Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. –  Sezione Prima - Decisione n. 41 del 09/05/2023

Decisione impugnata: Decisione della Corte Sportiva d'Appello Nazionale della FIGC n. 113/CSA/2022-2023, depositata (completa di motivazioni) e notificata il 16 gennaio 2023, con la quale, nel respingere il reclamo proposto dalla predetta società, è stata confermata la pronuncia del Giudice Sportivo presso la Divisione Calcio a Cinque, pubblicata sul C.U. n. 454 del 9 gennaio 2023, a sua volta reiettiva del ricorso della medesima istante contro la regolarità della gara A.S.D. L84 s.r.l. - S.S.D. Petrarca Calcio a Cinque s.r.l. del 30 novembre 2022

Impugnazione Istanza: S.S.D. Petrarca Calcio a Cinque s.r.l. / S.S.D. L84 s.r.l. / L. D. S. / FIGC / Divisione Calcio a Cinque / LND / Procura Generale dello Sport presso il CONI

Massima: Infondata è la censura proposta dalle Divisione Calcio a 5 di improcedibilità del ricorso relativo alla posizione irregolare del calciatore in quanto l’art. 30, c. 3, dello Statuto FIGC escluderebbe la competenza del Collegio di Garanzia sulle questioni relative all’omologazione delle gare interne alla FIGC. La questione è già stata recentemente affrontata ex professo da questa Sezione (decisione n. 11/2023) ed è fondamentale anche in questa sede ribadire che la disposizione endofederale della FIGC non può superare la disciplina dell’art. 54, comma 1, CGS CONI, attesa la prevalenza della stessa sui diversi Statuti e Regolamenti di Giustizia adottati dalle Federazioni, non essedo possibile dubitare, infatti, come l’ambito della giurisdizione, desumibile dalla lettura della norma appena   citata,  preveda che tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale, emesse dai relativi Organi di giustizia, sono di competenza del Collegio di Garanzia dello Sport (in argomento Collegio di Garanzia, decisioni n. 20/2020 e n. 35/2017). Nell’occasione il Collegio, su fattispecie analoga alla presente, ha osservato che «Diversamente opinando, si verrebbe a creare un inammissibile vuoto di tutela avverso delle situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela su tre gradi di giudizio, il terzo dei quali rappresentato dal Collegio di Garanzia dello Sport, chiamato, in questo caso, a valutare la corretta applicazione dei principi di diritto in materia di esecuzione delle sanzioni avverso la regolarità della gara (per posizione irregolare di un calciatore che non avrebbe avuto titolo a prendervi parte); nella specie, dunque, l’eventuale  sanzione  della  perdita  della  gara  e  la  conseguente  omologazione  è  un  effetto normativamente previsto conseguente alla violazione delle norme, su cui il Collegio è certamente competente, poste a presidio del principio della regolarità delle competizioni sportive. […] la omologazione della gara diventa una contestazione c.d. a cascata o ad effetto domino perché derivante dalla violazione di un principio diverso (che costituisce il petitum processuale nel caso di scrutinio), che concerne la inesatta esecuzione di una sanzione già irrogata, la quale si pone come antecedente logico al risultato sportivo di poi omologato. […] La questione interpretativa deve, pertanto, essere risolta nel senso della piena giustiziabilità dinanzi al Collegio di Garanzia delle controversie relative ad omologazioni di risultati sportivi (nella specie viziate da inesatte esecuzioni di sanzioni sportive) le quali, a mente della giurisprudenza di questo Collegio, sono state già in passato ritenute pienamente conoscibili dallo stesso: «non costituiscono questioni di carattere bagatellare – escluse, a mente della prima parte del comma 1, dell’art. 54 CGS del CONI, dall’ambito cognitivo del Collegio di Garanzia – l’attribuzione di tre punti in classifica, e la corrispondente decurtazione, allorquando si discuta di comminare la cosiddetta “sconfitta a tavolino”. Si tratta, infatti, di controversie rilevanti poiché incidono su interessi primari che ciascuna compagine persegue partecipando ad un campionato, in alcuni casi atti a determinare la permanenza o meno nelle categorie, se non, addirittura, la vittoria del torneo» (Sezione I, decisione 22 maggio 2019, n. 38)». Inoltre, sempre nell’ottica di tale eccezione, la resistente Divisione sostiene che la descritta decisione, nella quale, come detto, si conferisce prevalenza alla normativa CONI in ossequio al principio di gerarchia delle fonti, si porrebbe in contrasto con altra giurisprudenza di questo Collegio, che avrebbe applicato invece la normativa federale, con ciò riferendosi ai precedenti della Sez. Quarta, nn. 42/2022 e 64/2022, chiedendo, pertanto, la rimessione della questione alle Sezioni Unite. Al fine di escludere l’asserito contrasto, deve rilevarsi quanto segue. Costituisce parametro condiviso quello per cui «Il generale principio di gerarchia delle fonti normative … non permette che una norma regolamentare possa contenere delle disposizioni che contrastino con la disciplina di rango superiore, né può modificarle o abrogarle» (cfr. Collegio di Garanzia, decisioni nn. 76/2019 e 30/2022); così ragionando, è stato ritenuto congruo disapplicare incidenter tantum la norma sportiva in contrasto con una di rango inferiore o comunque di disporre un adeguamento alla fonte primaria, ad esempio, con la decisione Collegio di Garanzia, Sez. I, decisione n. 51/2018: «Come nel processo amministrativo, anche in quello sportivo il giudice può disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, una norma secondaria di regolamento in contrasto con il disposto legislativo primario» (che richiama Cons. St., Sez. III, 30 gennaio 2017, n. 367). Nella decisione n. 11/2023 si dà nondimeno atto di tale principio e si afferma che «le norme delle federazioni sportive, sia sostanziali che giustiziali, che si pongono in contrasto con i principi stabiliti dal CONI, vanno disapplicate in favore delle previsioni del Codice di Giustizia del CONI, che, come ricordato innanzi, costituisce invero un atto fonte, gerarchicamente sovraordinato e vincolante nei confronti delle norme federali»; e diversamente non potrebbe essere laddove l’ermeneutica complessiva sull’art. 30, c. 3, dello Statuto FIGC non può che derivare dal raffronto con le previsioni contenute nel Codice della Giustizia Sportiva del CONI, il quale, secondo quanto previsto dall’art. 64, commi 2 e 4, pone un obbligo di adeguamento allo stesso da parte degli Statuti e dei Regolamenti Federali di Giustizia, presidiato dalla sanzione, in caso di mancato adeguamento, della revocabilità delle pronunce endofederali rese in violazione dei principi inderogabili sull’ordinamento o sullo svolgimento del giudizio contenuti nelle fonti CONI: « Tale principio si traduce, dunque, in fase di impugnativa innanzi al Collegio di Garanzia, nell’obbligo di uno scrutinio anticipato di conformità al CGS CONI delle singole previsioni dei Regolamenti di Giustizia endofederali di volta in volta in rilievo, dovendo in ultima analisi spiegarsi l’effetto conformativo del Codice nei termini di una precisa rima interpretativa, idonea a garantire a monte l’unità dell’intero sistema di Giustizia Sportiva» (Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Quarta, decisione 24 giugno 2019, n. 48). In via generale, dunque, ove si rinvengano disposizioni federali dissonanti con quelle di rango superiore è compito dell’interprete rilevarne la recessività all’esito dell’operazione ermeneutica destinata ad individuare la regola di giudizio applicabile. Diverso è, invece, il caso delibato dalla Sez. Quarta con le decisioni citate, in cui, contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, non si è affatto data applicazione alla normativa federale “in caso di difformità tra la normativa federale e quella del C.O.N.I.” (così a p. 5 della memoria di costituzione). Invero, in quella circostanza, a fronte del silenzio del legislatore CONI in ordine alla perentorietà/ordinatorietà del termine per disporre il deferimento da parte del Procuratore Federale (nel CGS CONI, infatti, non vi è una disposizione in ordine alla natura dei termini), si è fatta applicazione del Regolamento Federale che, al contrario, si pronunciava sulla qualificazione di detti termini (nella specie, art. 33 RG FISE). È, pertanto, palese l’assenza di qualsivoglia contrasto interpretativo tra le citate decisioni, giacché diverse sono le questioni interpretative affrontate: nella decisione n. 11/2023 si è rilevato il contrasto tra la normativa federale e quella dettata dal CONI, sancendo la recessività della prima rispetto alla seconda; nelle decisioni nn. 42/2022 e 64/2022 si è fatta applicazione, rilevata la mancanza di una specifica disciplina sovraordinata, della normativa federale (giudicata, nella specie, non in contrasto con la normativa superiore), nell’ambito dell’autonomia regolamentare concessa alle Federazioni, la quale, «nei limiti dei principi fondamentali e degli indirizzi e dei criteri dettati dal CONI, è propria delle Federazioni Sportive che la esercitano per il migliore esercizio delle loro funzioni istituzionali» (Collegio di Garanzia, Sezioni Unite, decisioni n. 17/2020 e n. 32/2018).

Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. –  Sezione Prima - Decisione n. 11 del 01/02/2023

Decisione impugnata: Decisione assunta dalla Corte Sportiva d'Appello della FIGC, pubblicata e notificata con C.U. n.     032/CSA del 4 novembre 2022, che ha respinto il reclamo della suddetta ricorrente, nonché della decisione assunta dal Giudice Sportivo Nazionale presso la Divisione Calcio a 5, pubblicata con C.U. n. 099/DIV del 6 ottobre 2022, con le quali è stato respinto il ricorso della predetta società, con omologazione del risultato della gara S.S. Lazio – Ecocity Futsal Genzano del 24 settembre 2022, valevole per il Campionato Maschile di Serie A2

Impugnazione Istanza: ASD Ecocity Futsal Genzano / Società ASD Lazio Calcio a 5

Massima: ….è doveroso rimarcare l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità del ricorso in quanto l’art. 30, c. 3, dello Statuto FIGC escluderebbe la competenza del Collegio di Garanzia sulle questioni relative all’omologazione delle gare interne alla FIGC. È necessario ribadire invero che detta disposizione non può superare la disciplina dell’art. 54, comma 1, CGS CONI, vista la prevalenza della stessa sui diversi Statuti e Regolamenti di Giustizia adottati dalle Federazioni. Non è revocabile in dubbio, infatti, come l’ambito della giurisdizione, desumibile dalla lettura della norma appena citata, prevede che tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale, emesse dai relativi Organi di giustizia, sono di competenza del Collegio di Garanzia dello Sport (in argomento Collegio di Garanzia, decisioni n. 20/2020 e n. 35/2017). Diversamente opinando, si verrebbe a creare un inammissibile vuoto di tutela avverso delle situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela su tre gradi di giudizio, il terzo dei quali rappresentato dal Collegio di Garanzia dello Sport, chiamato, in questo caso, a valutare la corretta applicazione dei principi di diritto in materia di esecuzione delle sanzioni avverso la regolarità della gara (per posizione irregolare di un calciatore che non avrebbe avuto titolo a prendervi parte); nella specie, dunque, l’eventuale sanzione della perdita della gara e la conseguente omologazione è un effetto normativamente previsto conseguente alla violazione delle norme, su cui il Collegio è certamente competente, poste a presidio del principio della regolarità delle competizioni sportive. Expressis verbis, erra la difesa resistente laddove inquadra la domanda della ricorrente come contestazione sulla omologazione della gara; invero, la omologazione della gara diventa una contestazione c.d. a cascata o ad effetto domino perché derivante dalla violazione di un principio diverso (che costituisce il petitum processuale nel caso di scrutinio), che concerne la inesatta esecuzione di una sanzione già irrogata, la quale si pone come antecedente logico al risultato sportivo di poi omologato. Posto che in sede civile (il richiamo nell’ordinamento sportivo è ammissibile ex art. 2, comma 6, CGS CONI): a) il nesso causale è regolato dal principio della regolarità causale, integrato, se del caso, da quelli dell'aumento del rischio e dello scopo della norma violata, ferma restando sul piano funzionale della causalità specifica la diversità del regime probatorio rispetto alla sede penale; b) la verifica della causalità tra condotta omissiva e fatto dannoso in base ad una indagine controfattuale non è ancorata alla determinazione quantitativa statistica delle frequenze di classi di eventi, ma deve essere effettuata riconducendo il grado di fondatezza nell'ambito degli elementi di conferma e nel contempo di esclusione di altri possibili e alternativi; c) tale indagine deve essere svolta secondo i criteri della prevalenza relativa e del «più probabile che non», dando prevalenza, rispettivamente, all'enunciato rispetto al fatto che ha ricevuto il maggior grado di conferma relativa e scegliendo, in assenza di altri fatti positivi, l'ipotesi fattuale che riceva un grado di conferma maggiormente probabile rispetto all'ipotesi negativa (cfr. Cass. Civ., sez. III, 7 marzo 2022, n. 7355), non v’è chi non veda come, nel caso che ci occupa, la ricostruzione ex ante della catena causale deve estendersi ulteriormente all'indagine circa la probabilità che laddove fosse stata correttamente interpretata la norma e, quindi, dichiarata la inesatta esecuzione della sanzione per posizione irregolare di un calciatore che non avrebbe avuto titolo a prendere parte alla gara, quest’ultima avrebbe avuto un risultato diverso, ovvero lo 0-6 a tavolino che, successivamente, sarebbe stato omologato. In buona sostanza, il sillogismo tecnico giuridico da porre in rilievo è: premesso che la sanzione irrogata al calciatore non è stata correttamente eseguita (c.d. premessa maggiore); essendo la posizione del calciatore irregolare (c.d. premessa minore); la partita doveva essere conclusa con il risultato dello 0-6 a tavolino (c.d. conseguenza). Ma non solo; giova anche precisare come anche la giurisprudenza amministrativa, nel confermare la sovranità dell’ordinamento sportivo in determinati casi, all’uopo affermando che “La controversia sull’omologazione del risultato di una gara è del tutto estranea alla giurisdizione del Giudice dello Stato, poiché riguarda l’applicazione di regole tecniche e sportive di gioco e non provvedimenti che incidono su diritti/interessi delle parti, così rientrando senz’altro nell’ambito di previsione dell’art. 2 comma 1 lettera a) del Decreto-Legge n. 220/2003, a norma del quale è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive: si verte infatti su questione che appartiene al regime di “totale autonomia” dell’ordinamento sportivo, assolutamente insindacabilità da parte di qualsiasi giudice statale, con la sola eccezione dell’art. 218 Decreto-legge 34/2020, il quale prevede interventi per la definizione dei campionati in presenza di COVID e la competenza in unico grado del Collegio di Garanzia del CONI, senza tuttavia alterare il delicato, ma netto, equilibrio delineato dal sistema di riparto di cui al Decreto- legge 220/2003” (Consiglio di Stato, Sez. V, 13 ottobre 2022 n. 8743), ha cristallizzato un profilo che deve essere, come già in precedenza affermato dal Collegio di Garanzia dello Sport e in particolare da Questa sezione, di gerarchia delle fonti tipico di ogni ordinamento settoriale. Non possono essere, dunque, ritenuti conferenti i precedenti del Collegio di Garanzia citati dalla resistente nella propria memoria di costituzione (Sez. IV, decisioni n. 42/2022 e 64/2022), trattandosi di materia completamente differente rispetto alla presente (nel caso delibato dalla Sez. Quarta, a fronte del silenzio del legislatore CONI in ordine alla perentorietà/ordinatorietà del termine per disporre il deferimento, si è fatta applicazione del regolamento federale che, al contrario, si pronunciava sulla qualificazione di detti termini); né può assumere rilievo l’invito ivi contenuto, in quanto trattasi, oltre che di fattispecie neppur lontanamente paragonabile alla presente, di un semplice obiter al fine di “spronare” il legislatore sportivo a legiferare sul punto. Ben altra cosa è il mancato adeguamento della FIGC al Codice della Giustizia Sportiva, o meglio (anzi peggio) l’aver previsto una norma, quale quella in parola, che vi si pone in aperto contrasto. Apertis verbis, costituisce, come ben noto, obbligo delle Federazione di adeguare i propri Statuti e regolamenti alle norme dettate dal CONI in materia, non solo, di giustizia; e la rilevata antinomia può essere facilmente risolta in questa sede giustiziale mediante il ricorso al principio di gerarchia delle fonti. D’altronde, «il codice della giustizia sportiva, emanato dal CONI, costituisce invero un atto fonte, gerarchicamente sovraordinato e vincolante nei confronti delle norme federali. È oltremodo  evidente  che  le  Federazioni  Sportive  Nazionali  devono  esercitare  l’autonomia normativa  di  cui  sono  dotate  nel  rispetto  dei  principi  fondamentali  emanati  dal  CONI.  La circostanza per cui i principi generali sono dettati dall’ente esponenziale dello sport italiano, al fine di armonizzare ed uniformare l’attività delle Federazioni Sportive Nazionali, degli Enti di Promozione Sportiva e delle Discipline Sportive Associate, evidenzia chiaramente la natura vincolante di simili prescrizioni, che non possono essere pertanto disattese. L’obbligo per le Federazioni di adeguarsi ai principi dettati dal CONI è, del resto, disposto dal CONI stesso attraverso la Deliberazione n. 1510-1511 del Consiglio Nazionale 11 giugno 2014, con cui sono stati posti i Principi fondamentali  degli Statuti delle  Federazioni Sportive  Nazionali e  delle Discipline Sportive Associate (l’art. 15 enuncia espressamente il dovere per le Federazioni Sportive Nazionali e le Discipline Sportive Associate di adeguare i propri statuti e regolamenti ai Principi di Giustizia Sportiva emanati dal Consiglio Nazionale del CONI)» (Collegio di Garanzia, Sez. Consultiva, parere n. 4/2016) (in generale, sul principio di gerarchia delle fonti nell’ambito dell’ordinamento sportivo, ex multiis, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 24 giugno 2019, n. 48; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 28 novembre 2018, n. 75; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 4 giugno 2018, n. 34; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 14 maggio 2018, n. 25; Collegio di Garanzia dello Sport, Sezione Consultiva, parere 19 settembre 2017, n. 6). Corollario dei principi enunciati è che le norme delle federazioni sportive, sia sostanziali che giustiziali, che si pongono in contrasto con i principi stabiliti dal CONI, vanno disapplicate in favore delle previsioni del Codice di Giustizia del CONI, che, come ricordato innanzi, costituisce invero un atto fonte, gerarchicamente sovraordinato e vincolante nei confronti delle norme federali. Dunque, l’ermeneutica complessiva sull’art. 30, c. 3, dello Statuto FIGC, non può che derivare dal raffronto con le previsioni contenute nel Codice della Giustizia Sportiva del CONI, il quale, secondo quanto previsto dall’art. 64, commi 2 e 4, pone un obbligo di adeguamento ad esso degli Statuti e dei Regolamenti di Giustizia federali, presidiato dalla sanzione, in caso di mancato adeguamento, della revocabilità delle  pronunce endofederali rese  in violazione dei principi inderogabili sull’ordinamento o sullo svolgimento del giudizio posti nelle fonti CONI. Tale principio si traduce, dunque, in fase di impugnativa innanzi al Collegio di Garanzia, nell’obbligo di uno scrutinio anticipato di conformità al CGS CONI delle  singole previsioni dei Regolamenti di Giustizia endofederali di volta in volta in rilievo, dovendo in ultima analisi spiegarsi l’effetto conformativo del Codice nei termini di una precisa rima interpretativa, idonea a garantire a monte l’unità dell’intero sistema di Giustizia Sportiva (Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 24 giugno 2019, n. 48). Considerando, altresì, che lo stesso articolo 30, comma 6, dello Statuto FIGC dispone che “In ogni caso, devono essere osservati i Principi di Giustizia Sportiva emanati dal Consiglio Nazionale del CONI e le norme statutarie e regolamentari federali di loro attuazione”. La questione interpretativa deve, pertanto, essere risolta nel senso della piena giustiziabilità dinanzi al Collegio di Garanzia delle controversie relative ad omologazioni di risultati sportivi (nella specie viziate da inesatte esecuzioni di sanzioni sportive) le quali, a mente della giurisprudenza di questo Collegio, sono state già in passato ritenute pienamente conoscibili dallo stesso: «non costituiscono questioni di carattere bagatellare – escluse, a mente della prima parte del comma 1, dell’art. 54 CGS del CONI, dall’ambito cognitivo del Collegio di Garanzia – l’attribuzione di tre punti in classifica, e la corrispondente decurtazione, allorquando si discuta di comminare la cosiddetta “sconfitta a tavolino”. Si tratta, infatti, di controversie rilevanti poiché incidono su interessi primari che ciascuna compagine persegue partecipando ad un campionato, in alcuni casi atti a determinare la permanenza o meno nelle categorie, se non, addirittura, la vittoria del torneo» (Sezione I, decisione 22 maggio 2019, n. 38).

