F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2017/2018 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione pubblicata sul C. U. n. 65/CFA del 06 Dicembre 2017 (motivazioni) relativa al C. U. n. 51/CFA del 25 Ottobre 2017 (dispositivo) – RICORSO DEL PROCURATORE FEDERALE AVVERSO LA DECISIONE PRONUNCIATA NEI CONFRONTI DEL SIG. PASTORE VINCENZO (ALL’EPOCA DEI FATTI PRESIDENTE DEL COMITATO REGIONALE CAMPANIA – LND) SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 17 C.G.S. – NOTA N. 734/1037 PF16-17 GP/CS/GB DEL 24.7.2017 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 12/TFN del 27.9.2017) RICORSO DEL SIG. PASTORE VINCENZO (ALL’EPOCA DEI FATTI PRESIDENTE DEL COMITATO REGIONALE CAMPANIA – LND) AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 18 INFLITTA AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 17 C.G.S. SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 734/1037 PF16-17 GP/CS/GB DEL 24.7.2017 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 12/TFN del 27.9.2017) RICORSO DELLA LND EX ART. 42 C.G.S. AVVERSO L’INCONGRUITÀ DELLA SANZIONE INFLITTA AL SIG. VINCENZO PASTORE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 17 C.G.S. SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 734/1037 PF16-17 GP/CS/GB DEL 24.7.2017 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 12/TFN del 27.9.2017)
RICORSO DEL PROCURATORE FEDERALE AVVERSO LA DECISIONE PRONUNCIATA NEI CONFRONTI DEL SIG. PASTORE VINCENZO (ALL’EPOCA DEI FATTI PRESIDENTE DEL COMITATO REGIONALE CAMPANIA – LND) SEGUITO PROPRIO DEFERIMENTO PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 17 C.G.S. - NOTA N. 734/1037 PF16-17 GP/CS/GB DEL 24.7.2017 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 12/TFN del 27.9.2017)
RICORSO DEL SIG. PASTORE VINCENZO (ALL’EPOCA DEI FATTI PRESIDENTE DEL COMITATO REGIONALE CAMPANIA - LND) AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 18 INFLITTA AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 17 C.G.S. SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE - NOTA N. 734/1037 PF16-17 GP/CS/GB DEL 24.7.2017 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 12/TFN del 27.9.2017)
RICORSO DELLA LND EX ART. 42 C.G.S. AVVERSO L’INCONGRUITÀ DELLA SANZIONE INFLITTA AL SIG. VINCENZO PASTORE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 17 C.G.S. SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE - NOTA N. 734/1037 PF16-17 GP/CS/GB DEL 24.7.2017 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 12/TFN del 27.9.2017)
1. In linea preliminare, deve essere disposta la riunione dei tre ricorsi in appello, proposti avverso la stessa decisione di primo grado, attesa la loro evidente connessione oggettiva e soggettiva.
2. È opportuno riassumere i tratti essenziali della vicenda sostanziale e processuale all’origine del presente giudizio di appello.
Il Procuratore Federale, il Procuratore Federale Interregionale ed il Procuratore Federale Interregionale Aggiunto, all’esito di una complessa attività di indagine di rispettiva competenza, con nota prot. 734/1037pf16-17/GP/MB/CS/gb del 24 luglio 2017, deferivano al Tribunale Disciplinare Federale il Sig. Vincenzo Pastore.
Al tesserato veniva addebitata la violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 6, CGS, perché, nella sua qualità di Presidente del Comitato Regionale della Campania (dal 5.12.2012 al 13.9.2015), rivestita all’epoca dei fatti, poneva in essere, in particolare nella stagione sportiva 2014/2015, molteplici e reiterate condotte rivolte ad alterare il risultato di singole gare e, di riflesso, il medesimo esito dei relativi campionati, nella piena consapevolezza delle conseguenze del proprio operato.
3. Secondo l’atto di deferimento, l’incolpato, in particolare, provvedeva a concretizzare un vero e proprio sistema illecito, incentrato sulla costante, deliberata violazione della regolamentazione sportiva del C.O.N.I., nonché delle norme federali, legittimando l’utilizzazione, nei vari campionati, di un numero elevatissimo di calciatori risultati privi di tesseramento e di certificazione di idoneità sanitaria.
Ciò avveniva nonostante le informative e le richieste di chiarimenti del presidente della L.N.D., dell’epoca, rag. Tavecchio, di cui tra l’altro alle note riservate del 24.2.2014,del 26.3.2014 e del 9.5.2014, e le successive note del presidente Bellodi del 16.1.2015 e del 26.3.2015, e nonostante che lo stesso incolpato, con lettera a sua firma del 30.1.2015, avesse promesso che avrebbe provveduto ad una “settimanale verifica della situazione in esame”, nonché omettendo di trasmettere gli atti, benché consapevole della illiceità delle condotte realizzate, ai competenti organi della Giustizia Sportiva.
4. L’atto di deferimento, corredato da un’ampia documentazione istruttoria, poneva in rilievo i dati statistici dai quali si evinceva che, nell’ambito del Comitato Regionale Campania e per la stagione sportiva 2014 – 2015, era emerso quanto segue:
- calciatori raggiunti da sanzioni e che non risultavano tesserati, n. 828;
- Società sportive coinvolte, n. 357;
- gare “irregolari”, per la partecipazione di calciatori in posizione irregolare, n. 1272.
