di rilevanti distrazioni». Quanto, specificamente, «alla mole certamente enorme delle scritture contabili da esaminare, devesi, anzitutto, osservare come proprio in considerazione della mole enorme di tali scritturazioni anche i controlli “a campione” devevano essere svolti con riferimento a un numero adeguato di operazioni, tale da rendere il “campione” significativo, e mirate ad operazioni di importi consistenti, e, che, invece, è risultato che i controlli a “campione” riguardarono, mediamente, una operazione su duemila, e sempre per importi assai modesti. Inoltre, i professionisti che esercitano questa funzione di controllo e revisione sono tenuti e in grado – proprio in forza della professionalità di cui dispongono – di svolgere verifiche più penetranti rispetto a quelle della semplice “riconciliazione” formale dei conti e dei controlli “a campione” sulle operazioni». Ora, secondo il TFN, siffatti controlli aventi ad oggetto l’adozione e il rispetto di procedure interne corrette e “controllate“, la movimentazione effettiva dei c/c con l’esame a campione degli assegni circolari emessi, la coincidenza tra le spese preventivate e quelle a consuntivo, la verifica incrociata – attraverso l’interlocuzione diretta con il soggetto terzo interessato – della autenticità ed effettività delle documentazioni di spesa e/o di pagamento presenti in contabilità, avrebbero, se attentamente svolti in un periodo così lungo, certamente consentito di individuare le irregolarità che hanno permesso al responsabile amministrativo di distrarre dalle casse del Comitato regionale campano circa un milione di euro. La sussistenza di eventuali corresponsabilità negli altri soggetti che hanno svolto attività di revisione e controllo non ha, poi, aggiunge il TFN, effetto scriminante alcuno, e, nemmeno, attenuante, considerato che i compiti di controllo e vigilanza devoluti ai revisori sono autonomi e non presuppongono, né prevedono, il compimento di analoga attività da parte di altri soggetti, né la loro collaborazione. «Diversa appare la posizione degli incolpati in qualità di Presidenti del Comitato». In qualità di soggetti apicali «incombe una responsabilità generale presunta per tutti i fatti che concernono e interessano l’ente da essi presieduto, dalla quale possano affrancarsi unicamente dando prova di aver fatto tutto quanto da essi dovuto, e, comunque, in loro potere per evitare il fatto dannoso». In questo quadro il TFN ritiene che la responsabilità in questione sia certamente attenuata sia in virtù del fatto che al controllo della correttezza della gestione contabile amministrativa erano deputati, anzitutto, sia i richiamati revisori, sia un professionista incaricato proprio nel 2009 dallo stesso Comitato regionale, che, infine, la stessa LND attraverso specifici soggetti tecnici (Siva e Labet), sia per il fatto che Domenico Cerbone era un funzionario CONI all’epoca designato per 5 assumere quel delicato ruolo e svolgeva la sua funzione da vent’anni, senza che alcun rilievo fosse stato mai mosso alla sua gestione. Nella direzione opposta, invece, il Tribunale considera il rilevante lasso di tempo e gli ingenti importi oggetto di indebita appropriazione, «che impediscono di ritenere del tutto assente la responsabilità dei soggetti apicali dell’ente - per un così lungo tempo oggetto di queste rilevantissime distrazioni che avrebbero potuto e dovuto rivolgere a questo aspetto maggiori e più dirette attenzioni, presumibilmente idonee a rilevare e contrastare questa gravissima situazione». Secondo il TFN, inoltre, entrambi i presidenti hanno assunto una specifica responsabilità «in dipendenza della “firma” ad essi riservata per il compimento delle operazioni bancarie, e, per quel che interessa, ai fini della indebita emissione, in favore del sig. Cerbone, degli assegni circolari che hanno costituito lo strumento decisivo ai fini della successiva appropriazione. In particolare, Salvatore Colonna (che non ha negato di aver apposto le firme necessarie per la emissione dei richiamati assegni) non avrebbe controllato, con sufficiente attenzione, i relativi ordinativi che Cerbone gli sottoponeva per la firma, e/o la sussistenza e autenticità della documentazione giustificativa ad essi relativa. Vincenzo Pastore (che, invece, ha negato l’autenticità delle firme con le quali Cerbone ha ottenuto l’emissione degli assegni circolari) «disponeva probabilmente, come sembra dimostrato dalla mutata strategia del D.C. (che ha evitato di richiedere l’apposizione della firma del presidente Pastore sugli ordinativi in questione) di una attitudine al controllo maggiore del suo predecessore». Tuttavia, tale maggiore attenzione si sarebbe rivelata, «alla prova dei fatti, sterile e insufficiente a impedire l’appropriazione, atteso che, come è evidente, lo stesso Pastore non ha mai eseguito – come invece era da attendersi, vista anche la sua specifica esperienza (egli era stato per anni segretario amministrativo assieme a D.C.) – alcun controllo volto a verificare che l’elenco degli assegni circolari, risultante dagli estratti dei conti correnti, ricomprendesse solo gli assegni da esso richiesti, e non altri, evidentemente indebitamente richiesti ed emessi». «Per quanto concerne invece la posizione di entrambi i vicepresidenti del Comitato, Domenico Iacoviello e Giovanni Battaglia», conlude, sul punto, il TFN, deve ritenersi che «gli stessi, in quanto nemmeno destinatari di una qualche specifica delega riferita alla funzione amministrativa, non possono essere ritenuti responsabili per la omissione di attività di controllo spettanti, in via generale, all’organo apicale, funzionalmente, ai revisori, e, di fatto, svolte anche da altri soggetti che nessun rilievo hanno mai mosso». Con riferimento ai capi di incolpazione b), c) e d) del deferimento a tutti i soggetti deferiti è stata contestata la violazione dell’art. 50 R.A.C. («l’apertura dei conti correnti bancari per l’espletamento dei servizi di riscossione e pagamento è deliberato dal Consiglio di Presidenza dei Comitati Regionali e dei Comitati Provinciali Autonomi di Trento e Bolzano, previa autorizzazione del Presidente della LND. La facoltà di firma a valere sui conti corrente deve essere attribuita, previa autorizzazione del Presidente della LND, da parte del Consiglio di Presidenza, dei Comitati Regionali e dei Comitati Provinciali Autonomi di Trento e Bolzano, a due o più persone con firme congiunte di due delegati»). In particolare, l’accusa è: ai componenti del Comitato di presidenza, di non avere, appunto, adottato la prescritta delibera; ai presidenti, di aver direttamente esercitato e fatto esercitare poteri bancari, in assenza della richiamata delibera; ai revisori dei conti, di non aver rilevato l’irregolare esercizio di tali poteri. Il TFN, a tal riguardo, ritiene infondate le difese dei deferiti, secondo cui la delega originaria conferita in conformità con quanto disposto dal previgente R.a.c. (art. 9) al sig. Cerbone e al presidente pro tempore era da ritenere ancora del tutto valida ed efficace, non essendovi, dunque, alcuna necessità di una ulteriore delibera del Comitato di presidenza. In particolare, secondo le prospettazioni difensive, la delega era necessaria per l’apertura di nuovi conti e non già per la conferma delle firme di traenza sui conti già esistenti e, inoltre, l’originaria delega – conferita congiuntamente al presidente (pro-tempore) e al sig. Cerbone – rispondeva a quanto disposto dall’attuale art. 50 del R.a.c. e non necessitava di alcuna variazione né di conferma da parte da parte del Comitato di presidenza. Orbene, osserva il TFN come «la generale esigenza che le delibere di attribuzione della firma sui conti correnti, soprattutto in favore di persone diverse (ancorché ricoprenti la medesima carica), siano assunte da ogni comitato insediato in luogo del precedente», discenda «dai principi e dalle 6 regole di buona amministrazione», ritenendo che, «in via di astratta ipotesi, si potrebbe sostenere che tale “rinnovo” non sia necessario nel caso in cui la composizione del Comitato di presidenza e le persone dei delegati restino assolutamente identici», mentre, «nella specie, tuttavia, non vi è assoluta coincidenza nelle successive compagini dei comitati, e nemmeno nelle persone dei delegati, considerato che a variare risulta essere stata, nel tempo, anche la persona del presidente al quale era stata conferita la originaria delega, poi esercitata di fatto, dai successivi presidenti, pur in difetto di una, certamente necessaria, delega “personale”». Ne consegue, a dire dei giudici di primo grado, che il mandato a suo tempo conferito, «per un verso non era più riconducibile all’organo in carica nella sua nuova composizione e, per altro verso, e con riferimento al mandato conferito all’allora Presidente del comitato (Sibilia), inidoneo ad abilitare persona fisicamente diversa da quella a suo tempo delegata» e, pertanto, che «il sostanziale venir meno dell’originario mandato assorbe ogni questione relativa alla dedotta permanenza della regolarità della originaria delega anche a mente di quanto successivamente disposto all’art. 50 del RAC». Quanto, infine, alla posizione dei revisori, il TFN ritiene che, al contrario di quanto sostenuto dalle difese, agli stessi compete il controllo sia in astratto che in concreto della correttezza e della sicurezza di tutte le procedure amministrative e, dunque, essi, pur trattandosi di questione di stretta competenza del Comitato di presidenza, avrebbero dovuto quantomeno segnalare la irregolare “sopravvivenza” dei mandati conferiti nel 1996. Da ultimo, ritiene infondato, il TFN, il deferimento con riferimento al capo e) di imputazione in ordine alla mancata attuazione del modello “organizzativo” di cui al D. Lgs n. 231/2001. Gli incolpati hanno respinto l’addebito sostenendo, in via principale, che l’attuazione del modello organizzativo ex decreto legislativo n. 231/2001 costituisca compito esclusivo dell’organo di vigilanza. Ma, a prescindere dalla sostanziale fondatezza della osservazione, il Tribunale ritiene che non aver provveduto a tale adempimento «si appalesa omissione di tale tenuità da non varcare, di per sé considerata e, in difetto di generale segnalazione o specifico avviso, la soglia della rilevanza disciplinare», evidenziando, altresì, come l’attuazione del “modello” di cui trattasi è volta, in via principale, alla prevenzione di condotte e comportamenti del tutto diversi e come, comunque, per il fatto di «non aver correttamente gestito questo procedimento e di aver omesso ogni opportuno controllo gli incolpati già rispondono, più direttamente, ai sensi dei precedenti capi di incolpazione con la conseguenza che questo ulteriore e più tenue profilo violativo non ne può aggravare la responsabilità». Alla luce di quanto sopra esposto il TFN, in parziale accoglimento del deferimento della Procura Federale, ha inflitto ai deferiti le seguenti sanzioni per le violazioni di cui ai capi di incolpazione a), b), c), e d): 1. Salvatore COLONNA, mesi 6 di inibizione; 2. Vincenzo PASTORE, mesi 6 di inibizione; 3. Domenico Giulio JACOVIELLO, mesi 1 di inibizione; 4. Giovanni BATTAGLIA, mesi 1 di inibizione; 5. Pietro FRAGOMENI, mesi 6 di inibizione; 6. Salvatore CAPUOZZO, mesi 4 di inibizione; 7. Donato LORIA, mesi 4 di inibizione. I ricorsi Con separati ricorsi i sigg.ri Salvatore Colonna (con avv. Mattia Grassani), Vincenzo Pastore (con avv. Antonio Zecca), Giovanni Battaglia (con avv. Angela Inghilleri), Pietro Fragomeni (con avv.ti Eduardo Chiacchio, Monica Fiorillo e Michele Cozzone), Salvatore Capuozzo (con avv.ti Eduardo Chiacchio, Monica Fiorillo e Michele Cozzone) e Donato Loria (con avv.ti Eduardo Chiacchio, Monica Fiorillo e Michele Cozzone) hanno proposto, come rispettivamente assistiti, appello avverso le suddette decisioni del TFN. Di seguito una rapida sintesi delle deduzioni difensive e delle conclusioni dei reclamanti. 