CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 18 maggio 2007 – Pallacanestro Treviso S.p.a. contro Federazione Italiana Pallacanestro
CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it
Lodo Arbitrale del 18 maggio 2007 – Pallacanestro Treviso S.p.a. contro Federazione Italiana Pallacanestro
I L C O L L E G I O A R B I T R A L E
On. Prof. Avv. Pier Luigi Ronzani Presidente del Collegio Arbitrale
Prof. Avv. Maurizio Benincasa Arbitro
Avv. Guido Cecinelli Arbitro
Prof. Marcello Foschini Arbitro
Prof. Avv. Luigi Fumagalli Arbitro
nominato ai sensi dell’art. 13.4 del Regolamento della Camera di
Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, riunito in conferenza personale in
data 11 maggio 2007, presso la sede dell’arbitrato, in Roma
ha deliberato all’unanimità il seguente
L O D O
nel procedimento di arbitrato (n. 0787 del 23 aprile 2007) promosso da:
Pallacanestro Treviso S.p.a., in persona del suo Presidente, Giorgio
Buzzavo, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonino De Silvestri e dall’avv.
Franco Coppi ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo
in Roma, al Viale Bruno Buozzi n. 3 (tel.068085758/fax.068085769/e-mail:
franco.coppi@tin.it), giusta delega in calce all’istanza di arbitrato datata 20
aprile 2007;
ricorrente
contro
Federazione Italiana Pallacanestro, con sede in Roma, Via Vitorchiano
n. 113, in persona del Legale Rappresentante p.t. il Presidente Federale
Prof. Fausto Maifredi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Prof. Guido Valori
e avv. Paola M.A. Vaccaro ed elettivamente domiciliata presso lo studio
dei medesimi in Roma, Viale delle Milizie n. 106
(tel.0637513621/fax.063721869/e-mail:g.valori@studiovalori.com,
p.vaccaro@studiovalori.com), giusta delega allegata alla memoria di
costituzione e risposta datata 26.04.2007
resistente
Il Collegio
vista l’istanza arbitrale del ricorrente e le relative domande, tese
all’annullamento della decisione in data 27 marzo 2007 con cui la Corte
Federale della FIP ha irrogato a Pallacanestro Treviso s.p.a. la sanzione
della penalizzazione di n. 15 punti in classifica nella corrente stagione
sportiva ex art. 44 del Regolamento di Giustizia della FIP (R.G.);
viste le richieste e le memorie della resistente e le relative conclusioni, che
chiedono la reiezione del ricorso con la conferma dei provvedimenti
endofederali impugnati;
ritenuta l’ammissibilità del ricorso e la sussistenza della competenza del
Collegio Arbitrale a conoscere delle domande proposte, essendo
soddisfatte tutte le condizioni a tal riguardo previste, poiché si è
infruttuosamente esperito il procedimento di conciliazione disciplinato dagli
artt. 3 ss. del Regolamento della Camera, chiuso con verbale del 16 aprile
2007;
affermato il potere di piena cognizione sulla controversia in ragione del
carattere devolutivo del giudizio arbitrale atteso che il Regolamento
conferisce all’organo arbitrale un potere di integrale riesame del merito
della controversia, senza subire limitazioni se non quelle derivanti dal
principio della domanda e dai quesiti ad esso proposti dalle parti, con la
conseguenza che di fronte al Collegio arbitrale sono deducibili questioni
attinenti non solo alla “legittimità” ma anche al “merito” della decisione
impugnata;
ritenuto che sia esclusa qualsiasi valutazione in termini equitativi o di
clemenza per il solo fatto della proposizione di istanza arbitrale;
acquisiti ed esaminati gli atti e i documenti tutti riversati nel procedimento
endofederale;
Osserva
1. La ricostruzione dei fatti, peraltro non oggetto di contestazione ad
opera delle parti, sulla base delle risultanze probatorie conduce a
sottolineare:
• che in data 15.11.2006 la Pallacanestro Treviso s.p.a. stipulava con
l’atleta Cuccarolo, giovane di serie, un contratto professionistico e che
lo stesso, successivamente a tale data, veniva iscritto a referto per
numerose partite fino a quella del 7.1.2007;
• che la Pallacanestro Treviso stipulava il 4.1.2007 con l’atleta Lorbek
un contratto professionistico e lo stesso giocatore in data 7.1.2007
veniva iscritto a referto, partecipando a n. 5 gare a partire da quella
del 7.1.2007;
• che detto atleta veniva a costituire il 19° giocatore professionisti,
andando oltre il numero di 18 atleti professionisti iscrivibili a referto
durante il corso di un campionato ex art. 1 del Regolamento Esecutivo
– Settore Professionistico della FIP (R.E.), norma inderogabile;
• che successivamente a tali eventi il team manager della squadra,
Andrea Cirelli incontrava il Signor Zanetti, Segretario della Lega
Basket Serie A (in un bar, cioè al di fuori della sede legale),
consegnando a questi una lettera retrodatata (17.11.2006) che
accompagnava un modello di risoluzione del contratto professionistico
sottoscritto dall’atleta Cuccarolo e dalla stessa società ed avente data
16.11.2006; documenti che lo Zanetti riceveva dal Cirelli e ne
attestava la loro ricezione in Lega, apponendo timbro e data
anch’essa “antedatati” al 17.11.2006;
• che detti documenti non venivano inseriti nel fascicolo del giocatore
Cuccarolo, ma tenuti in un “cassetto” dallo Zanetti, senza che costui
desse alcuna comunicazione della circostanza alla FIP;
• che la mancata comunicazione alla FIP da parte dello Zanetti faceva
permanere il Cuccarolo ufficialmente come atleta professionista, più
volte iscritto a referto e che lo stesso veniva ad essere retribuito come
professionista fino al mese di febbraio 2007;
Le osservazioni del Collegio, dunque, devono essere svolte in riferimento
a tali fatti.