5. Pertanto, secondo la Procura, quanto ai campionati, sulla base dei medesimi dati e con riferimento alla stagione sportiva 2014 – 2015, nonché ai contesti nei quali l'evento di alterazione fraudolenta dei risultati è più marcato, si è giunti - nell’ambito delle 1272 gare accertatamente irregolari, utilizzando i filtri del numero delle gare disputate da ciascun Società che aveva schierato calciatori in posizione irregolare, per ciascun campionato, nonché quello delle gare vinte o pareggiate dalle Società che avevano realizzato e quindi beneficiato dell’illecito - all'individuazione dei seguenti campionati, gare e Società, che risultano all’evidenza alterati, suddivisi per ambiti territoriali:
- Seconda Categoria (Società della Provincia di Salerno): almeno 52 gare irregolari per la partecipazione di calciatori non tesserati, 18 delle quali vinte dalla Società che li aveva schierati e 11 pareggiate;
- Terza Categoria Avellino: almeno 161 gare irregolari per la partecipazione di calciatori non tesserati, 57 delle quali vinte dalla Società che li aveva schierati e 24 pareggiate;
- Terza Categoria Napoli: almeno 93 gare irregolari per la partecipazione di calciatori non tesserati, 33 delle quali vinte dalla Società che li aveva schierati e 12 pareggiate;
- Terza Categoria Salerno: almeno 61 gare irregolari per la partecipazione di calciatori non tesserati, 15 delle quali vinte dalla Società che li aveva schierati e 7 pareggiate;
- Regionale Attività Mista (Napoli): almeno 105 gare irregolari per la partecipazione di calciatori non tesserati, 24 delle quali vinte dalla Società che li aveva schierati e 15 pareggiate;
- Regionale Attività Mista (Salerno), almeno 61 gare irregolari per la partecipazione di calciatori non tesserati, 15 delle quali vinte dalla Società che li aveva schierati e 7 pareggiate.
- La Procura contestava all’incolpato, inoltre, le seguenti circostanze aggravanti:
a) l’avere agito con abuso della qualità e delle funzioni di Presidente del Comitato Regionale Campania;
b) l’assoluta gravità dei fatti, per l’estensione del fenomeno in tal guisa ingenerato all’intero calcio dilettantistico della regione Campania, con conseguente ed ingente danno per l’immagine della organizzazione federale;
c) l’avere predisposto una lettera da indirizzare alla Società, con richiesta di “regolarizzazione” delle posizioni di tesseramento (lettera fatta firmare da un dipendente addetto all’Ufficio Tesseramenti), con indicazione di un termine per effettuare tale regolarizzazione, così consentendo alle Società un ulteriore impiego, in posizione illegittima, dei calciatori e delle calciatrici non in regola con la posizione di tesseramento.
7. Con la decisione odiernamente impugnata, il Tribunale Federale ha superato diverse eccezioni preliminari (ora riproposte in appello dal Pastore) e ha accolto – ma solo parzialmente - il deferimento.
A dire del giudice di primo grado, i fatti accertati non potrebbero essere qualificati come integranti la fattispecie dell’illecito sportivo di cui all’art. 7 del CGS, ma andrebbero inquadrati come generica – per quanto ripetuta - violazione dell’art. 1-bis
8. La decisione appellata si basa sulla seguente motivazione. “1. Le eccezioni preliminari Preliminarmente devono essere esaminate le diverse eccezioni preliminari formulate dalla difesa del Pastore che, è d'uopo premettere, si ritiene siano infondate.
Con riferimento al difetto di giurisdizione appare sufficiente richiamare le decisioni già adottate sullo specifico punto dagli organi di giustizia sportiva proprio con riferimento alla posizione del Pastore (per tutte Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, Sez. II, 12 luglio 2017, n. 51).
Ulteriore eccezione, anch'essa infondata, riguarda la presunta estinzione dell'azione disciplinare per violazione dell'art. 32 ter, 32 quinquies, 34 bis e 38 CGS Figc.
Invero l'azione risulta essere stata avviata a seguito della segnalazione del 20 marzo 2017 del Commissario Straordinario Cosimo Sibilia; se è vero che tale nota ha contenuto similare rispetto a quelle già presentate dal precedente commissario straordinario, che hanno condotto ai diversi deferimenti già proposti avverso il Pastore, è pur vero che l'ampiezza e l'entità delle irregolarità contestate ben hanno potuto legittimare diverse azioni della Procura Federale volte a censurare svariati profili di illiceità. In altri termini le precedenti segnalazioni, lungi dall'essere state accantonate ed ignorate dal Procuratore Federale, hanno portato all'adozione di atti di deferimento ben definiti; pertanto, a parere del Collegio nulla vieta alla Procura Federale di avviare, sulla scorta di una notizia analoga ad altre precedentemente inviate, ulteriori indagini riguardanti diverse e/o più ampie e delineate condotte illecite poste in essere dal presunto responsabile.
Anche la presunta violazione dell'art. 15, comma 4 dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali non trova accoglimento giacché la norma citata non trova rispondenza nella versione approvata con deliberazione n. 1523 del 28 ottobre 2014 del Consiglio Nazionale del CONI, né nei principi di giustizia sportiva approvati con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI
- 1519 del 15 luglio 2014.
Del pari infondata deve ritenersi la presunta violazione del ne bis in idem.
La Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 200 del 2016 (citata anche dalla difesa), nel dichiarare illegittima la disposizione di cui all'art. 649 cpp nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale fra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile ed il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale, ha, tuttavia, delineato la portata della propria sentenza precisando, in motivazione che "È il caso di precisare che la conclusione appena raggiunta non impone di applicare il divieto di bis in idem per la esclusiva ragione che i reati concorrono formalmente e sono perciò stati commessi con un’unica azione o omissione. È infatti facilmente immaginabile che all’unicità della condotta non corrisponda la medesimezza del fatto, una volta che si sia precisato che essa può discendere dall’identità storico-naturalistica di elementi ulteriori rispetto all’azione o all’omissione dell’agente, siano essi costituiti dall’oggetto fisico di quest’ultima, ovvero anche dal nesso causale e dall’evento. Tale ultima posizione, in particolare, è fatta propria dal diritto vivente nazionale e se ne è già accertata la compatibilità con la Costituzione e con lo stato attuale della giurisprudenza europea."
In tale contesto, pertanto, sembra a questo Collegio che i fatti contestati con il presente procedimento, pur riguardanti lo stesso periodo storico nonché la medesima attività gestoria, siano ontologicamente diversi rispetto a quelli contestati con i precedenti deferimenti, sia sotto il profilo del nesso causale che sotto il profilo degli eventi consequenziali.