7 Salvatore Colonna, presidente del Comitato regionale Campania dal 6.11.2000 al 5.12.2012, censura, anzitutto, la mancata sospensione del processo, «in attesa dell’esito di quello penale pendente avanti alla Procura della Repubblica di Napoli», ritenendo, «pregiudiziale, ogniqualvolta si valutano profili di responsabilità, per così dire “vicaria”, accertare, quantomeno in maniera incidentale, l’effettiva natura e consistenza del comportamento che avrebbe dovuto essere impedito dai soggetti titolari del potere di controllo. Comportamento che, nel caso che ci occupa, è costituito dalle presunte appropriazioni indebite, asseritamente poste in essere da parte del responsabile amministrativo della FIGC - C.R. Campania, sig. Domenico Cerbone». Eloquente, in particolare, sarebbe «il dato numerico, dimostrativo dell’impossibilità, allo stato, di individuare qualsivoglia responsabilità dei “controllori” senza aver chiarito l’entità delle condotte violative degli ‘incolpati’: l’avv. Capozzi, difensore del Cerbone, ha ammesso un’appropriazione indebita del suo assistito per € 183.864,14, mentre la Labet s.r.l., all’esito di verifiche condotte successivamente all’emersione dei fatti di mala gestio, ha rilevato irregolarità su operazioni ammontanti complessivamente ad € 1.160.355,177». In altri termini, il ricorrente lamenta che, «in mancanza di una più precisa ricostruzione, nonché di una quantificazione, anche indicativa, delle appropriazioni indebite addebitabili a Cerbone e, soprattutto, delle modalità, causali e termini di siffatta attività illecita, non è dato neppure comprendere quali fossero le iniziative» che lo stesso «avrebbe dovuto porre in essere per prevenire o scongiurare la presunta fattispecie illecita». A maggior ragione, aggiunge il sig. Colonna, nel suo ricorso, «laddove si consideri che, nell’ampia istruttoria svolta dalla Procura Federale, sono stati sentiti numerosissimi soggetti titolari di poteri di vigilanza e controllo (organismo di vigilanza LND, Siva, segreteria amministrativa, revisori conti, etc) senza che nessuno di questi abbia mai confermato, con margini di apprezzabile certezza, le attività da compiere per evitare la verificazione della situazione in esame». Ribadisce, poi, il ricorrente, l’eccezione di prescrizione già svolta in primo grado e disattesa dal TFN. Questo, in sintesi, il supporto argomentativo: -si tratta di fattispecie priva di specifica disciplina in punto prescrizione e, pertanto, alla stessa si applica «la disposizione per cui le infrazioni disciplinari si prescrivono al termine della quarta stagione sportiva successiva alla loro commissione, salva l’apertura di una indagine che, comunque, deve intervenire prima dello spirare del termine anzidetto»; -«nel caso in esame, posto che l’indagine è stata pacificamente iscritta nell’apposito registro il 10.9.2015, senza effetti interruttivi prima di tale data, si è eccepito che tutte le condotte intervenute sino alla fine della stagione 2010/2011 si siano estinte per il decorso del tempo»; -Colonna è stato presidente del Comitato regionale Campania dal 6.11.2000 al 5.12.2012; -tutte le condotte poste in essere fino al 30.6.2011, ai sensi dell’art. 27, comma 1, CGS, si sono prescritte e, di conseguenza, il periodo «oggetto di valutazione da parte degli organi di giustizia» si riduce da 38 a 17 mesi; -infatti, diversamente da quanto ritenuto dal TFN (secondo cui ricorre, nella fattispecie, la figura dell’illecito permanente, in relazione al quale il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza, ai sensi dell’art. 158 c.p., con la conseguenza che la condotta illecita contestata al sig. Colonna, in quanto permanente e conclusasi nell’anno 2011, non è prescritta) il comportamento contestato non può essere qualificato quale illecito permanente. «Il reato permanente, infatti, si verifica quando l’offesa commessa dall’agente al bene giuridicamente tutelato si protrae nel tempo per effetto di una sola condotta, che tuttavia sia persistente e volontaria» (tipico esempio, il sequestro di persona); in questi casi, «la prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza». Quella contestata al sig. Pastore, invece, è «piuttosto riconducibile al reato continuato, ovvero quando il soggetto agente compie più azioni destinate allo stesso fine reato o anche alla violazione di più precetti». E la circostanza che la Procura federale ha contestato più condotte e non una soltanto con effetti permanenti la si ricaverebbe dalla stessa lettura del deferimento; -«le presunte violazioni contestate all’avv. Colonna attengono certamente a più comportamenti, rectius più omissioni, succedutesi in un determinato arco temporale, senza, però, che la fattispecie possa sovrapporsi a quella del “reato permanente”, posto che, in primo luogo, non si tratta di 8 un’unica azione, in secondo luogo manca certamente l’elemento necessario della volontà positiva dell’agente» e «il termine prescrizionale per il reato continuato decorre non dalla data di cessazione della continuazione, bensì da quello della commissione di ogni singola violazione». Quanto alla dichiarata responsabilità in ordine al capo a) di cui al deferimento, il TFN, laddove afferma che «incombe una responsabilità generale presunta per tutti i fatti che concernono e interessano l’ente da essi presieduto» avrebbe introdotto, deduce il ricorrente, «un istituto giuridico non previsto» dal CGS, operando, altresì, una inammissibile inversione dell’onere della prova, nel momento in cui ritiene che si tratti di una responsabilità dalla quale ci si può affrancare «dando prova di aver fatto tutto quanto da essi dovuto, e, comunque, in loro potere per evitare il fatto dannoso». Aggiunge, il ricorrente, che non soltanto non disponeva delle competenze per svolgere le attività di controllo, che nell’occasione vennero eseguite su incarico da professionisti del settore, ma addirittura, secondo i regolamenti dell’epoca, non aveva l’autorità per effettuare controlli diretti, dovendo affidarsi agli organi di controllo (Siva e sindaci revisori) i quali, tuttavia, mai hanno riferito di irregolarità sulla gestione della cassa o del conto corrente. In altre parole, non sarebbe concepibile che un presidente di uno dei Comitati regionali più importanti e consistenti a livello numerico, senza mai aver ricevuto alcuna segnalazione esterna (istituti bancari) o interna (organi ispettivi endofederali o da dipendenti) sia tenuto a richiedere, peraltro, in ambiti di competenza riservati ad altri soggetti, chiarimenti o porre in essere non meglio precisate attività volte a «….impedire, contrastare o comunque rendere particolarmente difficile l’appropriazione indebita…. ». Riassumendo, «non soltanto non è stata dimostrata né acquisita agli atti alcuna precisa azione od omissione dell’avv. Colonna, ma, addirittura, non si è neppure stati in grado di affermare con certezza – o ragionevole probabilità – se i poteri a disposizione del reclamante sarebbero stati idonei allo scopo». Quanto ai capi di incolpazione b), c) e d) relativi alla violazione dell’art. 50 R.a.c. ribadisce, il ricorrente, come «il Cerbone, nella sua qualifica di responsabile amministrativo, ha sempre disposto della delega per operare sul conto corrente bancario del Comitato regionale», visto che il 21.5.1996, l’allora presidente del Comitato Campania, dott. Sibilia, ha comunicato, con provvedimento «mai stato oggetto di revoca», la titolarità della firma congiunta, «in capo a sé medesimo ed al sig. Domenico Cerbone, alla Lega Nazionale Dilettanti, secondo quanto previsto dal R.a.c. all’epoca vigente, tanto che il dott. Elio Giulivi, ricevuta tale determinazione, con comunicazione del 24.5.1996, ne informava l’istituto di credito». Da quel momento, dunque, a dire del reclamante, «la legittimazione del sig. Cerbone ad operare sul conto corrente del Comitato regionale non ha mai subito alcuna variazione né necessitava di altri provvedimenti». Conclude, allora, il ricorrente, chiedendo annullarsi e/o revocarsi la sanzione irrogata all’esito del giudizio di primo grado, ovvero ridursi la stessa nella misura ritenuta di giustizia. Vincenzo Pastore, presidente del Comitato regionale Campania dal 5.12.2012 al 14.09.2015, «pur condividendo l’impostazione logica e culturale proposta dal Tribunale federale, nella vicenda de qua», ritiene che non si possano «non segnalare delle discrasie, emergenti dal testo del provvedimento, che se risolte dovrebbero condurre a concludere per l’assoluto rispetto» dei principi di lealtà, probità e correttezza imposti dall’ordinamento sportivo. Si evidenzia, in ricorso, come ci si trovi «al cospetto di una persona che – come precisato dal Tribunale – nel corso di tutto il suo mandato presidenziale, ha rinunciato ad ogni tipo di rimborso o altro, pur ordinariamente riconosciuto dalla L.N.D. Tale circostanza, pur non essendo centrale nella vicenda de qua, comunque contribuisce a delineare la persona ed i suoi comportamenti, certamente improntati ai principi sopra richiamati». Segnala, il sig. Pastore, come, pur nel rispetto del principio di autodichia, ha richiesto al TFN l’acquisizione delle indagini espletate dagli inquirenti della Procura della Repubblica di Napoli, dalle quali emergerebbe come lo stesso, appresa la notizia, «ha immediatamente informato gli Organi federali e li ha addirittura sollecitati affinchè adottassero le cautele finanziarie del caso, per garantire al meglio le “casse” della LND e per essa del Comitato regionale Campania e ridurre al minimo le conseguenze», provvedendo anche a bloccare «l’utilizzo del conto corrente». Del resto, 9 si aggiunge in ricorso, «la vicenda sportiva» può «essere trattata con dettaglio di particolari acquisibili solo prendendo cognizione dell’ormai imminente deposito dell’incarto predisposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Napoli», anche in considerazione del fatto che «i danni arrecati dal Cerbone, inevitabilmente si riflettono sul giudizio di gravità in ordine alle omissioni commesse». Evidenzia, il ricorrente, come «a seguito del cambio della presidenza alla fine dell’anno 2012 il Cerbone è stato costretto a modificare il suo comportamento appropriativo» e come ciò sia accaduto proprio a fronte dei nuovi controlli dallo stesso introdotti ed effettuati sugli ordinativi di spesa, che venivano tutti «sottoposti alla sua attenzione e tutti venivano verificati col doveroso riscontro delle relative giustificazioni». Siccome «questo tipo di controllo», che il ricorrente qualifica “a monte o ex ante”, «interveniva naturalmente prima del deposito in banca della richiesta di emissione dei titoli di credito», avrebbe «impedito ogni illecita locupletazione al Cerbone» laddove completato «col corretto comportamento degli altri soggetti proposti al controllo successivo». «Invero, richiedere al Pastore anche l’esecuzione del controllo di dettaglio successivo alla emissione dei titoli, avrebbe sostanzialmente e completamente duplicato se non reso – in astratto – inutili tutti i controlli cui erano chiamati dei professionisti del settore, che pur avendo analizzato e verificato, ancorchè “a campione” non sono riusciti ad interrompere la sequenza causale che portava all’appropriazione il Cerbone». In tal ottica il sig. Pastore chiede di considerare una serie ulteriore di elementi, tra cui: -l’inesatta verifica, da parte dei funzionari di banca, della corrispondenza «della firma riportata sullo specimen depositato in banca, con quella vergata sull’ordinativo»; -il fatto che il controllo era demandato, anzitutto, ai revisori dei conti, ad un professionista incaricato proprio nel 