F.I.G.C. – CORTE FEDERALE – 2002/2003 Comunicato ufficiale n. 13/CF del 23 maggio 2003 – pubbl. su www.figc.it RICORSO DELLA VIS PESARO 1898 IN RELAZIONE ALLA DECISIONE DEL LA C.A.F. DEL 12.5.2003 IN MERITO ALLA GARA PESCARA/PATERNO’ DEL 19.4.2003
F.I.G.C. – CORTE FEDERALE – 2002/2003
Comunicato ufficiale n. 13/CF del 23 maggio 2003 – pubbl. su www.figc.it
RICORSO DELLA VIS PESARO 1898 IN RELAZIONE ALLA DECISIONE DEL
LA C.A.F. DEL 12.5.2003 IN MERITO ALLA GARA PESCARA/PATERNO’ DEL
19.4.2003
Con ricorso del 16 maggio 2003 la Società Vis Pesaro 1898 S.r.l., a sostegno delle cui
ragioni sarebbe successivamente intervenuto il Pescara Calcio S.p.A., adiva, ai sensi degli articoli 32,
comma 5, dello Statuto Federale e 22, comma 3, del Codice di Giustizia Sportiva questa Corte
Federale chiedendo che venissero tutelati “i diritti fondamentali propri ed associativi” che sarebbero
stati lesi per effetto della pronuncia (di cui era al momento noto il solo dispositivo) resa il 12 maggio
precedente dalla Commissione di Appello Federale.
I Giudici di Appello avevano, in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Paternò, che in
precedenza aveva chiesto al Presidente della Lega Nazionale Professionisti Serie C il deferimento
della Società appellata, annullato la decisione della Commissione Disciplinare ed inflitto al Calcio
Pescara la sanzione sportiva della perdita della gara col Paternò, disputata il 19 aprile 2003 in conse-
guenza della utilizzazione, giudicata irregolare, da parte del Pescara del calciatore Giuseppe
Antonaccio che, squalificato dal Giudice Sportivo per una giornata, non aveva scontato la punizione,
in quanto, pur non schierato nella successiva gara di Campionato di Serie C1 Taranto/Pescara del 13
aprile 2003, aveva partecipato alla gara Pescara/Bari del Campionato Nazionale Primavera
disputatasi il giorno prima.
Nell’annullare la decisione della Commissione Disciplinare, la C.A.F. osservava che i primi
giudici avevano dichiarato infondato l’originario esposto del Calcio Paternò e conseguentemente
ritenuto che non sussistessero provvedimenti da adottare con riferimento alla fattispecie, alla stregua
della disposizione dell’articolo 17, comma 3, del Codice di Giustizia Sportiva secondo cui il
calciatore colpito da squalifica per una o più giornate di gara deve scontare la sanzione nelle gare
ufficiali della squadra nella quale militava quando è avvenuta l’infrazione che ha determinato il
provvedimento. I Giudici di primo grado avevano rilevato che il calciatore Antonaccio aveva
effettivamente scontato la giornata di squalifica, non avendo disputato la gara di Campionato di Serie
C1 Taranto/Pescara con la conseguente irrilevanza della partecipazione alla gara contro il Bari del
(diverso) Campionato Primavera, eventualmente punibile ai sensi dell’articolo 12, comma 5, dello
stesso Codice di Giustizia Sportiva.
Contro la decisione della Commissione Disciplinare aveva proposto appello davanti la C.A.F.
la Società Paternò, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 17, commi 3 e 13, in
relazione all’articolo 12, comma 5, tutti del Codice di Giustizia Sportiva, sotto il complessivo,
concorrente profilo, della necessaria espiazione della pena nell’ambito della competizione in cui era
stata commessa l’infrazione oggetto di provvedimento disciplinare e della correlativa assolutezza del
divieto per il tesserato di svolgere qualsiasi attività agonistica in seguito alla comminazione di una
sanzione sportiva e esponendo, altresì, che il termine “ giornata” connotasse non i singoli giorni della
settimana ma il turno del calendario.
L’appellante chiedeva, pertanto, che la Commissione accertasse l’irregolare utilizzazione del
calciatore Antonaccio da parte della Società Pescara contro il Bari nel Campionato Primavera e la,
conseguente, mancata espiazione della giornata di squalifica e comminasse all’appellata, con
riferimento alla gara contro il Paternò del Campionato di Serie C1 in cui era stato schierato il
calciatore, la sanzione sportiva della perdita della stessa.
