Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. – Sezioni Unite :  Decisione n. 1/2020 del 7 gennaio 2020

Decisione impugnata: Decisione della Corte Federale di Appello della FIGC, emessa a Sezioni Unite, in data 30 agosto 2019, prot. n. 2826/AM/ri, comunicata a mezzo PEC in data 30 agosto 2019, oltre che della decisione della medesima Corte, emessa a Sezioni Unite, il 3 settembre 2019, con errata corrige, comunicata a mezzo PEC il 3 settembre 2019, nonché per l’annullamento della delibera del Consiglio Federale della FIGC n. 219/CF del 18 luglio 2011, pubblicata il 19 luglio 2011, di reiezione di un’istanza di revoca in autotutela, presentata dalla Juventus Football Club S.p.A., in data 10 maggio 2010, del provvedimento del Commissario Straordinario della FIGC, avv. Guido Rossi, in data 26 luglio 2006, di assegnazione del titolo di Campione d’Italia per il Campionato Italiano di Calcio di Serie A, anni 2005 - 2006, alla società F.C. Internazionale Milano S.p.A, nonché di tutti gli atti e provvedimenti amministrativi e sportivi, connessi, collegati, istruttori, endoprocedimentali e interni, conosciuti e non conoscibili.

Parti: Juventus Football Club s.p.A./Federazione Italiana Giuoco Calcio/F.C. Internazionale Milano S.p.A./Comitato Olimpico Nazionale Italiano

Massima: Il ricorso è inammissibile…va osservato che questo Collegio, nella decisione sopra citata, a fronte di atto di impugnazione della Juventus vertente sulla medesima vicenda che ha originato il presente giudizio, l’ha dichiarato inammissibile spiegandone estesamente le ragioni. In particolare, questo Collegio ha osservato che: a) il ricorso della Juventus risultava fondato su una via processuale inesistente ai sensi degli artt. 54 CGS e 12-bis Stat. CONI; b) il lodo del TNAS non poteva comunque più essere impugnato in quanto con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 32358/2018 si erano esauriti i mezzi di impugnazione esperibili avverso il lodo stesso e, quindi, si era formato su di esso il giudicato; c) anche ad ammettere, secondo la tesi della ricorrente, che non si fosse formato il giudicato sul verdetto arbitrale, interpretando la pronuncia della Corte di Cassazione come meramente dichiarativa del difetto assoluto di giurisdizione, la ricorrente non aveva comunque operato nei termini la traslatio iudicii mediante ricorso all’Alta Corte di Giustizia; d) il ricorso appariva comunque incontrovertibilmente tardivo, stante l’intervenuto decorso di otto anni dalla pronuncia del lodo del TNAS; e) difettava in capo alla ricorrente una posizione giuridica qualificata, giacché la pretesa declaratoria di nullità del lodo non era idonea a procurare alla stessa alcun vantaggio; f) neppure un interesse giuridicamente tutelabile avrebbe potuto essere configurato mediante la rivalutazione, sotto il profilo etico, di fatti che sarebbero sfuggiti ai vari giudici che si sono pronunciati sulla vicenda, posto che «la questione sulle nuove emergenze documentali riguardanti la F.C. Internazionale Milano involve aspetti prettamente disciplinari», che, val la pena qui di precisare, concernono il campionato 2004/2005 e non già il campionato 2005/2006 rispetto al quale verte, invece, il giudizio. Il Collegio di Garanzia, Sez. Un., ha quindi statuito nel senso dell’inammissibilità delle doglianze contenute nel ricorso, precisando inoltre, al riguardo, che le stesse non avrebbero potuto «più essere oggetto di delibazione alcuna da parte del Sistema di Giustizia Sportiva». Non tace questo Collegio il rilievo che nella decisione sopra richiamata, in premessa delle motivazioni, si è dato atto del difetto di “competenza” del Collegio di Garanzia; il che, sulla base del solo dato letterale, sembrerebbe a prima vista precludere lo svolgimento delle ragioni ampiamente spiegate a sostegno dell’inammissibilità del ricorso, sopra sinteticamente riportate. La lettura della decisione, nel suo complessivo iter logico-argomentativo, non lascia, tuttavia, dubbio alcuno in ordine al fatto che si è affermata l’inammissibilità del ricorso non perché proposto ad un organo della giustizia sportiva incompetente, ma perché in assoluto non più proponibile ad alcun organo della giustizia sportiva, come, infatti, il Collegio ha avuto cura di precisare testualmente nelle conclusioni delle motivazioni. Ciò detto, la decisione del Collegio di Garanzia, organo di chiusura del sistema della giustizia sportiva, comporta che nessun’altra decisione sulle medesime doglianze avrebbe dovuto più essere emanata da alcun organo della giustizia sportiva, quindi anche della giustizia endofederale, né in questa sede è consentita una pronuncia, né nel merito del iudicium rescindens né del iudicium rescissorium, attraverso la via dell’impugnazione delle decisioni emesse in sede endofedeferale. Incidenter tantum, il Collegio, in ossequio alla funzione nomofilattica che gli è propria, intende soffermarsi sul primo motivo di ricorso, che è l’unico che presenta carattere di novità rispetto al precedente giudizio innanzi a questo Collegio. Detto motivo involge l’interpretazione dell’art. 142, commi 4 e 5, del Nuovo Codice di Giustizia Sportiva della FIGC, nella parte in cui si prevede la decadenza di tutti i membri della Corte Federale d’Appello (Presidente, Presidenti di sezione, componenti delle sezioni giudicanti e della sezione consultiva) «all’atto dell’approvazione del Codice» e la permanenza «nelle funzioni sino alle nuove nomine adottate dal Consiglio Federale». Com’è noto, il Nuovo Codice di Giustizia Sportiva della FIGC è stato approvato con deliberazione della Giunta Nazionale del CONI in data 11 giugno 2019, n. 258; il Consiglio Federale della FIGC ha proceduto alla nomina dei nuovi membri della CFA con il C.U. 30 luglio 2019, n. 42/A, postergando il termine iniziale di efficacia al giorno 1 settembre 2019. Non v’è alcun contrasto tra il provvedimento adottato dal Consiglio Federale e la disposizione regolamentare, come invece sostenuto dalla ricorrente, giacché la norma federale riconosce al Consiglio Federale la funzione di provvedere alla nomina dei nuovi componenti della CFA, condizionando a tale nomina la permanenza nelle funzioni dei componenti decaduti, senza al contempo stabilire alcun termine di operatività per tale condizione. Pertanto, la modalità prescelta dal Consiglio Federale per l’insediamento dei nuovi componenti, a far data dal 1° settembre 2019, mediante l’adozione del relativo provvedimento di nomina il 30 luglio 2019, con termine iniziale al 1 settembre 2019, invece che lo stesso giorno 1 settembre 2019, con efficacia immediata, risulta pienamente rispettosa della normativa federale.