Massima: Infondata è la censura proposta dalle Divisione Calcio a 5 di improcedibilità del ricorso in quanto l’attività posta in essere dalla Giustizia Federale e della Divisione di Calcio a 5, nel caso in questione, costituirebbe esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, nella quale rientra quella tipologia di valutazioni che attengono ad una specifica branca della scienza o della tecnica, che non rientrano in operazioni oggettive o misurabili, a differenza invece dei c.d. accertamenti tecnici (ad es. misurazioni)”…Tale ragionamento, che vorrebbe i giudici sportivi esercitanti atti di discrezionalità tecnica al pari delle commissioni giudicatrici di gara o di concorso, offre una lettura atipica della giustizia sportiva nel suo complesso, risolvendosi in una eccezione che non pare aderente alla realtà. La Legge n. 280 del 2003, proprio per le sue innegabili peculiarità, ha evidenziato la “specificità” del sistema sportivo e, di conseguenza, la propria “autonomia” dall’ordinamento giuridico statale, anche al fine di garantire, nel proprio ambito, la soluzione di tutte le controversie derivanti dall’attività sportiva, mediante il ricorso a regolamenti e sistemi di giustizia idonei a fornire una soluzione adeguata per tutte le questioni sorte e insorgende. L’autonomia del sistema sportivo consiste, pertanto, non solo nel potere di dettare le c.d. regole di gioco, volte a disciplinare lo svolgimento della competizione, ma anche nella potestà di conformare i comportamenti degli appartenenti al rispetto della disciplina interna e dei principi generali dell’ordinamento. L’accettazione delle regole statutarie della Federazione Sportiva comporta anche l’assoggettamento al vincolo di giustizia sportiva in forza della clausola compromissoria, per mezzo della quale i soggetti del sistema sportivo “vengono a sottoporsi consapevolmente all’osservanza dello Statuto e del Regolamento delle rispettive Federazioni, accettando anche che, in caso di violazioni di tali diritti, tutti gli atti ed i fatti concernenti l’esercizio dell’attività agonistica vengano accertati e giudicati dagli organi di giustizia sportiva” (cfr. Cass. Civ., 2003/11751, nonché Cass. Civ. 2005/18919). Ed è proprio in ragione di questo vincolo, di tipo endoassociativo, che viene a crearsi la dicotomia tra funzione giurisdizionale e funzione giustiziale, e la riconduzione dell’agire degli organi di giustizia federali e del Collegio di Garanzia dello Sport nell’ambito di quest’ultima (sul punto, Collegio di Garanzia dello Sport, sez. I, decisione n. 31/2020, nonché, ex multis, TAR Lazio, Sez. I ter, n. 9853/202) svuota di significato la predetta eccezione. Gli organi della Giustizia Sportiva - che partecipano della medesima natura pubblicistica delle Federazioni sportive e del CONI ogni qualvolta le loro decisioni rivestano rilevanza giuridica esterna per l’ordinamento statale, emettendo in tal caso provvedimenti amministrativi (in tal senso, Cons. Stato, sent. n. 5046/2018, TAR Lazio, sent. n. 11146/2016) - al pari della c.d. amministrazione contenziosa (o “giustiziale”), hanno lo scopo di risolvere controversie in applicazione della vigente normativa da parte di organi in posizione neutrale, nell’ambito di un sistema che si articola in procedimenti che hanno caratteri assimilabili a quelli dei procedimenti giurisdizionali. Sia sul versante degli organi sia sul versante dei procedimenti, l’amministrazione “giustiziale” dell’organizzazione sportiva è, pertanto, ontologicamente differente e caratterizzata da strumenti di partecipazione più forti rispetto a quelli previsti nell’ambito del regime generale dei procedimenti amministrativi, quali la neutralità e l’intrinseca autorevolezza del soggetto decidente, il tecnicismo, il contraddittorio rafforzato, l’economicità, l’informalità e la vincolatività della decisione.

Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. –  Sezione Prima: Decisione n. 39 del 13/06/2022

Decisione impugnata: Decisione emessa dalla Corte Sportiva d'Appello Territoriale presso il Comitato Regionale Lombardia della Lega Nazionale Dilettanti, di cui al C.U. n. 17 del 18 novembre 2021, con la quale è stato respinto il reclamo presentato dalla suddetta ricorrente avverso la decisione del Giudice Sportivo della Delegazione di Milano, di cui al C.U. n. 15 del 4 novembre 2021.

