CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 08/11/2006 TRA dott. Franco Carraro contro Federazione Italiana Giuoco Calcio

CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 08/11/2006 TRA dott. Franco Carraro contro Federazione Italiana Giuoco Calcio I L C O L L E G I O A R B I T R A L E On. Prof. Avv. Pier Luigi Ronzani Presidente del Collegio Arbitrale Avv. Guido Cecinelli Arbitro Prof. Marcello Foschini Arbitro Prof. Avv. Luigi Fumagalli Arbitro Prof. Avv. Giulio Napolitano Arbitro nominato ai sensi dell’art. 13.4 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, riunito in conferenza personale in data 8 novembre 2006, presso la sede dell’arbitrato, in Roma ha deliberato all’unanimità il seguente L O D O reso in forma sintetica sulla base dell’accordo delle parti all’udienza del 27 ottobre 2006 nel procedimento di arbitrato (n. 1579 del 3 ottobre 2006) promosso da: dott. Franco Carraro, rappresentato e difesa dal Prof. Avv. Giovanni Verde, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di questo in Roma, Viale Giulio Cesare 14 ricorrente contro Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del Commissario straordinario e legale rappresentante pro tempore Dott. Luca Pancalli, rappresentata e difesa dal Avv. Prof. Guido Valori, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questo in Roma, Viale delle Milizie 106 resistente vista l’istanza arbitrale del dott. Franco Carraro e le relative domande, tese all’annullamento della decisione in data 25 luglio 2006 / 4 agosto 2006 con cui la Corte Federale della FIGC ha irrogato al Ricorrente la sanzione dell’ammenda di Euro 80.000 gravata da diffida; viste le richieste e le memorie della resistente e le relative conclusioni, che si limitano a chiedere la pronuncia della improcedibilità/inammissibilità della istanza arbitrale e, in via subordinata, la conferma delle sanzioni inflitte dalla Corte Federale della FIGC; vista la concorde richiesta formulata dalle parti nell’udienza del 27 ottobre 2006 a «emanare con procedura d’urgenza un lodo con motivazione in forma sintetica sui punti fondamentali della controversia»; dato atto che le parti all’udienza del 27 ottobre 2007 hanno dichiarato di «accettare la designazione dell’odierno Collegio Arbitrale, ogni eccezione rimossa e di non avere motivi di ricusazione nei confronti dello stesso»; ritenuto sulle questioni preliminari quanto segue: 1. Innanzitutto va presa in esame, in quanto avente carattere preliminare, l'eccezione di inammissibilità della presente istanza arbitrale sollevata nella memoria di costituzione della FIGC. Come è stato ampiamente osservato negli atti di causa e in corso di discussione, l’art. 27 dello Statuto della FIGC statuisce, al terzo comma, alcune deroghe al principio generale della arbitrabilità delle controversie insorte con la Federazione, sicché si pone, preliminarmente, il problema di stabilire se l’oggetto del presente giudizio ricada o meno nell’ambito di operatività delle suddette eccezioni. In caso affermativo, infatti, difetterebbe la giurisdizione di questo Collegio e il ricorso del dott. Carraro dovrebbe essere dichiarato inammissibile, senza dar luogo ad alcun esame nel merito. Secondo il citato articolo dello Statuto, non rientrano nell'ambito della clausola compromissoria su cui si basa la giurisdizione dei collegi arbitrali operanti nell'ambito della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport le controversie di natura tecnico disciplinare che riguardino omologazioni di risultati sportivi o abbiano dato luogo a taluni tipi di sanzioni specificatamente indicati, tra cui le sanzioni “soltanto pecuniarie”, la squalifica o inibizione di tesserati, anche se in aggiunta a sanzioni pecuniarie, inferiore a 120 giorni, la squalifica del campo, e penalizzazioni di classifica. Proprio per superare tali limiti alla cognizione arbitrale, con riguardo alle istanze presentate dalle società avverso la medesima sentenza della Corte federale impugnata nel presente giudizio, la Federazione ha concluso con le medesime un accordo compromissorio ad hoc: vuoi in sede di conciliazione (in riferimento alla controversia insorta con l’A.C. Milan s.p.a., con l’A.C.F. Fiorentina s.p.a., e con la S.S. Lazio s.p.a.) vuoi in sede di arbitrato (in riferimento alla controversia insorta con la F.C. Juventus s.p.a.). In mancanza di analogo accordo nella presente controversia, il Collegio deve procedere all'interpretazione della disposizione in esame (art. 27 comma 3 dello Statuto della FIGC) e in particolare delle due condizioni poste dalla stessa all'esclusione della cognizione arbitrale. 