 

DECISIONE C.F.A. –SEZIONI UNITE: DECISIONE PUBBLICATA SUL C.U. N.22/CFA del 30/08/2019 motivi CON RIFERIMENTO AL Comunicato n° 17/CFA del  06/08/2019

Decisione Impugnata: Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 5/TFN del 16.7.2019

Impugnazione Istanza: RECLAMO DELLA SOCIETÀ JUVENTUS FC SPA AVVERSO LA REIEZIONE DELL’ISTANZA DI SOSPENSIONE E LA DECLARATORIA DELL’INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO PROMOSSO DALLA RECLAMANTE EX ARTT. 43 BIS C.G.S. E 31 C.G.S. CONI

Massima: …va esaminata l’eccezione, sollevata dalla difesa della società reclamante e fatta verbalizzare in atti, circa la mancata legittimazione del collegio nella sua odierna composizione, in quanto, essendo formato da componenti nominati con il vecchio regime, con l’entrata in vigore del nuovo codice di giustizia sportiva e la conseguente nomina dei nuovi componenti della corte federale d’appello, essi sarebbero decaduti. L’eccezione non è fondata. Il nuovo codice di giustizia sportiva, approvato in via definitiva dal Coni l’11 Giugno 2019 con il comunicato ufficiale n. 139 ed entrato in vigore il giorno successivo, stabilisce, all’art. 142, commi 4 e 5, che: << 4. Con l’entrata in vigore del presente codice e i componenti degli organi del sistema della giustizia sportiva permangono nello stesso ruolo e con le medesime cariche. 5. In deroga a quanto previsto al comma 4, in relazione alla specifica riorganizzazione della composizione e delle funzioni della Corte federale di appello di cui all’art. 99 del codice, il presidente, i presidenti di sezione, i componenti delle sezioni giudicanti nonché i componenti della sezione consultiva della Corte federale decadono dall’incarico all’atto dell’approvazione del codice e permangono nelle funzioni sino alle nuove nomine adottate dal Consiglio Federale>>. Il consiglio federale, in base al potere conferitogli dalla norma indicata, ha proceduto, con il comunicato ufficiale n. 42/A, alla nomina del presidente, dei presidenti e dei vicepresidenti delle sezioni nonché dei componenti della Corte federale d’appello, stabilendo che le nomine avranno decorrenza dal 1 Settembre  2019. Va da sé che prima di tale data si applica il comma 4 dell’articolo in esame, anche perché il sistema non potrebbe tollerare un vuoto dell’attività giustiziale, in base al principio della continuità dell’azione amministrativa, valevole a maggior ragione per i procedimenti giustiziali. Peraltro, qualora si fosse ritenuta l’illegittimità dell’apposizione di un termine di decorrenza diverso da quello della nomina dei componenti della nuova compagine della Corte d’appello –il che è comunque  da  escludere,  rientrando  nel  potere  discrezionale  del  Consiglio  Federale  calibrare l’organizzazione del nuovo ufficio secondo criteri temporali di ragionevolezza, come nel caso di specie- l’atto andava impugnato; cosa che non risulta sia stata fatta.

