F.I.G.C. – TRIBUNALE FEDERALE NAZIONALE –Sezione Disciplinare – 2018/2019 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione pubblicata sul C.U. n. 14/FTN del 08 Agosto 2018 RICORSO EX ARTT. 30 e 32 CGS CONI DELLA SOCIETÀ FC APRILIA RACING CLUB SRL (già SS RACING CLUB FONDI SRL) IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE P.T. – SIG. MARCO CAPPARELLA.

RICORSO EX ARTT. 30 e 32 CGS CONI DELLA SOCIETÀ FC APRILIA RACING CLUB SRL (già SS RACING CLUB FONDI SRL) IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE P.T. – SIG. MARCO CAPPARELLA.

Con ricorso depositato in data 18 Luglio 2018, proposto nei confronti della Società Matera Calcio Srl, nonché nei confronti della Lega Italiana Calcio Professionistico, Federazione Italiana Giuoco Calcio, Procura Federale FIGC e Paganese Calcio 1926 Srl, FC Aprilia Racing Club Srl (già SS Racing Club Fondi Srl), rappresentata e difesa dagli Avv.ti Cesare di Cintio e Federica Ferrari, ha chiesto a questo Tribunale, previa acquisizione presso la Lega Pro o altro organo competente, di tutti gli incentivi all’esodo relativi ai calciatori Bifulco e Iannini e di quelli ulteriori non conosciuti dalla ricorrente, nonché le decisioni arbitrali assunte nei confronti del Matera Calcio per i calciatori Urso, Stendardo, Giovinco, Mariano De Almeida e di quelli ulteriori non conosciuti dalla ricorrente e previa richiesta alla Lega Pro di comunicare la classifica finale del Campionato di Serie C - girone C s.s. 2017-2018, di disporre il posizionamento del Matera Calcio all’ultimo posto della classifica finale del Campionato di Serie C – girone C s.s. 2017-2018 ovvero applicare un trattamento sanzionatorio adeguato alle gravi inadempienze commesse al fine di rendere afflittiva la sanzione con riferimento alla stagione sportiva 2017-2018.

Parte ricorrente premetteva che la Società SS Racing Club Fondi, attualmente fusasi con la Società FC Aprilia SSD ARL, dando vita alla nuova Società FC Aprilia Racing Club, durante la stagione sportiva appena conclusa partecipava al Campionato di Serie C – girone C, classificandosi al penultimo posto della classifica, retrocedendo, a seguito della disputa dei play out con la Paganese nel Campionato Nazionale di Serie D; continuava affermando che, nel corso della stagione sportiva 2017/2018 era emerso che le Società Matera Calcio veniva sanzionata dagli Organi di Giustizia Federale con diversi punti di penalizzazione in classifica per non aver proceduto al pagamento di diverse mensilità relativa agli emolumenti dovuti ad alcuni tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo, oltre che delle ritenute Irpef e contributi Inps.

Secondo il ricorrente, tuttavia, risultava, da alcune indiscrezioni che circolano nell’ambiente calcistico (cfr. pag. 5 del ricorso), che il Matera Calcio si fosse reso responsabile di ulteriori gravi irregolarità economico-finanziarie nel corso della stagione sportiva 2017/2018 non sanzionate dalla Procura Federale per le quali, pertanto, la stessa non aveva subito alcuna penalizzazione in classifica.

In particolare sosteneva che sarebbe emerso che il Matera Calcio non avrebbe corrisposto né gli incentivi all’esodo, derivanti da accordi transattivi definiti già all’inizio della precedente stagione sportiva dei calciatori Marino Bifulco e Gaetano Iannini (e di altri eventuali tesserati), né i contributi liquidati con lodi arbitrali immediatamente esecutivi a favore dei calciatori Francesco Urso, Giuseppe Giovinco, Mariano Stendardo e Angelo Mariano De Almeida (e di eventuali altri tesserati), con ciò compromettendo il regolare svolgimento del Campionato di Serie C – girone C.