La Società appellata preliminarmente eccepiva la inammissibilità dell’impugnazione, non
essendo stato il giudizio sulla pretesa irregolarità della posizione del calciatore Antonaccio instaurato
davanti al Giudice Sportivo su richiesta delle società interessate, come previsto dall’articolo 24
comma 8 del Codice di Giustizia Sportiva, ma promosso su deferimento del Presidente della Lega
Nazionale Professionisti Serie C, con conseguente impossibilità per essa appellata dell’assunzione
della qualità di parte nel procedimento e difetto di legittimazione a proporre appello da parte della
Società Paternò, essendo solo il Presidente Federale titolare di tale facoltà ai sensi dell’articolo 33 del
Codice di Giustizia Sportiva.
Nel merito il Pescara confutava gli argomenti avversari deducendo l’ineccepibilità della
decisione impugnata.
Con la propria pronuncia del 12 maggio 2003 la C.A.F. rigettava l’eccezione di
inammissibilità dell’appello, sotto il profilo dell’esistenza di un interesse diretto della Società Paternò
all’applicazione della sanzione relativa alla gara dalla stessa disputata contro la società presso la
quale militava il calciatore: fonte di tale statuizione era dalla C.A.F. individuata nella norma generale
dell’articolo 29, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, che prevede che sono legittimati a pro-
porre reclamo nei casi previsti dal presente codice, le società, loro dirigenti, soci di associazioni e
tesserati che ritenendosi lesi nei propri diritti, abbiano interesse diretto al reclamo stesso. Nel merito
la C.A.F. osservava che le disposizioni racchiuse nei commi 3 e 13 dell’articolo 17 del Codice di
Giustizia Sportiva debbono essere interpretate unitariamente, con la conseguenza, da un canto, che la
squalifica non può essere scontata in squadra diversa da quella nella quale il calciatore militava
quando è avvenuta l’infrazione e, d’altro canto, che il divieto di partecipare a qualsiasi attività
sportiva durante il periodo della squalifica si estende anche alla partecipazione a gare ufficiali di altre
squadre della stessa società.
La C.A.F. riteneva, inoltre, che il concetto di “ giornata” si identificasse in tutti i giorni in cui
si articola il turno calcistico.
Per queste ragioni l’appello veniva accolto e, per l’effetto, inflitta al Pescara la sanzione
sportiva della perdita della gara con il Paternò per 0 a 2.
Nel ricorso proposto dalla Vis Pesaro 1898 s.r.l. si deduceva: 1) la ricorrenza del doppio
requisito, soggettivo ed oggettivo, previsto dal citato articolo 32, comma 5, dello Statuto ed in
particolare la mancanza di ulteriori mezzi di impugnazione della decisione della C.A.F.; 2) nel meri-
to : a) la carenza di legittimazione sia ad causam che ad processum della Società Calcio Paternò; b) il
conseguente passaggio in giudicato della decisione della Commissione Disciplinare irritualmente im-
pugnata dal Calcio Paternò; c) l’erroneità della pronuncia della C.A.F..
La ricorrente chiedeva, pertanto, che questa Corte dichiarasse la nullità della pronuncia della
C.A.F. nonché di essere sentita ne l corso del presente procedimento.
Il Paternò Calcio, cui la segreteria della Corte aveva comunicato la pendenza del ricorso
avversario e la data di svolgimento della presente udienza, nella propria difesa orale contestava la
mancata conoscenza dell’oggetto del procedimento e la ammissibilità del ricorso, in quanto
incompatibile con il principio della intangibilità del giudicato formatosi sulla pronuncia della C.A.F.
e , nel merito, eccepiva la esattezza della prospettazione dei Giudici di Appello.
Inoltre le parti hanno illustrato oralmente le proprie difese nel corso della udienza di
discussione, cui erano state ammesse con provvedimento di questa Corte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va, in primo luogo, rilevato che la società controinteressata è stata, come già messo in
evidenza nella parte espositiva, ritualmente ed esaurientemente informata dalla segreteria della Corte
dell’oggetto del procedimento e della data della sua trattazione, nel corso della quale sono state
esplicate in modo pieno le difese orali.
Ciò premesso, la prima questione che in ordine logico la Corte è chiamata ad affrontare anche
in riferimento all’eccezione espressamente sollevata dal Calcio Paternò, è quella attinente alla
determinazione del proprio ambito di intervento ai sensi dell’articolo 32 comma 5 dello Statuto
Federale nonché alla relazione sussistente tra tale intervento e le pronunce rese da Organi di Giustizia
Sportiva di ultima istanza.