Oggetto di contestazione, nel caso attuale, infatti, a prescindere dalle norme che si sussumono violate, è l'aver posto in essere reiterate condotte illecite volte a favorire una serie di club al fine di alterare il regolare svolgimento delle gare. I deferimenti precedenti, invece hanno avuto ad oggetto da un lato le irregolarità nella gestione finanziaria del Comitato Regionale Campania, dall'altra la circostanza che alcune società ben definite, si fossero iscritte ai campionati di loro competenza con un numero di giocatori tesserati di gran lunga inferiore rispetto al necessario, gettando le basi per l'utilizzo di calciatori non tesserati e in posizione irregolare. Ciò viene precisato anche nel corpo motivazionale della sentenza della Corte Federale d'Appello 112/CFA del 17 marzo 2017, laddove si specifica che "appare circostanza pacifica e, comunque, non contestata e tantomeno smentita che le società meglio specificate nel deferimento di cui trattasi sono state iscritte a competizioni ufficiali organizzate nell'ambito del Comitato regionale Campania pur in difetto del numero minimo di calciatori tesserati e, ancor meno, di un numero utile di giocatori ponendo, così, le premesse perché le società dovessero, di fatto, avvalersi per la disputa di singole gare, di calciatori tesserati."
Trattasi, pertanto, di contestazione fattuale che, per l'ampiezza del fenomeno contestato, per la ripetitività delle condotte contestate, per il diverso titolo di responsabilitá contestata, si appalesa differente rispetto a quelle oggetto dei precedenti deferimenti, così come appare diversa la qualificazione del fatto contestato, inquadrato sotto il profilo del dolo e non già di una mera violazione colposa dell'obbligo di vigilanza. Non a caso, anche nella relazione di accompagnamento al deferimento n. 811 (richiamata dalla difesa) da cui, poi, è scaturita la decisione n. 35/TFN, la Procura Federale non esamina la vicenda oggetto del presente deferimento, limitando si ad affrontare il tema relativo al tesseramento di un numero di giocatori inferiore ad 11 da parte di alcune società; anche la comunicazione di conclusione indagini della Procura Federale (sempre richiamata dalla difesa) relativa al predetto deferimento dà contezza del fatto che la vicenda relativa all'utilizzo dei calciatori non in regola sarebbe stata affrontata con separata indagine.
Nel merito, come già accennato, il deferimento si appalesa fondato sotto il profilo disciplinare; ritiene, infatti, il Collegio che non vi siano elementi probatori sufficienti a far ritenere sussistenti le ipotesi violative formulate dalla Procura Federale. Invero dalle dichiarazioni raccolte in atti si appalesa chiaramente la piena consapevolezza del Pastore nella perpetrazione degli illeciti e il suo concorso nella causazione degli stessi, tuttavia, ai fini della dimostrazione della sussistenza dell'ipotesi di illecito sportivo il presente deferimento soffre di qualche lacuna probatoria.
Non vi è, infatti, alcuna prova e/o riscontro volto ad individuare la concreta alterazione dello svolgimento delle singole gare contestate in elenco (che si sono regolarmente svolte), né l'individuazione dei soggetti che hanno beneficiato di tale presunta volontaria alterazione, anche in ragione del fatto che in tali casi il codice di giustizia sportiva, all'art. 17, ha già previsto una specifica sanzione nel caso, appunto, di comportamenti idonei ad influire sul regolare svolgimento della gara e sembra che, comunque si sia proceduto a deferire i calciatori e le società coinvolte per effetto dell'irregolare utilizzo di calciatori non tesserati.
Non vi è, pertanto, quel quid pluris idoneo a far ritenere il comportamento, seppur doloso, sussumibile nell'alveo della fattispecie di cui all'art. 7 del CGS, la cui ratio è quella di impedire comportamenti volti ad alterare, mediante condotte che si pongono al di fuori degli ambiti tipici del diritto sportivo, nonché penalmente rilevanti, idonei ad alterare l'andamento ed i risultati delle partite di calcio.
Le dichiarazioni assunte in atti dalla Procura Federale, se da un lato evidenziano un gravissimo modus operandi nella gestione del Comitato Regionale Campania - che non si comprende come abbia potuto essere tollerato dagli stessi dichiaranti - tuttavia non definiscono alcun fatto concreto idoneo a far ritenere che sia stato posto in essere alcun atto o tentativo atto ad influire in concreto sui risultati delle numerose partite ove sono stati irregolarmente utilizzati giocatori non tesserati.
La dolosa inerzia mostrata dal Pastore che avrebbe ammesso che tali comportamenti rispondevano ad una presunta logica di "politica federale" si inseriscono in un quadro di generale malgoverno, già censurato, sotto i profili strettamente contabili, con i deferimenti già oggetto di decisione.
D'altronde, come ha giustamente osservato la difesa del Pastore, risultano incomprensibili i motivi per i quali la Procura Federale, ritenendo sussistente la violazione contestata con il deferimento, non abbia deferito sia le società presunte beneficiarie del comportamento tenuto dal deferito, sia i soggetti che hanno dichiarato di essere pienamente a conoscenza dei gravi illeciti posti in essere dal Pastore, per violazione dell'obbligo di denuncia. Tale doveroso adempimento, fra l'altro, non avrebbe richiesto alcun ulteriore particolare attività di indagine, avendo, le dichiarazioni rese, una palese valenza confessoria.
In conclusione il Collegio reputa che il Pastore abbia consapevolmente violato l'art. 1 bis, comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva, proprio in relazione al concorso consapevole dello stesso alle causazione delle infrazioni perpetrate dalle Società, dai dirigenti e dai calciatori ex art. 17 CGS e, pertanto, il deferimento debba essere accolto con riferimento a tale condotta, non risultando, allo stato degli atti - sufficientemente provata la più grave responsabilità contestata dalla Procura federale (sulla possibilità di riqualificare i fatti contestati dalla Procura Federale vedasi, per tutte, TFN- SD, Comunicato Ufficiale n. 17 del 20 agosto 2015.)
In ragione della sussistenza della recidiva, trattandosi di fatti della stessa natura di quelli già sanzionati, il Collegio ritiene congrua la sanzione pari a mesi 18 (diciotto) di inibizione.”
9. Avverso la decisione di primo grado, hanno proposto tre separati reclami:
-
- La Lega Nazionale Dilettanti;
- L’incolpato Pastore;
- La Procura Federale.
10. Le stesse parti, poi, hanno esposto ulteriori difese in ciascuno dei tre distinti procedimenti, confermando le rispettive posizioni difensive.
11. In primo luogo, il Collegio deve verificare l’ammissibilità dell’appello proposto dalla LND, anche alla luce delle articolate deduzioni difensive sviluppate dal Pastore.