Impugnazione Istanza: A.S. Virtus Abbiatense /CR Lombardia / FIGC

Massima: E’ inammissibile il ricorso presentato dalla società avverso la decisione della Corte Sportiva d'Appello Territoriale con la quale è stato respinto il reclamo presentato dalla suddetta ricorrente avverso la decisione del Giudice Sportivo e, per l'effetto, sono state confermate, a carico della medesima società, le sanzioni della perdita della gara con il risultato di 0-3 e l'ammenda pari ad € 1.000,00, a titolo di responsabilità oggettiva derivante dalla condotta di un suo tesserato, noncla sanzione della squalifica, a carico  del calciatore  D. B., sino al 31 ottobre 2022. Va preliminarmente valutata l’ammissibilidel ricorso, che, non investendo la decisione della CSA circa la perdita della gara, correttamente non è stato notificato a A.S.D. Real Trezzano. Per quanto concerne, però, il gravame avverso la sanzione dell’ammenda, va esclusa la competenza del Collegio di Garanzia, risolvendosi questa in una questione di rilievo bagatellare, per la quale, a mente dell’art. 54, comma 1, CGS CONI, il ricorso è improponibile. Al contempo, in ordine alla sanzione disciplinare irrogata al D. B., va riaffermato il principio secondo cui "Il procedimento disciplinare ha ad oggetto le legittimidi una pretesa punitiva nei confronti di un soggetto; ha struttura strettamente binaria nella quale si contrappongono due sole posizioni: quella dellorgano che esercita lazione disciplinare e quella del soggetto destinatario della pretesa sanzionatoria. Nessun altro soggetto è legittimato ad intervenire, né per sostenere le ragioni delluna o dellaltra parte, né per far valere un proprio autonomo interesse (interesse che, del resto, proprio perché autonomo risulterebbe necessariamente indipendente dal procedimento disciplinare e dunque estraneo ad esso)” (Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione 6 settembre 2019, n. 71). Orbene, il D. B. non risulta, almeno per quanto si evince dagli atti sottoposti a questo Collegio, aver proposto alcuna impugnativa, né innanzi ai Giudici Federali e, tanto meno, innanzi a questo Collegio. Perciò, la Virtus Abbiatense era onerata, al fine di legittimarsi all’impugnazione della squalifica del proprio atleta, di dedurre, sia la sussistenza di un proprio interesse autonomamente tutelabile, sia di prospettare le ragioni per le quali la innanzi citata giurisprudenza a Sezioni Unite di questo Collegio potesse eventualmente essere riconsiderata al fine di mutarne l’orientamento. In proposito, è utile ricordare che il procedimento innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport si svolge secondo le regole proprie, se e in quanto applicabili, del procedimento innanzi alla Corte di Cassazione (per effetto del rinvio di cui allart. 2, comma 6, CGS CONI, come affermato da costante giurisprudenza di questo Collegio). Pertanto, circa l’interesse della parte all’accoglimento del proprio gravame, lo scrutinio dello stesso da parte del Collegio Giudicante è indefettibile anche per rilevarne la correlazione (necessaria) con i motivi di gravame. Si tratta di questione di non poco conto, atteso quanto la Suprema Corte ha più volte ritenuto inammissibili quei ricorsi che, pur se proposti adducendo censure condivisibili, non consentono di escludere la possibiliche la decisione gravata resti, comunque, valida, quando, ad esempio, si fondi su plurime argomentazioni, ovvero su distinte motivazioni atte a giustificare autonomamente il rigetto di ogni singola eccezione. Perciò, come detto, va ritenuto che, pur se la norma di cui all’art. 360 bis, co. 1, n. 1, c.p.c. dispone espressamente l’inammissibilidel ricorso solo laddove non ricorrano elementi per mutare l’orientamento della giurisprudenza  sulla base della quale  è stata  pronunciata la decisione impugnata, non sembra potersi dubitare che detto principio valga anche ai fini del decidere sull’ammissibilità (nel caso di specie sulla legittimazione attiva) del ricorso proposto innanzi al Collegio di Garanzia senza tener conto del consolidato orientamento del Collegio stesso. Nel caso che ci occupa, poi, la decisione assunta dalla CSA Territoriale l’11 novembre 2021 si fonda sull’asserto per cui “il rapporto arbitrale” è fonte primaria e privilegiata di prova, vale a dire quanto ritenuto da questo Collegio di Garanzia con plurime decisioni (Sez. II, decisione n. 84/2017; Sez. II, decisione n. 9/2021; Sez. I, n. 23/2021). Ne consegue che il proposto ricorso, limitandosi in buona sostanza a censurare la mancata verifica in punto di fatto di quanto asserito nel referto del direttore di gara, senza dedurre le ragioni in punto di diritto per cui detta fede privilegiata potesse essere vinta nel caso che ci occupa, è comunque inammissibile a mente dell’art. 360 bis, primo comma, n.1, c.p.c. In base alla medesima premessa, viene, di più, in evidenza altro profilo di inammissibilidel proposto ricorso, in relazione al requisito di autosufficienza, che, a mente dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non appare soddisfatto con la sola deduzione a mezzo della quale, sia a sostegno del primo motivo di censura, che del secondo (nel ricorso identificati sub n. 2 e n. 3), si pone la doglianza per cui i giudici di merito, in particolare la Corte Territoriale, non avrebbe dato seguito a pur sollecitati approfondimenti istruttori. Orbene, nella prospettazione dei detti motivi, la parte ricorrente non si fa in alcun modo carico di localizzare” il come, il dove e il quando delle richieste istruttorie prospettate in sede di merito (cfr., Cass., 6 ottobre 2017, n. 23452; Cass., 27 dicembre 2019, n. 34496), onde consentire al Collegio di Garanzia di ricostruire l’esatta dinamica processuale (cfr., Cass., 4 febbraio 2022, n. 3612). Si tratta di difetto del requisito di autosufficienza che questo Collegio ha ritenuto più volte dovuto anche nel processo sportivo (cfr., decisioni n. 25/2021 e 107/2021), così pervenendo a ritenere generico il ricorso non assistito dalla produzione degli atti tutti dei gradi di merito: “Né, a tal fine, può sopperire la circostanza che taluni fatti storici, ovvero processuali, risultino incontroversi tra le parti, atteso il dovuto controllo che il Giudice di legittimità deve poter effettuare senza dover ricercare addendi estranei al ricorso introduttivo. Invero, “il principio di autosufficienza che impone lindicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre a specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata «localizzaziondel documento basta per la dichiarazione di inammissibilidel ricorso, senza necessidi soffermarsi sullosservanza del principio di autosufficienza del versante «contenutistico»” (cfr., Cass., Sez. I - Ordinanza n. 28184 del 10 dicembre 2020 (Rv.660090-01))” (cfr. Collegio Garanzia dello Sport Sez. I n. 107/2021). Dunque, detta insufficienza preclude, di principio, l’esame di tutte le questioni che il ricorrente assume di aver già prospettato in quel grado, non consentendo, ad esempio, di poter stabilire se vi sono eccezioni nuove e perciò inammissibili. Si aggiunga a ciò che, nel caso che ci occupa, il Collegio si è comunque fatto carico di ricercare, negli atti proposti a sostegno del ricorso, l’istanza processuale tesa a istruire nei gradi di merito le ragioni in punto di fatto. Dall’esame, però, di detti atti è emerso solo il reclamo proposto in data 8 novembre 2021, laddove, oltre a chiedersi un mero “riesame” della decisione del Giudice Sportivo, anzi “della vicenda”, si afferma che, per la stessa, è “possibile anche convocare “dei” testimoni che hanno assistito allevento, compresi i dirigenti ed il Presidente appunto della società ospitante”. Si tratta, all’evidenza di una deduzione istruttoria assolutamente generica, priva, invero, di qualsivoglia specificiperfino sulle distinte circostanze di fatto da comprovarsi. È vero, poi, che la Corte Sportiva di Appello, nella decisione gravata, non dà conto della suddetta istanza istruttoria, ma ciò non basta per censurare quanto ritenuto da detto giudice in termini di prevalenza della fonte di prova munita di rilevanza legale (in argomento, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione n. 69/2018; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Unite, decisione n. 89/2019; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione n. 71/2021). La semplice contestazione della verità dei fatti, così come risultante dal referto del Direttore di Gara, non consentiva, del resto, né in quella sede né, a maggior ragione, innanzi a questo Collegio, di indagare sulla attendibilidel referto, in assenza di una precisa ed adeguata istanza istruttoria, per l’ovvia ragione che non è neppure immaginabile di travolgere tutti i presidi processuali posti a garanzia dellacquisizione e valutazione delle prove, a maggior ragione quando si tratti di decidere in materia disciplinare e di porre in discussione prove aventi l’efficienza propria della “prova legale. Ciò vale, a maggior ragione, quando si pretende di porre in discussione un referto arbitrale che, per orientamento consolidato, gode di efficacia probatoria privilegiata ai sensi dell’art. 35, comma 11 (oggi confluito nell’art. 61 CGG FIGC), circa il comportamento tenuto dai tesserati in occasione dello svolgimento delle gare. Tale disposizione attribuisce, invero, ai referti arbitrali un valore probatorio simile a quello riservato dall’art. 2700 c.c. agli atti pubblici. Questa efficacia probatoria si estende non solo al tempo e al luogo della gara strettamente intesi (ossia tempo di gara e rettangolo di gioco), ma a tutti gli eventi che siano collegati alla gara stessa, atteso che l’espressione “in occasione dello svolgimento della gara”, contenuta nell’art. 35, comma 11, si riferisce chiaramente a tutte le circostanze che, trovando “occasionenella gara, assumono rilevanza per l’ordinamento sportivo (cfr.,Collegio” n. 23/2021). E, ancor di più, è a dirsi “proprio, in relazione ai procedimenti disciplinari, se è vero che vanno osservate e verificate, con rigore, tutte le garanzie previste in sede ordinamentale per lincolpato, nondimeno proprio detto rigore comporta, al contempo, il doversi esigere il massimo rispetto, anche dal punto di vista formale, dei principi che regolano il processo, a maggior ragione innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, e quindi non ci si può esimere, come è giurisprudenza più che consolidata di questo Giudice, da uno stringente scrutinio di ammissibilità, quale quello che domina la presente decisione.” (Prima Sezione, n. 107/2021). Invero, per la tenuta complessiva dellOrdinamento Sportivo, non è neppure immaginabile che la semplice negatoria di un fatto possa assumere rilievo processuale senza che sia consentito al giudice di effettuare uno scrutinio sulla ammissibilità, rilevanza, inerenza di una deduzione istruttoria apparentemente efficiente allo scopo e, nel caso si tenda a confutare la prova costituente fonte privilegiata, di poter formulare un giudizio preliminare sulla verosimiglianza di quanto possa risultare dalla prova stessa. “Lassunto appena citato trova conferma nella giurisprudenza di legittimità, laddove si chiarisce che nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice (art. 116 c.p.c.), non esiste, al di fuori dei casi di cd. prove legali (cfr., in specie, gli artt. 2700, 2702, 2709, 2733, 2738 c.c.), una gerarchia delle fonti di prova, così che tutte le prove sono liberamente valutabili dal giudice che può porre a fondamento del suo convincimento anche (e solo) quelle di natura presuntiva (qualora ritenute maggiormente attendibili), purché la scelta e la valutazione del materiale probatorio sia sorretta da adeguata, e logicamente non contraddittoria, giustificazione (cfr., ex multiis, Cass. Civ., sez. VI, 24 luglio 2017, n. 18259).” (cfr., Collegio di Garanzia, Prima Sezione, n. 23/2021). Nella specie, stride con evidenza il contrasto tra la prova avente valenza legale e la deduzione di una prova sommamente generica, oltreché non rispettosa dei canoni fissati dall’art. 244 c.p.c. Non a diversa conclusione, del resto, è possibile pervenire anche considerando taluni profili di assimilabilidel procedimento disciplinare a quello penale. Infatti: Chiarisce bene tale concetto la giurisprudenza di legittimità, per la quale, “secondo la previsione dell'art. 192 c.p.p., comma 2, ciascuna circostanza di fatto assumibile come indizio deve essere connotata, in primo luogo, dal requisito, non espressamente richiamato ma fondante, della "certezza", che implica la verifica processuale della sua sussistenza (Cass., sez. 4, n. 39882 del 01/10/2008). L'indicato requisito non può assumersi in termini di assolutezza e di verità in senso ontologico, partecipando, invece, di quella specie di certezza che si forma nel processo attraverso il procedimento probatorio (Cass., sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008); esso tuttavia conduce ad evitare che la prova critica (indiretta) possa fondarsi su di un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito, inammissibilmente valorizzando - contro indiscutibili postulati di civiltà giuridica - personali impressioni o immaginazioni del decidente o mere congetture (Cass., sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015). (Collegio Garanzia, Prima Sezione, n. 23/2021). Di qui l’inammissibilità, per le diverse ragioni evidenziate, del ricorso proposto da Virtus Abbiatense.

