Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 15/5/2004 TRA PISA CALCIO s.p.a, e FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO

Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 15/5/2004 TRA PISA CALCIO s.p.a, e FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO L’Arbitro Unico, prof. avv. Luigi Ronzani ha deliberato il seguente nella controversia promossa da LODO PISA CALCIO s.p.a. con sede in Pisa, via di Gello, n. 25 in persona del legale rappresentante pro-tempore dott. Paolo Lo Bianco, rappresentato e difeso dall’avv. Ruggero Stincardini giusta procura ad litem in calce all’istanza di arbitrato ed elettivamente domiciliato presso lo studio del legale in Perugia via Martiri dei Lager, n. 92/A parte attrice nei confronti di Federazione Italiana Giuoco Calcio, con sede in Roma via G. Allegri, n. 14 in persona del Presidente pro-tempore dott. Franco Carraro, rappresentata e difesa dall’avv. Mario Gallavotti, presso il cui studio in Roma via PO, n. 9 è elettivamente domiciliata giusta procura speciale in calce all’atto di costituzione parte convenuta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Procuratore Federale, con provvedimento del 10.7.2003, deferiva alla Commissione Disciplinare della Lega Professionisti Serie C, Campi Cristian, calciatore della società Spezia Calcio 1906 s.r.l. e la società Pisa Clacio s.p.a.: il primo per violazione dell’art. 6 comma 1 e 2 C.G.S. per avere, prima della gara Albinoleffe-Pisa del 15.6.2003, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento dell’incontro sopra indicato, prospettando al calciatore della società Albinoleffe, Bernardi Alberto, la possibilità per alcuni calciatori di tale ultima società di ricevere un’ingente somma di denaro per favorire la vittoria del Pisa; la seconda per violazione dell’art. 9 comma 3 C.G.S. per responsabilità presunta per l’illecito sportivo commesso dal calciatore Campi della società Spezia Calcio 1906 s.p.a. All’esito del procedimento, la Commissione Disciplinare, con delibera pubblicata sul comunicato ufficiale n. 64/C del 21.10.2003, comminava a Campi Cristian la sanzione della squalifica a tutto il 30.6.2004 ed alla società Pisa Calcio s.p.a. la penalizzazione di un punto in classifica da scontare nel campionato in corso. Avverso la decisione proponevano ricorso alla C.A.F. il Campi, la società Pisa ed il Procuratore Federale, limitatamente, quest’ultimo, alla sanzione inflitta al Campi Cristian, ritenuta inferiore al minimo edittale di anni tre consentito dal C.G.S. La società Pisa, in particolare, deduceva, con il primo motivo di gravame, l’insussistenza del tentativo di illecito addebitato al Campi e, comunque, l’inconsistenza del quadro probatorio assunto dalla Commissione Disciplinare a fondamento della decisione, non essendo desumibile dal racconto del Bernardi alcun indizio grave, preciso e concordante idoneo a costituire prova del tentativo di illecito. Con il secondo motivo, affermava che la Commissione Disciplinare avrebbe ignorato la concreta esistenza, negli atti istruttori acquisiti al fascicolo del procedimento, di prove liberatorie della responsabilità del Pisa, e comunque, la sussistenza del fondato e serio dubbio in ordine alla partecipazione all’illecito e alla conoscenza dello stesso da parte della società. In particolare, i primi giudici avrebbero dovuto desumere, dalle deposizioni testimoniali, che l’individuo avvicinatosi al Campi in occasione della “famosa” cena non fosse un dirigente del Pisa, atteso che le caratteristiche fisiche di tale persona, riferite dal Campi all’Ufficio Indagini, confermano che non poteva trattarsi di un dirigente o del direttore del Pisa Calcio; che non è stato dimostrato alcun contatto, collegamento o conoscenza tra il presidente dell’Albinoleffe e qualsivoglia personaggio del Pisa Calcio; che i dirigenti del Pisa non conoscono il Campi né altri tesserati dello Spezia Calcio e non si sono mai recati alle Cinque Terre, luogo in cui sarebbe avvenuto l’incontro al ristorante, riferito dal Campi nella telefonata con il Bernardi. La