12. Con il proprio reclamo, la Lega intende contestare la decisione di primo grado, nella parte in cui essa, pur accogliendo, nella sostanza, l’impostazione accusatoria, ha riqualificato la natura dell’illecito e ha determinato la misura della sanzione applicata al Pastore in soli diciotto mesi, disattendendo le richieste della Procura, volte all’applicazione della sanzione della inibizione per cinque anni, accompagnata dal divieto di ricoprire cariche dirigenziali (preclusione da ogni rango e/o categoria della FIGC). A dire della reclamante, invece, il deferimento è integralmente fondato, sussistendo tutti gli elementi del contestato illecito sportivo, e, pertanto, devono essere applicate, senza alcuna riduzione, le sanzioni richieste dall’organo requirente, ritenute perfettamente proporzionate alla assoluta gravità degli illeciti accertati e alle conseguenze determinate in relazione alla regolarità dei campionati dilettantistici.
13. Il Collegio osserva al riguardo, che nel sistema della giustizia sportiva sanzionatoria, il rapporto processuale è caratterizzato, allo stato, da una chiara e tipizzata delimitazione dei soggetti legittimati a partecipare al giudizio. Il processo sportivo finalizzato all’accertamento di illeciti, infatti, è incentrato sulla dialettica – tipicamente bilaterale - tra l’esercizio dell’azione disciplinare, di cui è titolare esclusiva la Procura Federale, e lo svolgimento della difesa dei soggetti destinatari delle sanzioni e tenuti all’osservanza degli obblighi previsti dalla normativa di riferimento.
Secondo il disegno normativo, quindi, il rapporto collegato all’applicazione dell’illecito non comprende la partecipazione di altri soggetti, siano essi altri tesserati vittime dei comportamenti illeciti sanzionati, oppure organi istituzionali dell’ordinamento sportivo.
In questo senso, non è sufficiente il riferimento alla previsione dell’art. 3 dello Statuto della Lega ND, che pure definisce in senso molto ampio gli scopi dell’organismo, anche in funzione di tutela di ogni interesse collettivo di natura patrimoniale e non facente capo alle diverse società associate, e alle connesse disposizioni regolamentari.
L’ampia e approfondita disamina della disciplina, prospettata dalla LND nel proprio atto di appello sottolinea correttamente il rilievo delle funzioni assegnate alla Lega e il conseguente danno di immagine correlato all’illecito contestato al Pastore, ma non altera il punto centrale riguardante l’individuazione degli strumenti processuali che l’ordinamento della giustizia sportiva prevede per sanzionare gli illeciti commessi dai tesserati.
14. Nell’ambito di queste coordinate di fondo, è ipotizzabile che i comportamenti censurati con l’azione disciplinare siano idonei ad incidere, talvolta anche in modo assai significativo, sugli interessi sostanziali propri di altri soggetti dell’ordinamento sportivo e, in particolare, proprio sulle prerogative di organi istituzionali del sistema, quali le Leghe facenti parti della Federazione, titolari dell’interesse al regolare svolgimento delle competizioni sportive da esse organizzate e gestite. Ma questa circostanza, da sola, non basterebbe a giustificare il riconoscimento di un potere di iniziativa processuale, volto a rinnovare, in sede di appello, il deferimento proposto dalla Procura in primo grado.
La LND, infatti, deduce che la condotta addebitata al Pastore abbia minato profondamente il funzionamento del Campionato e la credibilità degli stessi vertici della Lega. Da ciò discenderebbe il suo interesse a sostenere e coltivare l’azione disciplinare intrapresa dalla Procura, anche mediante l’impugnazione della sentenza di primo grado, che non ha accolto integralmente il deferimento, applicando una sanzione di gran lunga inferiore a quella richiesta dall’organo accusatorio.
Ma, appunto, l’effetto dannoso dell’illecito disciplinare non potrebbe fondare, di per sé, alcuna speciale legittimazione processuale.
15. Dal punto di vista meramente fattuale, riguardante la ricognizione degli interessi in gioco l’impostazione logica indicata dalla Lega è astrattamente percorribile. Sul piano giuridico, tuttavia, non possono essere alterati i principi cardine della giustizia sportiva, secondo cui la titolarità dell’azione disciplinare spetta esclusivamente alla Procura. In capo agli organi federali e delle altre istituzioni dell’ordinamento sportivo, resta ferma, ovviamente, la facoltà (e in molti casi il dovere) di segnalare eventuali illeciti e di contribuire, sul piano istruttorio, a delineare le conseguenze dannose di determinate condotte contrarie ai doveri sanciti dalla normativa.
Questa facoltà di impulso, tuttavia, non può tradursi in una legittimazione ad agire in giudizio, esercitando poteri fisiologicamente intestati all’organo inquirente e requirente della giustizia sportiva.
16. D’altro canto, nella concreta dinamica dell’effettuazione delle indagini e delle eventuali azioni disciplinari, la Procura adotta linee di condotta che valorizzano costantemente il ruolo delle “parti offese” dagli illeciti, tanto più quando esse esprimono interessi generali del movimento sportivo nel suo complesso.
Detto potere di supporto e di sollecitazione – si ripete - non potrebbe mai tradursi, tuttavia, nella attribuzione della titolarità di una sorta di azione “surrogatoria”, diretta a sopperire alla eventuale carenza di iniziativa della Procura, né nella affermazione di una straordinaria legittimazione alla impugnazione delle decisioni del giudice sportivo che respingono, in tutto, o in parte, le ipotesi accusatorie formulate con il deferimento e i successivi atti della Procura.
17. A tale riguardo, infatti, si deve evidenziare che l’esclusività del potere di iniziativa sanzionatoria compete in via esclusiva alla Procura, in relazione a tutti i gradi del giudizio. Non sarebbe in alcun modo sostenibile la tesi secondo cui, una volta esercitata l’azione in primo grado, qualsiasi soggetto interessato, titolare di una situazione giuridica differenziata lesa dalla commissione dell’illecito, potrebbe sollecitare lo sviluppo procedimentale del giudizio accusatorio nei successivi gradi del processo.