2009 dal Comitato, nonché a specifici soggetti tecnici (Siva e Labet). Insomma, il ricorrente, invece, avrebbe proprio fatto ciò che gli è contestato non aver fatto, ossia, contrastare o rendere particolarmente difficile l’appropriazione indebita: «con i suoi controlli ha reso impossibile il reiterare la condotta appropriativa tant’è che il Cerbone è stato costretto a modificare il suo comportamento illecito ed a realizzare veri e propri artifici e raggiri esclusivamente tesi ad eludere il controllo del Presidente». Quanto alla ritenuta violazione dell’art. 50 R.a.c. il ricorrente ribadisce le difese offerte in prime cure, evidenziando che non vi era alcuna necessità di ripercorrere «l’intero procedimento attributivo del richiamato potere», considerato che Cerbone «era già in precedenza titolare del potere di firma, visto che è stato responsabile amministrativo del Comitato Campania fin dal 1996, nominato dall’allora presidente, dott. Cosimo Sibilia» e che né dal Siva, né dalla Labet, «all’atto dei loro accessi al Comitato medesimo, né dalla Lega Nazionale Dilettanti, pur destinataria diretta di decine di documenti bancari, a firma del sig. Domenico Cerbone, come i bonifici bancari dei versamenti, dal Comitato Campania, alla Lega stessa, ognuno dei quali per importi consistenti, alcuni dei quali addirittura per centinaia di migliaia di euro». In ogni caso, si deduce in ricorso, «la norma, di cui all’art. 50 del R.a.c. della LND, è palesemente riferita all’apertura dei conti correnti bancari, e comunque all’attribuzione del potere di firma, non certo alla conferma delle persone fisiche, già accreditate alla firma, proprio nell’adempimento dell’obbligo di vigilanza che deve essere esercitato sui Dirigenti degli Uffici», osservandosi, infine, che, «nella peggiore delle ipotesi sul punto, si verte in tema, di un errore nella interpretazione della norma da parte del Comitato Campania e segnatamente del presidente Pastore, indotto da una situazione di fatto, che certamente non lo vede negligente sul punto o irrespettoso dei principi di lealtà correttezza e probità». Queste le conclusioni di cui al ricorso: «voglia la Corte d’Appello Federale in riforma del provvedimento del Tribunale escludere ogni responsabilità del presidente Pastore relativamente a punti A, B e C, o comunque modulare la pena ai comportamenti specifici ascrivibili al presidente Vincenzo Pastore». Giovanni Battaglia, vice presidente del Comitato regionale Campania, membro del Consiglio direttivo e del Consiglio di presidenza dal 5.12.2012 al 14.09.2015, contesta la decisione dei giudici di prime cure, secondo cui, in sostanza, «l’emanazione del provvedimento in questione si renda indispensabile ogni qualvolta vi sia l’insediamento di un nuovo Comitato regionale 10 (anche se i soggetti delegati rimangano gli stessi) individuando, in astratto, un’unica ipotesi in cui la delibera possa essere omessa, e cioè quando i soggetti componenti il Comitato di presidenza e quelli delegati alla firma non siano mutati». Secondo il TFN, dunque, aggiunge il ricorrente, «se i soggetti delegati restano gli stessi ma mutano i componenti del Consiglio di presidenza […] la delibera deve essere sempre adottata». Ritiene il ricorrente che tale interpretazione, a suo dire, estensiva dell’art. 50, comma 8, R.a.c. operata dal TFN, sia errata, evidenziando come il dettato regolamentare, prevedendo le firme congiunte dei due soggetti, miri a rafforzare la tutela dell’ente, evitando che le operazioni bancarie siano poste in essere in maniera discrezionale da un unico soggetto, ma giammai ad esautorare il presidente del Comitato dei poteri conferiti in virtù della carica che ricopre. La facoltà di firma in tanto sussiste in quanto si debba revocare una precedente delega già confermata per mutamento del soggetto fisico delegato. Mentre, nel caso di specie, «la delega ad operare sul conto corrente risaliva al 1996 quando l’allora presidente Cosimo Sibilia l’aveva nominato appunto responsabile amministrativo e da allora tale costui è rimasto, senza soluzione di continuità dal 1996 al momento delle sue dimissioni avvenute il 1.6.2015, sia responsabile amministrativo che delegato alla firma in banca». Pertanto, il ricorrente conclude chiedendo il proscioglimento o l’applicazione di una sanzione adeguata ai fatti contestati. Pietro Fragomeni, presidente del Collegio dei revisori contabili del Comitato regionale Campania dal 5.12.2012, richiamate le difese svolte nel corso del giudizio di primo grado, ritiene che l’impugnata delibera si configuri «come palesemente erronea ed infondata, meritando, pertanto, incisiva e radicale riforma». Sul capo di incolpazione relativo alla omissione dell’attività di controllo e vigilanza si evidenzia che «i revisori appellanti sono stati nominati in data 5.12.2012: quindi, sotto la loro attività di vigilanza, il fenomeno appropriativo perpetrato dal Cerbone si è protratto non per oltre 5 anni (come indicato dal Tribunale federale nazionale) ma solo per 2 anni, 5 mesi e 26 giorni». Non si comprende, dunque, deduce il ricorrente, come lo stesso incolpato debba rispondere di omessa attività di controllo e di vigilanza anche relativamente a un periodo di tempo antecedente alla sua investitura, durante il quale a svolgere tale tipo di attività erano altri Revisori, che paradossalmente non sono stati nemmeno ascoltati. Atteggiamento, questo, che il ricorrente reputa discriminante, illogico e soprattutto iniquo e ingiusto nei confronti di professionisti che hanno offerto la loro gratuita, incondizionata disponibilità. Il TFN, prosegue il ricorrente, ha errato nel ritenere che i controlli hanno riguardato mediamente una operazione su duemila e sempre per importi assai modesti e che i revisori non avrebbero svolto verifiche più penetranti rispetto alla semplice riconciliazione formale dei conti e dei controlli a campione. Evidenzia, invece, a tal riguardo, il ricorrente: -che «le verifiche sulla contabilità del Comitato non venivano effettuate solo analizzando il libro giornale ma anche e soprattutto eseguendo controlli mirati su conti che il Collegio riteneva di analizzare non in via meramente formale bensì in maniera più penetrante e, quindi, sostanziale (conti Cassa, Banca ed Assegni)»; -che i controlli sulla contabilità relativamente al libro giornale venivano effettuati sulle righe dello stesso (che sono numerate) e non sulle operazioni (che non sono numerate) e «le righe da sottoporre a controllo documentale non erano oggetto di scelta a priori bensì il risultato di un’estrazione effettuata con un criterio selettivo che non era mai lo stesso»; -che i controlli su cassa, banca ed assegni non si sono limitati al profilo formale, «ma il Collegio, proprio perché questi conti erano ritenuti meritevoli di maggiore attenzione, ha sempre proceduto ad effettuare ulteriori più penetranti controlli, così come risultanti dalle carte di lavoro di ciascun verbale». Si sottolinea, poi, in ricorso, come, comunque, attività similari di controllo dovevano essere poste in essere «anche da altri soggetti» (LND, Siva, Labet, professionista nominato con apposito incarico di monitoraggio dell’ufficio contabilità del Comitato Campania) e che «la collaborazione è, invero, propedeutica all’efficacia del controllo». Né, aggiunge il ricorrente, il Collegio dei revisori ha mai ricevuto da terzi soggetti segnalazioni di criticità sull’operato del sig. Cerbone e, «pur operando con 11 massimo scrupolo e diligenza, non è riuscito mai ad intercettare le attività appropriative del sig. Cerbone». Sul capo di incolpazione relativo alla violazione dell’art. 50 del R.a.c. «si osserva, in primis, che, dalla documentazione comunicata di recente dalla Procura della Repubblica di Napoli, è emersa la sussistenza di una delibera del Consiglio di presidenza, datato 10 dicembre 2012, che attribuiva i poteri di firma sui conti correnti bancari del Comitato al presidente dott. Vincenzo Pastore, al segretario sig. Andrea Vecchione ed al responsabile amministrativo sig. Domenico Cerbone. Detta delibera, pur non riportata, probabilmente per dimenticanza, sul previsto Libro del Consiglio di presidenza, era stata a suo tempo adottata e regolarmente depositata in banca». «Se poi», prosegue il ricorrente, «il Consiglio di presidenza avesse o meno la preventiva autorizzazione dal presidente della Lega Nazionale dilettanti (cfr. art. 50 del Rac) in ordine alla facoltà di firma in favore delle persone individuate nella delibera medesima, è questione che, come già ampiamente argomentato in primo grado, non è da reputarsi rientrante tra quelle demandate al Collegio dei revisori». In ogni caso, anche laddove «la delibera del 10.12.2012 dovesse, comunque, considerarsi non valida, alla stregua della precedente delega di cui all’art. 50, così come conferita nel 1996, i revisori oggi appellanti» restano convinti «che il controllo sull’osservanza della delega di cui all’art. 50 competesse (e competa) alla Lega Nazionale Dilettanti e non ad altri». Quanto, infine, al capo e) del deferimento (mancata attuazione del modello organizzativo di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001), lamenta, il ricorrente, come il TFN, «pur non addebitando ai revisori se non lievi mancanze in relazione a tale aspetto», non si esima «dal ritenere sussistente, tra i compiti generali dell’organo di controllo, quello di assumere iniziative volte all’attuazione del Modello». Appare, invece, secondo i revisori appellanti, «lampante ed inoppugnabile la completa assenza di responsabilità disciplinare, a qualunque titolo», in capo agli stessi, «con conseguente inevitabile proscioglimento» da ogni relativo addebito. Tanto premesso, chiede il ricorrente: «in via principale, prosciogliere l’odierno ricorrente da ogni addebito, con totale annullamento della sanzione allo stesso irrogata dai Giudici di prime cure; in estremo e denegato subordine, ridurre congruamente e sensibilmente l’inibizione medesima». Salvatore Capuozzo, componente Collegio dei revisori contabili del Comitato regionale Campania dal 5.12.2012, nel ribadire le ragioni e le argomentazioni tutte spese nelle difese svolte nel primo grado, ritiene che l’impugnata delibera si configuri «come palesemente erronea ed infondata, meritando, pertanto, incisiva e radicale riforma». Sul capo di incolpazione relativo alla omissione dell’attività di controllo e vigilanza si evidenzia che «i revisori appellanti sono stati nominati in data 5.12.2012: quindi, sotto la loro attività di vigilanza, il fenomeno appropriativo perpetrato dal Cerbone si è protratto non per oltre 5 anni (come indicato dal Tribunale federale nazionale) ma solo per 2 anni, 5 mesi e 26 giorni». Non si comprende, dunque, deduce il ricorrente, come lo stesso incolpato debba rispondere di omessa attività di controllo e di vigilanza anche relativamente a un periodo di tempo antecedente alla sua investitura, durante il quale a svolgere tale tipo di attività erano altri Revisori, che paradossalmente non sono stati nemmeno ascoltati. Atteggiamento, questo, che il ricorrente reputa discriminante, illogico e soprattutto iniquo e ingiusto nei confronti di professionisti che hanno offerto la loro gratuita, incondizionata disponibilità. Ha errato, prosegue il ricorrente, il TFN, a ritenere che i controlli hanno riguardato mediamente una operazione su duemila e sempre per importi assai modesti e che i revisori non avrebbero svolto verifiche più penetranti rispetto alla semplice riconciliazione formale dei conti e dei controlli a campione. Evidenzia, invece, a tal riguardo, il ricorrente: -che «le verifiche sulla contabilità del Comitato non venivano effettuate solo analizzando il libro giornale ma anche e soprattutto eseguendo controlli mirati su conti che il Collegio riteneva