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. – Sezione Seconda:  Decisione n. 8/2020 del  12 febbraio 2020

Decisione impugnata: Decisione della Corte Sportiva d'Appello Territoriale Toscana, pubblicata con Comunicato Ufficiale n. 59 del 28 marzo 2019, con la quale la Corte, in parziale riforma della decisione del Giudice Sportivo Territoriale (Comunicato Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2019), ha ridotto ad Euro 2.000,00 l’ammenda inflitta al Forte di Bibbona Calcio,  in conseguenza dei comportamenti assunti da taluni suoi tesserati in occasione della gara Pomarance-Forte di Bibbona del 3 marzo 2019 del Campionato di Seconda Categoria Girone “F”, nonché confermato la squalifica inflitta al calciatore N. S. fino al 7 aprile 2020, “per avere [il S., ndr.] sputato al D.G. colpendolo al volto”.

Parti: ASD Forte di Bibbona Calcio/N. S./Federazione Italiana Giuoco Calcio/Lega Nazionale Dilettanti/Comitato Regionale Toscana FIGC-LND

Massima: Annullata senza rinvio la decisione della CSAT in ordine alla sanzione inflitta in quanto già scontata. Fondato è invece il terzo motivo di ricorso, col quale viene censurata la misura della sanzione inflitta al calciatore N. S., perché ritenuta “erronea, eccessiva e sproporzionata perché priva di una base giuridica che la possa sostenere e giustificare”. È noto al Collegio che una simile censura non è ammissibile qualora si risolvesse in una mera contestazione della valutazione operata dai Giudici di merito sulla concreta determinazione della misura della sanzione. L’entità di quest’ultima, infatti, deve ritenersi insindacabile in sede di legittimità ove si collochi nell’àmbito della norma sanzionatoria violata e sia assistita da una congrua e logica motivazione (cfr. Collegio di Garanzia, Sez. II^, decisione n. 7 del 30 gennaio 2019). Ciò premesso, tuttavia, il Collegio reputa che nel caso in esame non si possa non tenere conto del mutato contesto normativo. Infatti, come anche evidenziato dalla ricorrente nella memoria ex art. 60, comma 4, del C.G.S.-CONI del 12 luglio 2019, rispetto alla precedente versione dell’art. 11 bis del C.G.S.-FIGC (recante “Responsabilità per le condotte violente nei confronti degli ufficiali di gara”), norma presa a riferimento dalla Corte d’Appello Territoriale della Toscana nel comminare la squalifica al calciatore N. S. in misura non inferiore ad un anno, il nuovo art. 35 del C.G.S.-FIGC (recante “Condotte violente nei confronti degli ufficiali di gara”) punisce chiunque “sputi” nei confronti dell’ufficiale di gara con la diversa sanzione minima di cinque giornate. Ciò premesso, e ribadita la responsabilità del calciatore N. S. per i fatti di causa, ad avviso del Collegio ragioni di equità impongono di tenere conto della obiettiva situazione sopravvenuta, non conosciuta né conoscibile dalla Corte di Appello (cfr. Collegio Garanzia, Sez. II^, n. 80/2018). Al riguardo, giova peraltro ribadire come questo Collegio abbia già in passato attribuito alla misura disciplinare prevista dall’ordinamento sportivo natura afflittiva, in quanto la sanzione può comportare delle conseguenze che vanno ad incidere, ad esempio, sul percorso professionale del tesserato; ed ha quindi riconosciuto l’applicabilità, in casi come quello qui in esame, del “principio del favor rei, cristallizzato, nel codice penale, all’art. 2, in particolare al secondo comma, per il quale: ‘…nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali…’ ” (cfr. Collegio di Garanzia, Sez. I^, n. 15/2017, che richiama anche Cass. civ., sez. un., 29/07/2016, n. 15819, la quale ha applicato detto principio al di fuori del mero ambito penalistico, in un caso relativo all’irrogazione di sanzioni deontologiche nei confronti di un avvocato, così dettando una linea di pensiero tesa al superamento del mero formalismo in favore della giustizia sostanziale). A ciò si aggiunga che la giurisprudenza di legittimità della Suprema Corte ha, altresì, stabilito che “in tema di successioni di leggi nel tempo, la Corte di Cassazione può, anche d’ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l’imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell’art. 609 c.p.p., l’annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative in melius” (Cass. pen. 46653/2015). In ragione di quanto sopra esposto, il Collegio, nell’annullare la decisione impugnata, può anche decidere la causa nel merito senza rinvio. Infatti, qualsiasi sanzione dovesse essere irrogata dalla Corte di rinvio, essa risulterebbe certamente già stata scontata dal S., il quale, lo si ricorda nuovamente, rispetto al minimo edittale di cinque giornate, ha scontato quasi sette mesi di squalifica. Pertanto, anche per ragioni di economia processuale, in riforma della decisione impugnata e in applicazione del principio di matrice penalista del favor rei, di cui all’art. 2, comma 4, c.p., considerate le circostanze del caso concreto, il Collegio ritiene congruo ed equo ridurre la squalifica impugnata nei limiti del periodo già scontato dal tesserato, ossia fino al 27 settembre 2019, data in cui con ordinanza presidenziale è stata disposta la sospensione dell’esecutività della decisione impugnata.

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. –  Sezione Seconda: Decisione n. 11/2019 del 11 febbraio 2019

Decisione impugnata: Decisione della Corte Sportiva d'Appello Territoriale presso il Comitato Regionale Sicilia della FIGC - LND, pubblicata con C.U. FIGC n. 128/CSAT 06 del 23 ottobre 2018 con la quale, non solo è stato rigettato l’appello proposto dalla ricorrente avverso la decisione del Giudice Sportivo Territoriale presso il Comitato Regionale Sicilia FIGC - LND, pubblicata con C.U. n. 90 del 3 ottobre 2018, ma è stata, altresì, aumentata la sanzione della squalifica fino al  30 settembre 2018, inflitta in primo grado al calciatore M. C., prolungandola sino al 31 dicembre 2018.