18. Del resto, costituisce un criterio generale di ogni processo quello secondo cui (fatta eccezione per tassative ipotesi di opposizione di terzo o di impugnazioni straordinarie nell’interesse della legge) sussiste una piena corrispondenza tra la legittimazione all’azione di primo grado e quella alla impugnazione. Sicché, le regole del codice di giustizia sportiva che, eccezionalmente, prevedono l’appello di altri soggetti estranei al giudizio di primo grado, non sono suscettibili di interpretazione estensiva o analogica.
Va aggiunto che, allo stato, non è esportabile nel processo sportivo la disciplina dell’azione civile innestata nel giudizio penale. Pertanto, l’asserita plurioffensività della condotta illecita dell’incolpato, seppure astrattamente plausibile, nella parte in cui evidenzia il rilievo delle conseguenze dannose provocate, non risulta idonea a determinare conseguenze sul piano delle regole processuali dell’appello. Eventuali ragioni di responsabilità intersoggettiva, attinenti alla lesione di interessi economici, personali, o morali riferibili alla Lega o ad altre istituzioni Federali potranno trovare ingresso in altre sedi procedimentali, ma non assumono diretto rilievo nel giudizio disciplinare.
19. È appena il caso di osservare, comunque, che la regolamentazione attualmente vigente per la legittimazione nel processo sportivo disciplinare non appare manifestamente illogica o lesiva di superiori principi processuali generali. Infatti, la tipizzazione e delimitazione soggettiva dell’azione disciplinare determina una opportuna semplificazione dell’iter procedimentale, assicurandone la rapidità e l’efficacia.
Di contro, una dilatazione delle parti del giudizio alimenterebbe il contenzioso, complicandone lo svolgimento veloce e puntuale e determinerebbe una sovrapposizione inopportuna tra i conflitti intersoggettivi e la repressione degli illeciti.
20. Da ultimo, occorre stabilire se, appurato il difetto di legittimazione attiva della Lega, anche in relazione alla proposizione dell’appello, la sua iniziativa processuale possa essere convertita in un legittimo intervento processuale “ad adiuvandum”, considerando che la Procura Federale ha contestualmente - e tempestivamente - proposto appello avverso la decisione di primo grado, formulando richieste del tutto corrispondenti a quelle della Lega.
Il Collegio ritiene che debba considerarsi inammissibile anche il mero intervento, per ragioni di carattere letterale e per motivi di ordine sistematico.
21. Sul piano letterale, è sufficiente osservare che il giudizio disciplinare non prevede alcuna forma di allargamento del contraddittorio a parti diverse da quelle necessarie, né in primo, né in secondo grado. Il rinvio esterno compiuto dal codice di giustizia sportiva alla disciplina processuale statale vale solo per le regole compatibili e tra queste non possono annoverarsi le disposizioni concernenti l’allargamento dei protagonisti del rapporto disciplinare, necessariamente chiuso, per le ragioni esposte in precedenza.
22. Dal punto di vista sistematico, poi, appare pienamente coerente l’impostazione seguita dal codice di giustizia sportiva, che intende preservare la linearità dell’azione disciplinare, evitando ogni possibile contaminazione con ulteriori conflitti “orizzontali” tra i tesserati (gli incolpati e le “vittime” degli illeciti). Altrettando logica risulta l’opzione di non inserire nel giudizio disciplinare le possibili contrapposizioni “verticali” tra gli organi federali e gli incolpati.
23. Orbene, non vi è dubbio che la L.N.D. abbia o possa avere interesse all’esito del presente procedimento, ma altrettanto certo è che lo stesso non riverte natura di interesse giuridico qualificato e differenziato, come tale idoneo a consentire la partecipazione al procedimento e, segnatamente, per quel che in particolare qui rileva, a configurare una generale potestà d’impugnazione.
24. Ciò detto in via generale, occorre, poi, osservare, con riferimento al caso di specie, che coglie nel segno la difesa del dott. Pastore quando eccepisce carenza di legittimazione ad impugnare da parte della L.N.D. Infatti, in virtù del combinato disposto delle norme di cui agli artt. 41, comma 7. CGS («I terzi portatori di interessi indiretti di cui all'art. 33, comma 3, che non abbiano esercitato la facoltà di reclamo, possono, prima dell'apertura del dibattimento, rivolgere istanza al Tribunale Federale per essere ammessi a partecipare al dibattimento. Il tribunale federale decide sull'istanza subito dopo l'apertura del dibattimento stesso. La reiezione dell'istanza per carenza di interesse non pregiudica la proponibilità dell'appello e la partecipazione al giudizio di seconda istanza») e 42 CGS («L'appello è proponibile dalle parti interessate, dalla Procura federale, dai terzi che abbiano un interesse, anche indiretto. Si applicano in quanto compatibili, le norme stabilite per il procedimento di prima istanza»), la L.N.D. non essendo parte del giudizio e non avendo proposto apposita istanza in prime cure, è priva di legittimazione ad impugnare.
25. La decisione del TFN, oggetto di gravame, non è stata resa nei confronti della L.N.D. Del resto, il potere impugnatorio richiede e presuppone uno specifico interesse ad agire, indissolubilmente connesso alla soccombenza, ossia alla circostanza che sia stata accolta una domanda dell’avversario o sia stata rigettata una domanda propria. È, infatti, dalla soccombenza nel giudizio che promana un concreto pregiudizio che qualifica l’interesse a ricorrere della parte.
26. In altri termini, soltanto chi è stato parte del giudizio o il soggetto nei confronti del quale è stata resa una decisione ha la potestà di impugnare la stessa, laddove dalla esecuzione della stessa possa derivarne un pregiudizio. Ebbene, la Lega non è mai stata, né doveva essere, parte del procedimento che la Procura federale ha correttamente instaurato nei confronti del deferito dott. Pastore.
27. Sotto diverso più ampio profilo, poi, in via incidentale, deve osservarsi come, riconoscere un generico, quanto generalizzato potere di impugnativa delle Leghe, significherebbe, peraltro, far correre il rischio di minare quei principi di indipendenza ed autonomia degli organi di giustizia sportiva, affermati e ribaditi dallo stesso Ordinamento federale, che, già nello Statuto, all’art. 33, dispone che «Gli organi di giustizia sportiva agiscono in condizioni di piena indipendenza, autonomia, terzietà e riservatezza», come anche dall’Ordinamento sportivo nel suo complesso considerato (v., in tal senso, ad esempio, l’art. 3 dei Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, secondo cui, «Gli Statuti devono prevedere la distinzione ed elencazione degli organismi federali ed indicare la separazione tra i poteri di gestione sportiva e di gestione della giustizia sportiva» e l’art. 3, comma 3, CGS CONI che così recita:
«Gli organi di giustizia sportiva agiscono nel rispetto dei principi di piena indipendenza, autonomia e riservatezza»).
