F.I.G.C. – Commissione d’Appello Federale – CAF – 2004-2005 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale FIGC n. 33/C del 07/03/05 APPELLO DEL COSENZA CALCIO 1914 AVVERSO LE SANZIONI DELL’INIBIZIONE PER ANNI 1 AL PRESIDENTE SIG. BISCEGLIA FRANCESCO, LA PENALIZZAZIONE DI N. 3 PUNTI NELLA CLASSIFICA DEL CAMPIONATO IN CORSO E L’AMMENDA DI 2.000,00 AD ESSA RECLAMANTE, INFLITTE A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE RISPETTIVAMENTE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 27 COMMI 1 E 2 DELLO STATUTO CON RIFERIMENTO ALL’ART. 1 COMMA 1 C.G.S. E 2 COMMA 4 PRIMA PARTE C.G.S. (Delibera della Commissione Disciplinare presso il Comitato Interregionale Com. Uff. n. 115 dell’11.2.2005)

F.I.G.C. – Commissione d’Appello Federale - CAF – 2004-2005 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale FIGC n. 33/C del 07/03/05 APPELLO DEL COSENZA CALCIO 1914 AVVERSO LE SANZIONI DELL’INIBIZIONE PER ANNI 1 AL PRESIDENTE SIG. BISCEGLIA FRANCESCO, LA PENALIZZAZIONE DI N. 3 PUNTI NELLA CLASSIFICA DEL CAMPIONATO IN CORSO E L’AMMENDA DI 2.000,00 AD ESSA RECLAMANTE, INFLITTE A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE RISPETTIVAMENTE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 27 COMMI 1 E 2 DELLO STATUTO CON RIFERIMENTO ALL’ART. 1 COMMA 1 C.G.S. E 2 COMMA 4 PRIMA PARTE C.G.S. (Delibera della Commissione Disciplinare presso il Comitato Interregionale Com. Uff. n. 115 dell’11.2.2005) Con atto del 22.11.2004 il Procuratore Federale deferiva alla Commissione Disciplinare presso il Comitato Interregionale la società Cosenza Calcio 1914 per avere presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio “contro, tra gli altri, la Federazione Italiana Giuoco Calcio, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ed il Collegio Arbitrale della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport nonché nei confronti di tutte le società di calcio professionistiche e di tutte le società di calcio dilettantistiche affiliate alla Lega Nazionale Dilettanti” e per avere così violato, in difetto di autorizzazione da parte della F.I.G.C. ad adire le vie legali, le disposizioni di cui all’art. 27 dello Statuto Federale; disposizioni secondo le quali “tutte le società e coloro che svolgono nell’ambito delle medesime, della F.I.G.C. e delle Leghe qualsiasi attività di tipo agonistico, hanno l’obbligo di osservare le norme federali nonché di impegnarsi, ‘con l’affiliazione... ad accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti generali e di tutte le decisioni particolari adottati dalla F.I.G.C., dai suoi organi e soggetti delegati nelle materie comunque attinenti all’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico’”. Deferiva la società in relazione all’art. 1 comma 1 C.G.S. ravvisando nella proposizione del ricorso senza la preventiva autorizzazione, violazione di quei “principi di lealtà, correttezza e probità cui sono tenuti tutti i tesserati della F.I.G.C. in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. La Commissione Disciplinare accoglieva il deferimento ed infliggeva le sanzioni sportive della inibizione per il periodo di anni 1 (uno) al Presidente della società, Francesco Bisceglia, e della penalizzazione di punti 3 (tre) e dell’ammenda di X 2.000,00 alla società. Motivava che “l’art. 27 comma 2 dello Statuto, così come modificato con C.U. n. 130/A in data 3 novembre 2004 (quindi precedentemente alla redazione e notifica del ricorso al TAR da parte dei deferiti) sottopone al vincolo di giustizia le questioni ‘comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico’” e pertanto che la questione proposta in via preliminare dai deferiti era del tutto infondata rientrando la questione sottoposta all’attenzione del Tar “in tale novero”. Rilevava inoltre che l’art. 3 comma 1 della L. 280/2003, “nel rispetto della ratio dell’intera Legge... che è quella di affermare il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo”, aveva fatto “espressamente salvo quanto stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dal Regolamento del C.O.N.I. e delle Federazioni Sportive”. Concludeva non esser vero, quindi, che “l’art. 27 dello Statuto Federale è in contrasto con la L. 280/2003” dal momento che “le norme di legge e regolamenti interni della Federazione si integrano e si armonizzano perfettamente”. “...l’art. 3 della L. 280/2003 