Relativamente a quest’ultimo profilo va subito detto che il potere di intervento sussidiario e
completivo dell’Ordinamento Federale attribuito dall’articolo 32 comma 5 citato a questa Corte non è
certamente inteso, come è giurisprudenza costante, ad eludere gli effetti preclusivi e di intangibilità
del giudicato già prodottisi, ma è indirizzato a colmare eventuali vuoti di tutela di diritti
fondamentali, personali o associativi, non altrimenti protetti. Si tratta, quindi, di un genere di
intervento che, come si chiarirà subito, piuttosto che creare disarmonie nel sistema, è rivolto a fornire
garanzie di tutela a quelle posizioni soggettive ritenute meritevoli di considerazione, rispetto alle
quali il sistema stesso non possa, comunque e per qualsiasi causa, dare la risposta invocata ed alla cui
mancata protezione corrisponderebbe un sensibile vulnus in termini di equità all’interno
dell’Ordinamento Federale.
Va, quindi, fugato il dubbio circa una possibile contrapposizione tra il provvedimento in
parola (di cui deve cogliersi e mettersi in rilievo il carattere straordinario e circoscritto) e
provvedimenti di ultima istanza nell’ambito della giustizia sportiva, nel senso che questa Corte ha
solo il compito, attraverso l’esercizio del potere riconosciutole dall’articolo 32 comma 5 citato, di
sanare le lesioni dei diritti fondamentali personali o associa tivi che si fossero prodotte quale
occasionale conseguenza materiale dei provvedimenti stessi e non già di caducare i provvedimenti in
sé. Giova solo ricordare che la concreta vicenda da cui ha preso le mosse la pronuncia di questa Corte
nel cosiddetto caso Ternana (C.U. del 1° agosto 2002), aveva ad oggetto la richiesta interpretativa di
una norma rivolta a questa Corte da società soccombente in un giudizio, il cui provvedimento finale
aveva omesso di impugnare, allo scopo di conseguire la pronuncia di un parere incompatibile con la
pronuncia a sé sfavorevole e, quindi, di sovvertirne il contenuto all’esterno delle regole del
contraddittorio e del sistema delle impugnazioni. Il caso già giudicato riguardava in sostanza la stessa
parte (in senso formale e sostanziale) del giudizio, che, avendo rinunciato allo strumento tipico di
tutela previsto dall’Ordinamento Federale, aveva direttamente investito, pur nel difetto del presupposto
della sussidiarietà di cui all’articolo 32, questa Corte perché mutasse i propri panni di interprete
in quelli indebiti di giudice rescindente, istituzionalmente spettanti all’Organo di Giustizia Sportiva
deliberatamente e consapevolmente pretermesso. Ben diversa, come si vedrà oltre, è la situazione
registrabile nella presente fattispecie.
Va adesso determinata la portata del ricorso, ex art. 32 comma 5 , secondo la struttura e la
concezione della norma in parola, ed individuata la latitudine delle condizioni in cui inscrivere i
possibili provvedimenti di questa Corte per stabilirne l’atteggiarsi del contenuto.
Deve, quindi, affrontarsi il tema delle situazioni soggettive utilmente deducibili nel presente
procedimento.
Per quanto attiene alla nozione di diritti fondamentali, personali o associativi, è da ritenere
che il bene tutelato e sotteso a tale formula sia la piena esplicazione dei diritti spettanti ai singoli o
alle società in ambito sportivo e che l’intensità della relativa tutela vada commisurata al momento in
cui se ne chiede la attuazione e con riguardo alla irreparabilità della lesione ed alla conseguente
compromissione della posizione stessa. E’ evidente l’impossibilità di predisporre un catalogo di
siffatti diritti fondamentali, ma si può pensare alle corrispondenti categorie ordinanti del diritto
comune ed in particolare a quelle relative alla personalità delle persone fisiche e giuridiche e ai modi
della relativa esplicazione soprattutto nell’ambito della formazione sociale in cui vengono esercitati.
Del resto, come prima anticipato, il carattere fondamentale dei diritti in questione va accertato
con riferimento al tempo nel quale se ne chiede tutela, nel senso che per evitare la postergazione della
tutela stessa si rende necessario l’immediato intervento di questa Corte.