di analizzare non in via meramente formale bensì in maniera più penetrante e, quindi, sostanziale (conti Cassa, Banca ed Assegni)»; -che i controlli sulla contabilità relativamente al libro giornale venivano effettuati sulle righe dello stesso (che sono numerate) e non sulle operazioni (che non sono numerate) e «le righe da sottoporre 12 a controllo documentale non erano oggetto di scelta a priori bensì il risultato di un’estrazione effettuata con un criterio selettivo che non era mai lo stesso»; -che i controlli su cassa, banca ed assegni non si sono limitati al profilo formale, «ma il Collegio, proprio perché questi conti erano ritenuti meritevoli di maggiore attenzione, ha sempre proceduto ad effettuare ulteriori più penetranti controlli, così come risultanti dalle carte di lavoro di ciascun verbale». Si sottolinea, poi, in ricorso, come, comunque, attività similari di controllo dovevano essere poste in essere «anche da altri soggetti» (LND, Siva, Labet, professionista nominato con apposito incarico di monitoraggio dell’ufficio contabilità del Comitato Campania) e che «la collaborazione è, invero, propedeutica all’efficacia del controllo». Né, aggiunge il ricorrente, il Collegio dei revisori ha mai ricevuto da terzi soggetti segnalazioni di criticità sull’operato del sig. Cerbone e, «pur operando con massimo scrupolo e diligenza, non è riuscito mai ad intercettare le attività appropriative del sig. Cerbone». Sul capo di incolpazione relativo alla violazione dell’art. 50 del R.a.c. «si osserva, in primis, che, dalla documentazione comunicata di recente dalla Procura della Repubblica di Napoli, è emersa la sussistenza di una delibera del Consiglio di presidenza, datato 10.12.2012, che attribuiva i poteri di firma sui conti correnti bancari del Comitato al presidente dott. Vincenzo Pastore, al segretario sig. Andrea Vecchione ed al responsabile amministrativo sig. Domenico Cerbone. Detta delibera, pur non riportata, probabilmente per dimenticanza, sul previsto Libro del Consiglio di presidenza, era stata a suo tempo adottata e regolarmente depositata in banca». «Se poi», prosegue il ricorrente, «il Consiglio di presidenza avesse o meno la preventiva autorizzazione dal presidente della Lega Nazionale dilettanti (cfr. art. 50 del Rac) in ordine alla facoltà di firma in favore delle persone individuate nella delibera medesima, è questione che, come già ampiamente argomentato in primo grado, non è da reputarsi rientrante tra quelle demandate al Collegio dei revisori». In ogni caso, anche laddove «la delibera del 10.12.2012 dovesse, comunque, considerarsi non valida, alla stregua della precedente delega di cui all’art. 50, così come conferita nel 1996, i revisori oggi appellanti» restano convinti «che il controllo sull’osservanza della delega di cui all’art. 50 competesse (e competa) alla Lega Nazionale Dilettanti e non ad altri». Quanto, infine, al capo e) del deferimento (mancata attuazione del modello organizzativo di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001), lamenta, il ricorrente, come il TFN, «pur non addebitando ai revisori se non lievi mancanze in relazione a tale aspetto», non si esima «dal ritenere sussistente, tra i compiti generali dell’organo di controllo, quello di assumere iniziative volte all’attuazione del Modello». Appare, invece, secondo i revisori appellanti, «lampante ed inoppugnabile la completa assenza di responsabilità disciplinare, a qualunque titolo», in capo agli stessi, «con conseguente inevitabile proscioglimento» da ogni relativo addebito. Tanto premesso, chiede il ricorrente: «in via principale, prosciogliere l’odierno ricorrente da ogni addebito, con totale annullamento della sanzione allo stesso irrogata dai Giudici di prime cure; in estremo e denegato subordine, ridurre congruamente e sensibilmente l’inibizione medesima». Donato Loria, componente del Collegio dei revisori contabili del Comitato regionale Campania dal 5.12.2012, ritiene anch’esso che l’impugnata delibera si configuri «come palesemente erronea ed infondata, meritando, pertanto, incisiva e radicale riforma». Sul capo di incolpazione relativo alla omissione dell’attività di controllo e vigilanza si evidenzia che «i revisori appellanti sono stati nominati in data 5.12.2012: quindi, sotto la loro attività di vigilanza, il fenomeno appropriativo perpetrato dal Cerbone si è protratto non per oltre 5 anni (come indicato dal Tribunale federale nazionale) ma solo per 2 anni, 5 mesi e 26 giorni». Non si comprende, dunque, deduce il ricorrente, come lo stesso incolpato debba rispondere di omessa attività di controllo e di vigilanza anche relativamente a un periodo di tempo antecedente alla sua investitura, durante il quale a svolgere tale tipo di attività erano altri Revisori, che paradossalmente non sono stati nemmeno ascoltati. Atteggiamento, questo, che il ricorrente reputa discriminante, illogico e soprattutto iniquo e ingiusto nei confronti di professionisti che hanno offerto la loro gratuita, incondizionata disponibilità. 13 Ha errato, prosegue il ricorrente, a ritenere che i controlli hanno riguardato mediamente una operazione su duemila e sempre per importi assai modesti e che i revisori non avrebbero svolto verifiche più penetranti rispetto alla semplice riconciliazione formale dei conti e dei controlli a campione. Evidenzia, invece, a tal riguardo, il ricorrente: -che «le verifiche sulla contabilità del Comitato non venivano effettuate solo analizzando il libro giornale ma anche e soprattutto eseguendo controlli mirati su conti che il Collegio riteneva di analizzare non in via meramente formale bensì in maniera più penetrante e, quindi, sostanziale (conti Cassa, Banca ed Assegni)»; -che i controlli sulla contabilità relativamente al libro giornale venivano effettuati sulle righe dello stesso (che sono numerate) e non sulle operazioni (che non sono numerate) e «le righe da sottoporre a controllo documentale non erano oggetto di scelta a priori bensì il risultato di un’estrazione effettuata con un criterio selettivo che non era mai lo stesso»; -che i controlli su cassa, banca ed assegni non si sono limitati al profilo formale, «ma il Collegio, proprio perché questi conti erano ritenuti meritevoli di maggiore attenzione, ha sempre proceduto ad effettuare ulteriori più penetranti controlli, così come risultanti dalle carte di lavoro di ciascun verbale». Si sottolinea, poi, in ricorso, come, comunque, attività similari di controllo dovevano essere poste in essere «anche da altri soggetti» (LND, Siva, Labet, professionista nominato con apposito incarico di monitoraggio dell’ufficio contabilità del Comitato Campania) e che «la collaborazione è, invero, propedeutica all’efficacia del controllo». Né, aggiunge il ricorrente, il Collegio dei revisori ha mai ricevuto da terzi soggetti segnalazioni di criticità sull’operato del sig. Cerbone e, «pur operando con massimo scrupolo e diligenza, non è riuscito mai ad intercettare le attività appropriative del sig. Cerbone». Sul capo di incolpazione relativo alla violazione dell’art. 50 del R.a.c. «si osserva, in primis, che, dalla documentazione comunicata di recente dalla Procura della Repubblica di Napoli, è emersa la sussistenza di una delibera del Consiglio di presidenza, datato 10.12.2012, che attribuiva i poteri di firma sui conti correnti bancari del Comitato al presidente dott. Vincenzo Pastore, al segretario sig. Andrea Vecchione ed al responsabile amministrativo sig. Domenico Cerbone. Detta delibera, pur non riportata, probabilmente per dimenticanza, sul previsto Libro del Consiglio di presidenza, era stata a suo tempo adottata e regolarmente depositata in banca». «Se poi», prosegue il ricorrente, «il Consiglio di presidenza avesse o meno la preventiva autorizzazione dal presidente della Lega Nazionale dilettanti (cfr. art. 50 del Rac) in ordine alla facoltà di firma in favore delle persone individuate nella delibera medesima, è questione che, come già ampiamente argomentato in primo grado, non è da reputarsi rientrante tra quelle demandate al Collegio dei revisori». In ogni caso, anche laddove «la delibera del 10.12.2012 dovesse, comunque, considerarsi non valida, alla stregua della precedente delega di cui all’art. 50, così come conferita nel 1996, i revisori oggi appellanti» restano convinti «che il controllo sull’osservanza della delega di cui all’art. 50 competesse (e competa) alla Lega Nazionale Dilettanti e non ad altri». Quanto, infine, al capo e) del deferimento (mancata attuazione del modello organizzativo di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001), lamenta, il ricorrente, come il TFN, «pur non addebitando ai revisori se non lievi mancanze in relazione a tale aspetto», non si esima «dal ritenere sussistente, tra i compiti generali dell’organo di controllo, quello di assumere iniziative volte all’attuazione del Modello». Appare, invece, secondo i revisori appellanti, «lampante ed inoppugnabile la completa assenza di responsabilità disciplinare, a qualunque titolo», in capo agli stessi, «con conseguente inevitabile proscioglimento» da ogni relativo addebito. Tanto premesso, chiede il ricorrente: «in via principale, prosciogliere l’odierno ricorrente da ogni addebito, con totale annullamento della sanzione allo stesso irrogata dai Giudici di prime cure; in estremo e denegato subordine, ridurre congruamente e sensibilmente l’inibizione medesima». Con atto trasmesso in data 23.5.2016 il sig. Giovanni Battaglia ha fatto pervenire «motivi aggiunti all’atto di ricorso in appello», con il quale, premesso che «in data 20.04.2016, la Procura federale» ha inviato agli incolpati, «che avevano preannunciato reclamo, una comunicazione formale con cui si dava atto che erano stati depositati, presso la Corte Federale 14 d’Appello, gli atti ricevuti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Napoli ed afferenti al procedimento penale n.7602/15 RGNR a carico di Cerbone Domenico», ferme fatte «le ragioni difensive sottese al ricorso già depositato», hanno evidenziato che, quanto alla incolpazione di cui al capo b) del deferimento, dalla predetta documentazione «si rileva la presenza della deliberazione considerata omessa». Pertanto, essendo esistente il documento ritenuto insussistente, vi sarebbe «la prova che i comportamenti posti in essere dal dott. Battaglia sono esenti da censure», con conseguente necessità di prosciogliere lo stesso. Analogo atto qualificato “motivi aggiunti” ha fatto pervenire, in data 24.5.2016, il sig. Vincenzo Pastore. Sempre in conseguenza della nuova documentazione depositata dalla Procura federale presso la Corte d’appello, pur confermando quanto dedotto in ricorso, il reclamante chiarisce che l’omessa adozione da parte del Consiglio di presidenza della delibera con la quale si autorizzava il presidente ed i delegati a sottoscrivere gli atti relativi alle operazioni bancarie compiute sul conto corrente del Comitato, statuita dal TFN viene meno, in quanto la stessa è stata rinvenuta tra la documentazione precitata. «A fronte del dato documentale individuato», conclude il reclamante, «non si può che insistere per una formula assolutoria per l’insussistenza del fatto, poiché ogni altra incombenza conseguente alla formazione dell’atto non era certamente di spettanza del Presidente». Il giudizio d’appello e la decisione All’udienza fissata, innanzi questa Corte federale di appello, per il giorno 26.5.2016, sono comparsi i dott.ri Stefano Palazzi e Roberto Benedetti, per la Procura federale, nonché i difensori dei ricorrenti, come meglio di seguito precisato. I rappresentanti della Procura Federale hanno, in via preliminare, eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti depositati dai sigg.ri Pastore e Battaglia, poiché non previsti per questo tipo di