C.A.F. con decisione assunta in data 24.11.2003 e pubblicata con comunicato ufficiale n. 20/C del 25.11.2003, respingeva, previa riunione, gli appelli proposti. Con riferimento alla posizione del Pisa Calcio, osservava che “le circostanze di fatto indicate dalla difesa non sono idonee a provare, anche in via di fondato e serio dubbio, che la società Pisa non abbia partecipato all’illecito e lo abbia ignorato, ma possono unicamente escludere, nell’interpretazione più favorevole all’incolpata, la ben diversa ipotesi di diretta partecipazione all’illecito dei singoli dirigenti del Pisa Calcio interrogati dall’Ufficio Indagini”. Con istanza di arbitrato depositata in data 11.3.2004, la società Pisa Calcio, dopo aver esperito, con esito negativo, il tentativo di conciliazione (il 12.2.2004), chiedeva alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I. l’annullamento delle decisioni emesse dai giudici sportivi federali. A sostegno della domanda riproponeva, con ulteriori e più ampie argomentazioni, i motivi di diritto già dedotti avanti la C.A.F., nonché avanzava richiesta di acquisizione di ulteriori mezzi istruttori (testimonianze dei dirigenti e collaboratori del Pisa e di tutte le persone coinvolte nella vicenda; il confronto tra il Campi ed i dirigenti del Pisa nonché tra il primo ed il Bernardi). Con memoria depositata in data 20.4.2004 si costituiva la F.I.G.C. la quale, premessa la sussistenza dell’illecito sportivo commesso dal Campi (riferibile anche alle ipotesi tentate), evidenziava l’assenza di elementi idonei a provare che il Pisa non avesse partecipato all’illecito o l’avesse ignorato; concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese, competente ed onorari. Acquisita tutta la documentazione relativa al procedimento come svoltosi dinanzi agli organi di giustizia federale e rinunziato il Pisa alle richieste istruttorie avanzate nell’istanza di arbitrato, sulle conclusioni delle parti, la causa veniva trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente deve darsi atto della ritualità dell’istanza di arbitrato presentata dal Pisa Calcio s.p.a.: la procedura di arbitrato dinanzi a questa Camera è espressamente prevista dallo statuto della F.I.G.C.; risultano previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione sportiva nazionale; all’istante è stata comminata una sanzione inerente alla disputa delle gare per violazioni estranee alla normativa antidoping; è stato infruttuosamente esperito, in data 12.2.04, il tentativo di conciliazione di cui all’art. 3 del regolamento della Camera. Venendo al merito, l’oggetto della controversia riguarda la corretta applicazione, al caso di specie, da parte della Commissione Disciplinare della Lega Professionisti di Serie C e della C.A.F., delle norme del codice di giustizia sportiva della F.I.G.C. e, in particolare, dell’art. 9 comma 3 che prevede una presunzione di responsabilità delle società “degli illeciti sportivi a loro vantaggio che risultino commessi da persone ad esse estranee”. Dalla lettura della motivazione della decisione del 17 ottobre 2003 della Commissione Disciplinare (comunicato ufficiale 64/195 del 21.10.03) risulta che al Pisa Calcio è stata comminata, ai sensi dell’art. 13 del C.G.S. e nella misura minima, la sanzione della penalizzazione di un punto in classifica da scontare nel campionato di Serie C1 2003-2004, ritenendosi la società responsabile presunta “per la condotta di illecito sportivo commessa dal calciatore Campi Cristian tesserato per la Spezia Calcio 1906 s.p.a.” (l’articolo 13 - lettera f del C.G.S. prevede, infatti, a carico delle società che si rendano responsabili della violazione delle norme regolamentari di comportamento, la possibilità di applicare, in relazione alla natura e gravità del fatto, tra le altre, la sanzione della penalizzazione di uno o più punti in classifica). Ciò premesso, al fine di valutare compiutamente la legittimità delle decisioni assunte dagli organi di giustizia sportiva federali, occorre soffermarsi, seppur brevemente, sulla ratio della norma che è stata