Peraltro, genesi e finalità dell’articolo 32 comma 5 vanno identificate nella necessità di creare
all’interno dell’Ordinamento Federale una camera di compensazione a vantaggio di quelle posizioni
soggettive, personali o associative, che, come si dirà subito, se non riconosciute in ambito federale,
con ragionevole prevedibilità spingerebbero gli affiliati o i tesserati a perseguirne la tutela nel terreno
del diritto comune.
E’, quindi, nella prospettiva di ravvicinamento ed armonizzazione tra Ordinamento Federale e
diritto comune e della eliminazione delle fratture che vi si dovessero frapporre, che va inteso il ruolo
di questa Corte ai sensi dell’art. 32 comma 5, e cioè di una sorta di sentinella dei diritti misconosciuti
o non altrimenti tutelati, il cui spettro è insuscettibile di specifica, preventiva determinazione. Essi
vanno, al contrario, qualificati applicando alle specifiche circostanze del caso i generali criteri
definitori prima esposti, in modo da far risaltare la natura delle singole posizioni soggettive
sottoposte all’esame della Corte, apprezzarne il grado di “fondamentalità” e valutare la gravità della
distorsione che, sul piano complessivo dell’Ordinamento Federale, la mancata protezione
comporterebbe.
Alla stregua delle osservazioni fin qui svolte può darsi risposta alle eccezioni sollevate dalla
odierna intimata nel corso della propria difesa.
Va, in primo luogo, escluso che il ricorso sia stato proposto in prospettiva e con finalità
impugnatorie della pronuncia della C.A.F. e che si tratti di (altrimenti improprie ed inammissibili)
richieste, effettuate dalle medesime parti processuali, di riesame di decisioni rese da Organi di ultima
istanza formulate in un (del tutto inimmaginabile) terzo grado di giudizio federale. Si deve parimenti
escludere, per le ragioni prima indicate, che il ricorso ex art. 32 comma 5 possa essere concepito,
sempre dalle parti dello stesso giudizio, in funzione caducatoria o anche semplicemente elusiva di un
intangibile giudicato: in questo senso non può che confermarsi la costante giurisprudenza di questa
Corte. Tuttavia, le circostanze della fattispecie consentono di qualificare in termini del tutto diversi l’
odierno ricorso e la natura dei fini per suo tramite perseguiti per nulla contraddittori rispetto ai
principi appena enunciati.
Ed invero, la caratteristica peculiare e contraddistintiva dell’ odierno ricorso è, dal punto di
vista procedurale, di essere stato proposto in via principale da soggetto estraneo (per non esserne,
comunque, stato parte) al procedimento all’ esito del quale fu pronunciato il provvedimento delle cui
conseguenze pregiudizievoli esso chiede a questa Corte l’eliminazione. Può ulteriormente osservarsi
che la pronuncia della C.A.F. ha inciso sulla configurazione della classifica del Campionato di Serie
C1 e di fatto ridisegnato la collocazione della Società ricorrente ed interveniente in raffronto con
quella del Calcio Paternò, che si trova come loro nelle zone esposte al rischio della retrocessione
nella serie inferiore, cui è stato attribuito un incremento di punti in virtù della pronuncia della C.A.F..
Ora, è certo che nei confronti della Società ricorrente (cui non è stato spiegabilmente esteso il
contraddittorio nei due gradi del giudizio disciplinare non essendo determinabile a priori l’assetto che
la classifica avrebbe potuto assumere dopo la decisione della C.A.F.) l’Ordinamento Federale non
preveda il rimedio generale – né rimedio assimilabile nella funzione e nei presupposti – che il diritto
comune predispone a favore del terzo negativamente influenzato da una pronuncia ormai passata in
giudicato che abbia in concreto disposto di un suo diritto. Nel caso attuale tale diritto consiste nel
mantenimento della situazione di classifica anteriore, nella quale la Società oggi intimata occupava
una posizione meno vantaggiosa e, come tale, meno capace di esporre la ricorrente al rischio della
retrocessione nella serie inferiore.
Ed allora, a colmare questa lacuna ordinamentale, la cui permanenza alimenterebbe il pericolo
della separatezza tra Ordinamento federale ed ordinamento di diritto comune e discriminerebbe
negativamente i tesserati o gli affiliati cui non venisse riconosciuta identità di posizioni legittimanti o
rimedi sostanziali e processuali rispetto ai soggetti del diritto comune, ben si presta – conformemente
alle intenzioni ed ai fini del costituente federale – la presente sede. E’ qui che deve, pertanto, trovare
recepimento la nota giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 177 del 1995) che – nel
ritenere indispensabile consentire al terzo, toccato dal giudicato amministrativo, di far valere le sue
ragioni dotandolo di uno strumento equivalente a quello che, in altri processi, consente di soddisfare
le medesime esigenze, ha dichiarato illegittime le norme in materia di giudizio davanti agli Organi di
giustizia amministrativa nella parte in cui non prevedono l’esperibilità davanti ad essi
dell’opposizione di terzo ordinaria di cui all’articolo 404 Cod. Proc. Civ..