Parti: ASD Licata Calcio/Federazione Italiana Giuoco Calcio

Massima:  Il ricorso è inammissibile perché, sostanzialmente incentrato ad ottenere una riduzione della sanzioneL'art. 54 CGS CONI stabilisce, infatti, che il ricorso al Collegio di Garanzia è consentito "esclusivamente per violazione di norme di diritto nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti". Al Collegio di Garanzia spetta, dunque, un sindacato di mera legittimità, equiparabile a quello attribuito, nell'ambito della giurisdizione statale, alla Cassazione (v. decisione del Coll. Gar. CONI, 20 giugno 2016, n. 26: non a caso, la citata disposizione normativa ricalca chiaramente il disposto dell'art. 360 c.p.c.). Conseguentemente, al Collegio è precluso l'esame delle questioni di merito che hanno generato il procedimento giustiziale sportivo (Coll. Gar. CONI, SS.UU., 2 agosto 2016, n. 34; Coll. Gar. CONI, SS.UU., 24 marzo 2016, n. 14), così come è preclusa la possibilità di rivalutare le emergenze istruttorie già vagliate dal Giudice a quo (Coll. Gar. CONI, SS.UU., 14 febbraio 2017, n. 17; Coll. Gar. CONI, SS.UU., 7 marzo 2017, n. 19). Ebbene, in linea con tali principi, deve ritenersi preclusa in sede di legittimità anche la possibilità di rideterminare la sanzione inflitta dal Giudice a quo ogni qual volta la richiesta rideterminazione della sanzione implichi la valutazione di circostanze di fatto; il che indubbiamente accade allorché, come nel caso di specie, si tratti di valutare l'applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti. Infatti, costituisce principio di diritto pacifico in giurisprudenza quello secondo il quale il bilanciamento di circostanze eterogenee costituisce espressione del potere discrezionale del giudice del merito nella valutazione dei fatti e nella determinazione della pena e che l'esercizio di tale potere è sottratto al sindacato di legittimità se il supporto motivazionale sul punto "sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretto" (tra le ultime, Cass. Pen., sez. IV, 12 luglio 2013, n. 43727; in senso conforme, Cass. Pen., sez. III, 23 maggio 2012, n. 40566; Cass. Pen., sez. II, 12 gennaio 2012, n. 4969).  Ebbene,  nel  caso  di  specie  la  determinazione  della  sanzione  effettuata  nella  decisione impugnata  è  sorretta  da  ampia  e  coerente  motivazione,  nella  quale  risultano  peraltro espressamente  e  chiaramente  indicati  i  molteplici  elementi  obiettivi,  tratti  dalle  risultanze processuali, sulla base dei quali si è sviluppato il ragionamento giudiziale; il che conferma la correttezza dell'esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena da parte del Giudice a quo e la conseguente sottrazione dello stesso al sindacato di legittimità.

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I.  Sezione Prima: Decisione n. 19 del 10/04/2018 – www.coni.it

Decisione impugnata: Decisione (C.U. n. 43 del 21 dicembre 2017)  della Corte Sportiva di Appello Territoriale presso il CR Puglia, in riforma della decisione del Giudice Sportivo presso lo stesso Comitato,  con la quale la Corte di Appello Territoriale ha accolto il reclamo proposto dalla Polisportiva Calcio Soleto contro la ASD Taurisano in relazione alla gara disputata tra le stesse il 5 novembre 2017 e, per l’effetto, ha inflitto alla ASD Taurisano la sanzione sportiva della perdita della gara con il risultato di 3-0 in favore della Polisportiva Calcio Soleto, confermando anche il provvedimento dell’ammenda di € 200,00 (duecento/00), già comminato dal Giudice Sportivo di cui al CU n. 39 del 30 novembre 2017

Parti: ASD Taurisano 1939/Federazione Italiana Giuoco Calcio/Lega Nazionale Dilettanti/C.R. Puglia FIGC-LND/Polisportiva Dilettantistica Calcio Soleto

Massima: Il Collegio di Garanzia è competente a decidere in merito al ricorso avverso la sanzione della perdita della gara irrogata dalla Corte Sportiva d’Appello. In più occasioni il Collegio di Garanzia ha avuto modo di chiarire come la funzione assegnata dall’ordinamento sportivo a detto Organismo giustiziale sia quella di verificare la corretta applicazione delle norme, nonché di appurare eventuali lacune del sistema e correggerle per via interpretativa in una prospettiva di formante giurisprudenziale o, più correttamente, giustiziale. In tale perimetro è evidente che i criteri cui ispirarsi nella esternalizzazione della funzione suddescritta sono, da un lato, quelli propri dell’ordinamento sportivo e, dall’altro, in assenza di questi, quelli dell’ordinamento generale. Questa regola, com’è noto, è espressamente scritta nell’articolo 2, comma 6, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI che rinvia ai principi del processo civile “per quanto non previsto” e fermo restando il carattere di informalità cui è ispirato l’ordinamento sportivo.   Il Collegio di Garanzia ha anche avuto modo di affermare come, spesso, deve ritenersi applicabile al contesto sportivo anche talun principio penalistico generale (cfr. Collegio di Garanzia, decisione n. 15/17), che trova ingresso a favore dell’incolpato, anche in ambito civilistico, grazie all’apertura avutasi con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., sez. un., 29/07/2016, n. 15819). Su queste premesse di natura sistematica – procedimentale, lo scrutinio di legittimità domandato con l’odierno gravame porta ad un giudizio di meritevolezza della doglianza. Invero, le sanzioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva della FIGC inerenti la disputa delle gare sono disciplinate dall’art. 17 del codice medesimo, il quale fornisce sanzione precisa a condotta precisa ed individuata. Il solco tracciato dalla norma appena richiamata non consente di poter allargare o restringere la portata delle sanzioni che, peraltro, possono in maniera significativa spezzare gli equilibri dei campionati i cui esiti, è bene ricordarlo, dovrebbero essere il frutto del merito sportivo e non di vicende “altre”; ed ecco il perché, nell’approcciare le condotte violative delle regole, non bisogna discostarsi in maniera superficiale dalle specifiche previsioni normative in corretta applicazione del principio generale penalistico (ma, per quanto innanzi affermato, applicabile anche al giudizio civile e, per tale via, anche al giudizio sportivo in forza del richiamo di cui al ricordato articolo 2, comma 6, del CGS CONI) del nullum crimen, nulla poena sine lege. Apertis verbis, in assenza di previsione normativa, non è possibile adottare una sanzione per una condotta non prevista né tanto meno si può ricorrere all’analogia che, come è noto, sconta un suo divieto applicativo in ambito penalistico (e la sanzione disciplinare in ambito sportivo è equivalente ad una condotta penale) in forza del principio c.d. di legalità formale, nonché per quanto previsto dall’art. 14 delle disp. preliminari al c.c., per il quale “ le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I.  Sezione Seconda: Decisione n. 84 del 13/11/2017 – www.coni.it

Decisione impugnata: Decisione della Corte Sportiva di Appello Territoriale del Comitato Regionale Umbria FIGC/LND, assunta in data 8 giugno 2017 e pubblicata, con Comunicato Ufficiale F.I.G.C.-Lega Nazionale Dilettanti - Comitato Regionale Umbria n. 186 del 9 giugno 2017

Parti: Ivan Cacchioli/Federazione Italiana Giuoco Calcio

Massima: Il Collegio di Garanzia rigetta il ricorso teso all’annullamento della decisione dalla Corte Sportiva di Appello Territoriale, con la quale il calciatore, è stato ritenuto responsabile di condotta violenta nei confronti del direttore di gara e squalificato fino al 31 dicembre 2018. Circa l’eccessività della pena irrogatasi rileva che, secondo l’orientamento di questa Corte: «Il Collegio di Garanzia può valutare la legittimità della misura di una sanzione solo se la stessa è stata irrogata in palese violazione dei presupposti di fatto o di diritto o per la sua manifesta irragionevolezza» (Coll. Gar. CONI, Sez. Un., 10 agosto 2015, n. 35). Pertanto, in questa sede, tale doglianza può essere esaminata solo in relazione ad eventuali vizi di legittimità della decisione impugnata e limitatamente a quei profili di legittimità che sono stati specificamente rilevati dal ricorrente, ossia alla specifica unica censura relativa alla mancata motivazione. Nel caso di specie, tuttavia, non si ravvisa la sussistenza di alcuno dei presupposti sopra indicati. La sanzione irrogata, infatti, non risulta erronea per la valutazione degli elementi di fatto o di diritto esaminati,può ritenersi manifestamente incongrua o sproporzionata nella sua misura. Atteso che la sanzione irrogata rientra nell’ambito di quelle astrattamente applicabili in relazione alla fattispecie contestata e che la sua determinazione è stata confermata dalla Corte Sportiva di Appello facendo espresso riferimento alle circostanze di particolare gravità in cui si è inquadrato il comportamento del sig. – omissis -, alla insanabile contraddittorietà tra il referto arbitrale e le difese del calciatore, nonché alla non credibilità delle stesse sulla base della valutazione del comportamento del Cacchioli anche immediatamente successivo al fatto contestato, la pretesa eccessività della sanzione irrogata nei confronti del ricorrente non può formare oggetto di censura, perché ciò significherebbe riconoscere a questo Collegio il potere di sostituirsi al Giudice che ha assunto la decisione impugnata nella determinazione della sanzione ritenuta più congrua (nello stesso senso, v. Coll. Gar. CONI, Sez. II, 14 febbraio 2017, n. 13, ove si ribadisce che la concreta determinazione della sanzione «è rimessa alla valutazione del Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove si collochi nell’ambito stabilito dalla norma sanzionatoria e sia assistita da una congrua motivazione»; nello stesso senso, cfr. pure Coll. Gar. CONI, Sez. II, 13 maggio 2015, n. 14).