2.1 Peraltro vanno innanzitutto prese in considerazione le questioni
sollevate dal ricorrente avente carattere pregiudiziale di rito.
Pallacanestro Treviso ha chiesto al Collegio Arbitrale di «[…] in via
preliminare, fornire l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 3, R.E.
del Settore Professionistico della FIP, valutando, altresì la legittimità del
divieto di impiego del cestista Lorbek disposto dalla FIP e comunicato alla
Pallacanestro Treviso in data 23.2.2007 […]».
La domanda è inammissibile.
Il Collegio osserva, al riguardo che, a’ sensi dell’art. 3 del Regolamento
della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, la richiesta di
parere – nell’ambito della funzione consultiva della Camera – può essere
formulata dal Consiglio Nazionale, dalla Giunta Nazionale, dal Presidente
e dal Segretario Generale del Coni nonché da una Federazione sportiva
nazionale (cfr. art. 3, comma 4° Reg. ).
Inoltre, la funzione consultiva non può essere svolta dalla Camera con
riferimento a « […] una controversia in atto per la quale sia stata avviata
una procedura prevista dal Titolo III [id est, Conciliazione] o dal Titolo IV
[id est, Arbitrato] del presente Regolamento […]» (cfr. art. 3, comma 7°
Reg.).
Evidentemente, per un verso e sotto il profilo soggettivo, la Pallacanestro
Treviso non appare legittimata a chiedere la pronuncia di un parere della
Camera nell’ambito della funzione consultiva. Per altro verso, e sotto il
profilo oggettivo, è preclusa la richiesta de qua, considerando che, nel
caso di specie, è in atto la controversia per la cui decisione, almeno
astrattamente, si rende necessario procedere all’interpretazione della
norma su cui dovrebbe essere espresso il parere.
2.2 Pallacanestro Treviso deduce che la Corte Federale avrebbe «[…]
operato una immutazione del fatto contestato, in violazione del principio di
correlazione fra incolpazione e decisione ricavabile dall’art. 46, comma 3,
nonché dall’art. 47, comma 3, R.G. FIP […]». In particolare, si evidenzia
che il capo di incolpazione farebbe ambiguo riferimento sia al tentativo che
alla consumazione della frode sportiva, « […] ma non anche alla frode
sportiva consumata aggravata […]». La decisione di primo grado avrebbe
riconosciuto solo la frode sportiva tentata. La Procura federale avrebbe
impugnato tale decisione solo in ordine all’entità della sanzione, senza
svolgere censure in ordine al riconoscimento del tentativo, né chiedendo il
riconoscimento della frode consumata aggravata. La Corte Federale,
invece, avrebbe riconosciuto quest’ultima ipotesi «[…] con ciò immutando
il fatto oggetto di contestazione […]».
In primo luogo, il Collegio sottolinea come dal carattere devolutivo
dell’impugnazione proposta e dalla piena cognizione della controversia
spettante a questo Collegio arbitrale deriverebbe l’assorbimento della
censura svolta dal ricorrente, poiché lo svolgimento dell’arbitrato ha
consentito, nel pieno rispetto del contraddittorio e dei diritti della difesa, il
pieno esame della controversia.
In ogni caso la censura non è accoglibile.
Già ad un mero esame testuale, il capo di incolpazione evidenzia che la
Procura Federale ha inteso contestare al Cirelli (e all’odierna istante per
gli effetti di cui all’art. 44 R.G.) la violazione dell’art. 43 R.G., ipotizzando
sia la frode sportiva consumata che la minore figura del tentativo. Depone
in questa direzione la formula, richiamata anche dalla difesa di
Pallacanestro Treviso, «[…] alterando o tentando di alterare […]».