Da questo punto di vista emerge la ricorrenza nella presente fattispecie del requisito
dell’assenza nell’Ordinamento Federale di strumenti di garanzia corrispondenti o equivalenti a quelli
dell’opposizione di terzo e che la presente è l’unica sede nella quale tale lacuna si sarebbe potuta
fruttuosamente denunciare. E’ altrettanto chiaro, che, nelle more dell’adeguamento dell’Ordinamento
Federale a quello comune in punto di previsione del rimedio impugnatorio dell’opposizione di terzo
ordinaria, non possa che essere la Corte Federale ad intervenire, esercitando l’indeclinabile coppia di
funzioni rescindente – rescissoria nei confronti della decisione che ha determinato la reazione del
terzo ritenutosi da essa pregiudicato ed attraendo davanti a sé la materia, cioè svolgendo la funzione
di giudice dell’opposizione. Ché, se ciò non avvenisse e la Corte si limitasse alla generica
enunciazione della necessità di colmare normativamente la lacuna, declinando qualsiasi concreto e
possibile, alla luce della stessa formulazione del potere straordinario ex art. 32 comma 5, intervento
volto ad assicurare l’effettiva delibazione della fondatezza del ricorso, verrebbe irrimediabilmente
frustrata la portata garantista della norma. Essa sarebbe, infatti, relegata all’immeritato rango di
inconcludenti declamazioni, ciò che è l’esatto contrario del disegno riformatore obiettivato nella
norma in questione.
Ciò detto con riguardo alla ricorrenza delle condizioni in senso ampio processuali di
ammissibilità del ricorso, è da dire che con altrettanta nettezza sussistono quelle di carattere
sostanziale, nel senso che quelli fatti valere dai ricorrenti davanti la Corte sono diritti fondamentali
nel senso prima illustrato. Ed invero, è indubitabile che debba essere ascritto al genere dei diritti
fondamentali (con evidenti refluenze sia sul versante personale che su quello associativo) tanto il
diritto ad un giusto processo, solo reso possibile dalla concreta previsione per il terzo estraneo alla
regolamentazione processuale di “res inter alios acta” ricadente nella sfera dei propri diritti di un
rimedio che gli assicuri il reinserimento nel circuito processuale e la possibilità di far valere le
proprie ragioni con efficacia e garanzie pari a quelle di cui avrebbe goduto se fosse stato sin
dall’inizio parte del processo in cui si giudicava “senza di lui contro di lui”, quanto il diritto alla
stabilità ed immodificabilità della classifica del campionato di appartenenza se non attraverso la
garanzia originaria del contraddittorio o postuma dell’opposizione di terzo e mediante le forme del
giusto processo e nell’ottica dell’esplicazione del pieno diritto di difesa.
Va ancora posto in rilievo che la pretesa a non vedere rimaneggiata, sia pure in forma mediata
e di occasionalità materiale, la propria posizione sportiva (più circoscritta espressione della generale
posizione del tesserato o dell’affiliato nell’ordinamento sportivo) costituisce il riflesso soggettivo
della generale e condivisa aspirazione al regolare svolgimento della competizione, che verrebbe
compromessa se le modifiche non fossero precedute o accompagnate da adeguate garanzie per tutti
gli affiliati o associati.
Ed ancora, la fattispecie sottoposta all’esame della Corte esibisce un altro, duplice e
notevolissimo profilo giustificativo dell’intervento integrativo ex art. 32, riconducibile alla sfera
equitativa.
Si tratta, infatti, di un intervento che viene ad essere invocato nella fase conclusiva del
campionato, allorché la dilatazione dei tempi o la mancanza di sollecitudine nell’accertamento della
fondatezza delle ragioni del ricorrente comporterebbero automaticamente un sostanziale diniego di
tutela. In secondo luogo, vi è da ravvisare nel caso concreto un serio momento di disarmonia
all’interno dello stesso Ordinamento Federale che, come risulta documentalmente, ha punito con
sanzioni cumulative un medesimo fatto – infrazione disciplinare, e cioè lo schieramento in una gara
di Campionato Primavera di un calciatore squalificato in una gara di campionato di serie superiore.