Affermava, inoltre, che il mancato pagamento degli incentivi all’esodo e delle somme accertate dai Collegi arbitrali costituisce una violazione in maniera gestionale ed economica che comporta l’applicazione delle sanzioni più gravi ed, in particolare, la detrazione di punti in classifica; per effetto di tali mancati deferimenti, la classifica del girone C del Campionato di Serie C sarebbe risultata falsata.

Con riferimento al mancato pagamento delle somme poste a carico delle Società dai Collegi arbitrali la ricorrente ha espressamente richiamato l’art. 8 comma 15 del CGS FIGC che espressamente prevede l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 18 e 19 CGS a carico delle Società che entro 30 giorni non provvedono al pagamento degli stessi.

In data 27 Luglio 2018 la Società ricorrente depositava copia di 5 ricorsi ex art. 30 CGS CONI proposti dai tesserati Bifulco Marino, Giovinco Giuseppe, Urso Francesco, De Almeida Angelo Mariano e da Strambelli Nicola avverso la deliberazione del Commissario straordinario della FIGC del 20 Luglio 2018, pubblicata giusta C.U. n. 29 con la quale il predetto ha ammesso la Società Matera Calcio al Campionato di Serie C per la stagione 2018/2019, ad integrazione del materiale probatorio già depositato in atti.

Si sono costituiti in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio con il patrocinio degli Avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, la Lega Italiana Calcio Professionistico con il patrocinio dell’Avv. Lorenzo Lentini e la Società Matera Calcio Srl con il patrocinio dell’Avv. Domenico Zinnari.

La FIGC ha eccepito in primo luogo l’inammissibilità del ricorso in quanto il petitum si sostanzierebbe in un richiesta di sanzioni disciplinari per la Società Matera Calcio non sanzionate dalla Procura Federale, in palese violazione del principio secondo il quale l’azione disciplinare, nell’ordinamento Federale, è prerogativa dell’organo requirente (il Procuratore Federale), ampiamente argomentando in ordine al motivo di inammissibilità sopra esposto. Ha sostenuto, inoltre, l’inammissibilità della domanda per l’estrema genericità della stessa e l’infondatezza nel merito in quanto non risulterebbero pendenti posizioni passibili di sanzioni relative alla Società Matera Calcio Srl. La Lega Italiana Calcio Professionistico ha evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, la classifica finale del girone C della Serie C è stata regolarmente pubblicata in data 27 Giugno  2018. Nel merito ha escluso ogni possibile responsabilità della Lega Pro in ordine alla mancata verifica di eventuali obblighi in capo alla Società Matera Calcio, nonché l’inammissibilità del ricorso in quanto finalizzato ad ottenere la reintegra nel Campionato di Serie C e, inoltre, in quanto l’azione disciplinare è riservata al Procuratore Federale; ha eccepito, inoltre la genericità dei motivi di ricorso, nonchè l’infondatezza del ricorso stesso in quanto, pur a voler ritenere sanzionabili le condotte contestate dalla ricorrente, i punti di penalizzazione da infliggere sarebbero comunque irrilevanti sull’esito finale del campionato.

Il Matera Calcio ha eccepito in primo luogo la tardività del ricorso atteso che nello stesso non è stata indicata la data di conoscenza dell’atto ritenuto lesivo della situazione giuridica che la ricorrente intende tutelare.

Nel merito ha eccepito l’infondatezza del ricorso, essendo la Società già stata sanzionata per il mancato pagamento degli emolumenti; ha, inoltre, evidenziato che eventuali omessi pagamenti relativi al quinto bimestre ed al sesto bimestre comporterebbero l’applicazione della sanzione di almeno due punti di squalifica nella stagione sportiva successiva al quinto bimestre o sesto bimestre stessi. Ha, inoltre, sostenuto l’assenza di alcun interesse giuridicamente protetto in capo all’odierno ricorrente e l’impossibilità di applicare la sanzione della retrocessione, non prevista per i casi in questione.

Con riferimento agli incentivi all’esodo, inoltre, la difesa della Società ha chiarito che alcuna contestazione è stata mossa in tal senso dagli organi di controllo al momento della verifica del corretto adempimento degli obblighi afferenti i criteri legali ed economico-finanziari per l’ottenimento della licenza nazionale valida per la corrente stagione sportiva.