28. Per quanto sopra, quindi, l’appello della LND deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente estromissione di tale parte dal presente giudizio disciplinare.
29. Secondo il corretto ordine logico, poi, deve essere esaminato l’appello del Pastore, nella parte in cui ripropone le questioni preliminari già respinte dal TFN.
30. Anzitutto, deve essere esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione, riproposta dal reclamante anche in questa fase del giudizio.
L’eccezione è priva di pregio.
Il dott. Vincenzo Pastore è stato deferito in relazione a condotte poste in essere nella sua qualità di presidente del Comitato regionale Campania della L.N.D. Orbene, come da consolidato orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende aderire, non può esservi dubbio alcuno «sulla competenza “giurisdizionale” degli organi federali di giustizia sportiva a giudicarlo per le violazioni allo stesso ascritte con l’atto di deferimento della Procura federale.
In definitiva, dunque, la giurisdizione di questa Corte è determinata dalla pacifica appartenenza, all’epoca dei fatti, del dott. Vincenzo Pastore all’ordinamento federale. In tal senso, peraltro, ha già deciso il Collegio di Garanzia dello Sport del Coni, proprio con riferimento ad un ricorso proposto dallo stesso dott. Vincenzo Pastore avverso altra pronuncia di questa Corte. Così si è espresso il predetto Collegio: “Le previsioni statutarie e regolamentari, a cui l’associato soggiace per effetto del tesseramento, possono operare anche per il tempo successivo alla cessazione del vincolo associativo, purché riguardino vicende attinenti a quel vincolo e con effetti limitati ad esso (in termini la decisione di questo Collegio del 23.2.2015 n. 5). Ciò è avvenuto nella specie: sussiste, dunque, quell’inerenza che sostiene l’ultrattività dell’assoggettamento alle regole dell’ordinamento sportivo” (Coll. Gar. Sport, decisione 11 ottobre 2016, n. 49)» (così Corte federale d’appello, C.U. n. 112/CFA del 12 marzo 2017).
31. Per le stesse ragioni, poi, non può essere valutata favorevolmente l’impostazione del reclamante, secondo il quale il procedimento disciplinare avrebbe dovuto essere sospeso, ai sensi dall’art. 45 del CGS, fino ad eventuale nuovo tesseramento dell’incolpato.
32. Privi di pregio, poi, risultano i motivi di reclamo diretti a riproporre l’eccezione di estinzione del procedimento, per le ragioni correttamente esposte dal Tribunale Federale.
33. Anche l’eccezione di nullità del deferimento, riproposta in sede di appello, non merita accoglimento. Le indicazioni numeriche riferite alle gare ritenute irregolari, seppure fossero ritenute non del tutto precise, non inficiano in alcun modo la sostanza della contestazione, che individua puntualmente le ipotesi concrete in cui l’illecito sportivo si è manifestato. Non vi è, pertanto, alcuna genericità del deferimento e l’incolpato è sempre stato posto in grado di difendersi pienamente dagli addebiti.
34. Va respinto, ancora, il motivo di gravame con cui si lamenta che la Procura avrebbe dovuto riattivare l’azione disciplinare, sospendendo l’attuale procedimento, per vagliare la posizione di altri presidenti coinvolti nella vicenda in esame. Infatti, un’eventuale ampliamento dell’istruttoria, riferita ad altri soggetti, non inciderebbe in alcun modo sulla ricostruzione dei fatti riguardanti la posizione del Pastore e la sua responsabilità.
35. Non possono essere, poi, condivise le censure di omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione della impugnata decisione, agitate da tutti i ricorrenti, per ragioni anche diametralmente opposte.
36. Come già, da questa Corte, osservato in altre analoghe circostanze, «in un contesto più generale di progressiva “dequotazione” delle forme e delle modalità della motivazione, anche in funzione del crescente rilievo attribuito dalla giurisprudenza amministrativa alle ragioni sostanziali dei provvedimenti ed alla obiettiva idoneità e giustificabilità degli stessi, anche le pronunce degli organi di giustizia sportiva devono mostrarsi in linea con le finalità teleologiche dell’istituto: pertanto, la motivazione, che deve essere correlata alle risultanze istruttorie acquisite al procedimento e che costituisce il momento formativo della decisione, deve essere articolata nei due momenti essenziali, rappresentati dall’esposizione dei presupposti di fatto e di diritto e dall’indicazione delle ragioni sulle quali si basa la decisione stessa» (cfr., a titolo esemplificativo, Corte federale d’appello, C.U. n. 112/CFA del 12 marzo 2017).
37. Ciò premesso su un piano generale, ritiene, questa Corte, con riferimento al caso di specie, che il Tribunale di prime cure abbia adeguatamente motivato le proprie decisioni, in questa sede impugnate, esplicitando, seppur in modo sintetico, come, peraltro, previsto e richiesto dalle disposizioni federali e dalla norma di cui all’art. 2, comma 5, del codice di giustizia sportiva del Coni, le ragioni che hanno condotto al parziale accoglimento del deferimento della Procura federale ed alla qualificazione della responsabilità del dott. Pastore per condotta posta in essere in violazione della disposizione di cui all’art. 1 bis CGS, con specificazione dei principali elementi probatori e delle ragioni poste a base del proprio convincimento. Pertanto, la decisione del TFN impugnata potrà essere giudicata corretta o meno, come meglio si dirà in seguito, ma, di certo, la stessa non può ritenersi affetta dal vizio di omessa o insufficiente motivazione.
38. Deve poi confermarsi la pronuncia nella parte in cui ha ritenuto insussistente, in concreto, la violazione del principio del ne bis in idem, anche in relazione alla sua incidenza sulla concreta commisurazione della sanzione inflitta all’incolpato. In tal senso, non sussiste la denunciata sovrapposizione con il deferimento deciso con la pronuncia della Corte n. 117/CFA del 17 marzo 2017.