 

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I.  Sezioni Unite: Decisione n. 46 del 22/06/2017 – www.coni.it

Decisione impugnata: delibera della Corte Sportiva d'Appello Territoriale Lazio (FIGC-LND Regione Lazio), di cui al C.U. n. 191 del 16 dicembre 2016 (dispositivo di cui al C.U. n. 181 del 9 dicembre 2016

Parti: Stefano Spalloni/Federazione Italiana Giuoco Calcio

Massima: Il Collegio di garanzia dichiara in parte inammissibile ed in parte infondato il ricorso avverso la delibera della Corte Sportiva d'Appello Territoriale, con la quale è stata ridotta la squalifica a carico del calciatore fino al 31 marzo 2021, con esclusione della sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango e categoria della FIGC. La censura, infatti, si risolve in una contestazione della misura della sanzione, la cui concreta determinazione è rimessa alla valutazione del Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove si collochi nell’ambito stabilito dalla norma sanzionatoria e sia assistita da una congrua motivazione (cfr. Collegio di Garanzia, Sez. II, 13.5.2015, n. 14; Collegio di Garanzia, Sez. II, 14.2.2017, n. 13). Come è già stato affermato, il Collegio di Garanzia può valutare la legittimità della misura di una sanzione solo se la stessa sia stata irrogata “in palese violazione dei presupposti di fatto o di diritto o per la sua manifesta irragionevolezza” (Collegio di Garanzia, S.U., 10 agosto 2015, n. 35); e, nel caso di specie, non si ravvisa alcuno dei detti presupposti. Peraltro, è opportuno rammentare che “la condotta violenta nei confronti degli ufficiali di gara” è la violazione più grave prevista nell’elenco di cui all’art. 19, 4° comma, del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC. Nel caso di specie, la sanzione stabilita (e pure lievemente ridotta) dalla Corte Sportiva di Appello appare in sintonia con i fatti posti a presupposto delle valutazioni del Giudice ed adeguata alla gravità dei comportamenti ascritti al sig. – omissis -. Né si può condividere la tesi del ricorrente che fa leva sulla “giovanissima età” del sig. S– omissis -, poiché, anzi, risulta particolarmente censurabile che un atleta in giovane età possa tenere condotte così aggressive e violente sul piano verbale e fisico nei confronti dell’Arbitro e degli Assistenti. Dinanzi a comportamenti di tal genere una attenuazione della sanzione in ragione della giovane età dell’aggressore risulterebbe del tutto ingiustificata e anzi sarebbe contraria allo spirito di una corretta educazione sportiva.

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I.  Prima Sezione: Decisione n. 35 del 08/05/2017 – www.coni.it

Decisione impugnata: decisione della Corte Sportiva d’Appello, resa con dispositivo n. 045/CSA dell’ 1 dicembre 2016 e pedissequa sentenza n. 063/CSA del 12 gennaio 2017

Parti: - A.S.D. S.S. Lazio Calcio a 5/Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.)/ Lega Nazionale Dilettanti/ Divisione Calcio a 5 FIGC-LND/A.S.D. Pescara

Massima: L’eccezione di supposta inammissibilità del ricorso al Collegio di Garanzia, oltre a risultare tardiva, per essere stata spiegata nella memoria integrativa prevista dall’art. 60, comma 4, CGS CONI, che è disciplinata esclusivamente in termini funzionali alla replica e non alla proposizione di nuove eccezioni, è comunque infondata. Invero, più volte questo Collegio di Garanzia si è già espresso, stabilendo, per un verso, la prevalenza della disciplina dell’art. 54, comma 1, CGS CONI sui diversi regolamenti di giustizia adottati dalle Federazioni in  modo  non perfettamente aderente a detta disciplina. Indubbiamente, l’ambito di giurisdizione desumibile dalla lettura della disposizione appena richiamata non consente dubbi sul fatto che tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale, emesse dai relativi organi di giustizia, sono di competenza del Collegio di Garanzia dello Sport. Benvero, vi è, poi, una competenza residuale del Collegio di Garanzia dello Sport in unico grado, in relazione a quegli atti che non sono assoggettati alla giurisdizione endofederale, in quanto devolutagli, a mente del comma 3 dell’art. 54 CGS CONI, dagli Statuti e dai Regolamenti federali, ma, com’è evidente, nel caso che ci occupa non è stato eccepito che dovesse la società ricorrere direttamente al Collegio di Garanzia dello Sport, quanto esattamente il contrario.

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I.  Sezione Seconda: Decisione n. 53 del 27/10/2016 – www.coni.it

Decisione impugnata: decisione della Corte Sportiva d’Appello - Sezione III - della FIGC, nella   riunione del 1° giugno 2016 (C.U. 156/CSA), pubblicata, con le motivazioni, in data 15 luglio 2016 (C.U. 002/CSA),

Parti: U.C. Montecchio Maggiore s.r.l. e altri/Federazione Italiana Giuoco Calcio

Massima: Il Collegio di Garanzia rigetta il ricorso avverso la decisione della Corte Sportiva d’Appello che ha confermato le sanzioni della squalifica inflitte ai calciatori. La consistenza e le modalità con cui si sono esternate le condotte dei ricorrenti - emerse senza incertezze nel corso del procedimento - inducono a ritenere corrette le sanzioni irrogate in relazione al fatto per come è stato accertato e, come è noto, il Collegio non può procedere a nuovo o diverso accertamento in merito. La qualificazione giuridica del fatto – che, invece, è soggetta alla valutazione in ultimo grado sportivo del Collegio di Garanzia - non è irragionevole, e certamente non se ne può desumere la illegittimità affermando, come fa il ricorrente, che in altri casi più gravi la sanzione sarebbe stata più lieve. Il Collegio non ha titolo a esaminare tali diversi casi: ma è certo che, se in tali diversi casi si fosse adottata una sanzione indebitamente lieve, ciò non giustifica la ripetizione di una erronea valutazione assai tollerante di comportamenti che, in particolare ove provenienti da giovani atleti, costituiscono l’esatto contrario delle regole di correttezza cui sin dall’inizio tutti gli sportivi devono ispirarsi (decisione n. 9/15, Cerciello c. FIGC).

Massima: In considerazione della norma di cui all’art. 54 del Codice di Giustizia Sportiva, in base alla quale il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport “è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”, tale motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile, in quanto volto a sindacare gli elementi istruttori acquisiti nella fase di merito e perché articolato su doglianze dirette esclusivamente a contrapporre una possibile soluzione diversa da quella cui la decisione impugnata è pervenuta relativamente ad un fatto, alla valutazione di una prova ovvero alla definizione di sequenze di eventi rilevanti. Non può, pertanto, prospettarsi come motivo di diritto l’assunto che un fatto è vero o non è vero (è o non è provato) e che per questa ragione si sarebbe dovuto giungere a soluzioni diverse da quelle fatte proprie dalla decisione impugnata. In base alla giurisprudenza consolidata di questo Collegio di Garanzia (decisione n. 58/2015 Sezioni Unite, SEF Torres c. FIGC; n. 16/2015, Sezioni Unite, Giordani c. FIGC), non sono ammissibili in questa sede tutte le doglianze mosse dai ricorrenti, in ordine alla valutazione dei fatti che hanno originato il presente contenzioso e le critiche che si sono appuntate sulle valutazioni della Corte Federale di Appello, in merito agli elementi istruttori acquisiti al giudizio. Fatti ed elementi istruttori, che, quindi, il Collegio di Garanzia deve assumere come insuscettibili di nuovo esame. Tale valutazione conduce, quindi, alla declaratoria di inammissibilità di tutti quei motivi con cui i ricorrenti hanno, talora esplicitamente, sollecitato “interpretazioni alternative” dei fatti accertati,   ovvero la debolezza di alcune prove ritenute invece rilevanti dalla impugnata decisione, ovvero ancora ricostruzioni dei fatti, che hanno condotto alle sanzioni, secondo una diversa prospettazione. Il referto espressamente indica, a carico dei tre giocatori, una serie di comportamenti particolarmente gravi e scorretti nei confronti del direttore di gara, peraltro, non contestato, “a parte qualche dettaglio linguistico”, dai tre calciatori squalificati, come risulta dal riferimento al contenuto del reclamo presentato avverso la decisione di prime cure del Giudice sportivo richiamato dalla Corte Sportiva d’Appello e anche dalla memoria della FIGC. Tale ricostruzione dei fatti è stata evidentemente ritenuta dal Giudice d’Appello prova sufficiente per confermare la sanzione inflitta ai tre calciatori; né evidentemente questo Collegio può sindacare l’autonomo apprezzamento di merito svolto dal giudice, sulla base di elementi di prova sicuramente genuini e non viziati. E’ evidente che con tale censura si intende in realtà riprodurre, in questa sede di legittimità, un nuovo apprezzamento di merito sul materiale probatorio e sulla sua idoneità a costituire il fondamento della decisione impugnata. Il che, come si è detto, non può avvenire, avendo, peraltro, la Corte con adeguata motivazione fatto riferimento alla portata probatoria “fidefaciente” del referto arbitrale, ritenuto chiaro nell’attribuire la condotta sanzionata alle persone dei ricorrenti (decisione n. 43/15 Gabrielli c. FIGC).

