Massima n. 288401

Decisione G.U.I.. – C.O.N.I.: Decisione n. 06/07 del 28 settembre 2007 – www.coni.it Decisione impugnata: Delibera dalla C.A.F. (F.I.G.C.) pubblicata sul Com. Uff. n. 61/C del 21/6/2007 - www.figc.it Impugnazione – istanza: F.F. Massima: La lista WADA delle sostanze vietate ha carattere tassativo e non meramente esemplificativo, dal momento che è parte integrante della lista delle sostanze e dei metodi proibiti, aggiornata e pubblicata annualmente dalla WADA ai sensi dell’art. 4.3 del Codice WADA e contenente la tassativa elencazione di tutte le sostanze ed i metodi proibiti; si consideri, al riguardo, che la mera presenza di una sostanza proibita, o dei suoi metabolici o markers nell’organismo di un atleta, costituisce violazione del regolamento antidoping (e quindi doping), in base al principio di responsabilità oggettiva adottato dalla WADA.  Massima: La giurisprudenza del TAS conferma come un atleta debba personalmente accertarsi di non assumere alcuna sostanza vietata e come il tesserato sportivo debba dimostrare, di non sapere o sospettare o non poter ragionevolmente sapere o sospettare, pur esercitando la massima cautela, di assumere una sostanza proibita.   Decisione C.G.F.: Comunicato Ufficiale n. 18/CGF Riunione del 14 settembre 2007 n. 2 con motivazione sul Comunicato Ufficiale n. 103/CGF Riunione del 5 febbraio 2008 n. 2 - www.figc.it Impugnazione - istanza:Deferimento ufficio di Procura Antidoping del C.O.N.I. a carico della calciatrice A.C., tesserata in favore dell’ACFD Dinamo Ravenna, per violazione dell’art. 2.1 delle norme sportive antidoping del C.O.N.I. Massima: La calciatrice è sanzionata con la squalifica per mesi tre ai sensi dell’art. 10.3 delle Norme Sportive Antidoping per essere risultata positiva a metabolita di tetraidrocannabinolo al controllo antidoping effettuato in occasione della gara.   Decisione C.G.F.: Comunicato Ufficiale n. 18/CGF Riunione del 14 settembre 2007 n. 1 con motivazione sul Comunicato Ufficiale n. 103/CGF Riunione del 5 febbraio 2008 n. 1 - www.figc.it Impugnazione - istanza:Deferimento ufficio di Procura Antidoping del C.O.N.I. a carico del calciatore E.A.S., tesserato in favore della società Arzignano Grifo C5, per violazione dell’art. 2.1 delle norme sportive antidoping. Massima: Il calciatore è sanzionato con la squalifica per anni 1 ai sensi dell’art. 10.5.2 del vigente regolamento antidoping (riduzione della sanzione alla metà del periodo minimo di squalifica teoricamente applicabile, corrispondente ai due anni richiesti dalla Procura Antidoping) per positività dovuta alla presenza di Furosemide nel campione biologico, esaminato dal Laboratorio Antidoping di Colonia, prelevato per il controllo antidoping previsto al termine della gara di calcio a 5. Nel caso di specie il calciatore sosteneva che la positività era conseguenza dell’assunzione del farmaco “ Lasix “, nella convinzione che lo stesso non rientrasse nelle sostanze vietate, per problemi diuretici e di emicrania.   Decisione C.G.F.: Comunicato Ufficiale n. 2/CGF Riunione del 17 luglio 2007 n. 3 con motivazione sul Comunicato Ufficiale n. 81/CGF Riunione del 23 gennaio 2008 n. 3 - www.figc.it Decisione impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 391 del 26.6.2007 Impugnazione - istanza:Ricorso del calciatore C.N. avverso la sanzione della sospensione da qualsiasi attività sportiva per anni 2 a partire dal 15.3.2007 a seguito di deferimento della Procura Antidoping del C.O.N.I. per violazione dell’art. 2.1 delle norme sportive antidoping del C.O.N.I. Massima: Quando non vi è contestazione in ordine alla correttezza degli esami di laboratorio eseguiti sui campioni di urina prelevati – che hanno evidenziato la presenza di metaboliti della cocaina – si deve ritenere provato che il comportamento del calciatore integra la violazione della disciplina dettata dall’art. 2.1. del Regolamento Antidoping del C.O.N.I., che sanziona “2.1 La presenza di una sostanza vietata o dei suoi metabolici o marker in un campione biologico dell’Atleta” e fa obbligo “2.1.1 [ad] ogni Atleta” di “assicurarsi personalmente di non assumere alcuna sostanza vietata”, sancendo, al contempo, che “gli Atleti sono ritenuti responsabili dell’assunzione di qualsiasi sostanza vietata, nonché dei relativi metabolici o marker, rinvenuti nei loro campioni biologici. Pertanto” – sempre secondo detta disposizione – “per l’accertamento di una violazione antidoping ai sensi dell’art. 2.1 non è indispensabile dimostrare che vi sia dolo, colpa, negligenza o uso consapevole da parte dell’Atleta. 