39. La censura viene riproposta dal Pastore, evidenziando che la consapevolezza della posizione irregolare dei calciatori è già stata valutata da questa Corte con la decisione n. 811, in seguito alle segnalazioni contenute negli esposti dei Commissari De Fiore e Sibilia.
40. Al riguardo, è sufficiente richiamare la corretta impostazione seguita dalla decisione di primo grado, a mente della quale “l'ampiezza e l'entità delle irregolarità contestate ben hanno potuto legittimare diverse azioni della Procura Federale volte a censurare svariati profili di illiceità. In altri termini le precedenti segnalazioni, lungi dall'essere state accantonate ed ignorate dal Procuratore Federale, hanno portato all'adozione di atti di deferimento ben definiti; pertanto, a parere del Collegio nulla vieta alla Procura Federale di avviare, sulla scorta di una notizia analoga ad altre precedentemente inviate, ulteriori indagini riguardanti diverse e/o più ampie e delineate condotte illecite poste in essere dal presunto responsabile.”
Tale affermazione porta ad escludere ogni possibile effetto di estinzione dell’azione disciplinare, ma anche a giustificare in modo lineare la riconosciuta distinzione tra gli addebiti disciplinari oggetto di contestazione nei diversi procedimenti.
41. In punto di fatto, poi, risulta indiscusso tra le parti che il Pastore sia stato destinatario di molteplici sanzioni disciplinari, già puntualmente analizzate e valutate nei precedenti di questa Corte.
La fattispecie in esame, tuttavia, fa riferimento a episodi non ancora considerati in sede disciplinare. Pertanto, correttamente il TFN ha ritenuto che l’azione disciplinare per i nuovi fatti non sia preclusa dalle precedenti decisioni.
42. Il Pastore, in linea subordinata, tuttavia, sostiene che la decisione di primo grado avrebbe dovuto considerare la sostanziale unitarietà dei diversi illeciti addebitatigli con separate azioni disciplinari, in applicazione dei principi penalistici della continuazione.
Al riguardo, occorre richiamare anzitutto gli esiti interpretativi generali cui è pervenuta questa Corte, anche alla luce della giurisprudenza affermata dalla Corte del Coni.
43. Il tema generale della “continuazione” dell’illecito ha formato oggetto di una complessa e stratificata elaborazione teorica, parallela alla evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’istituto.
In sintesi, pur in assenza di una disciplina specifica dell’ordinamento sportivo che preveda compiutamente la disciplina della continuazione, la Corte del Coni ha affermato il principio secondo cui, ai fini della concreta determinazione della misura della sanzione, pur nel rispetto dei limiti edittali (spesso caratterizzati da ampia flessibilità), il giudice debba tenere nel massimo conto la circostanza della connessione con altri addebiti, ancorché essi siano già stati accertati con precedenti pronunce definitive.
44. Il Collegio non ha motivo di discostarsi da questa impostazione di fondo, pur rilevando l’opportunità che, in prospettiva, l’ordinamento positivo definisca con maggiore chiarezza la rilevanza dei principi della continuazione, dosando in modo appropriato le esigenze garantiste ed equitative poste a base dell’istituto, con le caratteristiche proprie dell’ordinamento sportivo.
In concreto, tuttavia, il Collegio ritiene che non vi siano elementi sufficienti per dimostrare la effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione dei principi della continuazione dell’illecito.
45. Le considerazioni che precedono comportano, per ovvia conseguenza logica, la reiezione del motivo di appello, con cui il Pastore lamenta l’illegittimità dell’applicazione della recidiva, osservando anche la mancanza di contestazione da pare della Procura.
46. Va comunque anticipato che tale profilo assume scarso rilievo ai fini del complessivo trattamento sanzionatorio, una volta riqualificato il fatto in modo conforme alla prospettazione del deferimento, incentrato sull’addebito dell’illecito sportivo di cui all’art. 7 del CGS.
In tale ottica, infatti, non viene in rilievo la recidiva, in relazione ad una precedente violazione della stessa norma. E, in ogni caso, la determinazione della sanzione nella sua entità massima (in ragione della eccezionale estensione delle alterazioni delle gare e delle competizioni sportive), rende del tutto irrilevante il peso della recidiva.
47. L’eccezione di prescrizione riproposta con il reclamo è infondata, anche alla luce dell’accoglimento dell’appello della Procura, per i motivi illustrati nei numeri seguenti. Infatti, riconosciuta la qualificazione dell’illecito disciplinare come violazione dell’art. 7 del CGS, non può essere messa in discussione l’osservanza dei termini per l’esercizio dell’azione di cui al deferimento in esame.
48. Nel merito, tanto il Pastore, quanto la Procura, da contrapposti punti di vista, impugnano la decisione.
49. L’appello del Pastore, nella parte in cui contesta la sussistenza degli addebiti indicati nell’atto di deferimento e nella decisione impugnata, è, nel suo complesso, privo di pregio.Al riguardo, questa Corte non intende ripercorrere analiticamente, tutte le singole argomentazioni espresse dall’atto di appello, che si duole della asserita inattendibilità dei testimoni e prospetta la lacunosità delle indagini della Procura.
È sufficiente evidenziare che il materiale istruttorio acquisito è univoco nell’evidenziare le ripetute violazioni della normativa in materia di tesseramento dei calciatori e la consapevolezza della contrarietà di tali condotte alle più elementari regole di svolgimento delle gare.
Né può assumere rilievo concreto il presunto vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione, come già illustrato nei paragrafi precedenti.
È appena il caso di aggiungere che la pronuncia di primo grado ha riconosciuto la sussistenza di tutti i fatti materiali oggetto del deferimento e da questi ha tratto il condivisibile convincimento riguardante la “consapevolezza” del Pastore in ordine agli effetti sul regolare svolgimento delle gare.
50. In tale contesto, la Corte ritiene prive di concreta rilevanze le asserite violazioni del processo di primo grado in ordine alle richieste istruttorie (in particolare di prove testimoniali) formulate dall’incolpato. Esse, infatti, non condurrebbero al mutamento del quadro probatorio relativo alla posizione del Pastore, ma, piuttosto, inciderebbero sulla eventuale responsabilità di altri soggetti.