2. Quanto alla prima delle due condizioni, relativa alla natura “tecnico disciplinare” della controversia oggi in esame, bisogna preliminarmente rilevare che né lo Statuto della FIGC, né il Codice di Giustizia Sportiva enucleano una classificazione degli illeciti sportivi avente carattere generale. Soltanto nel secondo comma dell’art. 27 dello Statuto federale, si accenna a una classificazione tipologica, seppure vaga, delle controversie sportive, laddove si afferma che «I soggetti di cui al comma precedente (…) accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C., dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materia comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico». Sembra, dunque, che le possibili controversie siano state suddivise secondo una tripartizione, potendo essere di natura tecnica o disciplinare od economica. Non si accenna, dunque, alla ipotetica (sotto)categoria delle vertenze tecnicodisciplinari. Né appare accoglibile la tesi del ricorrente secondo cui sarebbe enucleabile dall’ordinamento un autonomo concetto di illecito “tecnicodisciplinare” di limitata applicazione concreta. D'altra parte, risulterebbe difficile comprendere a quale logica si sarebbe ispirato il legislatore federale nel prevedere una deroga alla compromettibilità delle controversie sportive, ma limitandola a quelle solamente tecnico-disciplinari, con ciò irragionevolmente escludendo quelle solamente disciplinari e quelle solamente tecniche. 3. La valutazione della compromettibilità delle vertenze tecnico-disciplinari, nel cui ambito, per le ragioni appena indicate, rientra anche quella in oggetto, tuttavia va limitata anche in ragione del tipo di sanzione comminata; venendo, in particolare, in rilievo il problema della non compromettibilità delle controversie (tecnico-disciplinari) che abbiano ad oggetto l'irrogazione di una sanzione "soltanto pecuniaria" in relazione alla sanzione della “ammenda con diffida” inflitta al dott. Franco Carraro. Il dato normativo positivo al quale occorre qui riferirsi è costituito dal catalogo delle sanzioni contenuto nell’art. 14 del Codice di Giustizia Sportiva. Tale norma, riguardante gli illeciti commessi dai dirigenti sportivi e dai tesserati, menziona le seguenti sanzioni: a) ammonizione; b) ammonizione con diffida; c) ammenda; d) ammenda con diffida. L’elenco poi prosegue individuando altri tipi di sanzioni che qui, comunque, non interessano. Il sistema sanzionatorio testé descritto si caratterizza, dunque, per la sua tipicità sistematica. In particolare, si osserva come la norma differenzi la sanzione della “ammenda” da quella della “ammenda con diffida”. Orbene, se davvero l’ordinamento sportivo avesse inteso concepire la diffida come un provvedimento non avente carattere sanzionatorio, sicuramente non avrebbe disgiunto l’ipotesi della ammenda pura e semplice da quella dell’ammenda accompagnata dalla diffida. Ed è chiaro, allora, come la dicotomia ammenda/ammenda con diffida possa avere un significato logicogiuridico solo se si ammetta che le due espressioni individuino due distinte sanzioni (e non, invece, un'unica species di sanzione corredata, nel secondo caso, da un provvedimento accessorio). Da ciò può inferirsi, sul piano delle definizioni concettuali, come la diffida, pur non essendo una sanzione principale (in quanto essa non è mai contemplata quale sanzione autonoma ma esiste solo nel binomio con altra sanzione), sia stata certamente concepita