2.1.2 Fatta eccezione per le sostanze per cui la Lista delle sostanze o delle pratiche vietate stabilisce un quantitativo limite, la semplice presenza di una sostanza vietata, o dei suoi metaboliti o marker, nel campione biologico di un Atleta costituisce di per sé una violazione del Regolamento Antidoping”.  Massima: La nota di commento all’art. 2.1 della citata normativa antidoping, pur avendo dato atto che questa ha sancito la “responsabilità oggettiva in caso di rinvenimento di una sostanza vietata in un campione biologico dell’Atleta”, ha comunque previsto “che le sanzioni possano essere modificate in base a criteri specifici” e “rappresenta il giusto equilibrio tra una rigorosa esecuzione delle norme antidoping a tutela di tutti gli Atleti <<puliti>> e il rispetto del principio di equità nei casi eccezionali in cui una sostanza vietata sia stata assunta dall’Atleta senza alcuna colpa o negligenza da parte sua”. La nota de qua, inoltre, ha ritenuto “importante sottolineare che mentre le violazioni del Regolamento Antidoping sono definite in base al principio di responsabilità oggettiva, l’imposizione di un determinato periodo di squalifica non è affatto automatica”. Ciò premesso, va sottolineato, che l’art. 43 del codice penale, nel definire l’elemento psicologico del reato – sancisce che “il delitto .... è colposo, o contro l'intenzione quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. La Corte Suprema ha insegnato, con giurisprudenza consolidata, che “il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell'evento. Questa, nel dolo eventuale, si propone non come incerta, ma come concretamente possibile e l'agente nella volizione dell'azione ne accetta il rischio, così che la volontà investe anche l'evento rappresentato. Nella colpa cosciente la verificabilità dell'evento rimane un'ipotesi astratta che nella coscienza dell'autore non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto, non è in alcun modo voluta” (Cass. pen., Sez. I, 8 novembre 1995, n. 832). Nel caso di specie il calciatore ha posto in essere – nella vicenda in esame – una chiara fattispecie di “colpa cosciente”: infatti ha ammesso di avere fumato la sigaretta consegnatagli già accesa – non si sa a quale titolo -, in un locale pubblico, da uno sconosciuto, e, quindi, pur se non avesse perseguito volontariamente lo scopo di ingerire una droga, ha omesso di osservare la necessaria cautela che gli imponeva di non accettare questo tipo di offerta non comune, onde doveva certamente prospettarsi la possibilità che in tal modo si esponeva al rischio di assumere sostanze proibite e, quindi, di infrangere regole di valore primario ai fini di un corretto esercizio delle attività sportive. Pertanto, ha volontariamente e coscientemente posto in essere una condotta, dalla quale poteva derivare – come poi è avvenuto – una conseguenza (positività al controllo antidoping) sanzionabile disciplinarmente. Egli, in altre parole, ha compiuto un atto vietato dall’ordinamento sportivo, violando una elementare norma di comune prudenza – sancita dal già ricordato art. 2.1.1 - , che fa obbligo ad “ogni atleta” di “assicurarsi personalmente di non assumere alcuna sostanza vietata” - e pertanto, è sicuramente colpevole, anche se la norma innanzi citata specifica pure che “per l’accertamento di una violazione antidoping ... non è indispensabile dimostrare che vi sia dolo, colpa, negligenza o uso consapevole da parte dell’Atleta”.  