Con riferimento, poi, al presunto mancato inadempimento dei pagamenti previsti nei lodi arbitrali, la resistente ha evidenziato che, per i tesserati Iannini e Bifulco il lodo è stato emesso in data 20 Luglio 2018, mentre, per i lodi relativi ai calciatori Urso, Stendardo, Giovinco e De Almeida, depositati nel Giugno  2018, ha fatto presente che gli stessi sono stati impugnati al Tribunale di Firenze e, pertanto, non trattandosi di lite temeraria, al momento il mancato adempimento non può essere oggetto di sanzioni di carattere disciplinare.

Alle ore 18.40 dell’1 Agosto u.s. la Società ricorrente ha presentato istanza di riunione fra l’odierna causa e quelle promosse dai Sigg.ri Bifulco, Giovinco, Urso, Mariano de Almeida e Strambelli sopra indicate, in ragione della sostenuta sussistenza di connessione oggettiva fra i ricorsi.

Il dibattimento

All’odierna udienza, presenti i difensori delle parti, a seguito dell’opposizione alla riunione dei procedimenti da parte dei legali delle parti resistenti, il Tribunale ha rigettato l’istanza di riunione.

L’Avv. Di Cintio ha chiarito che la data di conoscenza dei fatti è da ricondursi all’11 Luglio 2018, giorno in cui il Presidente p.t. della Società assistita ha avuto conoscenza del fatto che i tesserati sopra indicati hanno comunicato al Commissario della FIGC le inadempienze della Società Matera Calcio Srl.

Nel merito ha insistito sulla piena applicabilità dell’art. 30 CGS CONI anche ai procedimenti di natura disciplinare e pertanto, a seguito di richiesta del Presidente, ha formulato la richiesta sanzionatoria nei confronti della Società Matera calcio Srl di 4 punti di penalizzazione oltre all’applicazione della recidiva, da scontarsi nella stagione sportiva 2017/2018, precisando, inoltre, in risposta alle argomentazioni difensive del Materia Calcio Srl che solo alcuni dei lodi arbitrali oggetto di contestazione risultano impugnati.

L’Avv. Sticchi Damiani in rappresentanza della Società Matera Calcio Srl, ha ribadito quanto sostenuto nella memoria difensiva.

Anche il legale della Lega Nazionale Professionisti si è riportato alla memoria difensiva.

L’Avv. Mazzarelli, in rappresentanza della FIGC, ha contestato la legittimazione ad agire della Società ricorrente in quanto, da un esame approfondito della situazione giuridica della stessa, è emerso che la Società odierna ricorrente è nata dalla fusione fra la FC Aprilia SSD ARL e la SS Racing Club Fondi. In ossequio all’art. 20, comma 5 della NOIF FIGC la nuova Società dovrebbe acquisire l’anzianità di affiliazione della Società affiliatasi per prima che, in tal caso è la Società Aprilia SSD ARL e non già la SS Racing Club Fondi. Pertanto, la Società ricorrente, avendo acquisito l’anzianità di affiliazione della Società militante nella Serie D, non avrebbe alcuna legittimazione attiva a ricorrere. L’Avv. Medugno, ha, invece, ribadito i motivi di inammissibilità già proposti nelle memorie difensive.

La difesa della FIGC ha, inoltre, chiesto di poter depositare, a comprova di quanto sostenuto, i report dell’anagrafe federale S400 delle Società FC Aprilia SSD ARL e della SS Racing Club Fondi.

L’Avv. Di Cintio si è opposto alla richiesta formulata dalla FIGC e ha precisato che i punti di penalizzazione da irrogare, in applicazione concreta della  richiesta  precedentemente formulata, sono complessivamente tredici.

Il Collegio, pertanto, a seguito dell’opposizione formulata dal legale della FC Aprilia Racing Club Srl non ha ammesso il deposito della documentazione.

I motivi della decisione

Esaminati gli atti di causa, il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile per i motivi che si espongono.