quale provvedimento idoneo ad esplicare una sua funzione sanzionatoria, a carattere fortemente afflittivo. Una conferma evidente di ciò si ricava dalla lettura integrale del testo dell’art. 14 ora in esame. L’elenco delle sanzioni, infatti, presenta una graduazione crescente del livello di afflittività. Si procede dalla pena minimale dell’ammonizione sino all’ipotesi di squalifica a tempo indeterminato. In questa gerarchia, l’ammenda con diffida segue alla semplice ammenda, a dimostrazione della chiara volontà del legislatore di considerare la diffida come un provvedimento esprimente un quid pluris di afflittività in grado di rendere più severa la mera sanzione pecuniaria, con la fissazione di una regola comportamentale pro futuro tale da incidere sullo status stesso del soggetto sanzionato. La cognizione della controversia avente ad oggetto l’irrogazione della sanzione pecuniaria, dunque, è preclusa al presente Collegio, per autonoma e libera scelta della Federazione e dei suoi associati, la quale ha ritenuto che, in ragione della sua afflittività meramente patrimoniale, essa non richieda un vaglio esterno alla giustizia federale (a prescindere dal ricorso alla giurisdizione statale). La garanzia di un giudizio ulteriore interno all’ordinamento sportivo ma estraneo all’ambito della giustizia federale e dunque “terzo” va invece riconosciuta, nella logica sottostante alla soluzione canonizzata nell’art. 27 dello Statuto della FIGC, con riguardo alla sanzione della diffida, proprio in considerazione della sua duratura indefinita nel tempo (a differenza delle squalifiche e inibizioni inferiori a 120 giorni anch’esse sottratte alla cognizione arbitrale) sullo status personale. ritenuto, dunque, per le considerazioni che precedono, che il ricorso del dott. Franco Carraro vada dichiarato ammissibile limitatamente alla questione dell’irrogazione della sanzione della diffida; affermato il potere di piena cognizione su questa parte della controversia, in ragione del carattere devolutivo del giudizio arbitrale, atteso che • il Regolamento conferisce all’organo arbitrale un potere di integrale riesame del merito della controversia, senza subire limitazioni, se non quelle derivanti dal principio della domanda e dai quesiti ad esso proposti dalle parti, ovvero dalla clausola compromissoria sulla quale i suoi poteri sono di volta in volta fondati, legate al “tipo” di vizio denunciabile, con la conseguenza che di fronte al Collegio arbitrale sono deducibili questioni attinenti non solo alla “legittimità”, ma anche al “merito” della decisione impugnata; • il Regolamento espressamente prevede infatti il possibile svolgimento di una istruttoria testimoniale ovvero la nomina di uno o più consulenti tecnici d’ufficio, che mal si concilierebbe con una limitazione dei poteri dell’organo arbitrale ad un mero esame dei vizi di legittimità dell’atto impugnato; • l’arbitrato presso la Camera non può essere ritenuto costituire un terzo grado del procedimento disciplinare della federazione sportiva, perché esso non è riferibile al procedimento interno alla federazione con il quale la menzionata “volontà disciplinare” si forma. Attraverso la Camera si è creato, infatti, un meccanismo di risoluzione delle controversie in materia sportiva esterno ai sistemi disciplinari delle federazioni sportive ed alternativo rispetto alla giurisdizione ordinaria (ai sensi dell’art. 3.1 del d.l. 18 agosto 2003 n. 220, convertito in l. 17 ottobre 2003 n. 280). L’attività dei collegi operanti presso la Camera, per quanto riferibile anche all’ordinamento sportivo in generale, non può essere ricondotta al sistema della federazione sportiva di volta in volta interessata, né l’organo arbitrale che conosca dell’impugnazione di un provvedimento disciplinare può essere ritenuto organo della federazione; • dunque, oggetto di giudizio ai sensi del Regolamento, in sede di impugnazione di una sanzione disciplinare, è non il provvedimento disciplinare in quanto atto, ma una controversia relativa alla volontà definitivamente