Massima:….non è da accogliere la richiesta di sospensione del presente procedimento basata sul fatto che pende giudizio innanzi al Tar per il Lazio sulla medesima controversia, in quanto, in disparte l’assenza di pregiudizialità dato che la controversia viene proposta sotto profili divergenti, si tratta di ‘giudizi’ aventi natura diversa, trattandosi nel caso che ci occupa di un procedimento giustiziale amministrativo e nell’altro di un giudizio giurisdizionale in senso proprio. Quindi sono destinati a svolgersi autonomamente e le eventuali interferenze potranno trovare soluzioni mediante l’azionamento da parte degli interessati degli strumenti processuali all’uopo previsti. Peraltro in quel giudizio si chiede l’annullamento della pronuncia del collegio di garanzia, in questo che ci occupa la mancata attivazione del procedimento di autotutela.

Massima: Confermata la decisione del TFN che ha rigettato l'istanza di revoca in autotutela, avanzata dalla stessa società ed avente ad oggetto il provvedimento del Commissario Straordinario della FIGC, … di assegnazione al FC Internazionale Milano SPA del titolo di Campione d’Italia  per la stagione 2005/2006. Esso è costituito dalla mancata revoca della delibera n. 219/CF in data 18 Luglio 2011, assunta dal Consiglio federale della Figc, emessa a seguito di un esposto della società reclamante presentato alla Procura federale, con il quale, oltre a chiedersi il perseguimento della società sportiva Internazionale per fatti disciplinarmente rilevanti analoghi a quelli che avevano portato alla sanzione della perdita dello scudetto della medesima società oggi reclamante, si chiedeva un intervento in autotutela, non per vedersi riassegnare il titolo di campione d’Italia relativo al campionato 2005/2006, bensì che venisse tolto alla società assegnataria del titolo, subentrata per effetto del semplice scorrimento della classifica…. Sul punto il collegio condivide quanto affermato dal Collegio di garanzia, laddove ha ritenuto la tardività della pretesa di investire il Collegio medesimo, dopo avere inutilmente percorso nel periodo di otto anni l’intera filiera dei rimedi offerti dalla giurisdizione ordinaria (impugnazione del lodo dinanzi alla Corte d’Appello e ricorso in Cassazione). Per le ragioni spiegate non è accoglibile la tesi che soltanto con il passaggio in giudicato della declaratoria del difetto assoluto di giurisdizione del giudice statale si sarebbero realizzate le condizioni per l’esercizio delle facoltà impugnatorie ammesse dall’ordinamento sportivo, perché l'insindacabilità degli atti di cui si discute davanti a qualsiasi giudice statale non costituisce una sopravvenienza (fattuale e/o giuridica) maturata all’esito dei giudizi di impugnazione promossi dinanzi alla Corte d’Appello ed alla Cassazione, ma un dato del quale i suddetti contenziosi si sono limitati ad accertare con effetti meramente dichiarativi.Per le stesse ragioni non è ammissibile nemmeno innanzi a questa Corte federale d’appello. Il reclamo è inammissibile sotto vari altri profili, alcuni di carattere generale e altri più specifici. Anzitutto, il collegio non ravvisa la presenza di un interesse attuale e diretto rispetto alla domanda proposta, proprio perché l’espressa rinuncia a vedersi riassegnato il titolo, non consente di intravvedere il vantaggio che la società reclamante riceverebbe dall’accoglimento del gravame. I vantaggi, pure prospettati nel reclamo come quelli di natura economica, vengono in rilievo solo di riflesso e quindi sono non sufficienti a radicare la legittimazione. In secondo luogo, l’oggetto del giudizio è dato dalla mancata attivazione da parte dell’autorità sportiva del procedimento di secondo grado, ossia del riesame dell’assegnazione dello scudetto a favore della società  resistente.  