faceva notare ancora non sottrae affatto la materia de qua al vincolo di giustizia, ma semplicemente attribuisce la giurisdizione sulle questioni non rieservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2 L. 280/2003 al giudice amministrativo e la competenza del TAR del Lazio, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando in ogni caso l’efficacia di quanto statuito nelle eventuali clausole compromissorie e, quindi, del vincolo di giustizia se in esse stabilito, come nella fattispecie”. Posto che, in definitiva, “con la proposizione del ricorso al Tar... senza neppure esaurire i gradi di giustizia sportiva (il ricorso alla Camera di Conciliazione... non era ancora definito) è stato violato l’art. 27 dello Statuto nonché l’art. 1 del C.G.S.”, infliggeva al Presidente della società ed alla società stessa le sanzioni sportive già indicate (Com. Uff. n. 115 del giorno 11 febbraio 2005). Avverso tale decisione proponevano appello sia la società che il suo Presidente. Nel prospettare ancora una volta la questione preliminare già sottoposta all’esame della Commissione Disciplinare, facevano presente che a norma dell’art. 27 dello Statuto il “vincolo di giustizia” doveva ritenersi operante in relazione alle sole vertenze “‘di carattere tecnico, disciplinare ed economico’, laddove la questione proposta dalla Società innanzi al giudice amministrativo, avente ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti con i quali la Società (era) stata inquadrata in Serie D, riguarda(va) una c.d. ‘questione amministrativa’”. Venendo al merito osservavano di non aver fatto altro, con la proposizione dei ricorsi innanzi alla giustizia amministrativa, che “far valere i propri interessi” come garantito dalla Costituzione e come espressamente riconosciuto dalla L. n. 280/2003. Una volta rilevato, dunque, che “la proposizione di una azione in sede giurisdizionale non costituisce... violazione del principio di lealtà sportiva, non essendo stato eluso alcun obbligo”, chiedevano l’annullamento della decisione impugnata. Lo chiedevano anche con riguardo al rilievo della Commissione Disciplinare secondo cui “la società non avrebbe ‘esaurito i gradi di giustizia sportiva’” per non aver atteso “la fine dell’ultimo giudizio pendente innanzi alla Camera di Conciliazione”, dal momento che il procedimento innanzi a detta Camera osservavano “non rientra nei ‘gradi di giustizia sportiva’” avendo “natura di procedimento ‘arbitrale’, come tale alternativa alla giurisdizione statale”. L’appello della società Cosenza Calcio 1914 e del Presidente della stessa Sig. Francesco Bisceglia, proposto ritualmente e nel rispetto dei termini procedurali, è ammissibile ma non può essere accolto. Prendendo spunto dalla questione fatta valere in via preliminare, non può farsi a meno dal rilevare che l’affermazione della Commissione Disciplinare a proposito della perfetta compatibilità dell’art. 27 dello Statuto federale con lo spirito e con la lettera della L. n. 280/2003 va pienamente condivisa, dal momento che la norma statutaria in esame costituisce non altro che la concreta attuazione nell’ambito della F.I.G.C. di quell’“autonomia dell’ordinamento sportivo” che è indicata sin dall’art. 1 della legge quale valore fondamentale “riconosciuto e favorito” dell’ordinamento dello Stato. Si tratta di un valore che la L. n. 280 enuncia in via generale ed astratta, ma cui la stessa legge attribuisce pratica concretezza, attraverso l’obbligo alle società, alle associazioni, agli affiliati ed ai tesserati di “adire... gli organi di giustizia dell’ordinamento” in fatto di “osservanza ed applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutaria dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni” (art. 2) e, pur attribuendo alla giurisdizione del giudice amministrativo “ogni altra controversia... non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”, nel far salvo “quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti... delle Federazioni sportive” (art. 3). Rilevato, dunque, che l’art. 27 dello Statuto federale opera correttamente nell’ambito di efficacia normativa della L. n. 280/2003 e che “la disciplina delle questioni aventi ad oggetto... l’osservanza e l’applicazione delle norme... statutarie”, per quel che qui interessa, “è riservata all’ordinamento sportivo” (art. 2 della legge citata), occorre verificare