Massima: La C.G.F., in ordine alla distinzione tra sostanze vietate “in competizione” e “fuori competizione” prevista dal Regolamento Antidoping, ritiene di dovere confermare l’orientamento già segnato dalla Commissione d’ Appello Federale, secondo cui – alla luce delle “definizioni” formulate nell’Appendice a detta normativa e della nota posta in calce alla stessa - la diversa catalogazione tra sostanze vietate “in and out competition” e quelle vietate solo “in competition” mira a distinguere – nel primo caso - le sostanze che sono da considerarsi proibite indipendentemente dal momento in cui vengono rinvenute nell’organismo dell’atleta e, quindi, anche a distanza di tempo da una competizione ed in nessun modo ad essa collegate (out competition), da quelle sostanze, come appunto la cocaina, che sono invece vietate laddove riscontrate in occasione della gara (in competition) (cfr. decisione della Commissione di Appello Federale Com. Uff. n. 61/C del 21.6.2007 su ricorso della Procura Antidoping in relazione alla delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti Com. Uff. n. 374/C del 31.5.2007). La distinzione che precede, quindi, si basa non sull’epoca dell’assunzione ma sul diverso tempo in cui vengono effettuati i controlli e, qualora positivi, sul momento in cui viene rinvenuta la sostanza vietata nell’organismo dell’atleta; ciò in totale coerenza con la previsione dei controlli fuori delle competizioni stabiliti dall’art. 5.11 del Regolamento e disciplinati, come è noto, dallo Standard Internazionale per i controlli. La nota esplicativa posta in calce alla citata Appendice ha chiaramente precisato che la predetta differenziazione tra “durante le competizioni” e “fuori delle competizioni” “è importante, perché soltanto i test <<durante le competizioni>> sono basati sulla Lista delle sostanze e delle pratiche vietate completa. Gli stimolanti vietati, ad esempio, non sono testati fuori delle competizioni perchè non incrementano le prestazioni, salvo quando sono presenti nell’organismo dell’atleta durante la competizione. Purché lo stimolante vietato non sia presente nell’organismo dell’atleta al momento della competizione, non fa alcuna differenza se detto stimolante sia stato rinvenuto nell’urina dell’atleta il giorno prima o dopo della competizione”.  Massima: E’ opportuno ribadire che l’atleta professionista ha il generale obbligo di osservare – nelle sue condotte di vita - un grado di diligenza e responsabilità delle proprie azioni superiore rispetto ad un soggetto comune. Pertanto, nel caso di specie, l’accettare sigarette o bevande da sconosciuti senza accertarne l’integrità, la provenienza ed il contenuto, il farne uso - ammesso che le circostanze indicate dal calciatore fossero state dimostrate, il che non è -, costituiscono elementi costitutivi di una condotta cosciente, che ha esposto l’autore al rischio di assunzione, sia pure inconsapevole, di una droga o di altre sostanze vietate, che non possono costituire esimente ai sensi dell’art. 10.5.1 del Regolamento Antidoping, secondo il quale “l’uso di una sostanza vietata o di un metodo proibito ai sensi dell’art. 2.2. se l’atleta dimostra di non essere responsabile della violazione per propria colpa o negligenza, il periodo di squalifica viene annullato. Se una sostanza vietata o i relativi marker o metaboliti, viene rinvenuta in un campione biologico dell’atleta in violazione dell’art. 2.1 (presenza di una sostanza vietata), l’atleta per far cancellare il periodo di squalifica deve dimostrare in quale modo la sostanza vietata è penetrata nel suo organismo”. Massima: Il calciatore risponde della violazione della normativa antidoping, perché a seguito di controllo antidoping effettuato, al termine della gara veniva accertava la positività dello stesso per la presenza, nel campione biologico, di benzoilecgonina e di ecgonina metilestere, metaboliti di cocaina.
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