Va premesso  che  in questo tipo  di  procedimenti  l’istante non  ha nessuna situazione soggettiva tutelata, né di diritto né di interesse legittimo, e l’amministrazione (in questo caso quella sportiva) non ha nessuno obbligo ad aprire il procedimento. Qualora l’interessato si senta leso deve impugnare l’atto di cui si chiede il riesame e non la mancata riapertura del procedimento, che non costituisce silenzio in senso tecnico né provvedimento implicito. Costituisce principio cardine del sistema che i procedimenti di riesame e di revisione dei propri atti è una prerogativa esclusiva dell’autorità che ha emanato il primo atto, che può da essa essere annullato o revocato solo in presenza di un interesse pubblico o comunque di un interesse sportivo generale. Tuttavia nel caso in esame l’autorità sportiva si è pronunciata. Pertanto sorge il problema se tale pronuncia sia l’atto conclusivo di un procedimento di riesame conclusosi con un atto confermativo dopo una rivalutazione delle circostanze sopravvenute oppure sia la mera dichiarazione di non voler riaprire il procedimento richiesto e quindi senza alcuna rivalutazione delle circostanze originarie o di quelle sopravvenute. In effetti dalla lettura dell’atto indicato emerge che si è al limite delle due alternative testè indicate, in quanto, pur non esaminando in concreto le circostanze dedotte nell’esposto sufficienti a giustificare l’apertura del procedimento di secondo grado, l’autorità ha declinato la propria competenza a revocare l’assegnazione del titolo, essendo avvenuta non per effetto di una sua scelta volontaria, ma per effetto dell’automatico scorrimento della graduatoria. In proposito la società reclamante deduce che l’assegnazione vi sarebbe comunque stata da parte dell’amministrazione sportiva resistente dato che il titolo poteva non essere assegnato a nessuna società di calcio per il campionato 2005/2006. La tesi prova troppo. L’interessante profilo prospettato è incompatibile con la sostanza della domanda proposta, poiché si può chiedere la revoca di un atto così come esso si presenta nel mondo giuridico e non così come si sarebbe voluto che fosse, ossia quello che poteva derivare da un potere che l’autorità sportiva non ritenne di esercitare. Né si può ritenere che l’amministrazione che si limita ad accettare la produzione di effetti giuridici derivanti da un procedimento di cui non era nella circostanza titolare compia un atto implicito per non averlo arrestato, dovendo questo comunque trarre origine da un potere esercitato magari ad altri fini. Sorge il problema sostanziale della rilevanza delle circostanze denunciate con la presentazione dell’esposto da parte dell’odierna reclamante. E’ pacifico che all’epoca in cui vi è stata l’assegnazione dello scudetto non erano emersi quei fatti che ora (2011) invece giustificherebbero la richiesta di revoca dell’assegnazione dello scudetto. Orbene  i  fatti  denunciati  nell’esposto  sono  stati  ritenuti  dalla  Procura  federale  non  degni  di approfondimento e comunque, quali che siano le ragioni poste a giustificazione, hanno portato alla loro archiviazione. Quindi non hanno ricevuto nessuna qualificata conferma, né possono essere posti a base di un provvedimento di revoca da parte di un’autorità che non ha nessuna competenza attuale in materia di comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, né tantomeno possono essere direttamente valutati dal collegio in questa sede, dove l’oggetto del giudizio non è costituito da un’azione disciplinare, bensì dalla legittimità o meno del mancato esercizio del potere di autotutela dell’autorità sportiva che si fondava sulla semplice allegazione di quei fatti in un esposto dell’attuale reclamante.  In quella sede l’autorità amministrativa poteva porre a base del provvedimento di revoca solo fatti ritualmente accertati e  non  basate  su  notizie  giornalistiche,  che  persino  la  Procura  federale  ritenne  non  necessario approfondire. Valutare in questa sede giustiziale le circostanze denunciate significherebbe spingersi nel merito amministrativo sportivo. Il giudice sportivo dirime le liti insorte e non altro. Peraltro, quand’anche quei fatti fossero stati fondati sarebbero stati recessivi rispetto all’interesse sportivo generale a conservare un assetto che si era consolidato sin dal 2005.