Volgendo l’attenzione alla decisione della Commissione Giudicante
Nazionale si legge, innanzitutto, l’affermazione «[…] che il fatto appare
senz’altro sussumibile nell’ipotesi di cui alla lettera c) del primo comma
dell’art. 43 del R.G. […]». Si aggiunge, poi, in sede di determinazione della
sanzione a carico del Cirelli che a tal fine occorre considerare « […]
quanto previsto all’art. 43, comma 2 R.G. per le fattispecie a livello di
tentativo […]».
È evidente, pertanto, che nessuna soluzione di continuità è rinvenibile tra
il capo di incolpazione e la decisione della Commissione Giudicante
Nazionale avendo, il primo, ipotizzato sia la frode consumata che quella
meramente tentata e, la seconda, affermato quest’ultima, esclusivamente
nella valutazione quoad poenam.
Ad analoga conclusione si deve attingere per la decisone della Corte
Federale che, per le ragioni che si esporranno, non ha immutato il capo di
incolpazione.
In almeno due eloquenti passaggi della motivazione della decisione della
Corte Federale si legge che la fattispecie nell’ambito della quale è stata
sussunta la condotta del Cirelli è quella di cui all’art. 43, 1° comma, lett. c)
del R.G. e, cioè, la frode sportiva consumata.
Si afferma, infatti, che risulta dimostrata « […] con assoluta tranquillità, la
piena ricorrenza, nel caso, di un atto di frode sportiva ai sensi dell’art. 43,
comma 1 lettera c) R.G. […]»; e, ancora, « […] sussiste, dunque, la
violazione dell’art. 43, comma 1 lettera c) R.G., con ciò respingendosi ogni
diversa valutazione e derubricazione richiesta dalle difese […]». Né, infine,
risulta una diversa determinazione nell’ambito del dispositivo.
Il tema dell’aggravamento entra nell’iter logico della Corte Federale solo al
momento della determinazione della sanzione a carico del Cirelli e di
Pallacanestro Treviso in una prospettiva, tuttavia, che il Collegio reputa
diversa da quella sostenuta dalla difesa dell’istante e che consente di
poter negare un’immutazione tra il capo di incolpazione e la decisione di
secondo grado.
Infatti, per quanto concerne il Cirelli, la Corte Federale, contrariamente a
quanto sostenuto da Pallacanestro Treviso, non ha applicato l’ultimo
comma dell’art. 43 R.G. poiché, altrimenti, avrebbe dovuto disporre la
radiazione del tesserato. Il riferimento alla frode consumata aggravata
punita con la radiazione rappresenta un mero obiter dictum.
La decisione, ha, invece fatto applicazione solo dell’art. 43, comma 1, lett.
c) R.G. e, nella scelta tra la misura minima (3 anni) e quella massima (5
anni), ha optato per quest’ultima che, comunque, rimane la sanzione della
frode sportiva consumata. La frode sportiva consumata aggravata di cui
all’art. 43 u.c. R.G. è solo quella che venga punita con la radiazione del
tesserato.
Alla luce di quanto finora esposto, il Collegio reputa che anche tra la
decisione della Corte Federale e il contenuto del capo di incolpazione non
sia rinvenibile alcuna immutazione, trattandosi, comunque di (prospettata
e affermata) applicazione dell’art. 43, 1 comma, lett. c) R.G. e, cioè, di
frode sportiva sportiva a consumazione anticipata.
Per quanto concerne Pallacanestro Treviso il Collegio osserva che sia nel
capo di incolpazione, sia nella decisione della Commissione Giudicante
Nazionale, sia, infine, in quella della Corte Federale la norma richiamata e
applicata è stata sempre quella di cui all’art. 44 R.G., la quale non pone
limiti massimi alla misura della sanzione per responsabilità oggettiva, ma
si limita ad indicare quali criteri per la quantificazione quello della gravità
degli atti (di frode sportiva) e dei danni da essi cagionati all’immagine del
movimento cestistico nazionale. Anche sotto tale profilo, dunque,
nessuna illecita immutazione appare essere stata commessa in danno
dell’odierna ricorrente.
2.3 Pallacanestro Treviso denuncia poi la violazione del divieto di
reformatio in peius che inferisce dall’art. 73 R.G.
Fermo quanto già esposto in relazione alla natura devolutiva del presente
giudizio, occorre preliminarmente richiamare il tenore dell’art. 73 del
Regolamento di Giustizia il quale dispone che « […] Le sanzioni
disciplinari non possono essere riformate in pejus in secondo grado nel
caso in cui la Procura Federale non abbia proposto impugnazione […]».