se nel fatto di avere adito, la soc. Cosenza Calcio 1914, la giustizia amministrativa sia ravvisabile o meno violazione dello Statuto federale; quello Statuto è bene ricordarlo che all’art. 27 “legittimamente” prevede l’obbligo di accettare “la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C.” e “dai suoi organi o soggetti delegati”, ma che subordina tale obbligo ai soli provvedimenti adottati “nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico”. Ebbene, la questione sottoposta dalla soc. Cosenza Calcio 1914 all’attenzione del Tar, e cioè l’iscrizione al Campionato dilettantistico di Serie D invece che al Campionato professionistico di Serie C1 o, in subordine, di Serie C2 per la stagione 2004-2005, è controversia “di carattere tecnico, disciplinare ed economico”, come affermato dalla Commissione Disciplinare, oppure è questione amministrativa, come sostenuto dalla società appellante e come tale sottratta al vincolo di giustizia di cui all’art. 27 dello Statuto? Per la verità una risposta all’interrogativo appena formulato alla luce dell’insieme delle norme della F.I.G.C. (ché secondo i concetti propri di quest’ordinamento, e non di altri, bisogna ovviamente valutare se la controversia prospettata dalla soc. Cosenza Calcio 1914 abbia o meno “carattere tecnico, disciplinare ed economico”); la risposta al quesito di cui sopra non è, si stava scrivendo, particolarmente agevole, vuoi per l’impossibilità di utilizzare categorie concettuali proprie non dell’ordinamento sportivo federale, ma di altri settori del diritto (lo si è già rilevato) vuoi per l’insufficiente elaborazione, all’interno della giustizia sportiva, tradizionalmente suddivisa in disciplinare, tecnica, economica ed amministrativa, dei caratteri propri di quest’ultima, vuoi per la conseguente difficoltà di individuare con certezza le questioni non aventi “carattere tecnico, disciplinare ed economico”, ma carattere amministrativo. Non è un caso che in questa categoria abbiano finito con il confluire pretese non riconducibili a nessuna delle tre altre tipologie di giustizia (sportiva) sulla scorta della inveterata abitudine di assegnare natura genericamente amministrativa ad ogni materia di difficile definizione o, peggio, ancora, ad ambiti di attività federali comunemente ricomprese tra le materie disciplinari e/o tecniche, ma accomunate tutte dal supposto tratto della loro natura provvedimentale. Accanto ad autori che hanno perciò rilevato come “della cosiddetta giustizia amministrativa” possa discorrersi solo in senso “residuale e comunque atecnico” (cfr. Frascaroli 1990, pag. 535), se ne trovano altri che includono nella stessa “i provvedimenti atti a limitare (per ragioni di carattere amministrativo e non di carattere disciplinare) la partecipazione di un soggetto nell’ambito dell’ordinamento sportivo, sia in modo parziale (diniego di ammissione ad un campionato per il quale si è acquisito il titolo sportivo) sia in modo assoluto (esclusione definitiva dall’ordinamento sportivo per decadenza o per revoca dell’affiliazione per le società o per radiazione per i singoli atleti)” (cfr. Lubrano 2004, pag. 159) ovvero “i provvedimenti di concessione o diniego dell’affiliazione e del tesseramento” nonché “i provvedimenti pubblicistici emanati dal CONI o, per sua delega, dalle federazioni” (cfr. Alvisi 2000, pag. 389) Nell’attuale fase di elaborazione concettuale è evidente, insomma, che la multiforme ed assai diversificata gamma di pretese che possono nascere a livello endo-associativo non è suscettibile di generalizzazioni che sfuggano alla elaborazione soggettiva di cia-scun interprete e che la gran parte di essere vengono ricomprese in ciascuna delle tipologie di giustizia sportiva, le tre tradizionali e quella amministrativa, spesso arbitrariamente ed a costo di gravi incongruenze logico-sistematiche. Non è semplice, dunque, individuare con margine di buona certezza il carattere “tecnico, disciplinare ed economico” oppure amministrativo della questione sottoposta dalla soc. Cosenza Calcio 1914 alla giustizia amministrativa, ma a ben vedere la circostanza non importa più di tanto. Nel caso in esame quel che rileva non è tanto che la società ha adito la giustizia dello Stato, quanto l’essersi rivolta ad essa in assenza della preventiva autorizzazione prescritta dall’ordinamento federale. Diversamente detto, la violazione del