 

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione pubblicata sul C.U. n. 5/FTN del 16 Luglio 2019

Impugnazione - Istanza: RICORSO DELLA SOCIETÀ JUVENTUS FC SPA, AI SENSI DEGLI ARTT. 43 BIS CGS FIGC E 31 DEL CGS CONI.

Massima: E’ inammissibile il ricorso proposto dalla società ex art. 43 bis CGS FIGC e 31 CGS CONI, tendente a ottenere l’annullamento della delibera del Consiglio Federale della FIGC del 18/07/2011 n. 219/CF, pubblicata il 19/07/2011, di revoca in autotutela del Provvedimento del Commissario Straordinario della FIGC Avv. Guido Rossi del 26/07/2006, di assegnazione al FC Internazionale Milano SPA del titolo di Campione d’Italia per il Campionato di calcio degli anni 2005/2006; nonché la revoca dell’atto del predetto Commissario Straordinario della FIGC di assegnazione del titolo di “Campione d’Italia” al FC Internazionale Milano Spa per il campionato di calcio degli anni 2005/2006…Il Tribunale Federale Nazionale non può esimersi dal constatare come i procedimenti parallelamente intentati per un verso in questa sede, per altro verso dinanzi al Collegio di Garanzia del CONI, siano perfettamente identici. La indubbia duplicazione risulta ulteriormente acuita dalla promozione del recente ricorso dinanzi al TAR Lazio che aggiunge un altro Organo giurisdizionale amministrativo riferito a una vicenda per la quale si dibatte da anni. A buon conto, per quanto concerne la questione oggi in esame di competenza del TFN, è opportuno focalizzare il tema sulla recente pronuncia di inammissibilità a cura del Collegio di Garanzia del CONI (del 06-27 maggio 2019), per giungere alla condivisione di questo precedente giudico e dunque pronunciare la inammissibilità della richiesta anche dinanzi a questo Tribunale che intende fare propria ogni esplicazione per le medesime ragioni ivi rassegnate. Una ultima considerazione merita la richiesta di sospensiva svolta dalla Società Juventus FC Spa, peraltro contrastata dalle altre parti in dibattimento. Il Tribunale non ritiene di aderire alla domanda poiché la pronunciata inammissibilità si reputa assorbente e dirimente anche per tale domanda.  La  vicenda connessa  alla  assegnazione  dello  scudetto  2005/2006  è  quindi  da intendere  conclusa  dinanzi  alla  Magistratura  sportiva,  avendo  esaurito  il  suo  corso  in considerazione delle intervenute pronunce.

 

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. –  Sezioni Unite: Decisione n. 39/2019 del 27 maggio 2019

Decisione impugnata: Lodo definitivo pronunciato dal Collegio Arbitrale del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport del CONI (TNAS), nel procedimento R.G. n. 1930/2011 TNAS, tra la Juventus Football Club S.p.A., la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e la società F.C. Internazionale Milano S.p.A., sottoscritto e depositato in data 15 novembre 2011, prot. n. 2621, con istanza di arbitrato presentata in data 10 agosto 2011, in cui il TNAS si era dichiarato incompetente a decidere in merito al provvedimento di revoca - assunto in data 26 luglio 2006 dal Commissario Straordinario FIGC Guido Rossi per motivi disciplinari - del titolo di Campione d'Italia alla Juventus per il Campionato di calcio di Serie A,  s.s.  2005-2006,  con corredata assegnazione alla società Internazionale di Milano.