ritenuta violata. L’art. 9 comma 3 del C.G.S. introduce, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, una particolare forma di responsabilità presunta delle società “degli illeciti sportivi a loro vantaggio che risultino commessi da persone ad essa estranee”. Si tratta di una disposizione che mira ad evitare che le società possano ricorrere all’opera di terzi per commettere illeciti sportivi dai quali traggono vantaggio, assicurandosi così il rispetto dei principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto riferibile all’attività sportiva. La previsione è di particolare rigore: sebbene la responsabilità si fondi su una presunzione di carattere iuris tantum, che ammette la prova contraria, resta il fatto che la società è chiamata a difendersi in relazione ad un comportamento che non solo è posto in essere da un estraneo, bensì potrebbe essere stato realizzato senza alcuna compartecipazione morale o materiale della società. Ed invero, la stessa casistica sportiva conosce casi in cui la commissione dell’illecito, seppur favorevole ad una società estranea, è stato realizzato unicamente per perseguire finalità di arricchimento personale dell’autore (si pensi al calcio scommesse) o per altre ragioni (grave inimicizia ecc.). In tali casi, non solo quindi difetta qualsiasi rapporto tra il soggetto agente e la società, bensì anche qualsiasi nesso di interdipendenza tra la condotta del primo e quella della persona giuridica. Con la conseguenza che viene a cadere proprio quel presupposto logico (vantaggio- società-responsabilità) sui cui si fonda la presunzione di responsabilità. Il rischio è, dunque, quello di introdurre una forma di responsabilità per fatto altrui incolpevole che costituisce una deroga non solo alla regola generale di imputazione della responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c. (che richiede il dolo o la colpa) bensì anche a quelle ipotesi che, in veste di eccezione, sono specificamente disciplinate nel titolo IX del c.c. (e che, pur fondandosi sul brocardo cuius commada eius incommoda, richiedono la sussistenza, quantomeno, di un nesso di occasionalità necessaria che leghi il soggetto agente a colui che viene solidalmente chiamato a rispondere del fatto illecito da questi commesso). E ciò sempre che si attribuisca alle sanzioni sportive natura di “pene private”; in quanto un’equiparazione con la disciplina relativa alle sanzioni di carattere penale porterebbe certamente ad una disapplicazione tout court dell’art. 9 comma 3 C.G.S. per contrasto con il principio della responsabilità personale colpevole. Di tale problematica ed obiezioni appare rendersi conto lo stesso legislatore sportivo, che, al fine di evitare applicazioni “inique” della norma, esige una prova contraria che non abbia i requisiti della certezza e che non necessariamente deve essere fornita dalla società “avvantaggiata”: la presunzione di responsabilità si ha per superata se dalle prove fornite dalla società, dall’istruttoria svolta dall’Ufficio indagini o dal dibattimento, risulti, anche in via di fondato e serio dubbio, che la società medesima non ha partecipato all’illecito e lo ha ignorato. La presunzione sarà vinta non solo quando si accerti positivamente l’estraneità della società a qualunque forma di compartecipazione materiale o morale, bensì anche nel caso in cui la prova della partecipazione sia insufficiente o contraddittoria. Ad analoga conclusione dovrà giungersi in mancanza della prova: allorché nessun elemento coinvolga, neppure a livello indiziario, la società nell’illecito sportivo commesso da altri, il giudice, valutando la portata negativa di quanto emerso nei confronti della società, dovrà necessariamente prospettarsi il fondato dubbio dell’estraneità della stessa alla commissione del fatto. Affinché possa poi chiamarsi la società a rispondere presuntivamente, occorre che un illecito sportivo sia stato commesso da un estraneo. Sul punto non può condividersi quanto affermato dalla società attrice, secondo cui sarebbe necessaria la consumazione dell’illecito, prospettazione