Ed infatti, è stata comminata, rispettivamente dalla C.A.F. e dal Giudice disciplinare competente, la
medesima sanzione sportiva della perdita della gara per 0 - 2 sia con riferimento alla gara disputata
nella serie superiore che in quella giocata nella competizione minore. A prescindere per il momento
dalla valutazione sulla legittimità della prima delle due sanzioni ( costituente oggetto del ricorso), è
innegabile che la sovrapposizione di sanzioni per un medesimo fatto integri – laddove si consideri
l’aspetto della mancata previsione normativa di una simile eventualità – dal punto di vista sostanziale
la viola zione del principio di legalità, e, dal punto di vista processuale, lo strappo alla regola del “ne
bis in idem.”
Conclusivamente, il ricorso deve considerarsi ammissibile e l’intervento della Corte, nei limiti
in cui è stato sollecitato e nei termini che si andranno esponendo, va reputato un essenziale tassello
per il completamento della funzione di garanzia e tutela dei diritti dei tesserati o affiliati nell’ambito
federale, nonché di accostamento dell’ordinamento sportivo al modello del diritto comune. Così
inteso lo statuto dei poteri connessi alla norma dell’art. 32 comma 5, essi assicurano una prospettiva
non meramente burocratica, sempre più oggetto di ripulsa da parte degli stessi giudici ordinari, ma di
attenzione e rispetto per i c.d. diritti muti e connota la funzione della Corte in chiave non
esclusivamente nomofilattica ma di sostanziale garanzia dell’intero ordinamento sportivo.
Deve ora procedersi all’esame del merito del ricorso, iniziando dal primo e diffuso motivo
incentrato su una pretesa illegittimità dell’ impugnazione davanti la C.A.F. della decisione dei primi
giudici da parte dell’odierno intimato, che sarebbe stato privo di legittimazione processuale, in
quanto estraneo al giudizio di primo grado.
Il motivo è infondato.
Deve, infatti, osservarsi che la decisione dei giudici di primo grado certamente riverberava
negativamente i propri effetti sulla posizione dell’intimata, in quanto aveva rigettato la denuncia di
irregolare schieramento nella competizione di serie minore di un calciatore squalificato nella
competizione di seria maggiore. Ora proprio dal diniego della pretesa dell’odierna intimata di
ottenere la vittoria – sanzione con il risultato di 2 – 0 ha tratto origine l’impugnazione davanti alla
C.A.F. con l’intento di conseguire lo stesso bene della vita non attribuito in prima istanza.
Né vale sostenere in contrario che sarebbe preclusa l’impugnazione a chi non sia stato parte
del procedimento di primo grado. Ed infatti, si è ormai consolidata la giurisprudenza (v. per tutti,
CdS, VI, 3 aprile 2002 n. 1854 e, obiter, C. Cost. n. 177/1995 cit.) che considera legittimato
all’appello chi, pur non avendo rivestito la qualità di parte nel procedimento di primo grado, veda
compromesso il proprio interesse dagli effetti della sentenza impugnata.
La C.A.F. ha quindi esattamente riconosciuto questo potere all’odierna intimata.
Le ulteriori censure che il ricorrente ha fatto valere in questa sede sono accomunate dalla
circostanza, chiaramente emersa durante la discussione orale, che sono dirette a denunciare
l’incompatibilità con il diritto federale dell’interpretazione dell’art. 17, commi 3 e 13, del Codice di
Giustizia Sportiva, secondo cui, nel caso di squalifica per una o più giornate di gara, il divieto di
giocare non è limitato alla partecipazione del calciatore alle gare della squadra per cui militava
quando si verificò la violazione, estendendosi alla partecipazione a qualsiasi altra gara ufficiale di
ogni squadra della stessa società.
L’ulteriore censura di incompatibilità con il diritto federale riguarda l’interpretazione secondo
cui, al fine di individuare l’ambito sanzionatorio della norma in materia di squalifiche, il concetto di
“giornata” in cui espiare la sanzione debba identificarsi in tutti i “giorni” in cui si articola il turno
calcistico, ed il divieto di cui all’art. 17 comma 13 del Codice di Giustizia Sportiva non sarebbe
limitato alla partecipazione del calciatore alle gare della squadra per cui militava quando si verificò la
violazione, ma si estenderebbe anche alla partecipazione alle gare ufficiali di altre squadre della
stessa Società, non nel giorno, ma nella stessa giornata di calendario in cui si deve scontare la
qualifica.