Parti: Juventus Football Club s.p.A./Federazione Italiana Giuoco Calcio/F.C. Internazionale Milano S.p.A./Comitato Olimpico Nazionale Italiano

Massima: E’ inammissibile il ricorso al Collegio di Garanzia proposto dalla società con il quale ha impugnato il Lodo del TNAS che si era a sua volta dichiarato incompetente a decidere in merito al provvedimento di revoca - assunto in data 26 luglio 2006 dal Commissario Straordinario FIGC per motivi disciplinari - del titolo di Campione d'Italia alla Juventus per il Campionato di calcio di Serie A,  s.s.  2005-2006,  con corredata assegnazione alla società Internazionale di Milano…Il responso arbitrale (consistente - come si è visto - nella declinatoria di competenza del TNAS, attesa la indisponibilità della reslitigiosa) non è ovviamente sindacabile in questa sede e, men che mai, suscettibile di una pronuncia caducatoria, in quanto il Collegio di Garanzia (organo, peraltro, neppure esistente nel momento in cui è stato introdotto il giudizio arbitrale) non dispone di alcun potere di cognizione in materia. D’altro canto, non si comprende neppure quale sarebbe il vizio di nullità dedotto, posto che la ricorrente, non potendo rimettere in discussione la declaratoria d’incompetenza del TNAS (per la incompromettibilità in arbitrato della controversia), si limita ad utilizzare il presente ricorso soltanto quale viatico per accedere alla celebrazione di un giudizio rescissorio destinato a definire il merito di domande rimaste (in tesi) impregiudicate. Invero, l’apertura della fase rescissoria, cui aspira la ricorrente, presupporrebbe necessariamente la possibile rimozione del verdetto arbitrale già reso: obiettivo, questo, precluso dal giudicato formatosi sull’impugnazione infruttuosamente esperita contro il lodo (che ha resistito al vaglio della Corte d’Appello e della Cassazione). Ma non basta: anche ad ammettere, infatti, che le due sentenze sopra richiamate non possano essere addotte quale giudicato ostativo dell’accoglimento della pretesa della Juventus (in quanto dichiarative di un difetto assoluto di giurisdizione), certo è che la società istante, a fronte della declaratoria di incompetenza oppostale dal TNAS, avrebbe dovuto adire l’organo ratione temporis competente in materia di diritti indisponibili (l’Alta Corte di Giustizia), avvalendosi dell’istituto della translatio iudicii. Non essendo ciò avvenuto a tempo debito, non è ragionevolmente concepibile che la società interessata tenti di ovviare a questa omissione a distanza di più di sette anni; oltretutto, dopo avere infruttuosamente adito la giurisdizione statale e senza considerare che il sistema giustiziale sportivo ha medio tempore subito una radicale riforma, per effetto della quale il TNAS e l’Alta Corte sono stati entrambi soppressi. Vale la pena ribadire che, nella configurazione delineata dalla suddetta riforma, il Collegio di Garanzia costituisce organo giustiziale di vertice dell’ordinamento sportivo, depositario di poteri decisori attribuitigli da una fonte regolamentare e, in quanto tale, risulta privo di un’investitura proveniente da una clausola compromissoria idonea a conferirgli una funzione arbitrale (in difetto di una convergente manifestazione di volontà in tal senso ad opera delle parti). Senza contare che, seppure fosse superabile questo rilievo, giammai codesto Collegio potrebbe essere adito quale giudice dell’impugnazione di un lodo emesso da altro organo arbitrale ed essere legittimato a dichiararne la nullità. V’è, poi, altra preclusione determinata dalla incontrovertibile tardività della presente impugnazione rivolta contro il lodo del TNAS. Come si è visto, la pubblicazione del responso arbitrale risale al mese di novembre 2011: sicché, nella misura ove mai si ritenesse che la materia del contendere oggetto della declinatoria di incompetenza pronunciata dal TNAS dovesse essere delibata comunque in ambito sportivo, certo è che una richiesta in tal senso avrebbe dovuto essere formulata (quanto meno) nel rispetto del termine di decadenza stabilito dalla normativa di riferimento per adire l’organo cui (in tesi) spetterebbe il compito di definire la controversia nel merito. Ed allora non può essere ignorata la tardività della pretesa di investire il Collegio di Garanzia, dopo avere inutilmente percorso nel periodo di otto anni l’intera filiera dei rimedi offerti dalla giurisdizione ordinaria (impugnazione del lodo dinanzi alla Corte d’Appello e ricorso in Cassazione)! Né si dica che soltanto con il passaggio in giudicato della declaratoria del difetto assoluto di giurisdizione del giudice statale si sarebbero realizzate le condizioni per l’esercizio delle facoltà impugnatorie ammesse dall’ordinamento sportivo. Ed invero - anche a voler prescindere dal rilievo che di tale facoltà la Juventus ha concretamente fatto uso (ancorché abbia individuato erroneamente l’organo competente) - resta, comunque, innegabile che della tutela giustiziale sportiva essa avrebbe potuto (e dovuto) avvalersi ricorrendo all’Alta Corte (una volta preso atto della declinatoria di competenza opposta dal TNAS). In altre parole, la insindacabilità degli atti di cui si discute davanti a qualsiasi giudice statale non costituisce una sopravvenienza (fattuale e/o giuridica) maturata all’esito dei giudizi di impugnazione promossi dinanzi alla Corte d’Appello ed alla Cassazione, ma un dato del quale i suddetti contenziosi si sono limitati ad accertare con effetti meramente dichiarativi.