L’istante deduce, da un lato, che la Procura Federale, nel ricorso in
appello, non « […] ha esplicitamente messo in discussione, facendone
oggetto di uno specifico motivo di doglianza, la qualificazione in termini di
“frode sportiva tentata” data alla condotta del Cirelli dalla Commissione
Giudicante Nazionale […]». Dall’altro, che «[…] Se infatti nel ricorso in
appello del Procuratore Federale, non è dato individuare alcuna richiesta
di riqualificazione del fatto nei termini di cui all’art. 43, comma 2, prima
parte R.G., tanto meno è ovviamente possibile individuare una richiesta di
applicazione dell’aggravante di cui all’art. 43, comma 3, R.G. FIP, peraltro
mai contestata in precedenza […]».
Anche questa censura non può essere accolta.
Quanto al primo aspetto, il Collegio osserva, richiamando quanto già
esposto, che il riferimento al tentativo, contenuto nella decisione di primo
grado, è stato operato dai giudici al fine della determinazione della
sanzione; pertanto, l’impugnazione che abbia ad oggetto la misura della
sanzione – considerate le peculiarità dell’ordinamento sportivo – involge
anche la censura sull’affermazione dell’ipotesi minore del tentativo.
Per quanto concerne il secondo profilo della censura della Pallacanestro
Treviso, il Collegio ha già chiarito l’estraneità all’iter logico della decisione
della Corte Federale della disposizione di cui all’art. 43 u.c. R.G.; sicché,
nessuna reformatio in pejus è configurabile essendo rimasta, comunque,
anche la decisione di secondo grado nell’alveo della frode sportiva
consumata di cui all’art. 43, 1 comma, lett. c) del Regolamento di
Giustizia.
3. La vicenda si presta ad agevole valutazione secondo un’analisi logica
e oggettiva dei comportamenti emersi a seguito dell’istruttoria. E a tali
comportamenti, quali ascrivibili al Cirelli, occorre fare riferimento, per poi
trarre le conseguenze in punto di responsabilità della odierna istante.
La Società sportiva Pallacanestro Treviso tra novembre 2006 e gennaio
2007 si rivolge al mercato per ingaggiare atleti di qualità. Senonché,
raggiunto il numero massimo di atleti professionisti (18) consentiti dalla
disciplina federale, ingaggia ancora il giocatore professionista Lorbek. Si
crea, quindi, la necessità di espungere un nominativo dall’elenco dei
giocatori professionisti già sotto contratto.
La sola strategia realisticamente praticabile per raggiungere tale obiettivo
è quella di “declassificare” un giovane neo-professionista, individuato nella
persona del Cuccarolo, al pregresso status di giovane di serie, così da
liberare un posto per il nuovo atleta di maggior talento.
Trattasi, di per sé, di un fine antisportivo, in quanto è palesemente
contrario al principio di lealtà sportiva cercare di modificare, a
campionato in corso, la forza di gioco di una squadra attraverso una
procedura (la declassificazione di Cuccarolo) non consentita dalla
disciplina federale e per di più “gestita” in proprio dalla Società, ossia in
assenza di trasparenza nei confronti della Federazione, della Lega e delle
altre Società concorrenti e controinteressate.
La finalizzazione della condotta del Cirelli – dirigente della Società
preposto al mercato e ai contratti con gli atleti – al conseguimento di tale
obiettivo antisportivo si evince, invero, da molteplici elementi indiziari, la
cui univocità è dimostrata a contrariis dall’assoluta incoerenza dei
comportamenti dello stesso Cirelli laddove valutati, per ipotesi, secondo
criterio di buona fede.
Difatti, premesso che la falsificazione dell’attestazione di deposito in Lega
della dichiarazione di risoluzione del contratto Cuccarolo costituisce un
fatto storico confessato in corso di istruttoria sia dallo Zanetti che dal
Cirelli; tale comportamento poteva avere un senso solo nell’ottica di un
ripensamento tardivo rispetto all’inquadramento contrattuale e
regolamentare del giocatore Cuccarolo, giacché, qualora tale atto
risolutivo, per quanto stravagante nei suoi contenuti giuridici, fosse stato
realmente coevo al contratto di ingaggio del Cuccarolo come
professionista, non vi sarebbe stata ragione logica o di ordine pratico per
non depositarlo in Lega al momento della sua redazione, unitamente al
contratto stesso.
Anzi: in tal caso, lo stesso deposito del contratto di ingaggio come
professionista non avrebbe avuto alcun senso, essendo esso posto nel
nulla da un accordo contestuale di segno esattamente contrario.
