Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 13 ottobre 2008 – www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera della CGF pubblicata sul C.U. n. 31/CGF del 2/10/08 – www.figc.it
Parti: S.S. Calcio Napoli SpA - Federazione Italiana Giuoco Calcio
Massima: La Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del CONI non è competente a decidere sull’istanza di arbitrato avente ad oggetto l’impugnazione della delibera della CGF con la quale la società è stata sanzionata con l’obbligo di disputare una o più gare “con uno o più settori privi di spettatori”. In materia di arbitrabilità delle controversie sportive, come già questa Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport ha avuto modo di rilevare, per i tesserati e affiliati alle federazioni sportive «la partecipazione alla procedura arbitrale, in caso di controversia, non costituisce solo esercizio di un diritto, bensì si sostanzia anche in un onere, conseguente alla rinuncia alla generale competenza dell’A.G.O., realizzata una volta per tutte con la domanda di affiliazione o associazione, ovvero di volta in volta, con la redazione di apposito accordo arbitrale. Le norme che prevedono l’accesso all’arbitrato sportivo sono di stretta interpretazione, proprio perché realizzano una limitazione al diritto dei soggetti affiliati o tesserati al giudice naturale stabilito per legge» (cfr. lodo Roma Softball Club ASD/ Federazione Italiana Baseball Softball del 20.4.2007). Osserva ancora preliminarmente il Collegio che l’arbitrato innanzi alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, è espressamente qualificato come arbitrato irrituale (art. 8, comma 7, del Regolamento della Camera). Ad esso, pertanto, non è applicabile il criterio ermeneutico che la norma dell’art. 808 quater c.p.c. prevede per l’arbitrato rituale (arg. ex art. 808 ter c.p.c.). Pertanto, l’interpretazione della pattuizione compromissoria contenuta nello Statuto della F.I.G.C. va condotta in base ai canoni ermeneutici contrattuali forniti dagli artt. 1362 e segg. cod. civ., dovendo invece restare estranei all’indagine concetti propri dell’interpretazione delle norme giuridiche, quali il principio di specialità e l’applicazione analogica. Al riguardo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità prevede che «In tema di interpretazione del contratto, l'art. 1362 c.c. pone il principio non dell'interpretazione letterale bensì della ricostruzione della volontà delle parti, in ordine alla quale il tradizionale e non codificato principio "in claris non fit interpretatio" postula che la formulazione testuale sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa, ciò che costituisce, in materia di interpretazione del contratto, proprio il "thema demonstrandum", e non già premessa argomentativa di fatto» (Cass. civ. Sez. I, 13/07/2004, n. 12957). Dal mero riferimento letterale, operato nella clausola compromissoria prevista nell’art. 30, comma 3, dello Statuto della F.I.G.C., all’obbligo di disputare una o più partite a “porte chiuse”, e non anche all’obbligo di disputare una o più gare “con uno o più settori privi di spettatori”, non consegue che le controversie che danno luogo a questa seconda sanzione debbano considerarsi escluse da quelle che la previsione statutaria sottrae alla congizione di questa Camera. Non vi sono infatti, nello Statuto, elementi tali da far ritenere che l’obbligo di disputare una partita a porte chiuse si riferisca alla sola chiusura di tutto lo stadio e non anche alla chiusura di uno o più settori soltanto di esso. Dalla definizione che l’art. 24 del regolamento disciplinare FIFA dà dell’obbligo di disputare partite “a porte chiuse” (“behind closed doors”) si ricava che tale provvedimento è diretto a sanzionare una squadra obbligandola a giocare senza spettatori. E tale è, ancorché in misura quantitativamente diversa, anche l’effetto della chiusura di parte dei settori dello stadio. L’attività interpretativa deve allora, indirizzarsi ad individuare la volontà delle parti per come risultante dall’intero contesto contrattuale di riferimento, considerando le singole previsioni in correlazione tra loro e procedendo al relativo coordinamento. Deve a tal fine osservarsi che dalla disposizione contenuta nel più volte richiamato art. 30 dello Statuto federale risulta che la clausola compromissoria delimita l’ambito delle controversie arbitrabili facendo riferimento ad un elenco in cui le questioni non arbitrali vengono individuate secondo un criterio progressivo di rilevanza, partendo da quelle più lievi e proseguendo con le più gravi: «Non sono soggette ad arbitrato…le controversie decise in via definitiva dagli Organi della giustizia sportiva federale relative ad omologazioni di risultati sportivi o che abbiano dato luogo a sanzioni soltanto pecuniarie di importo inferiore a 50.000 Euro ovvero a sanzioni comportanti: a) la squalifica o inibizione di tesserati anche se in aggiunta a sanzioni pecuniarie, inferiori a 20 giornate di gara o 120 giorni; b) la perdita della gara; c) l’obbligo di disputare una o più partite a porte chiuse; d) la squalifica del campo». La ratio della previsione è evidentemente quella di sottrarre alla cognizione della Camera le controversie di minore rilievo e impatto afflittivo. Ora, è certamente vero che l’elencazione delle controversie non arbitrabili contenute nella norma statutaria contempla solo l’obbligo di disputare una o più partite a porte chiuse e non fa invece riferimento espressis verbis all’obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori, ma occorre considerare che tale sanzione è stata introdotta nell’ordinamento federale in epoca sicuramente successiva all’approvazione del vigente statuto della F.I.G.C. Essa costituisce una misura sanzionatoria diversamente graduata dell’«obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse» e, come tale, è stata inserita nell’elenco delle sanzioni a carico delle società, contemplate dall’art. 18, comma 1, lett. e) del Codice di Giustizia Sportiva, e collocata tra la sanzione dell’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse (lett. d) e la misura della squalifica del campo (lett. f). Considerato, pertanto, che la sanzione dell’obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori non era stata ancora introdotta nell’ordinamento sportivo (e non poteva quindi essere espressamente contemplata) allorquando fu adottata la clausola compromissoria, e ritenuto altresì che la controversia relativa a tale obbligo certamente va ricompresa nel novero delle questioni che, secondo il criterio seguito dalle parti nella clausola compromissoria, non rientrano in quelle rimesse alla decisione arbitrale, non v’è ragione alcuna per non ritenere che essa vada assoggettata allo stesso regime di sindacabilità. Sarebbe infatti del tutto illogico e irragionevole ritenere che le parti, nel contesto di una previsione chiaramente rispondente ad esigenze di deflazione del contenzioso innanzi alla Camera arbitrale ed ancorata ad un criterio di progressiva gravità delle questioni escluse dal campo di arbitrabilità, abbiano escluso dal novero delle controversie arbitrali fattispecie sicuramente più gravi come quelle relative alla chiusura totale dell’impianto al pubblico e alla squalifica del campo, ed incluso invece una obiettivamente meno grave come quella afferente la chiusura di alcuni settori soltanto dello stadio.