che, nel caso in esame, escluderebbe una responsabilità del Pisa essendo la condotta del Campi rimasta allo stato del tentativo. L’art. 6 del C.G.S. qualifica come illecito sportivo “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”. La norma, pertanto, non richiede che si sia realizzato uno degli eventi vietati, essendo sufficiente la messa in pericolo della regolarità della competizione sportiva. Avvalora tale conclusione anche il dato testuale: “gli atti diretti” è formula comunemente utilizzata, nei diversi rami dell’ordinamento giuridico, per affermare la responsabilità anche di condotte che non abbiano portato alla consumazione dell’illecito (vedi ad es. art. 56 c.p. in tema di delitto tentato). Semmai un problema che potrebbe porsi nell’applicazione della fattispecie è quello che nella definizione di illecito sportivo difetta qualsiasi riferimento all’idoneità degli atti, con la conseguenza che sarebbe punibile anche la semplice iniziativa, non in grado di sfociare nella commissione del reato. Tuttavia, l’aver legato, nella previsione normativa, la direzione degli atti all’univocità del fine, sembra sottendere il necessario requisito dell’idoneità che deve contraddistinguere la condotta posta in essere dal soggetto agente. Nel caso in esame, avendo il calciatore Campi prospettato concretamente al tesserato della società Albinoleffe, Alberto Bernardi, la possibilità per alcuni calciatori di tale ultima società di ricevere un’ingente somma di denaro per favorire la vittoria del Pisa, sussiste l’illecito sportivo, seppur a livello tentato (condotta da ritenersi idonea in quanto la proposta di illecito avviene in un contesto perfettamente compatibile: due giorni prima della gara; da parte di un soggetto che era stato in precedenza legato ad una delle società che dovevano disputare l’incontro; si rivolge a persona con cui vi era un rapporto di amicizia; ha ad oggetto la precisa indicazione di una somma di denaro). Una volta, dunque, accertato che un illecito è stato commesso da un estraneo, si tratta di verificare se tale comportamento avrebbe determinato un vantaggio alla società attrice. La risposta al quesito è certamente positiva, in quanto la dazione illecita che, a detta del Campi, il Pisa Calcio avrebbe versato ad alcuni giocatori dell’Albinoleffe era volta ad alterare il risultato della partita che le due società avrebbero dovuto disputare il 15.6.2003 quale incontro di ritorno dei play-off di serie C1 girone A (poi terminata con il risultato di 4 – 2 in favore della squadra di casa). Ritualmente, dunque, è stata ritenuta operante, dai giudici sportivi, la presunzione di responsabilità nei confronti del Pisa Calcio. Con riferimento, però, alla valutazione degli elementi probatori che hanno portato gli organi di giustizia ad escludere che si potesse seriamente dubitare della partecipazione del Pisa alla commissione dell’illecito, ritiene questo Arbitro che molteplici sono le considerazioni che portano a conclusioni diverse da quelle cui sono pervenuti i giudici federali. La combinazione logica e fattuale dei risultati dell’istruttoria svolta dall’Ufficio indagini, degli elementi emersi al dibattimento e forniti dalla società Pisa Calcio consentono, quantomeno, di ritenere il fondato e serio dubbio della compartecipazione morale e materiale della società istante. Ciò, del resto, risulta già dall’esame delle dichiarazioni del calciatore Bernardi, le cui affermazioni vengono invece ritenute dalla Commissione Disciplinare e dalla C.A.F. come gravemente indizianti della posizione del Pisa Calcio (“la Commissione ritiene che una volta considerata credibile la versione dei fatti fornita dal testimone Bernardi, non può sostenersi, anche in via di serio e fondato dubbio, che la società Pisa Calcio non abbia partecipato all’illecito o lo abbia ignorato”). Il teste, con riferimento alla società Pisa Calcio non riferisce alcun elemento di conoscenza diretta che ne possa avvalorare il coinvolgimento nella vicenda. Quanto dichiara a proposito del Pisa lo apprende esclusivamente dal