Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 27 luglio 2004– www.coni.it
Decisione impugnata: Revoca dell’affiliazione dell’A.C. Parma, l’annullamento dell’autorizzazione al conferimento e dei provvedimenti connessi e conseguenti in favore di F.C. Parma, nonché dei provvedimenti presupposti e conseguenti. - www.figc.it
Parti: A.C. Perugia S.P.A. contro F.I.G.C. + Parma A.C. S.P.A. + Altri
Massima: La Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del CONI è competente a decidere su tutte le questioni attinenti direttamente o indirettamente alla revoca dell’affiliazione di una società sportiva oltre che sugli altri provvedimenti degli organi federali e segnatamente sull’approvazione del conferimento dell’azienda sportiva. I giudici amministrativi di primo e di secondo grado hanno concordato nell’attribuire rilevanza pubblicistica alle deliberazioni federali in materia di revoca dell’affiliazione. Il giudice di primo grado, però, ha ritenuto che ciò non determini una sottrazione delle relative controversie all’istituto arbitrale. L’esplicita salvaguardia legislativa delle clausole arbitrali previste nello statuto del C.O.N.I. e delle federazioni sportive, aventi ad oggetto qualsiasi controversia in materia sportiva, sarebbe anzi tale da ridurre la rilevanza della distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Il giudice amministrativo si dovrebbe pertanto limitare a conoscere delle impugnazioni del lodo, che in ogni caso, in tal genere di controversie, non sarebbe affetto da nullità per incompromettibilità in arbitrato della questione (Tar Lazio n. 2897/04). Il giudice amministrativo di secondo grado, invece, ha raggiunto una diversa conclusione. Ha riconosciuto la piena competenza dei collegi arbitrali operanti nell’ambito della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport a pronunciarsi su tutte le controversie sportive, comprese quelle a rilevanza pubblicistica. Il Consiglio di Stato, però, ha ritenuto che tali pronunce, laddove tocchino una materia di rilievo pubblico, siano rese nell’esercizio di una funzione oggettivamente amministrativa: ciò in ragione dell’asserita incompatibilità con l’istituto arbitrale di alcuni elementi propri dello speciale sistema di risoluzione delle controversie istituito presso il C.O.N.I. (Cons. St., n. 5025/2004). Le prime indicazioni fornite dalla giurisprudenza amministrativa dunque sono contraddittorie; e la stessa posizione espressa nella sentenza n. 5025 resa dalla sesta sezione non può ritenersi consolidata: basti d’altra parte considerare che sono ancora aperti i termini per un ricorso in Cassazione avverso tale sentenza, per questioni di giurisdizione. In questo quadro, contrassegnato da profonde incertezze nella stessa giurisprudenza amministrativa, la questione non possa essere risolta invocando l’automatica applicazione dei più restrittivi orientamenti tradizionalmente formulati con riguardo alle controversie di cui sia parte una pubblica amministrazione. Anche in quest’ultimo ordine di ipotesi, in verità, è possibile registrare negli ultimi anni una profonda evoluzione normativa e giurisprudenziale. Da tempo, si riconosce la compromettibilità in arbitrato delle controversie relative all’attività di diritto privato della pubblica amministrazione di naturale spettanza dell’autorità giudiziaria ordinaria. Più di recente, la legge n. 205/2000 ha esplicitamente affermato la possibilità di risolvere in arbitrato rituale di diritto anche le controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Dalle norme che facoltizzano la negoziazione del potere amministrativo attraverso la stipula di accordi procedimentali (artt. 11 e 15, l. n. 241/1990) c’è poi chi addirittura trae la conclusione che anche l’interesse pubblico sia disponibile: pertanto, persino le controversie che contrappongono questo agli interessi legittimi dei privati sarebbero passibili di compromesso arbitrale. Dunque, anche con riguardo alle controversie di cui sia parte una pubblica amministrazione, si registra una chiara tendenza alla progressiva estensione delle ipotesi in cui è ammesso il ricorso all’arbitrato. Ne consegue la competenza della Camera per tre ordini di ragioni. In primo luogo, la Federazione costituisce un soggetto formalmente e sostanzialmente privato, non pubblico. Ciò risulta in modo inequivocabile dal decreto legislativo n. 242/1999, successivamente modificato e integrato dal d.lg. n. 15/2004, secondo cui le Federazioni sportive nazionali sono persone giuridiche di diritto privato. Permane, è vero, una loro dimensione pubblicistica, ma questa si appunta esclusivamente su specifici segmenti dell’attività, la cui individuazione è rimessa allo Statuto del C.O.N.I.. Anche a voler ammettere che le vicende controverse involgano lo svolgimento di uno dei profili a rilevanza pubblicistica dell’attività delle Federazioni sportive nazionali, il Collegio non ritiene che se ne possano trarre le conseguenze prima indicate in termini di qualificazione delle situazioni giuridiche soggettive e di limiti alla deducibilità in arbitrato delle stesse. In questo ordine di idee si pone ora il nuovo art. 22, comma 2, dello Statuto del C.O.N.I. ove si afferma che “nell’esercizio delle attività a valenza pubblicistica, di cui al comma 1, le Federazioni sportive nazionali si conformano agli indirizzi e ai controlli del C.O.N.I. ed operano secondo principi di imparzialità e trasparenza”. Tuttavia, si chiarisce espressamente che “la valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse”. Ciò vale anche nel caso di specie, dove i poteri della Federazione di cui si discute nella presente controversia non sono certo riconducibili al paradigma tipico della discrezionalità amministrativa, ma si presentano in termini rigorosamente vincolati. È dunque opinione del collegio che rispetto agli atti in questione, al ricorrere dei requisiti previsti, le società sportive abbiano un diritto soggettivo all’emanazione dell’atto positivo o negativo. In secondo luogo, le controversie in esame non involgono i rapporti tra soggetti giuridici reciprocamente estranei, l’uno, la Federazione, titolare di una situazione di potere, e gli altri, le società sportive, destinatarie passive del corretto esercizio di tale potere. La federazione, infatti, è l’associazione (privata) di tali società, con la conseguenza che tra l’una e le altre si controverte semplicemente della corretta esecuzione del contratto associativo. In altri termini, la stessa controversia relativa alla revoca dell’affiliazione appare molto più simile a quella concernente l’esclusione dell’associato per gravi motivi di cui all’art. 24 c.c. che all’irrogazione di una sanzione amministrativa. Di conseguenza, la valutazione della compromettibilità in arbitrato delle controversie deve essere svolta con categorie privatistiche, non pubblicistiche. Anche in questa diversa prospettiva è possibile rilevare un deciso favor dell’ordinamento per l’estensione del ricorso all’istituto arbitrale. Si pensi alla recente riforma del diritto societario, ove già la legge delega apriva la strada all’inserimento negli statuti di clausole compromissorie aventi anche ad oggetto questioni che non possono formare oggetto di transazione, in deroga agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile. Quindi l’art. 3 del decreto legislativo n. 5/2003 ha espressamente previsto la deferibilità in arbitrato delle impugnative relative alle delibere assembleari e consiliari. In una logica non dissimile va dunque apprezzata l’ampia previsione contenuta negli statuti delle Federazioni sportive, sulla base della norma facoltizzante contenuta nell’art. 12 dello Statuto del C.O.N.I. del 2000, che istituisce, presso il medesimo ente pubblico rappresentativo di tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo, la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport. L’art. 27 dello Statuto della F.I.G.C., in particolare, consente la devoluzione in arbitrato di pressoché tutte le controversie tra la federazione e altro soggetto dell’ordinamento federale. Le uniche limitazioni riguardano le sanzioni tecnico-disciplinari inferiori a 120 giorni e quelle in materia di doping: nessun riferimento è fatto ad altri limiti derivanti dalla natura dei poteri esercitati o delle situazioni giuridiche soggettive azionate. Più di recente, la stessa F.I.G.C. ha concorso all’introduzione nell’ordinamento di una nuova speciale procedura arbitrale amministrata dalla stessa Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport in materia di rilascio delle licenze UEFA e di iscrizione ai campionati professionistici, predisponendo e sottoscrivendo le relative clausole compromissorie, nonostante la rilevanza pubblicistica anche di tali decisioni. In terzo luogo, solidi argomenti in favore del superamento dell’eccezione di incompromettibilità derivano dalla configurazione particolarmente ampia che la clausola arbitrale riveste nell’ambito dell’ordinamento sportivo e della legislazione statale in materia di sport. Innanzi tutto, è bene ricordare che, nell’ambito dell’ordinamento sportivo internazionale, al quale deve necessariamente uniformarsi quello nazionale, da anni opera un Tribunale arbitrale dello sport, cui sono devolute, tra le altre, proprio alcune di quelle controversie, che, inquadrate nelle categorie giuridiche nazionali, sono espressione del potere pubblicistico delle federazioni (in primis le sanzioni in materia di doping). Ma, per venire alla legislazione statale in materia di sport, decisiva appare la legge 17 ottobre 2003, n. 280. La legge, innanzi tutto, introduce una speciale riserva in favore della giustizia endoassociativa per tutte le questioni rilevanti esclusivamente per l’ordinamento sportivo. La legge, inoltre, devolve la maggior parte delle controversie aventi ad oggetto atti del Comitato Olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive rilevanti per l’ordinamento statale alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Allo stesso tempo, però, la legge afferma espressamente che «in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e delle Federazioni sportive». L’ambito delle controversie compromettibili in arbitrato, dunque, appare in questo settore persino più ampio di quello previsto dall’art. 6 della legge n. 205 del 2000, travalicando la sfera dei diritti soggettivi e aprendo la strada anche all’arbitrato irrituale.