Mentre, nel caso in cui tra le parti di quel contratto vi fosse stata ab origine
la riserva mentale in ordine alla sua effettiva validità – ossia accettandosi
reciprocamente l’eventualità che ci si potesse avvalere, alla bisogna, del
patto contrario di risoluzione – tale intesa sarebbe, comunque, stata priva
di validità e/o manifestamente illecita, in quanto strumentale alla
preordinazione di un meccanismo in frode della disciplina federale sui
tesseramenti.
Ma persino nell’assurda ipotesi in cui tale dichiarazione risolutiva fosse
stata redatta contestualmente al contratto (15 novembre 2006), va da sé
che l’omissione del suo deposito in Lega, fors’anche per dimenticanza o
caso fortuito, avrebbe comunque prodotto l’effetto irreversibile di
consolidare il novero dei 18 giocatori professionisti tesserati dalla
Pallanestro Treviso – Cuccarolo compreso – inibendo al Cirelli di agire per
rimediare ex post al suo errore.
In conclusione, da ciò si ricava che è proprio la tardività del deposito in
Lega della dichiarazione di risoluzione che manifesta la consapevolezza
del Cirelli di muoversi al di fuori del lecito sportivo, e ciò a prescindere
dall’accertamento dell’epoca in cui tale dichiarazione venne materialmente
redatta: nel senso che, comunque, Cirelli non avrebbe mai potuto
legittimamente avvalersi di tale dichiarazione in quanto intrinsecamente
contraria ai precetti federali in materia di contratti e ai principi fondamentali
di lealtà sportiva di cui all’art. 2 del R.G. della FIP.
Né, d’altro canto, il Cirelli può seriamente invocare la sua buona fede
asserendo di aver male interpretato la normativa in tema di tesseramenti
dei c.d. “giovani di serie”. Difatti, se egli fosse stato realmente convinto
che un giovane di serie conservasse il suo status (e quindi non dovesse
essere conteggiato nei 18) anche dopo la sottoscrizione di un contratto da
professionista, non vi sarebbe stata, da tale prospettiva, alcuna necessità
né di escludere Cuccarolo dalla rosa per far spazio a Lorbek (cosa
avvenuta a partire dalla gara del 10.1.2007), né di depositare in Lega
(retrodatandola) la dichiarazione di risoluzione.
Mentre, qualora in Cirelli vi fosse stato realmente un dubbio interpretativo
sulla normativa, coerenza avrebbe voluto – come giustamente osservato
dalla Corte Federale – che il dirigente disponesse o chiedesse ai vertici
della Società di sospendere il tesseramento o quantomeno l’utilizzo
dell’ipotetico 19° atleta (Lorbek) in attesa di un chiarimento da parte degli
organi preposti.
È, dunque, proprio l’avvicendamento Cuccarolo/Lorbek ad essere
insanabilmente e ingiustificatamente antisportivo, senza che possano
esservi dubbi di sorta in ordine alla consapevolezza di Cirelli di aver dato
vita, con il suo comportamento, alla creazione di una realtà documentale
non corrispondente al vero, eppure rivelatasi idonea a consentire al
Lorbek di partecipare ad almeno alcune partite del nostro massimo
campionato di Serie A.
In conclusione deve affermarsi come ampiamente dimostrata,
quantomeno da un punto di vista storico-fattuale, la realizzazione del
comportamento addebitato al Cirelli, di talché, a fronte di un siffatto quadro
probatorio univoco e largamente esaustivo, può serenamente affermarsi
l’inutilità di qualsivoglia attività istruttoria richieste dalla Pallacanestro
Treviso, le cui istanze in tal senso vanno perciò respinte.
4. Occorre ora soffermarsi sulle problematiche di stretto diritto sollevate
dalla difesa della Pallacanestro Treviso.
Accertato il fatto, va esaminata la questione relativa alla sua
qualificazione in termini di frode sportiva consumata o tentata.
L’art. 43, 1° comma, R.G. elenca le quattro ipotesi di frode sportiva,
definendo ciascuna di esse in termini di “atto diretto” al conseguimento di
un obiettivo illecito (alterazione di un risultato di gara ovvero assicurazione
di un vantaggio in classifica; elusione delle norme sull’età dei giocatori
delle categorie giovanili; partecipazione all’attività agonistica di un atleta
sprovvisto delle necessarie qualifiche o condizioni, mediante creazione di
documentazione falsa; assicurazione di un illecito vantaggio a un
tesserato o a un affiliato).
Il 2° comma del medesimo articolo richiama il concetto di “tentativo”,
prevedendo un trattamento sanzionatorio attenuato:
Il 3° comma, infine, si fa riferimento all’ipotesi di frode sportiva consumata,
di particolare gravità.