Campi. Si tratta di un elemento importante, in quanto l’intera istruttoria svolta sia dall’Ufficio Indagini che dinanzi agli organi di giustizia non ha consentito di acquisire un elemento diretto di prova a carico della società sportiva Pisa. Le circostanze ritenute a carico (sulla cui portata e valutazione ci si soffermerà in seguito) hanno tutte provenienza de relato. Il Bernardi apprende dal Campi che sarebbe coinvolto un dirigente del Pisa, della cui identità nulla sa riferire: allorché, nel corso della telefonata, domandò al Campi di chi si trattasse, questi rispose di non essere in grado di individuare il suo interlocutore (circostanza confermata anche dal calciatore Sonzogni con cui il Bernardi si confidò: “il Bernardi non mi ha specificato di quale direttore si trattasse ed in particolare non ricordo di avere sentito trattarsi del direttore sportivo del Pisa”). Il Campi, dal canto suo, non ha saputo fornire alcun elemento preciso che consentisse di individuare l’asserito “dirigente del Pisa” che, ubriaco, lo avrebbe avvicinato nel corso di una cena in località Cinque Terre. Il coinvolgimento del Pisa, dunque, si fonda su meri indizi, connotati da assoluta genericità e mancanti di qualsiasi riscontro (tanto che dovrebbe parlarsi più correttamente di semplici sospetti). Ma l’errore di valutazione in cui incorrono la Commissione Giudicante (con ciò aderendo all’impostazione della Procura Federale) e la C.A.F. è quello di ritenere riscontrate le dichiarazioni del Bernardi, nella sostanza, da quelle del Campi anche riguardo la posizione del Pisa Calcio “dal momento che molte circostanze riferite dal primo sono state confermate anche dal secondo..”. Ma un tale criterio può valere unicamente in relazione a ciò che il Bernardi riferisce a carico del Campi, suo unico interlocutore e non nei confronti del terzo estraneo al colloquio. Il riscontro di ciò che si è appreso può anche essere costituito da una ulteriore dichiarazione ma occorre che questa provenga da un soggetto diverso da quello che costituisce la fonte dell’informazione riferita. Altrimenti si giungerebbe a risultati aberranti. Inoltre, un ulteriore elemento che, a detta della C.A.F., avvalorerebbe il coinvolgimento del Pisa è costituito dal fatto che il Campi, nel corso della conversazione con il Bernardi, fosse a conoscenza dell’entità del premio partita che i giocatori del Pisa avrebbero percepito in caso di promozione. La circostanza assume certamente valenza indiziaria, ma in assenza di ulteriori elementi di riscontro, difetta comunque della necessaria univocità. E’ notorio che i premi in caso di promozione vengono stabiliti tra i calciatori e la dirigenza all’inizio dell’anno. Si tratta poi di notizia che è conosciuta da una molteplicità di persone (spesso sono gli stessi organi di informazione a darne risalto), se ne parla tra gli addetti ai lavori e costituisce oggetto di discussione e confidenza anche tra gli stessi calciatori e procuratori. Nell’ambito del mondo del calcio non si può pertanto affermare che l’entità di un premio partita o promozione sia una notizia esclusiva e riservata. Il Campi, pertanto, non la doveva necessariamente apprendere dai dirigenti del Pisa Calcio. Non può poi neppure sottacersi che lo stesso calciatore, alcune settimane prima, aveva giocato proprio contro il Pisa Calcio e che quindi, in tale occasione, può avere appreso la circostanza dai calciatori del Pisa (né questi ultimi sono stati esaminati sul punto escludendo di avere mai fatto una confidenza del genere al Campi). Dall’istruttoria, poi, sono emersi anche elementi favorevoli alla società Pisa Calcio: i dirigenti Melluso e Corni hanno concordemente riferito di non conoscere il Campi, né dirigenti e altri calciatori dello Spezia (le caratteristiche fisiche della persona che avrebbe avvicinato il Campi e da questi riferite all’Ufficio Indagini non corrispondono con quelle di alcun dirigente del Pisa Calcio); di non essere stati mai a cena alle Cinque Terre; il Melluso poi, nel periodo in cui si sarebbe tenuto l’incontro con il Campi (18.6.2003), si trovava a Bergamo in ritiro con la squadra (ove era presente anche il Team Manager della società Margelli Angelo). Tali affermazioni non risultano smentite da alcuna fonte probatoria di tipo dichiarativo o documentale. Il presidente dell’Albinoleffe ha escluso di avere ricevuto alcuna proposta volta ad alterare la regolarità di una gara da parte di altra società. Il calciatore dell’Albinoleffe, Sonzogni Damiano, ha escluso che altri suoi compagni abbiano ricevute telefonate del tenore di quella fatta dal Campi. La partita Albinoleffe-Pisa risulta regolarmente giocata, come attestato dal collaboratore dell’Ufficio Indagini Bartoletti Alberto che, avendo ricevuto mandato di controllare la gara, nella sua relazione dichiara: “.. è stata giocata in modo lodevole da tutti gli atleti, i quali si sono impegnati al massimo delle rispettive risorse tecniche ed atletiche” (circostanza avvalorata dallo stesso calciatore Sonzogni Damiano il quale ha riferito che “in campo non ho notato niente di anomalo e penso di poter dire che la partita è stata regolarmente giocata”). Alla luce di tali elementi, può ragionevolmente affermarsi che dall’istruttoria è emerso quantomeno il fondato e serio dubbio che la società Pisa Calcio abbia partecipato all’illecito sportivo commesso dal Campi Cristian. Va accolta, pertanto, l’istanza proposta dalla società Pisa Calcio s.p.a., annullandosi, per l’effetto, la decisione della Commissione Disciplinare LPSC di cui al C.U. n. 64/C del 21.10.03 limitatamente alla parte in cui è stata inflitta alla società la sanzione della penalizzazione di un punto in classifica da scontare nel campionato in corso, nonché della decisione della Corte di Appello Federale della F.I.G.C. assunta in data 24.11.2003 e pubblicata con C.U. n. 20/C in data 25.11.03 con cui veniva respinto il reclamo presentato dalla società Pisa. La condanna della F.I.G.C. alle spese di arbitrato e alla rifusione degli onorari di lite e dei diritti amministrativi versati dal Pisa Calcio segue il principio della soccombenza. Considerato che alcuni motivi di arbitrato posti a fondamento della domanda da parte della società Pisa, anche in relazione alle eccezioni di controparte, non sono stati condivisi (nella parte in cui si è sostenuta l’insussistenza dell’illecito sportivo commesso dal Campi e l’inoperatività della presunzione di cui all’art. 9 comma 3 C.G.S. nell’ipotesi in cui l’estraneo abbia commesso un illecito sportivo tentato e non consumato) si ritiene ricorrano giusti motivi per compensare le spese di lite per 1/3 (art. 92 comma 3 c.p.c.). Gli onorari da corrispondere all’organo arbitrale, così come i diritti, gli onorari e le spese di difesa da corrispondersi al procuratore di parte convenuta, vengono liquidati come da separata ordinanza. P.Q.M. L’Arbitro, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore eccezione e deduzione disattesa, così decide: 1) Accoglie la domanda proposta dalla società Pisa Calcio s.p.a. e, per l’effetto, annulla la decisione della Commissione Disciplinare LPSC di cui al C.U. n. 64/C del 21.10.03 limitatamente alla parte in cui è stata inflitta alla società la sanzione della penalizzazione di un punto in classifica da scontare nel campionato in corso, nonché la decisione della Corte di Appello Federale della F.I.G.C. assunta in data 24.11.2003 e pubblicata con C.U. n. 20/C in data 25.11.03 con cui veniva respinto il reclamo presentato dalla società Pisa; rimette alla F.I.G.C. l’adozione dei provvedimenti di competenza in ottemperanza al presente lodo; 2) dichiara compensate tra le parti le spese di lite nella misura di 1/3, ponendo a carico della F.I.G.C. i restanti 2/3, liquidati come da separata ordinanza; 3) pone a carico della F.I.G.C. gli onorari di arbitrato che liquida come da separata ordinanza; 4) dispone che tutti i diritti amministrativi versati dalle parti siano incamerati dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. Roma, lì 15 maggio 2004 L’Arbitro Unico F.to Prof. Avv. Pier Luigi Ronzani
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