Per quanto l’interpretazione che questa Corte è chiamata a dare, e che è destinata a far perno
all’esame del ricorso, muova dall’esame congiunto dei commi 3 e 13 dell’articolo 17 più volte citato,
non può non porsi nel dovuto rilievo che i due commi in parola disciplinano aspetti diversi della
materia della esecuzione delle sanzioni sportive e producono, dunque, effetti diversi e come tali
inidonei a determinare una forma di collegamento tra le stesse, costitutivo di una loro pretesa
“interpretazione unitaria”.
Ed invero, la norma principale che regola la nozione di sanzione consistente nella squalifica
per una o più giornate va esclusivamente identificata nel comma 3 dell’articolo 17, che disciplina sia
il contesto di riferimento oggettivo-temporale di espiazione della sanzione che le relative modalità.
L’esegesi letterale della norma è alquanto agevole, anche alla luce di principi incontestati da tempo
fissati sia da questa Corte che dalla Commissione di Appello Federale. Il fondamentale criterio
regolatore della esecuzione delle sanzioni è duplice: in primo luogo è da considerare che – secondo
Corte Federale C.U. n. 5/Cf stagione 2000/2001- il principio della separatezza delle varie
competizioni previste in ambito federale – affermato da questa stessa Corte con C.U.n. 2/Cf stagione
1998/1999 – trova applicazione anche ai fini della esecuzione della sanzione disciplinare della
squalifica, con la intuitiva conseguenza che la sanzione debba essere scontata nelle gare ufficiali della
squadra per la quale il calciatore giocava quando ha commesso l’infrazione. La seconda cornice di
riferimento è costituita dalla normativa risultante dal Regolamento del Campionato Italiano
Primavera 2002/2003, di cui al C.U. n. 64 del 25 settembre 2002, il cui articolo 6 penultimo comma
stabilisce che agli effetti regolamentari, comunque, le gare verranno considerate come disputate nel
giorno in cui effettivamente si svolgono.
Alla stregua di questa coppia di riferimenti e dell’analisi testuale del comma 3 dell’articolo 17
in esame si legittima la conclusione secondo cui la sanzione della squalifica per una o più giornate di
gara non può, in omaggio al principio della separatezza delle competizioni e di quello speculare della
necessaria inerenza della sanzione stessa alla competizione in cui ha avuto origine la condotta
punibile, che essere espiata nelle gare disputate dalla squadra in cui il calciatore squalificato militava
al momento dell’infrazione ed all’interno della competizione o del torneo in cui la condotta si è
manifestata. Del resto, è anche la logica ad avvalorare questa interpretazione, che si rivela l’unica in
grado di evitare l’elusione degli effetti concretamente penalizzanti della squalifica attraverso il
comodo espediente – incoerente con l’inderogabile principio di lealtà sportiva – della sua espiazione
in una competizione di rango minore o, comunque, di interesse o rilievo inferiore per il calciatore
squalificato o per la squadra di sua appartenenza al momento dell’infrazione. Né l’interpretazione qui
effettuata potrebbe essere messa in crisi dall’altra che ritenesse che l’ambito di espiazione della
squalifica debba estranearsi dal riferimento alla competizione o al torneo di realizzazione della
condotta illecita e identificarsi piuttosto nell’ambito delle gare ufficiali della società di appartenenza
del calciatore, individuandole a prescindere dal camp ionato o torneo e, quindi, in forma eterogenea e
globale. Si tratta, infatti, di una costruzione non solo priva del necessario avallo testuale che legittimi
l’ipostasi tra il “termine squadra” adoperato nella norma ed il diverso “termine società” che non può
essere utilizzato in sede sportiva in senso patrimonial- imprenditoriale, ma del tutto contraddittoria
rispetto alla fondamentale esigenza di continenza della sanzione al contesto agonistico della sua
maturazione. Ed allora alla locuzione gare ufficiali della squadra nella quale militava di cui al
comma 3 in esame non può che attribuirsi il senso proprio fatto palese dalle parole usate, e cioè che il
precetto si riferisca soltanto alle gare ufficiali disputate dalla squadra di appartenenza del calciatore
nell’ambito della manifestazione in cui si svolse la condotta punita.