Con il presente ricorso la FC Aprilia Racing Club Srl chiede a questo Tribunale l’applicazione di sanzioni disciplinari adeguate, meglio poi specificate in sede dibattimentale, per presunte violazioni della Società Matera Calcio Srl in materia di mancati pagamenti di incentivi all’esodo e di mancati pagamenti di somme in esecuzione di lodi arbitrali nei confronti di  propri tesserati, ricorrendo allo strumento giuridico del ricorso ex art. 30 del CGS CONI.

Orbene, il Collegio, pur riconoscendo che l’art. 30 del CGS CONI sia norma residuale e di chiusura che, pertanto, in assenza di ulteriore strumento giuridico idoneo ed efficace attribuisce la facoltà di ricorrere al Tribunale Federale per tutti i portatori di situazioni giuridicamente protette nell’ordinamento sportivo, de iure condendo, ritiene che il ricorso non possa essere utilizzato per l’esercizio di un potere che l’ordinamento giuridico sportivo non attribuisce ai singoli soggetti ed ai singoli tesserati.

Val la pena di ricordare che, proprio in tema di azione disciplinare il Collegio di Garanzia del CONI, in sede consultiva, ha chiarito che “….La potestà disciplinare nei confronti di “tesserati, affiliati e degli altri soggetti secondo le norme di ciascuna Federazione” (art. 44, comma 1, CGS del CONI), rappresenta un mezzo importante ed imparziale di autoregolamentazione interna delle condotte patologiche che si realizzano nel “micro-ordinamento” di appartenenza, in presenza di condotte senz’altro ostative al corretto raggiungimento dei fini istituzionali dell’Ente. La condotta non conforme a siffatte regole, fermo restando le eventuali concorrenti responsabilità “generali” (penale, civile, amministrativa, artt. 49 e 56 CGS), origina reazioni interne, espressive della potestà disciplinare di cui al micro-ordinamento di appartenenza. La funzione che persegue la sanzione disciplinare è, in quest’ottica, quella di prevenire, dissuadere e, nel contempo, sanzionare, dall’interno, violazioni di regole che rappresentano i pilastri su cui si fonda l’ordinamento sportivo. Né la violazione di siffatte regole di condotta interessa esclusivamente l'ordinamento di appartenenza. Nella loro più intima radice esse non sono un mero strumento di garanzia del mantenimento dell’ordine interno, ma assumono un respiro più generale in considerazione della rilevanza “esterna” dell’azione svolta dall’Ente di riferimento. A conferma della proiezione che assumono le regole di condotta valga addurre l’esempio della P.A. ove tale potere riposa sul  principio  di  buon andamento della amministrazione (art. 97 Cost.) e sul conseguenziale rapporto di supremazia speciale del datore pubblico presentando qui, attesa la specialità del rapporto, una connotazione fortemente autoritaria, inevitabilmente influenzata da un diritto penale la cui pervasività si è tuttavia – di recente e con la privatizzazione del pubblico impiego – ampiamente attenuata…… A dispetto del suo presentarsi come generica manifestazione del potere punitivo di chi ha il compito di organizzare il lavoro altrui per il perseguimento di un interesse pubblico o privato, l’esercizio del potere disciplinare finisce, dunque, con il riflettere le peculiarità dell’ordinamento di riferimento, senza che possa immaginarsi un unico “modello” disciplinare cui attingere. Pur nell’unicità dell’obiettivo da perseguire, e in presenza di un nucleo di principi comuni che caratterizzano tutte le tipologie di procedimento disciplinare, i sistemi disciplinari interni, quindi, inevitabilmente mutano (in considerazione degli scopi che l’ordinamento di riferimento si prefigge), rendendone difficile una reductio ad unitatem. Ciononostante, e sia pur con talune  eccezioni rinvenibili nella  peculiarità dei singoli  ordinamenti, taluni  principi generali esistono e connotano il procedimento disciplinare. Questi possono individuarsi in quelli a) dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare e della segnalazione disciplinare; b) del principio della proporzionalità e gradualità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi nonché del divieto di automatismo sanzionatorio che, altrimenti, finirebbe con il negare in nuce la funzione stessa della norma disciplinare; c) del principio di parità di trattamento; d) della tempestività dell’azione disciplinare, al fine di garantire sia l'effettività del diritto di difesa dell'incolpato (dal momento che, minore è il lasso di tempo tra la commissione della presunta infrazione ed il procedimento disciplinare, Maggiore è la possibilità per l'incolpato di reperire valide argomentazioni difensive e prove di supporto), sia la funzione deterrente del procedimento; e) della natura tassativa delle sanzioni; f) del contraddittorio procedimentale; g) della trasparenza del procedimento; h) della corrispondenza tra contestazione degli addebiti e fatti sanzionati nel provvedimento punitivo finale. In tale ambito, secondo i principi che ispirano la disciplina del “patrimonio costituzionale comune” vanno garantiti all'interessato alcuni essenziali strumenti di difesa, quali la conoscenza degli atti che lo riguardano, la partecipazione alla formazione dei medesimi e la facoltà di contestarne il fondamento e di difendersi dagli addebiti (cfr. C. Cost. 4607 2000 e nn. 505 e 126/1995). Nello stesso senso, secondo l'interpretazione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, il diritto di difesa impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di vista (Corte di Giustizia, sentenza 24 Ottobre 1996, C-32/95 P., Commissione Comunità europea c. Lisrestal). A questi principi non fa eccezione, ovviamente, il procedimento disciplinare sportivo