manifestata dalla federazione; • tale controversia può riguardare l’applicazione delle norme così come l’apprezzamento dei fatti alla base del provvedimento in cui quella volontà si è espressa; sulla sua estensione e sulle modalità di sua risoluzione non influisce il numero di passaggi attraverso i quali quella volontà si è formata; • siffatta soluzione è coerente con quella adottata nell’ordinamento sportivo internazionale (alla cui luce lo stesso Regolamento deve essere interpretato). Infatti, nel sistema del Tribunale arbitrale dello sport (T.A.S.), organismo permanente di arbitrato con sede a Losanna (Svizzera), al quale l’istituzione stessa della Camera si è ispirata, è principio riconosciuto (art. R57 del Codice di arbitrato in materia sportiva) che l’organo arbitrale possa considerare – senza vincoli derivantigli dal procedimento disciplinare contestato – gli aspetti di fatto e di diritto della controversia e proprio a tal fine è dotato (assai significativamente) degli stessi mezzi (audizione delle parti, di testimoni e di esperti, esame del fascicolo disciplinare) di cui il Collegio arbitrale operante in seno alla Camera può avvalersi; acquisiti ed esaminati gli atti e i documenti tutti riversati nel procedimento endofederale; ritenuto: a) che dal carattere devolutivo dell’impugnazione proposta e dalla piena cognizione della controversia spettante a questo Collegio arbitrale deriva l’assorbimento della censura svolta dal Ricorrente sotto il profilo della nullità del giudizio di primo grado per illegittima composizione del giudice, poiché lo svolgimento dell’arbitrato ha consentito, nel pieno rispetto del contraddittorio e dei diritti della difesa, l’esame della controversia di fronte a giudicante investito del potere di conoscerla per effetto di manifestazione di volontà del Ricorrente stesso; b) che non condivisibile appare la dedotta censura di illegittimità della decisione impugnata per indebita utilizzazione di intercettazioni telefoniche acquisite in altro procedimento, poiché l’art. 270 c.p. esprime un principio nell’ambito del processo penale la cui applicazione non è estensibile ad altri procedimenti e in particolare in quelli disciplinari; c) che non condivisibile appare anche la dedotta censura di illegittimità della decisione impugnata per essere il dott. Carraro, quale Presidente della FIGC, sottratto al giudizio disciplinare di fronte agli organi delle federazione da lui presieduta, poiché il sistema disciplinare della FIGC deve essere costruito come “sistema di diritto” in cui gli stessi principali attori, ed in primis lo stesso Presidente, sia durante il mandato che una volta cessato lo stesso, sono soggetti alle regole in vigore nel sistema, e quindi assoggettati al potere degli organi cui è deputata la garanzia dell’osservanza di tali regole; considerato sul merito della controversia quanto segue: a) La sanzione della diffida è stata intesa dalla Corte federale «quale monito ad attenersi, per il futuro, ad una più oculata osservanza dei doveri deontologici». La Corte federale afferma esplicitamente «che non vi è alcuna prova che il dott. Franco Carraro agisse per scopi diversi da quelli istituzionali di garantire il regolare andamento del campionato, che avrebbe potuto essere turbato dalla prosecuzione di errori arbitrali ai danni della Lazio». Oggetto di censura è invece l’adozione di comportamenti «posti in essere attraverso un canale informale e non trasparente presso uno solo dei designatori, piuttosto che per il doveroso tramite dei competenti organi federali preposti ad una ufficiale valutazione tecnica dell’operato arbitrale». b) Il Collegio non ritiene di poter condividere tale censura, nella parte in cui, con la cennata diffida, mira a indicare pro futuro una condotta, istituzionale prima ancora che individuale, non coerente con l’ordinamento federale allora vigente. Come già rilevato nei lodi arbitrali dello scorso 27 ottobre 2006 (in riferimento alle controversie insorte tra FIGC e A.C. Milan s.p.a., A.C.F. Fiorentina s.p.a., S.S. Lazio