Massima: L’omessa valutazione delle circostanze attenuanti in relazione all’art. 16.1 CGS FIGC. Il Collegio può procedere, nel rispetto dei limiti dettati dall’art. 54 C.G.S., …all’esame solo dei motivi con cui si contesta non la valutazione dei fatti e le conclusioni raggiunte, ma la correttezza, completezza e ragionevolezza delle motivazioni delle soluzioni che il giudice d’appello ha ritenuto di applicare, traendone le conseguenze sanzionatorie, alle vicende in esame.

 

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I.  Sezioni Unite: Decisione n. 51 del 20/10/2016www.coni.it

Decisione impugnata: decisione della Corte Sportiva d’Appello FIGC, di cui al C.U. n. 083/CSA

Parti: APD Leonfortese/Federazione Italiana Giuoco Calcio/ASD US Agropoli

Massima: Il ricorso proposto dalla Leonfortese deve essere dichiarato inammissibile. Come si è già sottolineato, infatti, il giudizio di revocazione si compone di una fase rescindente e di una fase rescissoria: ne deriva che, correttamente, la Corte d’Appello Federale ha, con decisione pubblicata con C.U. del 18 maggio 2016, rimesso gli atti al primo giudice per l’esame del merito.   Ne segue che la Leonfortese, a seguito dell’annullamento della decisione, avrebbe potuto far valere le proprie ragioni davanti al giudice competente. Invece, quest’ultima ha impugnato la decisione di revocazione sottovalutando che: 1) il giudizio di revocazione si compone di due momenti, di cui quello rescissorio può condurre a risultati sostanzialmente identici a quelli propri della precedente decisione, ovvero diametralmente opposti; 2) a norma del quinto comma dell’art. 39 del Codice della Giustizia Sportiva, non può essere impugnata per revocazione la decisione resa in esito al giudizio di revocazione. Ciò significa che la fase rescindente del giudizio di revocazione non è oggetto di impugnativa e non rappresenta nemmeno una decisione inappellabile, considerato che a quella fase segue la fase rescissoria, con un nuovo giudizio di merito. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, per questo specifico profilo, assorbente rispetto a tutti gli altri profili di inammissibilità.

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I.  Seconda Sezione: Decisione n. 43 del 30/09/2016 – www.coni.it

Decisione impugnata: avverso la decisione della Corte Sportiva d'Appello presso il C.R. Emilia Romagna, di cui al C.U. n. 49 del 15 giugno 2016,

Parti: Matteo Gabrielli/Federazione Italiana Giuoco Calcio

Massima: Il Collegio di garanzia dichiara in parte inammissibile ed in parte infondato il ricorso avverso la delibera della Corte Sportiva d'Appello Territoriale, che, in seguito al giudizio di annullamento con rinvio al Giudice a quo della precedente decisione, da parte del Collegio di Garanzia - Seconda Sezione (decisione n. 23/2016), ha confermato, in capo al ricorrente, la sanzione della squalifica per 10 giornate, ai sensi dell'art. 11, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC. Occorre in proposito precisare che nella propria, precedente decisione n. 26/2016 il Collegio aveva richiesto alla Corte una nuova valutazione del materiale probatorio, che prescindesse da quanto acquisito telefonicamente dall’Arbitro.  Orbene, a tanto la Corte Sportiva di Appello ha provveduto, ritenendo di non potersi evidentemente discostare dal disposto dell'articolo 35 CGS, secondo il quale i documenti ufficiali di gara fanno piena prova dei fatti accaduti in occasione dello svolgimento delle gare. Si è già detto nella parte espositiva che il referto espressamente riferisce che «a partita terminata mentre le squadre stavano per entrare negli spogliatoi il n. 4 del Casalecchio Gabrielli Matteo ha urlato più volte "siete una squadra di negri di merda" rivolgendosi minacciosamente nei confronti dei giocatori di colore del Reno». Orbene, tale ricostruzione dei fatti è stata evidentemente ritenuta dal Giudice d’Appello prova sufficiente per confermare la sanzione inflitta al – omissis -; né evidentemente questo Collegio può sindacare l’autonomo apprezzamento di merito svolto dal giudice, sulla base di elementi di prova sicuramente genuini e non viziati.  Con riguardo alle censure proposte dal – omissis -, rispetto a quanto argomentato dalla Corte in ordine alla natura dell’attività svolta nell’acquisire ulteriori elementi dall’Arbitro, coglie nel segno la difesa della FIGC, che ne argomenta l’assoluta irrilevanza in questa sede. Si tratta, evidentemente, di mere considerazioni che la Corte ha ritenuto di svolgere con riguardo alla propria precedente decisione, del tutto ininfluenti ai fini di quanto oggi all’esame.  Il ricorrente deduce, ancora, che la Corte non avrebbe chiarito come sia pervenuta alla nuova decisione, in mancanza delle integrazioni probatorie che pure aveva a suo tempo ritenuto indispensabili ai fini del decidere.  E’ evidente che con tale censura si intende in realtà riprodurre, in questa sede di legittimità, un nuovo apprezzamento di merito sul materiale probatorio e sulla sua idoneità a costituire il fondamento della decisione impugnata.  Il che, come si è detto, non può avvenire, avendo peraltro la Corte con adeguata motivazione fatto riferimento alla portata probatoria “fidefaciente” del referto arbitrale, ritenuto chiaro ed univoco nell’attribuire la condotta sanzionata alla persona del ricorrente nelle specifiche circostanze di tempo e di spazio pure descritte.

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I  - Seconda Sezione: Decisione n. 23 del 31/05/2016 www.coni.it

Decisione impugnata: Decisione della Corte Sportiva di Appello presso il Comitato Regionale Emilia Romagna della L.N.D. (C.U. n. 36/CRER del 16 marzo 2016)

Parti: Matteo Gabrielli/Federazione Italiana Giuoco Calcio/Lega Nazionale Dilettanti

Massima: E’ ammissibile al Collegio di Garanzia il ricorso avverso la sanzione della squalifica per 10 giornate di gara. Dispone lo Statuto del Coni all’art. 12 bis, comma 1, che al Collegio di Garanzia dello Sport, istituito presso il Coni in posizione di autonomia e indipendenza e organo di ultimo grado della giustizia sportiva, è demandata la cognizione delle controversie decise in via definitiva in ambito federale, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro. Testo di analogo tenore è riportato nell’art. 54 del Codice della Giustizia Sportiva (adottato dal Consiglio Nazionale con Deliberazione n. 1538 del 9 novembre 2015 e approvato con DPCM del 16 dicembre 2015), laddove, al comma 1, prevede che “Avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale ed emesse dai relativi organi di giustizia, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro, è proponibile ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, di cui all’art. 12 bis dello Statuto del Coni. Il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”.  Il Collegio rileva che entrambe le richiamate norme, in relazione all’individuazione della soglia minima di sbarramento per adire il Collegio di Garanzia dello Sport, sono formulate, per la parte di interesse, in termini di “giorni”, tali dovendosi intendere necessariamente i giorni del calendario ordinario. Nessuna delle due norme contempla espressamente l’ipotesi che la sanzione disciplinare sia quantificata in termini di “giornate” o di “turni”, come accade per le discipline sportive, che si disputano nel corso di campionati. In assenza di una specifica (e auspicabile) previsione in tal senso, ai fini della ricorribilità dinanzi a questo Collegio, si deve ritenere che qualunque sanzione tecnico-sportiva vada riguardata in termini di giorni dell’anno solare, anche laddove la squalifica sia computata, come nel caso di specie, a turni o giornate di campionato. Ciò posto, tenuto conto che, come documentato in atti (C.U. Comitato Regionale Emilia Romagna, n. 43 del 4 maggio 2016), la squadra Casalecchio Calcio 1921, in cui milita il ricorrente, non si è qualificata per disputare la fase dei play-off né quella dei play-out, la sanzione inferta al giocatore – omissis - supera i 90 giorni, dovendo il calciatore scontare l’ultima giornata di squalifica all’inizio del prossimo campionato, ossia a settembre 2016.

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