procedimento. In ordine alla delibera del Comitato rinvenuta tra i documenti sequestrati, presso l’azienda bancaria, in sede di attività di indagine della Procura della Repubblica di Napoli, i rappresentanti dell’organo federale requirente evidenziano come le difese dei deferiti siano state sempre incentrate sulla circostanza che non fosse necessaria una nuova delibera, essendo valida è sufficiente quella già a suo tempo rilasciata allo stesso responsabile amministrativo sig. Cerbone dal precedente presidente del Comitato regionale campano, dott. Sibilia, e giammai sulla effettiva esistenza della delibera stessa. Del resto, si sottolinea, non solo l’originale della delibera non è mai stata rinvenuta agli atti del Comitato regionale, ma lo stesso sig. Giulio Jacoviello, che non ha proposto appello, ha decisamente escluso, in sede di audizione, che quella delibera sia stata mai effettivamente adottata. A titolo comparativo, esibisce, a tal proposito, la Procura federale, un verbale del Consiglio del Comitato regionale Campania, per evidenziare come il format delle delibere in uso c/o il predetto Comitato sia del tutto diverso dalla delibera di cui trattasi che, inoltre, non porta un numero di registro, né ha data certa, considerato che la data è apposta solo sullo specimen. Ad ogni buon conto, si aggiunge, la delibera asseritamente assunta il 10.12.2012 mancherebbe dei requisiti non solo di forma, ma anche di sostanza previsti per questo tipo di delibere dall’art. 50 R.a.c., anche perché occorreva tener conto della previa autorizzazione del presidente della LND. Nel merito, la Procura Federale ribadisce che i deferiti non hanno assunto alcuna iniziativa utile ad evitare che il sig. Cerbone si appropriasse di somme così ingenti sottratte in un lasso di tempo così lungo. Per quanto concerne i revisori dei conti, invece, l’attività di controllo è stata alquanto debole. Le verifiche fatte a campione non sono state per nulla significative: di fatto l’oggetto della verifica ha riguardato una decina di unità, per un importo totale di circa cento mila euro, a fronte di una movimentazione di migliaia di euro. 15 Conclude, la Procura Federale, chiedendo rigettarsi gli appelli e confermarsi la decisione di primo grado. L’avv. Zecca, per il proprio assistito Vincenzo Pastore, evidenzia come questi ricordasse della delibera, pur non potendo accedere al documento perché oggetto di sequestro. Quanto alla non genuinità della delibera segnala come si tratti di un documento acquisito dalla Guardia di Finanza e come lo stesso rechi una data anteriore a quella in cui potrebbe essere sorto l’interesse del sig. Pastore. E non si può certo imputare al presidente Pastore anche il fatto che la delibera non sia stata inserita nell’apposito registro. Quanto alla inidoneità del contenuto, è importante che ci sia la sostanza e che la delibera corrisponda al contenuto sostanziale della previsione normativa. Peraltro, il vebale di cui trattasi ha raggiunto gli effetti che gli sono propri. Ed a nulla vale sostenere che la difesa, in mancanza del documento agli atti, si è concentrata sui profili di legittimità della precedente delibera. In ogni caso, l’acquisizione materiale della delibera, cambio tutto il contesto. Il TFN, secondo la difesa, fa un ragionamento condivisibile, ma non lo porta alle giuste conclusioni. Infatti, il Tribunale riconosce che il sig. Cerbone ha dovuto modificare il proprio comportamento alterativo proprio come conseguenza del maggior controllo operato dal presidente Pastore, errando, però, poi, quando, ciononostante, riconosce una responsabilità in capo al presidente per culpa in vigilando. Ma per parlare di siffatta colpa la Procura avrebbe dovuto dire, con valutazione ex ante, quale è quel comportamento che, posto in essere da Pastore, si sarebbe rivelato idoneo ad impedire l’illecito di cui trattasi. In ogni caso, non sussistono i presupposti per ritenere fondata l’accusa di violazione dell’art. 1 bis CGS, avendo, semmai, Pastore, agito nell’interesse dell’ordinamento federale. Conclude con la richiesta di proscioglimento. L’avv. Angela Inghilleri, per il sig. Battaglia, replica alla eccezione, della Procura Federale, di inammissibilità dei motivi aggiunti, sostenendo che i motivi aggiunti rientrano nell’ambito del generale diritto di difesa costituzionalmente previsto. Quanto al documento rinvenuto nell’acquisizione istruttoria relativa al procedimento pendente presso la Procura della Repubblica di Napoli, si chiede qui prodest falsificare il giorno 10.12.2012 una delibera, poi, comunque, depositata il 13.12.2012 presso l’azienda bancaria. Non si sono elementi concreti per definire falso il documento. Né ci si può genericamente riferire al mancato ricordo, da parte dei consiglieri, dell’adozione della delibera, visto che hanno deliberato così tante cose, da essere del tutto ragionevole che gli stessi non abbiano specifica memoria di quella delibera in particolare. Insomma, conclude la difesa Battaglia, se l’incolpazione è di non aver deliberato e la delibera, invece, effettivamente è stata adottata, l’incolpazione è infondata. L’avv. Cozzone, per i componenti del Collegio dei revisori Capuozzo, Fragomeni e Loria ritiene che l’accusa si basi su un sillogismo errato: attività distrattiva del sig. Cerbone culpa in vigilando del Collegio dei revisori dei conti. Ma per riconoscere la culpa in vigilando in capo ai revisori era necessario individuare una specifica omissione, era necessario dimostrare che il Collegio dei revisori ha omesso un’attività di controllo, di verifica, invece, specificamente prevista. Ma, in assenza di questo, e in presenza del fatto che i revisori dei conti hanno dato attuazione alle previsioni del R.a.c., non si può riconoscere alcuna responsabilità in capo agli stessi. Non corrisponde al vero che il controllo è stato solo di tipo riconciliativo dei conti e che i controlli a campione sono stati solo formali. Come non è vero che il Collegio dei revisori si limitava alla sola verifica del libro giornale. Le operazioni di verifica erano, invece, particolareggiate ed il controllo a campione del tutto adeguato. Controllo che è stato anche sostanziale, visto che i revisori hanno preteso, per ogni operazione esaminata, la relativa documentazione giustificativa. Ci sono stati, inoltre, altri controlli di altri organi (LND, Siva) che dimostrano come nessuna anomalia nel comportamento del sig. Cerbone sia stata mai segnalata. Solo grazie alla verifica della Labet è stato possibile individuare il comportamento di Cerbone che aveva modificato, nel tempo, le modalità distrattive. Conclude, la difesa dei sigg.ri Fragomeni, Capuozzo e Loria, chiedendo l’integrale proscioglimento o, in mero subordine, solo per scrupolo difensivo, una congrua riduzione delle sanzioni. 16 L’avv. Mattia Grassani per il sig. Colonna insiste, anzitutto, sulla eccezione di prescrizione. Il TFN ha affermato che non c’è prescrizione perché la stessa inizia decorrere dalla cessazione della permanenza del comportamento, quindi, dal 5.12.2012, ma, nel caso di specie, non si tratta di un comportamento che si consuma con il compimento di un solo fatto. Del resto, la contestazione è quella di non essersi avveduto quotidianamente del comportamento del sig. Cerbone. Quindi, semmai, si tratta di reato continuato, con la conseguenza che la prescrizione inizia a decorrere ogni giorno per il quale quel comportamento asseritamente non dovuto è addebitato, perché sono stati, questa l’accusa, quotidianamente posti in essere comportamenti omissivi o commissivi che hanno integrato più violazioni. Essendo trascorso il termine di prescrizione fissato in quattro stagioni successive alla condotta, oggetto di valutazione disciplinare può essere solo il periodo che va dal 1.7.2011 al 5.12.2012, ossia 17 mesi e non i 36 mesi oggetto di addebito. Nel merito, sostenere, come fa il TFN, che i deferiti si potevano affrancare dalla responsabilità dimostrando di aver fatto tutto ciò che era possibile per impedire il fatto è del tutto illogico ed inammissibile. Il presidente Colonna, ad ogni buon conto, ha assunto una persona e ne ha contrattualizzato un’altra proprio per l’assolvimento dei compiti di controllo di cui trattasi. Quindi ha fatto che ciò che poteva per impedire attività distrattive dei fondi del Comitato. Evidenzia, poi, la difesa dell’appellante Colonna, come i capi di incolpazione di cui alle lett. b) e c) del deferimento siano una duplicazione del medesimo comportamento omissivo. Si evidenzia, ad ogni buon conto, come la delibera assunto dal precedente presidente Sibilia fosse del tutto valida e sufficiente: questa, infatti, alla luce della comunicazione del predetto presidente alla LND e della risposta della Lega alla banca, soddisfa i requisiti previsti dall’art. 50 R.a.c. e, comunque, erra il TFN laddove afferma che mutando l’organo persona fisica è necessaria una nuova delibera. Infine, breve replica del Procuratore Federale. Quanto alla eccezione di prescrizione, si tratta di più condotte unificate dal vincolo della continuazione. Quanto al verbale, si deve ritenere che lo stesso non sia stato redatto il 13.12.2012, perché la data apposta dalla banca è solo nel foglio specimen, bensì in epoca successiva, essendo sorto uno specifico interesse non già al momento del deferimento oggetto di questo giudizio, ma in epoca precedente, in relazione alla pendenza del procedimento n. 246 PF 2014/2015 c/ Pastore, iniziato nel settembre 2014, ben prima, dunque, del sequestro della GdF del maggio 2015. Terminate le illustrazioni difensive delle parti, sopra sinteticamente riferite, dichiarato chiuso il dibattimento, questa Corte si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale, riuniti i procedimenti relativi ai ricorsi dei sigg.ri Colonna, Pastore, Battaglia, Fragomeni, Capuozzo e Loria, attesa la sussistenza di ragioni di evidente connessione oggettiva e di economia processuale, ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti MOTIVI In via logicamente preliminare deve essere, dapprima, esaminata la questione di ammissibilità dei motivi aggiunti proposti dai sigg.ri Pastore e Battaglia, alla stregua dell’eccezione di inammissibilità svolta dalla pubblica accusa federale in sede di riunione. Orbene, in disparte l’evidente irritualità della proposizione di censure aggiuntive, non puntualmente previste dalle norme sportive di settore, deve, peraltro, evidenziarsi come, nella sostanza, tale inammissibilità sia, nel particolare caso di specie, priva di concreti effetti pregiudizievoli per i deferiti di cui trattasi, atteso che le difese hanno avuto la possibilità di illustrare, oralmente, nel corso della discussione, la posizione difensiva dei rispettivi assistiti in relazione alla novità probatoria rappresentata dal rinvenimento, tra gli atti oggetto di sequestro della Guardia di Finanza, del verbale della delibera la cui mancata adozione è stata contestata, sotto diversi profili, a tutti i deferiti dalla Procura Federale. Ancora, in via preliminare, deve essere disattesa l’istanza, ancora riproposta – da alcuni dei ricorrenti – in questa sede di appello, in ordine alla necessità di sospensione del presente giudizio «in attesa dell’esito di quello penale pendente avanti alla Procura della Repubblica di Napoli». 