Da questo assetto normativo, la difesa di Pallacanestro Treviso ha cercato
di dare accesso ai criteri di (in)idoneità del tentativo e di (im)possibilità
della frode, onde escludere la responsabilità del dirigente - e,
conseguentemente, della società - sulla scorta dell’affermazione per cui la
falsa retrodatazione del deposito in Lega della dichiarazione di risoluzione
del contratto Cuccarolo, da un lato non avrebbe avuto rilevanza causale
rispetto all’andamento delle gare, dall’altro lato avrebbe semmai integrato
un’ipotesi di tentativo di frode mentre, infine, tale condotta sarebbe stata
così maldestramente inefficace rispetto all’obiettivo perseguito da
giustificare un’affermazione di impossibilità dell’illecito.
Questi argomenti trascurano, a parere del Collegio, l’analisi sia testuale
che funzionale della norma di cui al 1° comma dell’art. 43 R.E.
In realtà, le quattro condotte di frode sportiva di cui alla norma in
esame sono tutte strutturate quali ipotesi di illecito a consumazione
anticipata, giacché l’evento antisportivo dedotto (alterazione del risultato
di gara, tesseramento illecito dell’atleta in virtù di sue dichiarazioni
mendaci sull’età, falsificazione delle condizioni di partecipazione ecc.) non
deve, perché si abbia frode, necessariamente realizzarsi, essendo
sufficiente, ai fini della consumazione dell’illecito, il mero compimento di
un atto diretto al raggiungimento di uno dei predetti scopi fraudolenti.
Siffatta configurazione delle fattispecie di frode sportiva in termini di mera
condotta non è affatto preclusiva, come invece afferma l’istante, della
possibilità di ravvisare rispetto ad esse il tentativo.
Si sostiene che la frode sportiva potrebbe dirsi consumata solo in caso di
verificazione dell’evento, poiché se, al contrario, la configurazione della
fattispecie fosse in termini di illecito di mera condotta, non sarebbe
ammissibile il tentativo: questo perché, anticipando la soglia della
consumazione alla condotta pura e semplice, si definirebbe una fattispecie
di illecito di pericolo; ma anche il tentativo è, per definizione, un’ipotesi di
pericolo, onde per cui il tentativo di un illecito di mera condotta
realizzerebbe il “pericolo di un pericolo”, ossia un assurdo giuridico. Ma,
stando così le cose, la previsione del 2° comma dell’art. 43 (il quale
espressamente contempla l’ipotesi di frode tentata) sarebbe priva di
significato giuridico.
In realtà, ciò che non è condivisibile in questa ricostruzione è la premessa
su cui si fonda, ossia che un illecito di mera condotta debba
necessariamente essere un illecito di pericolo.
E invece esistono, nell’ordinamento penale, numerosi casi di reati di mera
condotta che pure non sono di pericolo bensì di danno. Tali sono, ad
esempio, l’evasione, l’incesto, la violazione di domicilio, la rissa, la
corruzione sia propria che impropria, le falsità in atti.
In questi, come in altri casi, la condotta è connotata da una particolare
finalità illecita. Eppure, si anticipa la soglia della punibilità al momento di
realizzazione dell’azione criminosa, a prescindere dal fatto che se ne
consegua il fine.
Non è dunque vero che l’anticipazione della soglia di punibilità alla
realizzazione della mera condotta dia luogo sempre a una fattispecie di
pericolo né, ancor meno, che impedisca la ravvisabilità del tentativo.
Così, considerando le ipotesi di frode sportiva di cui all’art. 43 del R.E.
della FIP, nulla vieta di immaginare l’azione di chi tenti di somministrare,
senza riuscirvi, sostanze tossiche ai componenti di una squadra per
alterare il risultato di una gara. In tal caso, laddove l’azione fraudolenta
non venga portata a compimento, si avrà tentativo di frode sportiva. La
frode sarà, invece, consumata qualora la somministrazione del tossico
venga eseguita. La verificazione dell’evento di danno voluto dall’agente
(alterazione del risultato della gara) sarà irrilevante rispetto alla
configurazione della frode consumata, potendo costituire, invece,
circostanza aggravante (art. 43, 3° comma, R.E.).
Tornando al caso sub judice, proprio il caso di Cirelli, paradossalmente,
costituisce un ottimo esempio di frode sportiva astrattamente suscettibile
di rimanere allo stato di tentativo.
Se, infatti, Zanetti si fosse rifiutato di apporre la falsa data di deposito sui
documenti presentati dal dirigente della Pallacanestro Treviso, il Cirelli non
sarebbe stato in grado di predisporre quella documentazione artefatta
costituente il mezzo di realizzazione della frode di cui alla lettera c) del
primo comma dell’art. 43 R.G.