c.d. vincolo di giustizia che ha dato luogo alle sanzioni non è avvenuta in conseguenza della “proposizione... (della)... azione in sede giurisdizionale” (che non costituisce, in effetti violazione del principio di lealtà sportiva, non venendo eluso alcun obbligo), ma per e ffetto dell’averla proposta senza la preventiva autorizzazione dell’ordinamento federale. Non è sostenibile pertanto, come fatto dalla società appellante, che l’applicazione della sanzione costituisce lesione di un diritto costituzionalmente garantito, non essendo affatto in discussione il diritto della soc. Cosenza Calcio 1914 di adire la giustizia dello Stato, quanto la violazione di averlo fatto senza la prevista autorizzazione delle autorità federali. Venendo ad altro e diversamente da quanto sostenuto nei motivi di appello, ulteriore ed autonomo profilo di illiceità ravvisabile nella condotta della società risiede nell’avere agito giudizialmente senza avere preventivamente esaurito i rimedi interni previsti dall’ordinamento sportivo a tutela della sua autonomia. Ciò è sicuramente accaduto con la instaurazione dei due giudizi di ottemperanza innanzi al Consiglio di Stato in data anteriore alla proposizione delle domande di arbitrato (che sono state introdotte soltanto in un momento successivo, una volta constatato l’esito infruttuoso del tentativo di risolvere la questione con l’actio iudicati). In questo stesso ordine di considerazioni è parimenti sostenibile che anche i ricorsi diretti ad ottenere l’annullamento giurisdizionale dei vari lodi emessi dalla Camera arbitrale risultano esperiti prima della definitiva conclusione dei procedimenti arbitrali, essendo stati proposti prima della pubblicazione delle relative motivazioni. Sono stati immediatamente impugnati, infatti, i dispositivi e soltanto in corso di causa, con motivi aggiunti, le motivazioni. Da aggiungere a tutto questo che, nell’introdurre le domande di arbitrato, la soc. Cosenza Calcio 1914 ha volutamente dato luogo a cause di inammissibilità (rifiutandosi di rendere in limine litis la prescritta dichiarazione di accettazione del responso arbitrale), al malcelato scopo di evitare che la Camera potesse pronunciarsi sul merito delle questioni, onde sottoporle per saltum alla cognizione del Tribunale amministrativo. La qualcosa costituisce ulteriore dimostrazione dell’intento perseguito realmente dalla società: eludere i rimedi interni stabiliti dalle carte federali a salvaguardia del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo (tutelato, come già osservato, dalla L. n. 280/2003 attraverso la previsione di una apposita clausola di salvezza volta a privilegiare l’utilizzo degli strumenti di composizione imposti dall’autarchia di settore) e privilegiare, al di fuori di ogni autorizzazione, la giustizia dell’ordinamento dello Stato. Le ragioni fin qui esposte impediscono, dunque, che l’appello della società venga accolto e che il Presidente e la società stessa possano andare esenti da sanzione o ne meritino una di entità inferiore, considerato (a questo ultimo proposito) che la durata dell’inibizione, i punti di penalizzazione in classifica e l’ammontare dell’ammenda tengono nel giusto conto la non lieve entità del grado di colpa riscontrabile nel comportamento della società. Basta soffermare l’attenzione su quel che potrebbe essere definito vero e proprio accanimento giudiziario da parte della società, che nel volgere di pochi mesi ha messo in atto una serie davvero notevole di iniziative giudiziarie, inutilmente ripetitive e tali da aggravare senza ragione il dispendio di risorse e di energie delle controparti processuali. La decisione della Commissione Disciplinare non merita di essere riformata, dunque, né le sanzioni di essere ridotte; quelle sanzioni in relazione alle quali è appena il caso di far presente, più per completezza di esposizione che per effettiva necessità, che hanno natura meramente ed esclusivamente sportiva, essendo destinate ad esaurire i loro effetti solo ed esclusivamente nell’ambito sportivo dell’ordinamento dal quale promanano. Per effetto della soccombenza la tassa reclamo deve essere incamerata (art. 29, punto 13, C.G.S.). Per questi motivi la C.A.F. respinge l’appello come sopra proposto dal Cosenza Calcio 1914 di Cosenza ed ordina l’incameramento della tassa versata.
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