17 Osserva, questa Corte, come allo stato degli atti risulti pendente un procedimento penale instaurato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nei confronti del sig. Cerbone Domenico, persona indagata per i reati di cui agli artt. 81 e 314 c.p., perché «in qualità di incaricato di pubblico servizio, responsabile amministrativo del Comitato regionale Campania L.N.D., avendo per ragioni del suo ufficio il possesso o comunque la disponibilità di denaro della predetta società, in quanto soggetto delegato ad operare sul conto corrente del predetto Comitato, acceso presso l’Unicredit Banca di Roma, succursale di Napoli, si appropriava indebitamente, in un periodo che va dal dicembre del 2009 all’aprile del 2015, di ingenti somme di denaro depositate sul predetto conto corrente societario, somme provenienti anche da organismi pubblici; in particolare si appropriava indebitamente della somma di euro 918.865, 48». Orbene, deve, anzitutto, rilevarsi che gli odierni appellanti sono stati deferiti non già quali eventuali compartecipi dell’illecito contestato al sig. Cerbone, bensì in relazione alla violazione dell’art. 1 bis CGS, anche in relazione alla omessa vigilanza sul complessivo episodio distrattivo, oltre che per la mancata adozione di una specifica delibera autorizzativa del potere di firma degli ordinativi di spesa, mentre, come detto, il procedimento penale in corso riguarda esclusivamente il responsabile amministrativo del Comitato regionale campano e, comunque, fatti-contestazione differenti da quelli dell’omessa vigilanza e della violazione di determinate procedure amministrative. Inoltre, gli elementi essenziali della vicenda che qui ci occupa e i reiterati fatti di appropriazione indebita contestati al sig. Domenico Cerbone e dallo stesso quantomeno in parte riconosciuti, per quanto rileva ai fini del presente procedimento disciplinare-sportivo, risultano, quale fatto storico, sufficientemente accertati. Si ritiene, pertanto, non essenziale, quantomeno, nell’economia di questo procedimento, ricostruire con maggiore dettaglio e precisione tutte le modalità operative della vicenda di cui trattasi, peraltro, già descritte, in modo circostanziato, dalla società di revisione e confermate dallo stesso sig. Cerbone che, in sede di interrogatorio, ha ammesso l’addebito, pur ridimensionando l’entità della somma in concreto distratta. Sotto siffatto profilo, occorre, ancora una volta, riaffermare, il principio della libera utilizzazione, in questa sede sportivo-disciplinare, degli elementi di prova acquisiti in procedimenti diversi. Viene, pertanto, in modo del tutto legittimo, utilizzato a fondamento dell’assunto accusatorio, il contenuto delle risultanze dell’attività investigativa posta in essere dagli inquirenti della Procura della Repubblica di Napoli e, in genere, degli atti e documenti acquisiti al relativo procedimento penale. Ferma restando, ovviamente, l’autonoma attività valutativa propria dell’organo di giustizia sportiva, le risultanze probatorie di cui trattasi devono essere considerate, «secondo la costante giurisprudenza sportiva (endo ed esofederale), nella loro fenomenica consistenza e nella loro capacità rappresentativa di circostanze storiche rilevanti» (Corte di Giustizia Federale, sez. un., 18.8.2011, C.U. 043/CGG del 19.9.2011). In ogni caso, poi, e su un piano più generale, occorre richiamare la consolidata giurisprudenza sportiva, endo ed esofederale, che ha più volte, con diffuse ed esaustive argomentazioni – da questo Collegio pienamente condivise – affermato e ribadito l’autonomia dell’ordinamento settoriale rispetto ad altri ordinamenti giuridici. Effetto e logico corollario dell’autonoma scelta degli obiettivi da perseguire nell’ambito endofederale è l’omologa libertà nella redazione delle tavole delle condotte incompatibili con l’appartenenza soggettiva allo stesso e, in via strumentale e necessaria, dei mezzi e delle forme di tutela dell’ordinamento sportivo dalle deviazioni che si dovessero verificare al suo interno. È, del resto, conseguenza immediata e diretta della riconosciuta autonomia dell’ordinamento sportivo, la legittimità dello stesso di dotarsi, in via indipendente, di un circuito normativo che reagisca alla negazione dei valori del mondo dello sport: implicita condizione, questa, del riconoscimento e della salvaguardia provenienti dall’ordinamento statale. Questa premessa, che riassume decenni di conforme indirizzo giurisprudenziale sportivo, porta ad affermare, in linea generale, la niente affatto obbligata permeabilità dell’ordinamento sportivo ad ogni e ciascuna disposizione dell’ordinamento generale astrattamente applicabile alla singola fattispecie. Ed infatti, l’ordinamento sportivo, da un canto, è estraneo alle previsioni normative generali che nascono con riguardo ad ambiti tipicamente ed esclusivamente statali (come il procedimento penale e le regole che per esso sono dettate per governare i rapporti con altri procedimenti, quali quelli penali, amministrativi, disciplinari ecc.); esso, d’altro canto, è libero di perseguire la propria pretesa punitiva, nei confronti degli associati che si sottraggano al rispetto dei 18 precetti, con autonomi mezzi di ricerca e valutazione della prova che non necessariamente debbono identificarsi con quelli propri dell’ordinamento statale, fatta ovviamente salva l’osservanza del diritto di difesa, costituzionalmente garantito. Non vi è, quindi, alcuna necessità di attendere l’eventuale giudizio penale relativo alla vicenda distrattiva della quale è accusato il responsabile amministrativo del Comitato regionale Campania, nè di attendere ulteriori sviluppi probatori, considerato che la pretesa punitiva federale viene esercitata sulla scorta di un materiale probatorio già giudicato dagli organi di giustizia sportiva (Procura Federale e Tribunale Federale Nazionale, prima e Corte Federale di Appello, ora) congruamente espressivo del livello di infrazioni contestate. Le regole del procedimento sportivo, cui gli organi di giustizia sono tenuti ad uniformarsi, non prevedono il dovere del giudicante di allargare l’orizzonte del materiale probatorio già acquisito, se questo, a suo avviso, soddisfa le esigenze del giudizio. Da questo punto di vista, non rappresenta in alcun modo violazione del diritto di difesa, apprezzabile in sede di giudizio di impugnazione, la circostanza che il procedimento si svolga sulla base degli atti acquisiti e, più in generale, nel rispetto delle norme del Codice di giustizia sportiva: il che è indubbiamente avvenuto nel corso del giudizio di primo grado. A rafforzare il convincimento appena espresso sta, infine, la considerazione che alla difesa non è mai precluso il concorso alla formazione della prova mediante produzione documentale, come è, appunto, accaduto nel presente procedimento. Quanto al merito, l’impugnazione dei deferiti concerne l’accertata responsabilità di cui ai capi di incolpazione a), b), c) e d), del deferimento. In ordine al capo e), infatti, il TFN ha ritenuto che anche laddove sussistente l’infrazione sarebbe di entità tale da non superare la soglia «della rilevanza disciplinare». Ciò premesso, questa Corte deve, anzitutto, prendere atto del rinvenimento, nell’ambito della documentazione oggetto di attività di sequestro da parte degli organi inquirenti della giustizia ordinaria, della delibera del Consiglio di presidenza del Comitato regionale Campania di autorizzazione alla sottoscrizione degli atti relativi ai rapporti bancari, la cui mancata adozione (in violazione dell’art. 50 R.a.c.), già di per se stessa, secondo la prospettazione accusatoria, connotava in senso irregolare tutta l’attività compiuta. Infatti, la Procura Federale, con comportamento diligente e improntato a correttezza processuale, dopo averli depositati presso questa Corte, ha scambiato con le controparti appellanti gli atti ricevuti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ed afferenti al procedimento penale iscritto sub r.g.n.r. 7602/2015 a carico del sig. Domenico Cerbone. Orbene, nell’ambito della predetta documentazione e, segnatamente, tra quella appresa dalla Guardia di Finanza presso la filiale Unicredit di Napoli ove è acceso il c/c del Comitato regionale Campania, si rinviene, come detto, proprio la copia di quella delibera la cui mancata adozione è stata, appunto, a diverso titolo, contestata ai deferiti. A tal proposito, questa Corte non trascura alcuni profili di perplessità, evidenziati, in modo puntuale e dettagliato dalla Procura Federale in sede di dibattimento. E così, ad esempio, il fatto che l’originale del verbale non sia stato rinvenuto tra i documenti conservati dal Comitato regionale; il fatto che tale verbale non rechi un numero di registro e sia difforme dal consueto format dei verbali adottati dall’organo di cui trattasi; la circostanza che, di tale delibera, quasi nessuno dei deferiti aveva specifica memoria; la considerazione che tutti i deferiti si sono difesi, sia in primo, che in secondo grado, in ordine alla sufficienza e validità della delibera adottata nel corso della precedente presidenza Sibilia ed alla non necessità di una nuova delibera autorizzativa in difetto di variazione del soggetto delegato e non, invece, sulla effettiva adozione ed esistenza della delibera di cui trattasi. Come detto, gli elementi sopra indicati, sebbene suscitino alcune perplessità sulla genuinità del documento di cui trattasi, come, peraltro, dedotto ed eccepito dalla Procura Federale non sono, tuttavia, sufficienti ai fini della affermazione della sua non genuinità. Del resto, confortano questa conclusione, almeno tre ordini di considerazioni. Primo. Il documento reca, comunque, una data (quella del 13.12.2012 apposta sul foglio dello specimen) e, dunque, in difetto di idonei e certi elementi di riscontro, di segno contrario, deve 19 ritenersi che lo stesso sia stato effettivamente depositato presso l’ente bancario in data 13.12.2012 e, quindi, redatto e formato il 10 o, comunque, entro il 13.12.2012. Fino a specifica prova contraria deve, pertanto, escludersi che il foglio c.d. specimen sia stato depositato da solo in banca, senza, appunto, la relativa delibera autorizzativa. Secondo. Il documento di cui trattasi è stato rinvenuto dagli inquirenti tra gli atti sequestrati dalla Guardia di Finanza presso la banca e ciò significa che, senza dubbio, la delibera è stata, comunque, effettivamente depositata in banca e laddove fosse stata depositata in epoca successiva al 13.12.2012, ciò avrebbe richiesto una qualche complicità all’interno dell’istituto bancario di cui, allo stato degli atti, non vi è traccia alcuna. Terzo. Debole il “movente”. È in questo giudizio che è stato contestato al presidente Pastore ed agli altri appellanti la violazione dell’art. 50 Ra.c. Pertanto, “l’interesse” alla “redazione” postuma di tale delibera non può essere rintracciato, come ritenuto dalla Procura Federale, nell’apertura, nel settembre 2014, a carico del sig. Pastore, del procedimento n. 246 PF 2014/2015. Quanto alle obiezioni in ordine al contenuto della delibera, non può che osservarsi che la stessa appare contenere i requisiti di forma e di sostanza previsti dalla disposizione R.a.c. più volte ricordata, a nulla rilevando, ai fini della decisione del presente procedimento, l’eventuale esistenza di vizi di forma (quali, ad esempio, il mancato inserimento della delibera nell’apposito registro o la mancata comunicazione della LND), che, laddove effettivamente accertate, possono, semmai, dare luogo ad infrazioni di tipo meramente “amministrativo” e di rilievo, per così dire, endoprocedimentale o nei confronti della LND, rimanendo, comunque, la delibera di cui trattasi, tanto perfetta ed efficace, per l’ordinamento federale, quanto capace di produrre, nell’ordinamento generale, gli effetti giuridici propri della stessa. L’accertata esistenza della delibera di cui trattasi esime, questa Corte, dall’analisi delle ulteriori deduzioni difensive sul punto agitate da quasti tutti gli appellanti (segnatamente, in ordine alla non necessità di adozione di una nuova delibera nel caso in cui a mutare sia solo il soggetto fisico dell’organo delegante e non già o anche il soggetto delegato, nonché in relazione alla sufficienza e validità