seppure con gli adattamenti necessari a dare conto della specificità dell’ordinamento. L’analisi della regola di dettaglio consente, dunque, di cogliere lo spirito con cui il legislatore sportivo si è mosso nel disegnare il procedimento disciplinare. È, in altri termini, il modo in cui si sviluppa il procedimento che concorre a definirne la natura amministrativa oppure giurisdizionale, incidendo altresì sulla natura dell’atto da assumere (provvedimento con carattere sanzionatorio, sentenza/decisione etc.), con tutte le relative conseguenze che ne discendono. Orbene, ciò che appare evidente da una lettura sistematica delle norme contenute nel Codice è lo sforzo di circondare il procedimento disciplinare di una serie di garanzie processuali nel tentativo di conciliare tutela della persona e quell’esigenza di corretto raggiungimento dei fini istituzionali dell’Ente, cui si è fatto riferimento. Così, per un verso, tutto l’impianto del procedimento disciplinare si gioca sulla obbligatorietà e non mera discrezionalità dell’azione disciplinare. Emblematica, in tal senso, la previsione di cui all’art. 44, comma 1 e 3, CGS in cui la necessità di non mettere in discussione esigenze di certezza del diritto e di parità di trattamento traspare da un ordito normativo inequivocabile nel senso della obbligatorietà dell’azione penale. Per l’altro, quelle esigenze di tutela della persona cui si faceva riferimento si trovano riflesse nella tempestività dell’azione, nonché nella definizione di termini molto brevi per la conclusione dell’iter punitivo, come si desume dalle regole che disciplinano l’attivazione della procedura di deferimento, così come lo svolgersi delle fasi processuali (artt. 32 ss. e art. 44, comma 4, CGS). Laddove il rimedio all’inerzia o al protrarsi delle indagini, sempre nella consapevolezza che il provvedimento disciplinare sportivo rischia di incidere pesantemente sulla posizione giuridica della persona (specie se atleta), trova riscontro in un regime della prescrizione che ancora il dies a quo al “giorno in cui occorre il fatto disciplinarmente rilevante” (art. 45, comma 2). Ma v’è più. La peculiarità del procedimento disciplinare sportivo che, qui si lascia ispirare dalla corrispondente e complessa struttura statale, è suffragata da una serie di “paradigmi” il cui carattere fortemente giurisdizionale non può essere negato: dalla iscrizione delle notizie nell’apposito registro di cui all’art. 53 (art. 47) alla terzietà decisoria dell’organo giudicante, dalla difesa tramite avvocati (art. 27, comma 2), alla previsione di cui agli artt. 28 e 48 (patteggiamento a seguito di deferimento oppure senza incolpazione) alla possibile previsione di misure cautelari (art. 33 CGS), dall’intervento del terzo (art. 34) ai meccanismi di assunzione delle prove (art. 36). Vero è che, per la fase a monte del procedimento disciplinare in senso stretto – ovvero per quelle indagini preliminari tese ad apprezzare la reale esistenza di fatti aventi gli estremi per essere qualificati illeciti disciplinari (es. attività di accertamento del Procuratore Federale) ma in cui non si hanno prove di rango giurisdizionale proprio poiché tali elementi sono frutto di una iniziativa di parte spesso priva del contributo (spontaneo e consapevole) dell’indagato – la connotazione amministrativa è più pertinente. Del pari indubbio che, sul piano applicativo, siffatti aspetti inducono semmai a ritenere che il procedimento disciplinare sportivo presenti una natura atipica che, nondimeno, in pratica, (non diversamente da quanto accade per il procedimento disciplinare dei magistrati di cui al d.lgs. n. 109 del 2006), finisce con l’assumere, per le ragioni dette, connotati più simili a quelli giurisdizionali che non amministrativi. Né ciò deve sorprendere ove si consideri che, principio ispiratore della riforma del Codice – anche al netto delle modifiche apportate nel Dicembre  2015 – risulta essere quello della giurisdizionalizzazione del procedimento. Del resto, e questa volta da un punto di vista meramente testuale, già dall’art. 2, comma 6, CGS è possibile cogliere la linea lungo la quale si è indirizzato il legislatore sportivo. Il rinvio “per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile” conferma della natura giurisdizionale del processo sportivo e cioè della volontà di attrarre il procedimento alle garanzie sostanziali dell’attività giurisdizionale. Lo stesso ricorso al termine “reclamo” quale mezzo per impugnare le decisioni del Tribunale Federale è manifestazione, in quest’ottica, di una logica più vicino alla giurisdizione che al procedimento amministrativo. Né la contaminazione di altri linguaggi e di altre epifanie, senza dubbio presenti nel Codice, il fatto – vale a dire – che si parli di indagini, deferimento etc. è da esasperare, attribuendovi una valenza che ecceda quella della semplice attenzione ad una terminologia eccentrica rispetto agli obiettivi che si prefigge il Codice, trattandosi di una inevitabile circolazione di singoli istituti più che di una “attrazione” ad altri ambiti ordinamentali. Sgomberato il campo dagli equivoci  che può generare la  qualificazione della natura giuridica del  procedimento disciplinare sportivo, e precisato che esso ha profili strutturali e funzionali del tutto atipici e peculiari, è anche vero che la questione della definizione della natura del procedimento de quo risulta attenuato dalla compiuta regolamentazione normativa del procedimento che si rinviene negli artt. 27-48, come completata dai poteri di attivazione ex officio del giudice sportivo (ex art. 14 CGS)”. (Collegio di Garanzia CONI, Sez. Cons. par. 16 Marzo  2016, n. 1).