Davvero, in quel caso, sarebbe allora stato possibile qualificare l’azione
del dirigente come frode tentata. Purtroppo per lui, però, siccome Zanetti
accettò la proposta di falsificare l’attestazione di deposito, l’azione
fraudolenta, così come descritta dalla norma, venne perfezionata,
essendo stato inequivocabilmente portato a compimento un atto diretto a
consentire la partecipazione del Lorbek sotto falsa attestazione delle
condizioni necessarie per l’iscrizione a referto.
In conclusione, la frode sportiva commessa dal Cirelli non può che essere
qualificata come frode consumata.
5. Altro argomento difensivo è quello concernente l’idoneità della
condotta al raggiungimento dello scopo.
La questione viene proposta sia sotto il profilo del tentativo inidoneo che
sotto il profilo dell’inidoneità dell’azione a ledere il bene protetto (il c.d.
principio di offensività).
Posto che nel caso in questione, alla luce di quanto sopra esposto, deve
senz’altro parlarsi di illecito consumato e non certo di un mero tentativo, la
prima formulazione dell’eccezione può dirsi superata.
Quanto, invece, alla questione dell’offensività, essa va valutata tenendo
conto di quale sia il bene protetto dalla norma. Tale bene va individuato
muovendo proprio dalla lettura del testo regolamentare, poiché sono la
struttura stessa della fattispecie e il suo contenuto precettivo i soli
parametri tramite i quali eseguire detta operazione ermeneutica.
Negli illeciti di mera condotta, il disvalore sportivo viene individuato dal
legislatore federale nella condotta in sé, in quanto vi è interesse generale
non solo a prevenire l’evento di danno ma, ancor prima, a reprimere taluni
comportamenti antisportivi a prescindere dalle loro conseguenze concrete.
Le norme del Regolamento di Giustizia della FIP di cui all’art. 43 hanno
statuito la volontà di sanzionare i tesserati che si siano resi
responsabili di determinate condotte fraudolente in quanto tali. Il
bene protetto, pertanto, va identificato nell’interesse della
Federazione a reprimere i comportamenti fraudolenti anche se essi
non abbiano prodotto danno. Ciò, naturalmente, nell’intento di
salvaguardare dal malcostume lo spirito di lealtà e correttezza che
debbono ispirare il comportamento sportivo.
Alla luce di quanto precede, è evidente che la condotta del Girelli deve
considerarsi, essendo stata azione di falsificazione proiettata verso un
obiettivo antisportivo, certamente lesiva del suddetto bene e sia
ampiamente meritevole di sanzione.
Né, del resto, è possibile affermare che la condotta del Girelli fosse,
astrattamente, del tutto inadeguata all’intento perseguito.
L’inadeguatezza della condotta, difatti, non può essere valutata secondo
un giudizio ex post, giacché altrimenti di processi per frode sportiva non se
ne farebbero mai: difatti, il fatto stesso che una frode sportiva venga
scoperta dimostra la fallibilità della condotta prescelta.
Il giudizio di offensività va dunque operato ex ante. E, in questa
prospettiva, non possono esservi dubbi sull’astratta attitudine dell’operato
del Cirelli ad ingannare gli organi federali e ad agevolare la realizzazione
e/o la prosecuzione e/o l’occultamento della condotta antisportiva posta in
essere mediante il tesseramento e l’utilizzo di un 19° atleta professionista.
6. Esaminando, ora, più nel dettaglio la specifica posizione della
Pallacanestro Treviso, ne va confermata la responsabilità oggettiva, ex
art. 44 R.G., per il comportamento fraudolento del suo dirigente.
Invero, come ha giustamente osservato la Corte Federale, la formulazione
dell’art. 44 non lascia spazio a difese sostenibili da parte della Società
cestistica trevigiana. Difatti, la Società affiliata risponde oggettivamente
degli illeciti posti in essere dai suoi organi dirigenziali, a prescindere dalla
condivisione degli stessi da parte dei vertici societari.
Né, peraltro, è ammessa prova liberatoria, atteso che simile eventualità è
riconosciuta dall’ordinamento della F.I.P. solo rispetto agli illeciti commessi
dai sostenitori della società, ma non anche dai suoi dirigenti e affiliati.
Peraltro non può negarsi come la posizione della Pallacanestro Treviso
sia stata tutt’altro che cristallina. Non vi è dubbio, infatti, che il
tesseramento e l’utilizzo del Lorbeck non poté certamente passare
inosservato alla Società ed, anzi, venne da questa sicuramente
ponderato, avallato e deliberato, sia sul piano tecnico-sportivo che su
quello finanziario.
Possibile, dunque, che solo l’aspetto giuridico-regolamentare
dell’operazione Lorbeck fosse stato integralmente demandato alla
gestione esclusiva del Cirelli, senza che nessuna forma di controllo o
supervisione fosse stata attivata dai vertici della Pallacanestro Treviso?