della precedente delibera a suo tempo adottata e regolarmente depositata in banca sotto la presidenza Sibilia). Pertanto, preso atto dell’esistenza della delibera la cui mancata adozione supportava i capi b), c) e d) del deferimento, le relative contestazioni appaiono infondate e, di conseguenza, devono essere prosciolti: -i sigg.ri Colonna, Pastore e Battaglia, dalla incolpazione di cui al capo b) del deferimento; -i sigg.ri Colonna e Pastore, dalla incolpazione di cui al capo c) del deferimento; -i sigg.ri Fragomeni, Capuozzo e Loria, dalla incolpazione di cui al capo d) del deferimento. Rimane, allora, da esaminare l’incolpazione di cui al capo a) del deferimento e, più in generale, la contestata violazione dell’art. 1 bis CGS. Orbene, ritiene, questa Corte che la contestazione sia fondata e che bene abbia fatto il TFN ad affermarne la responsabilità dei deferiti. Tutti gli appellanti, seppur per ragioni e titoli diversi, hanno violato l’art. 1 bis del vigente CGS ed i sottesi principi di lealtà, probità e correttezza, per aver omesso di assumere, ciascuno nello svolgimento dello specifico incarico assunto, le doverose iniziative utili ai fini di una migliore gestione finanziaria (presidenti e, in misura minore, vicepresidenti) o di un maggior controllo delle operazioni relative ai fondi movimentati dal Comitato regionale (revisori). Omesse iniziative ed insufficienti controlli che hanno, peraltro, reso possibile o, di fatto, agevolato l’attività alterativa del responsabile amministrativo, come contestatagli dalla Procura della Repubblica di Napoli e dallo stesso, comunque, sostanzialmente ammessa, seppur, come detto, con ridimensionamento dell’entità della somma complessivamente sottratta. Deve, tuttavia, essere, quantomeno in parte, corretta/integrata la motivazione offerta dal Tribunale di prime cure. Secondo il TFN, quanto alla «posizione degli incolpati in qualità di Presidenti del Comitato», in qualità di soggetti apicali, sugli stessi «incombe una responsabilità generale presunta per tutti i fatti che concernono e interessano l’ente da essi presieduto, dalla quale possono affrancarsi unicamente dando prova di aver fatto tutto quanto da essi dovuto, e, comunque, in loro potere per evitare il fatto 20 dannoso». In altri termini, i fatti di cui trattasi impedirebbero «di ritenere del tutto assente la responsabilità dei soggetti apicali dell’ente - per un così lungo tempo oggetto di queste rilevantissime distrazioni che avrebbero potuto e dovuto rivolgere a questo aspetto maggiori e più dirette attenzioni, presumibilmente idonee a rilevare e contrastare questa gravissima situazione». Tali argomentazioni non possono essere del tutto condivise. In primo luogo, perché sembrerebbero condurre all’affermazione di una generale, quanto generica, responsabilità da posizione apicale, non codificata nel nostro ordinamento giuridico, così come non prevista da quello settoriale sportivo. In secondo luogo, perché l’assunto conduce ad una inammissibile inversione dell’onere della prova, avendo, il TFN, di fatto, richiesto agli incolpati di dimostrare di aver fatto tutto quanto da essi dovuto per evitare il fatto dannoso. Ad avviso di questa Corte, invece, si versa in ipotesi di illecito omissivo, consistente nel mancato rispetto dei doveri imposti dall’art. 1 bis CGS e, segnatamente, dell’obbligo di improntare il proprio comportamento ai principi di lealtà, probità e correttezza. Il rimprovero che si muove agli appellanti, ciascuno in relazione al proprio ruolo ed alle proprie funzioni, è quello di non aver compiuto quelle azioni possibili (di gestione e di controllo, ciascuno in relazione alla funzione svolta od all’incarico assunto) agli stessi richieste e dagli stessi dovute. Quest’ultimo requisito, quello della doverosità del comportamento, differenzia, come noto, l’omissione dalla semplice inerzia improduttiva di effetti giuridicamente rilevanti. Gli appellanti, ciascuno, lo si ribadisce, in relazione al proprio ruolo, incarico o mandato, avevano la possibilità concreta di agire, di operare un diverso, più penetrante, più intenso controllo sulla gestione complessiva dei fondi del Comitato, in generale, e sulla gestione amministrativofinanziaria del sig. Cerbone, in particolare. In particolare, i presidenti (Colonna e Pastore, ciascuno in relazione al periodo di propria competenza), come anche, seppur in misura sicuramente inferiore, i vicepresidenti del Comitato (pertanto, Battaglia, per quanto interessa in questo giudizio di secondo grado), avevano l’obbligo, ex art. 1 bis CGS, non già e non solo di svolgere (per il tramite dei soggetti istituzionalmente preposti o all’uopo incaricati) tutte le verifiche di rito previste dai regolamenti federali e di Lega, ma anche il dovere di operare, quantomeno, un controllo di ordine sistematico e complessivo sulla gestione dei fondi movimentati dal Comitato dagli stessi presieduto. Avevano l’onere specifico di avvedersi, specie alla luce della esperienza maturata (in particolare dal presidente Pastore), della ampia, forse eccessiva libertà di “movimento” accordata al responsabile amministrativo del Comitato regionale che, pur non essendo né il presidente, appunto, ma neppure il segretario del Comitato, disponeva, di fatto, grazie ad un controllo a maglie larghe, dei fondi del Comitato stesso, quasi in posizione autoreferenziale, senza che nessuno tra i presidenti o i vicepresidenti, abbiano avvertito l’esigenza di chiedere contezza dell’andamento complessivo della gestione della cassa. Dovevano, segnatamente, per quanto qui interessa, i sigg.ri Pastore, Colonna, atteso il loro ruolo di responsabili primi del Comitato, impedire che venissero movimentati ingenti quantità di denaro contante o, quantomeno, avevano l’obbligo di chiedere spiegazioni al responsabile amministrativo delle ragioni e della effettiva necessità di circolazione di flussi di contante. Avevano l’onere di richiedere espressamente (e non lo hanno fatto) di effettuare le transazioni finanziarie per il tramite dei consueti canali bancari (bonifico, assegno circolare, ecc.), limitando, appunto, al minimo indispensabile, la circolazione del denaro contante (peraltro, la circostanza dell’entità, particolarmente rilevante, del contante che circolava presso il Comitato Regionale Campania è stata ammessa dallo stesso Cerbone in sede di interrogatorio penale). Tutto questo i responsabili del Comitato non hanno fatto e non è sufficiente, a titolo di scriminante, sostenere che sono stati effettuati gli ordinari controlli previsti dalla vigente regolamentazione. «I Presidenti dei Comitati regionali», del resto, «rappresentano anche e direttamente la stessa FIGC sul territorio, svolgendo in un certo senso una sorta di funzione “prefettizia” in favore del governo centrale della FIGC. Non a caso, l’art. 20, comma 3, dello Statuto Federale prevede che i Presidenti dei Comitati regionali della LND partecipino di diritto all’Assemblea della FIGC (seppur, ovviamente, senza diritto di voto)» (TNAS, lodo 20.5.2010 – Guardini c/ FIGC). Funzione, quest’ultima che gli stessi avrebbero dovuto, peraltro, svolgere in prima persona e non delegare ad altri soggetti (vedi assunzione del commercialista Massaro da parte del presidente Colonna) che, si 21 aggiunga, essendo estranei all’organizzazione federale, non posso essere chiamati a rispondere, in ambito endofederale, dei loro comportamenti. Non si può, ancora e, ad ogni buon conto, trascurare di considerare il rilevante lasso di tempo nel corso del quale sono state poste in essere attività commissivo-distrattive, da parte del responsabile amministrativo, ed omissive, da parte dei responsabili del Comitato, gli ingenti importi oggetto di distrazione, le reiterate e continue attività infedeli poste in essere dal sig. Cerbone, elementi, questi, che, nel complesso considerati, impediscono, comunque, di ritenere anche esclusa la colpa in vigilando dei presidenti e, come detto, seppur in misura decisamente inferiore, dei vicepresidenti. Del resto, delle due l’una: o il responsabile dell’Ufficio amministrativo non era tenuto a riferire a nessuno del proprio operato e a darne conto (ed allora i presidenti ed i vice rispondono, sempre ex art. 1 bis CGS, per non aver organizzato in modo adeguato la struttura amministrativa di cui gli stessi erano responsabili) oppure lo stesso era effettivamente tenuto a riferire e a dare conto del proprio operato agli organi di vertice, responsabili del Comitato (e, in questo caso, appunto, gli stessi sono di certo responsabili quantomeno a titolo di culpa in vigilando; titolo, quest’ultimo, sufficiente a pervenire alla affermazione di responsabilità degli odierni deferiti per violazione dell’art. 1 bis del CGS, per come affermato dal TNAS, lodo 20.5.2010 – Guardini c/ FIGC, più sopra citato). Del resto, non nutre dubbi, questo Collegio, sulla sussistenza, nella fattispecie, di un rapporto di preposizione e supremazia equiparabile a quella gerarchica che sussiste tra i soggetti considerati: e gli organi di vertice del Comitato sono tenuti ad esercitare a pieno il loro potere – dovere di direzione e controllo sull'attività cui è adibito il dipendente, senza potersi giovare, peraltro, sotto questo profilo, di una generica prova liberatoria di natura deduttivo-presuntiva. Gli stessi rilievi (e la medesima violazione dei precetti di cui all’art. 1 bis CGS) devono essere mossi al vicepresidente Battaglia (peraltro, anche componente del Consiglio direttivo e del Consiglio di presidenza), anche se, ovviamente, in misura ben diversa ed inferiore rispetto al grado di addebito mosso ai presidenti. Del resto, non vi è dubbio che la vicepresidenza comporta, nell’ambito dell’ordinamento federale, onori, oneri e responsabilità ben differenti da quelli riconosciuti a colui che riveste la qualifica di presidente del Comitato. Ne deriva, dunque, come correttamente già affermato dal Tribunale, la necessità di una diversa valutazione della misura della sanzione. Quanto ai revisori, gli stessi erano tenuti e chiamati a porre in essere un controllo specifico, non limitato a profili solo formali e, soprattutto, potevano e dovevano porre in essere controlli a campione su voci ed operazioni significative in relazione al contesto di riferimento ed alla mole di operazioni finanziarie e dei relativi complessivi importi oggetto delle stesse. Di fatto, si sono, invece, limitati, come dimostrato dalla Procura Federale ed accertato dal Tribunale Federale Nazionale, ad operare una mera riconciliazione formale dei conti e ad eseguire controlli a campione su operazioni (una ogni duemila circa) per una cifra del tutto esigua (intorno a complessivi centomila euro), quando invece, il corretto e concreto adempimento del loro incarico professionale e, comunque, per quanto interessa ai fini del presente procedimento, il rispetto dei principi sanciti dall’art. 1 bis CGS, imponevano verifiche specifiche, mirate e, soprattutto, effettivamente significative. Non vi è traccia, ad esempio, seppur in un lasso di tempo così rilevante, di alcuna verifica “incrociata” della autenticità ed effettività delle documentazioni di spesa e/o di pagamento presenti in contabilità. Avrebbero, i revisori, dovuto aver cura di verificare non solo il rispetto (formale) delle procedure interne corrette e “controllate”, ma anche la movimentazione effettiva dei c/c (comprensiva dell’esame a campione degli assegni circolari emessi), nonché la coincidenza tra le spese preventivate e quelle a consuntivo. Ciò avrebbe sicuramente consentito, quantomeno nel lungo periodo, di individuare le irregolarità che hanno consentito di distrarre dalle casse del Comitato regionale campano un milione di euro all’incirca. Né il disvalore sportivo del comportamento dei revisori può ritenersi