s.p.a. e F.C. Juventus s.p.a.), non può non segnalarsi in proposito la «mancanza nell’ordinamento federale di adeguati presidi normativi e procedurali a tutela delle funzioni terze e neutrali». Erano altresì assenti in tale ordinamento forme di regolamentazione delle procedure di reclamo nei confronti delle decisioni arbitrali innanzi alla Federazione stessa e all’Aia; né era in alcun modo disciplinata la possibilità di sollecitare l’intervento degli organi ufficialmente preposti alla valutazione tecnica dell’operato arbitrale, né da parte delle società né da parte dei vertici federali. La valutazione tecnica dell’operato arbitrale era dunque sottratta sia a procedure contenziose sia a procedure di controllo amministrativo. c) In questo contesto, in capo al Presidente federale venivano inevitabilmente a concentrarsi compiti di rappresentanza, di amministrazione attiva e di garanzia. Può naturalmente opinarsi il fatto che in questo assetto istituzionale le istanze del circuito politico-democratico venissero impropriamente a sovrapporsi a quelle di tutela del corretto andamento delle competizioni sportive, anche in esito alle legittime doglianze delle società in ordine alle prestazioni della categoria arbitrale; così ingenerando confusioni di poteri e anche solo potenziali conflitti di interessi. Il Collegio ritiene, invece, che non possa imputarsi, facendone oggetto di un monito verso condotte future, all’allora Presidente federale, cui competeva in ultima istanza garantire la regolarità delle competizioni sportive, l’attivazione a tal fine di procedure informali di richiamo della categoria arbitrale all’osservanza di scrupolose direzioni di gara, anche in relazione a circostanze particolarmente delicate secondo il suo prudente apprezzamento. Mancando, nell’ordinamento federale, a questo riguardo, procedure codificate, l’assunzione di tali iniziative nelle forme più libere (fatto salvo ovviamente il limite del perseguimento dello scopo istituzionale, ritenuto non violato dalla stessa Corte federale) rientrava nella piena discrezionalità politicoamministrativa del Presidente federale, in quanto tale insuscettibile di un giudizio diverso da quello appunto politico-amministrativo. Da ciò consegue, in conclusione, che la pena della diffida, «quale monito ad attenersi, per il futuro, ad una più oculata osservanza dei doveri deontologici» risulta priva di adeguata base giuridica e va pertanto annullata. ritenuto che sussistono giusti motivi per disporre che gli onorari e le spese di arbitrato siano posti a carico di entrambe le parti, nella misura del 50% ciascuna, e che le rispettive spese di difesa siano integralmente compensate. I diritti amministrativi versati dalle parti devono essere incamerati dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. P.Q.M. Il Collegio Arbitrale definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione 1. dichiara la propria incompetenza a pronunciare sul ricorso del dott. Franco Carraro nella parte relativa alla sanzione pecuniaria; 2. dichiarata la propria competenza a pronunciare sul ricorso del dott. Franco Carraro nella parte diversa da quella relativa alla sanzione pecuniaria, in parziale riforma della decisione della Corte federale in data 25 luglio 2006 / 4 agosto 2006, annulla la sanzione della diffida inflitta al dott. Franco Carraro; 3. pone le spese del presente arbitrato, per onorari e spese del Collegio arbitrale, da liquidarsi con separata ordinanza, a carico di entrambe le parti, nella misura del 50% ciascuna; 4. dispone la integrale compensazione tra le parti delle rispettive spese di difesa; 5. dispone che tutti i diritti amministrativi versati dalle parti siano incamerati dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. Così deciso definitivamente in Roma, all’unanimità e in conferenza personale degli arbitri, il giorno 8 novembre 2006. F.to Pier Luigi Ronzani F.to Guido Cecinelli F.to Marcello Foschini F.to Luigi Fumagalli F.to Giulio Napolitano
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