Orbene, proprio le contrapposte esigenze sottese a siffatto complesso meccanismo sanzionatorio, a cui si può giungere solo a seguito dell’espletamento di un procedimento estremamente tipizzato, volto a contemperare le esigenze di tutela dell’ordinamento da comportamenti devianti e quelle di difesa, hanno condotto il legislatore sportivo ad affidare l’esclusività dell’azione disciplinare ad un organo terzo ed imparziale, portatore di interessi generali, vale a dire la Procura Federale.

Tale principio è chiaramente sancito sia dall’art. 44 del CGS CONI, che dall’art. 32 ter del CGS FIGC nella parte in cui dispongono che il Procuratore Federale esercita in via esclusiva l’azione disciplinare  nei  confronti  di  tesserati,  affiliati  e  degli  altri  soggetti  legittimati  quando  non sussistono i presupposti per l’archiviazione. Lo stesso ordinamento riconosce, inoltre ai tesserati la possibilità di segnalare l’apertura di un fascicolo di indagine, nonché specifiche disposizioni a chiusura del sistema così delineato, quali quella, appunto, prevista dall’art. 51 comma 4 del CGS CONI, nonché il potere di avocazione della Procura Generale dello Sport previsto dall’art. 12 ter, comma 4 dello Statuto del CONI.