scriminato o attenuato dalla esistenza di eventuali altre corresponsabilità e, segnatamente, dalla circostanza che anche altri soggetti hanno svolto controlli sulla gestione di cui trattasi, senza rilevare alcuna anomalia. Del resto, come correttamente affermato dal TFN, i compiti di controllo e vigilanza devoluti ai revisori 22 sono autonomi e non presuppongono, né prevedono, il compimento di analoga attività da parte di altri soggetti, né la loro collaborazione. Non vi è dubbio, sotto tale profilo, che la condotta doverosa omessa da tutti gli appellanti, ciascuno, come detto, in relazione alla propria specificità di ruolo e funzione, avrebbe impedito il verificarsi o, quantomeno, il protrarsi della condotta distrattiva posta in essere dal responsabile amministrativo del Comitato regionale Campania. Ciò che è imputato a ciascuno dei soggetti deferiti, tuttavia, è non tanto non aver impedito l’evento (ossia, la distrazione di ingenti somme di denaro da parte di un dipendente del Comitato), quanto di non aver posto in essere una (doverosa) maggiore attenzione sulla complessiva gestione dei fondi del medesimo Comitato. Segnatamente, come detto, per i revisori dei conti, di non aver operato controlli più specifici e mirati in relazione al contesto finanziario e di gestione affidato alle loro verifiche; per i presidenti, di non aver ottemperato all’obbligo di protezione e di salvaguardia del bene giuridico agli stessi assegnato e in ordine al quale gli stessi rivestivano un potere giuridico di vigilanza, intervento e disposizione, che, di fatto, non hanno esercitato o non hanno esercitato nella misura, nelle forme e nelle modalità richieste o suggerite dal complessivo contesto di riferimento. Sussiste, dunque, la responsabilità degli appellanti per le suddette condotte di natura omissiva, essendo rinvenibile, in capo agli stessi, un complesso di poteri di vigilanza ed intervento rimasti privi di concreto ed idoneo esercizio. L’ordinamento federale, infatti, pretende il compimento dell’azione impeditiva doverosa in capo a soggetti che sono effettivamente dotati di un “potere” sull’accadimento e, accanto ai doveri, di volta in volta, indicati in modo specifico, pone, in capo a tutti gli associati, un generale dovere di comportarsi secondo lealtà, probità e correttezza, principi, questi, che, nel caso di specie, sono stati di certo violati. Il legislatore federale ha, in altri termini, individuato la rilevanza illecita e, dunque, l’offesa, della condotta, nella prospettiva disciplinare che qui interessa, nel mancato compimento dell’azione dovuta (controllo complessivo e sistematico ed efficace controllo sulla struttura organizzativa di spesa del Comitato, per i presidenti e, seppur in misura minore, per i vicepresidenti - verifiche più intense, attente e significative, per i revisori dei conti), che ha determinato la lesione del bene protetto. Il perdurare della condotta omissiva ha, nel caso di specie, prodotto uno stato di costante violazione dell’obbligo previsto dalla normativa federale e, quindi, di continuativa lesione dei principi codificati dall’art. 1 bis CGS, già ex sé punibile, violazione aggravata dal fatto che tali condotte hanno, poi, anche, in concreto, agevolato le attività distrattive di cui si è detto. Quanto alla specifica posizione del sig. Salvatore Colonna deve essere accolta l’eccezione di parziale prescrizione dallo stesso svolta in ricorso e ribadita in dibattimento. Il sig. Colonna è stato presidente del Comitato regionale Campania dal 6.11.2000 al 5.12.2012 ed è stato riconosciuto, per quanto sotto tale profilo rileva, responsabile per le violazioni di cui al capo a) del deferimento in ordine alla condotta omissiva perpetrata per tutta la durata del suo mandato, poiché le vicende distrattive contestate al responsabile amministrativo del Comitato, sig. Domenico Cerbone, prendono avvio dal 2009. Ai sensi dell’art. 25, comma 1, lett. d) le infrazioni disciplinari di cui trattasi («in tutti gli altri casi») si prescrivono al termine della quarta stagione sportiva successiva a quella in cui è stato commesso l’ultimo atto diretto a realizzarle. Precisa, poi, il successivo comma 2, che «l’apertura di una inchiesta, formalizzata dalla Procura Federale o da altro organismo federale, interrompe la prescrizione». Ed allora, considerato che l’indagine della Procura Federale risulta iscritta nell’apposito registro il 10.9.2015, le condotte contestate al sig. Colonna fino al 30.6.2011 devono ritenersi prescritte. Infatti, non è possibile condividere la qualificazione operata dal TFN, in termini di illecito permanente, della violazione di cui trattasi e, quindi, ritenere che il termine di prescrizione sia iniziato a decorrere, ai sensi dell’art. 158 c.p., dal giorno in cui è cessata la permanenza e che, di conseguenza, che la condotta illecita contestata al sig. Colonna, in quanto, appunto, permanente, non è prescritta. Infatti, il comportamento contestato di cui trattasi non può essere inquadrato nell’ambito dello schema tipico dell’illecito permanente, generalmente rinvenibile nell’ipotesi di una sola condotta, volontaria e persistente, che protrae i suoi effetti illeciti nel tempo. A prescindere, dalla difficoltà di 23 ricondurre il bene giuridico protetto dalla norma sportiva di cui trattasi alla categoria (oggetto del reato permanente) dei beni giuridici indistruttibili, ma comprimibili, capaci, cioè, di riespandersi al cessare dell’offesa (tipicamente rinvenibili nell’ambito delle libertà personali), nel reato permanente dalla condotta deriva una situazione continuativa di aggressione al bene giuridico tutelato, che può essere fatta cessare in ogni momento da colui che agisce. Insomma, siamo nell’ambito della persistente offensività dell’unico fatto-condotta. Fattispecie, dunque, non compatibile con quella configurata nello stesso atto di deferimento, connotata da più comportamenti, sub specie omissioni, succedutisi in un certo periodo di tempo. Si tratta, semmai, di una fattispecie assimilabile allo schema del reato continuato, poiché ci si trova in presenza di una pluralità di omissioni, poste in essere in esecuzione di un medesimo criminoso. Quest’ultimo, in generale, presuppone un elemento intellettivo, ossia la rappresentazione anticipata della successiva attività antidoverosa, ma anche un elemento “finalistico”, costituito dalla unicità dello scopo. Nel caso di specie, è individuabile, in capo al sig. Colonna, una decisione assunta ex ante, sin dall’inizio del mandato presidenziale, di rapportarsi rispetto all’operato del responsabile amministrativo del Comitato in quel dato modo, concretizzatosi nell’astensione dall’esercizio di un più penetrante (dovuto) potere di controllo non tanto e non solo sui singoli fatti di gestione, ma anche complessivo e sistematico sulla stessa ed in relazione alla più generale organizzazione strutturale del Comitato, per ciò che concerne la spesa e le modalità dispositive della stessa. Le condotte quotidiane o, comunque, ripetute nel tempo addebitate ai presidenti del Comitato, altro non sono, in altri termini, che diversi episodi omissivi legati da un rapporto di interdipendenza, attuativo di una scelta assunta ab initio, finalizzati ad un unico obiettivo, ossia, quello di porre in essere una organizzazione ed un controllo della gestione finanziaria, di un certo grado, di un certo livello, e non spirgerlo oltre, come, invece, richiesto per la funzione svolta e per la massa di fondi gestiti, in entrata ed in uscita, dal Comitato. Continuazione compatibile con il requisito psicologico della colpa, atteso che oggetto del disegno criminoso generale e generico sono solo le condotte (nel caso di specie, omissive) e non anche i singoli eventi illeciti. Ma, a prescindere dalle disquisizioni giuridiche in ordine all’esatto inquadramento di ordine più strettamente penalistico e dalla piena o solo parziale sovrapponibilità della fattispecie oggetto del presente procedimento con quella delineata dall’art. 81 c.p., rimane il fatto che, in ogni caso, si tratta di una pluralità di omissioni, unificate dal vincolo della continuazione, qualificazione, questa, che rileva ai fini della riprova di un minor disvalore complessivo dell’agente e, di conseguenza, giustifica un trattamento sanzionatorio più mite rispetto all’ipotesi della mera somma delle diverse condotte antidoverose, come meglio in seguito precisato. Per l’effetto, il sig. Colonna deve essere dichiarato responsabile per le violazioni allo stesso ascritte sub capo a) del deferimento solo in relazione al periodo dall’1.7.2011 al 5.12.2012, per un totale, dunque, di mesi 17, anziché di mesi 38, come correttamente ritenuto in ricorso. Con riferimento al trattamento sanzionatorio, occorre, anzitutto, tener conto del proscioglimento di tutti gli incolpati per gli addebiti contestati in relazione ai capi b), c) e d) del deferimento. Ciò condurrebbe, in astrato, ad una riduzione della misura sanzionatoria individuata per ciascun appellante dal Tribunale Federale Nazionale. Tuttavia, questa Corte, visto l’art. 37 CGS, rivalutate, in fatto e in diritto, le risultanze del procedimento di prima istanza, considerato il contesto complessivo della vicenda, tenuto conto della gravità dei fatti e del loro correlato disvalore sul piano disciplinare-sportivo, tenute anche presenti le inevitabili ricadute della vicenda sia in termini di lesione di immagine per la FIGC, sia in termini di offesa alla credibilità del sistema sportivo nel suo complesso considerato, reputa non sempre congrue le sanzioni complessivamente inflitte dal TFN, rispetto a quelle richieste dalla Procura federale all’esito del dibattimento del primo grado di giudizio (si rammenta, a tal riguardo, che la Procura federale ha richiesto al TFN di applicare le seguenti sanzioni: Salvatore Colonna, anni 1 (uno) e mesi 3 (tre) di inibizione; Vincenzo Pastore, anni 1 (uno) e mesi 3 (tre) di inibizione; Giovanni Battaglia, mesi 3 (tre) di inibizione; Pietro Fragomeni, mesi 6 (sei) di inibizione; Salvatore Capuozzo, mesi 6 (sei) di inibizione; Donato Loria, mesi 6 (sei) di inibizione). Pertanto, tenuto conto che le richieste della Procura comprendevano anche la remunerazione sanzionatoria correlata ai capi b), c), d) ed e) del deferimento, considerato che, all’esito del presente 24 giudizio, è stata riconosciuta ed affermata, per le ragioni sopra precisate, la responsabilità di tutti gli appellanti per le contestazioni di cui al solo capo a) del deferimento, comunque di portata rilevante, la Corte ritiene, per tutto quanto sopra esposto, adeguate e congrue alla fattispecie le sanzioni come di seguito elencate: -Pastore Vincenzo, mesi 6 (sei) di inibizione; -Colonna Salvatore, mesi 5 (cinque) di inibizione; -Battaglia Giovanni, mesi 1 (uno) di inibizione; -Fragomeni Pietro, mesi 4 (quattro) di inibizione; -Capuozzo Salvatore, mesi 4 (quattro) di inibizione; -Loria Donato, mesi 4 (quattro), di inibizione. Per questi motivi la C.F.A. Sezioni Unite, preliminarmente riuniti i ricorsi proposti dai Sigg. Pastore Vincenzo, Colonna Salvatore, Battaglia Giovanni, Fragomeni Pietro, Capuozzo Salvatore, Loria Donato, così decide: - In parziale accoglimento del ricorso proposto dal Sig. Colonna Salvatore, ridetermina in mesi 5 la sanzione dell’inibizione allo stesso inflitta. Dispone restituirsi la tassa reclamo; - In parziale accoglimento del ricorso proposto dal Sig. Fragomeni Pietro, ridetermina in mesi 4 la sanzione dell’inibizione allo stesso inflitta. Dispone restituirsi la tassa reclamo; - Respinge, nei termini di cui in motivazione, i ricorsi proposti dai Sigg. Pastore Vincenzo, Battaglia Giovanni, Capuozzo Salvatore, Loria Donato. Dispone incamerarsi le relative tasse reclamo.
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