Dopotutto, si trattava pur sempre di ingaggiare un atleta in corso di
stagione, eventualità che di per sé poneva domande sulla fattibilità
dell’acquisto rispetto alle disponibilità della rosa degli atleti già tesserati.
Se così davvero fu, si trattò quantomeno di dimenticanza gravemente
colposa, la quale perciò fa sì che la sanzione alla Società si giustifichi ben
oltre il paradigma di imputazione oggettiva di cui all’art. 44 R.G.
Del resto non va neppure dimenticato che, dalla frode sportiva commessa
dal suo dirigente, la Società si avvantaggiò concretamente mediante
l’utilizzo irregolare del Lorbeck in diverse partite. E se in sé tale condotta
non costituisce frode, è anche vero che mai la Società si sarebbe
determinata a tesserare l’atleta sloveno se non avesse ricevuto
rassicurazione dal Cirelli circa la regolarità del tesseramento; ma a sua
volta il Cirelli non avrebbe mai potuto fornire tale rassicurazione se non
avesse concepito, prima o dopo il tesseramento non ha importanza, l’idea
di aggiustare, facendo carte false, l’elenco dei 18 professionisti.
In altre parole, la frode sportiva attuata dal Cirelli, oltre ad essere stata
quantomeno agevolata da una mancanza di controllo della Società sul suo
operato, si pone in relazione causale con un concreto vantaggio
illecitamente conseguito, sul piano sportivo, dalla Società stessa, sicché a
maggior ragione va negata ogni possibilità per la ricorrente di sottrarsi
all’applicazione dell’art. 44 R.G., il quale appare, persino, criterio di
imputazione in grado di cogliere e stigmatizzare solo parzialmente il
coinvolgimento della Pallacanestro Treviso nella condotta del suo
dirigente.
Pur tuttavia, nella commisurazione della sanzione non può prescindersi
dal considerare positivamente almeno due elementi di attenuazione della
responsabilità della Società.
Il primo di essi concerne l’atteggiamento tenuto, sia nell’ambito dei
procedimenti disciplinari che al di fuori di essi, dalla Pallacanestro Treviso,
la quale si è da subito distanziata dalle ben diverse posizioni tenute dal
suo ex dirigente, disponendone l’immediato licenziamento e cercando di
riabilitare la propria immagine di entità fattivamente impegnata, nel tessuto
sociale in cui opera, alla formazione e all’avviamento dei giovani allo sport
e ai suoi principi etici.
Il secondo concerne l’immagine che la Società trevigiana ha dato di sé a
livello sia nazionale che internazionale, conferendo lustro allo sport
italiano senza mai, in passato, incorrere in episodi di antisportività.
Per tali ragioni, sanzione equa appare quella originariamente inflitta dalla
Commissione Giudicante Nazionale, all’esito del giudizio di primo grado,
pari a dodici punti di penalizzazione da scontarsi nel campionato in corso.
Il tutto ferme le qualificazioni sopra formulate in ordine alla condotta del
Cirelli e alla conseguente responsabilità oggettiva di Pallacanestro
Treviso.
Tutte le altre domande ed eccezioni devono intendersi assorbite.
7. Sussistono i motivi per operare una parziale compensazione delle
spese di arbitrato e di lite, atteso il parziale accoglimento della domanda
arbitrale.
P.Q.M.
Il Collegio Arbitrale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle
parti, disattesa ogni ulteriore istanza anche istruttoria, eccezione e
deduzione:
1. In parziale riforma della decisione resa dalla Corte Federale della
Federazione Italiana Pallacanestro (FIP) in data 27 marzo 2007,
determina la sanzione della penalizzazione della Pallacanestro
Treviso SpA di 12 punti in classifica nella corrente stagione sportiva ex
art. 44, comma 3 del R.G. FIP;
2. Condanna la Pallacanestro Treviso SpA al pagamento dei 2/3 degli
onorari del Collegio arbitrale e delle spese di arbitrato e la FIP al
pagamento del residuo terzo, così come liquidate dalla Camera con
separata ordinanza;
3. Condanna l’istante al pagamento delle spese legali in favore della FIP
che liquida in complessivi € 1.500,00, oltre spese generali, iva e c.p.a.
come per legge;
4. Dispone che tutti i diritti amministrativi versati dalle parti siano
incamerati dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport.
Così deciso definitivamente in Roma, all’unanimità e in conferenza personale
degli arbitri, il giorno 11 maggio 2007.
F.to Pier Luigi Ronzani
F.to Maurizio Benincasa
F.to Guido Cecinelli
F.to Marcello Foschini
F.to Luigi Fumagalli