L’esclusività dell’azione disciplinare è stata anche ribadita dal Collegio di Garanzia in una recentissima pronuncia liddove ha statuito che “….In proposito l’art. 44 del Codice della Giustizia Sportiva del CONI assegna alla Procura Federale presso ciascuna Federazione il potere di “esercitare in via esclusiva l’azione disciplinare nei confronti dei tesserati, affiliati e degli altri soggetti legittimati secondo le norme di ciascuna Federazione”. Quindi, il Codice della Giustizia Sportiva ha riconosciuto il potere di esercitare l’azione disciplinare in via esclusiva al Procuratore Federale con chiaro riferimento al momento di avvio del procedimento disciplinare, allorché, ricorrendo i presupposti stabiliti dallo stesso art. 44 CGS, si perviene al deferimento e, quindi, all’instaurazione del giudizio di primo grado….” (Collegio di Garanzia CONI, Sez. IV del 23 Aprile 2018, n. 21).

Riconoscere ai singoli tesserati la possibilità di aggirare tale complesso iter procedimentale che, solo a seguito di specifica contestazione degli addebiti, sfocia in un atto di deferimento che deve contenere nello specifico le violazioni censurate, le condotte ritenute lesive e le norme violate, significherebbe creare un irrimediabile vulnus delle ordinarie regole difensive e delle garanzie che lo stesso ordinamento sportivo pone a tutela dei propri tesserati; non senza considerare che, in tal modo, come anche osservato dalla difesa della FIGC, ai tesserati sanzionati verrebbe preclusa la possibilità di applicare istituti giuridici quali il cd patteggiamento ante causam ovvero in corso di giudizio.

Non v’è chi non veda, inoltre, la palese antinomia che si verrebbe a creare nel caso di specie – qualora si ritenesse ammissibile l’attivazione della sanzione disciplinare su ricorso di parte – liddove si chiede di sanzionare a titolo di responsabilità diretta la sola Società Matera Calcio Srl per effetto di comportamenti dei propri dirigenti, neanche convenuti nel presente giudizio e, quindi, impossibilitati a difendersi.

Sotto altro profilo, in aggiunta alle considerazioni sopra formulate, va evidenziato che il proposto ricorso:

- si appalesa comunque estremamente generico in quanto fondato su generiche “indiscrezioni”, per effetto delle quali si chiede, poi, al Tribunale, di procedere, a seguito di eventuale attività istruttoria, alla valutazione dei fatti alla luce degli atti acquisendi, pur nella oggettiva consapevolezza che il Tribunale Federale non può in alcun modo sostituirsi all’attività inquirente nella ricerca della prova e requirente nell’individuazione delle fattispecie illecite;

- non specifica i criteri in base ai quali applicare la sanzione richiesta in quanto la retrocessione richiesta in ricorso non è prevista fra le sanzioni applicabili ai casi di specie ed anche la richiesta formulata in dibattimento, vale a dire tredici punti di penalizzazione, non individua alcun  parametro,  se  non  estremamente  generico,  in  base al  quale  applicare  la predetta sanzione;

- non contiene alcun elemento utile a valutare la legittimazione attiva del soggetto ricorrente (a fronte dell’eccezione formulata in udienza dai legali della FIGC la difesa della FC Aprilia Racing Club non ha nulla controdedotto limitandosi ad opporsi al deposito della documentazione, sebbene sia onere di parte ricorrente dimostrare il proprio interesse concreto ed attuale a ricorrere);

- richiede l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 18, comma 1 lett. g), vale a dire la penalizzazione di punti in classifica da scontare nella stagione precedente a quella attualmente in corso, in palese violazione della stessa disposizione codicistica (vedasi al riguardo le decisioni di questo Tribunale, Com. Uff. nn. 9/TFN-SD e 10/TFN-SD s.s. 2018-19).

P.Q.M.

Il Tribunale Nazionale Federale – Sezione Disciplinare dichiara inammissibile il ricorso. Dispone addebitarsi la tassa reclamo.

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