51. L’appello della Procura Federale è, invece, pienamente fondato.
52. Come si è esposto nei paragrafi precedenti, a dire del giudice di primo grado, i fatti accertati non potrebbero essere qualificati come integranti la fattispecie dell’art. 7 del CGS, ma come generica violazione dell’art. 1 bis.
La conclusione cui è pervenuto il Tribunale Federale non può essere condivisa.
Le ripetute violazioni delle disposizioni concernenti il tesseramento dei calciatori non possono essere isolate e staccate dal contesto in cui esse si sono concretamente collocate, poiché esse hanno determinato una evidente incidenza sulla regolarità dello svolgimento delle gare e del loro risultato, e, in definitiva, degli interi campionati in cui esse si inseriscono.
53. Al proposito, è sufficiente rilevare che la fattispecie disciplinare dell’illecito sportivo prevista dall’art. 7 è costruita in funzione della attitudine del comportamento del tesserato ad incidere sul possibile esito della gara, punendo “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”. L’ipotesi considerata dalla norma non si riferisce, pertanto, ai soli casi in cui sussista una finalità patrimoniale, intesa come conseguimento di un vantaggio economico, o il proposito di arrecare un pregiudizio a determinati soggetti.
L’illecito sportivo prescinde, infatti, da qualsiasi dolo specifico e riguarda, in senso ampio, tutti i casi in cui i comportamenti dell’agente, indipendentemente dalle sue finalità, sono oggettivamente (ma consapevolmente) capaci di realizzare una modifica degli esiti di una o più gare, o di intere competizioni.
La condotta sanzionata è descritta in termini ampi, in funzione di una tutela avanzata ed efficacia contro gli attentati a quello che costituisce il cuore e il senso della competizione calcistica: la genuinità e regolarità delle singole gare e, a maggior ragione, del Torneo o Campionato in cui esse si collocano.
54. In questo senso, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di primo grado, non occorre affatto la dimostrazione di accordi fraudolenti con i beneficiari dell’alterazione dei risultati. Se è forse vero che, in numerose ipotesi di accertato illecito sportivo, la violazione si concretizza in un vero e proprio pactum sceleris, la finalità di determinare un particolare vantaggio o pregiudizio ad altri non costituisce affatto un elemento costitutivo della previsione contenuta nell’art. 7.
55. Diversamente da quanto ritenuto dalla decisione impugnata, poi, risulta pienamente dimostrato quali siano le numerosissime gare il cui risultato è stato alterato. Si tratta delle documentate ipotesi in cui la squadra che ha ottenuto la vittoria o il pareggio (ossia, un esito utile) risulta avere schierato giocatori non tesserati.
Questo basta per ritenere pienamente dimostrata la sussistenza del contestato illecito sportivo, in tutta la sua estensione.
56. Sarebbe del tutto illogico, poi, escludere la sussistenza dell’illecito di cui all’art. 7 qualora le condotte perpetrate dall’incolpato, finalizzate alla alterazione dei risultati, possano essere ricondotte, se guardate isolatamente, ad altre ipotesi disciplinari minori.
È vero semmai il contrario: se l’alterazione dei risultati deriva dalla combinazione di ulteriori illeciti disciplinari, il disvalore complessivo del fatto risulta ancora più grave e merita una reazione proporzionata.
57. Si tratta di verificare, in concreto, se il concorso formale tra gli illeciti “minori” e il più grave illecito dell’alterazione dei risultati sportivi possa determinare una possibile alterazione del principio del cumulo giuridico delle sanzioni, in coerenza con i principi espressi dalla giurisprudenza sportiva.
58. Ma, nel caso di specie, il numero delle violazioni dell’art. 7 è talmente elevato da imporre l’applicazione della sanzione massima richiesta dalla Procura, rendendo sostanzialmente irrilevante un’ulteriore valutazione del trattamento sanzionatorio riferibile alle singole violazioni di cui all’art. 1-bis.
Resta ferma, peraltro, la considerazione svolta ai punti precedenti, secondo cui la molteplicità delle condotte illecite e delle violazioni conduce ad un giudizio complessivamente molto severo in ordine alla determinazione della sanzione più adeguata alla obiettiva gravità dell’illecito accertato.
59. Come correttamente evidenziato dalla Procura, la consapevolezza delle conseguenze derivanti dalle ripetute violazioni in materia di tesseramento dei giocatori costituisce un’ulteriore dimostrazione della sussistenza dell’illecito sportivo contestato, nelle sue componenti oggettiva e soggettiva.
D’altro canto, la dimensione così estesa delle violazioni evidenzia la piena consapevolezza della alterazione profonda della regolarità della competizione nel suo complesso.
60. Per quanto riguarda la misura della sanzione, la Corte ritiene che la richiesta formulata dalla Procura rispecchi adeguatamente l’eccezionale gravità dell’illecito, per la sua dimensione oggettiva e per la sua reiterazione nel tempo.
61. In punto di diritto, poi, il Collegio ha già evidenziato l’inapplicabilità, al caso di specie, dei principi della continuazione dell’illecito.
62. In conclusione, quindi, l’appello della Procura deve essere dichiarato integralmente fondato, con il conseguente accoglimento del deferimento e l’applicazione all’incolpato della sanzione di cinque di inibizione, con la preclusione nella permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC.
La complessa vicenda delineata ha permesso di evidenziare, nel precipuo contesto di riferimento, come il Pastore fosse persona adusa a condotte riferibili a delitti, posti in essere dolosamente e con sistematicità che, per numero e gravità elevati, hanno creato un vero e proprio sistema illecito nei tratti già rassegnati, con l’ulteriore e grave effetto dell’esposizione a pericolo dell’incolumità di giocatori, nonché, conseguentemente, del serio nocumento all’immagine ed al prestigio dell’Organizzazione federale".
Per questi motivi la C.F.A. riuniti preliminarmente i ricorsi numeri. 1, 2, e 3:
- in accoglimento del ricorso come sopra proposto dal Procuratore Federale ridetermina la sanzione inflitta al signor Pastore Vincenzo in anni 5 di inibizione con preclusione;
- respinge il ricorso proposto dal sig. Pastore Vincenzo. Dispone incamerarsi la tassa reclamo.
- dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla LND ex art. 42 C.G.S..
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