Intimo corollario di questa interpretazione de plano è che la mancata disputa, nella
competizione in cui era stata posta in essere la condotta punita, della gara immediatamente successiva
a quella di adozione del provvedimento comminatorio realizza l’incontestabile effetto espiatorio della
pena ed esclude qualunque carattere di illiceità sportiva con riferimento alle gare disputate nel corso
della medesima competizione dal calciatore nella propria squadra successivamente alla espiazione
della squalifica stessa per il numero di giornate previsto nei termini appena indicati. Correlativamente
ed intuitivamente nessuna sanzione è concepibile con riferimento a gare disputate dal calciatore
nell’ambito della competizione sportiva nel corso della quale era stata posta in essere la condotta
sanzionata una volta che egli non abbia partecipato, per il numero di giornate previsto dall’organo
disciplinare, alle gare disputate dalla propria squadra in quella competizione. E’ indubbio che il
risultato acquisito sul campo, eventualmente posto nel nulla da provvedimenti adottati da Organi di
Giustizia Sportiva incompatibili con l’interpretazione qui fissata o contrari alla stessa, debba essere
ripristinato a tutela dei diritti fatti valere davanti a questa Corte ai sensi dell’articolo 32 comma 5
dello Statuto Federale dal tesserato o affiliato che fosse stato penalizzato, come in questo caso, da
una interpretazione difforme adottata sul presupposto, qui espressamente dichiarato inaccoglibile,
della inefficacia della espiazione della sanzione nel modo prima più volte descritto.
Altro è il quadro di riferimento della disposizione di cui al comma 13 dell’articolo 17. Essa
non può in alcun modo essere intesa come norma additiva a quella del precedente comma 3 per ciò
che attiene alla materia della esecuzione, e delle relative modalità oggettivo-temporali, della
sanzione. La materia stessa deve, infatti, come prima visto, ritenersi esaurientemente e
completamente disciplinata dallo stesso comma 3, insuscettibile di deroga per effetto di una
inammissibile lettura, con esso incompatibile, del comma 13. Quest’ultima norma, infatti, da un
canto assolve la funzione di prevedere quale forma di sanzione accessoria rispetto a quella
fondamentale fissata dal comma 3 l’inibizione al calciatore squalificato dallo svolgimento di
qualsiasi attività sportiva in ogni ambito federale per il periodo della squalifica; d’altro canto, lo
stesso comma 13 fornisce una inequivoca conferma dell’unicità della interpretazione, nei termini
appena illustrati, del comma 3 che precede, in quanto espressamente precisa che la nozione di
squalifica coincide con quella di mancata partecipazione alle giornate in cui disputa gare ufficiali la
squadra indicata al comma 3 ovverossia “la squadra nella quale (il calciatore) militava quando è
avvenuta l’infrazione che ha determinato il provvedimento”. E’allora chiara l’univocità del disegno
normativo scandito dai due commi in esame della stessa norma e cioè che tanto la sanzione principale
quanto quella accessoria possono solo applicarsi al periodo della squalifica inteso come il lasso tem-
porale in cui si disputano le gare ufficiali della squadra di appartenenza del calciatore nell’ambito
della medesima competizione in cui è stato posta in essere la condotta oggetto di sanzione. Ancora
una volta deve, quindi, ritenersi del tutto scriminata dal punto di vista disciplinare la condotta del
calciatore che, scontata tempestivamente e pienamente la squalifica ne lle gare ufficiali della propria
squadra e nell’ambito del campionato in cui fu sottoposto a sanzione, svolga altre forme di attività
sportiva in ambito federale; parallelamente deve essere ripristinato il risultato acquisito sul campo, ed
eventualmente riformato dagli Organi di Giustizia Sportiva, relativo a gare (disputate nel campionato
nel cui contesto maturò la sanzione) della squadra del calciatore squalificato, che ad esse abbia
partecipato dopo l’espiazione della squalifica stessa.
Specularmente, ricorre l’ipotesi del comportamento sanzionabile ai sensi del comma 13, sotto
il profilo della violazione del divieto inibitorio, allorché il calciatore squalificato nella competizione
in cui fu commesso il fatto sanzionato, svolga attività sportiva in altro campionato, prima di aver
espiato la squalifica nel torneo di competenza.
In conclusione, il ricorso va accolto e, conseguentemente, deve confermarsi il risultato
acquisto sul campo nel corso della gara oggetto del ricorso stesso. Va disposta la restituzione della
tassa versata.
P.Q.M.
la Corte federale, decidendo sul ricorso in epigrafe proposto dalla Vis Pesaro 1898 di Pesaro, lo acco-
glie e, per l’effetto, conferma il risultato della gara Pescara/Paternò del 19 aprile 2003. Dispone la
restituzione della tassa versata.