Massima: E’ inammissibile il ricorso al Collegio di Garanzia proposto dalla società con il quale ha impugnato il Lodo del TNAS che si era a sua volta dichiarato incompetente a decidere in merito al provvedimento di revoca - assunto in data 26 luglio 2006 dal Commissario Straordinario FIGC per motivi disciplinari - del titolo di Campione d'Italia alla Juventus per il Campionato di calcio di Serie A,  s.s.  2005-2006,  con corredata assegnazione alla società Internazionale di Milano…in quanto la ricorrente risulta priva di una posizione giuridica qualificata; infatti, la pretesa declaratoria di nullità del lodo TNAS non procurerebbe alcun vantaggio alla Juventus. Le censure contenute nella parte rescissoria sono tutte volte a dimostrare la presunta illegittimità della Delibera del 2011 del Consiglio Federale. È, tuttavia, evidente che la Delibera del 2011 non ha natura di provvedimento autonomamente lesivo. Sul punto, la sentenza del TAR Lazio n. 9563/2016 non lascia spazio ad alcun dubbio. Per il giudice amministrativo, «la delibera del Consiglio Federale in data 18 luglio 2011 ha valutato l’assenza di presupposti per l’attivazione di un intervento di autotutela, motivando esaustivamente in ordine alla discrezionalità del potere di autotutela ed alla insuscettibilità della attivazione di un potere di coercizione volto alla emanazione di un “contrarius actus”». Il TAR Lazio ha, quindi, statuito che la menzionata Delibera “non esprime una nuova valutazione dei fatti oggetto di giudizio, né assurge ad autonomo provvedimento lesivo degli interessi coinvolti”, con la conseguenza che la stessa non è un “atto avente propria portata lesiva”. Ne consegue che la Delibera del Consiglio Federale non è un atto autonomamente impugnabile, in quanto essa non ha natura lesiva della sfera giuridica soggettiva della ricorrente. La presunta lesione degli interessi della ricorrente deriverebbe, nel caso di specie, da provvedimenti risalenti al 2006 e che sono, tuttavia, divenuti inoppugnabili. La sentenza del TAR Lazio n. 9563/2016 ha già deciso anche su questo punto. Per quanto riguarda il provvedimento sanzionatorio della Commissione Federale contro la Juventus, unico provvedimento lesivo degli interessi della ricorrente, il TAR Lazio ha rilevato, infatti, che “le sanzioni disciplinari della revoca del titolo e della retrocessione in serie B” sono state confermate dalla pronuncia della Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport del 27 ottobre 2006, e che “tale pronuncia è rimasta inoppugnata”, acquistando forza di giudicato. Si osserva che anche tale circostanza non consente di ravvisare una posizione giuridica qualificata in capo alla Juventus, posto che la ricorrente ha sostanzialmente accettato la decisione della Camera di Conciliazione ed Arbitrato. Infatti, per quanto concerne il comunicato del Commissario Straordinario della FIGC del 26 luglio 2006, il TAR Lazio ha richiamato il ricorso della Juventus deciso con la sentenza n. 7910 del 27 ottobre 2006 (8049/2016 Reg. Ric.) e statuito che l’“intervenuto accertamento in merito alla legittimità del provvedimento” impedisce “una nuova valutazione”, anche incidenter tantum, “dei medesimi fatti”. In altri termini, come chiarito nelle motivazioni della sentenza, il predetto comunicato ha “già formato oggetto di cognizione” con “ricorso al TAR in data 24 agosto 2006 (R.G. n. 8049/2006)”, a cui la Juventus ha rinunciato, rendendo inoppugnabile sia lo stesso comunicato sia ogni relativo atto. Di qui, l’inammissibilità anche sotto il profilo della carenza di interesse delle censure contenute nella parte rescissoria del ricorso, in quanto riguardano un atto non autonomamente lesivo, meramente confermativo di atti da tempo divenuti inoppugnabili. Né un interesse giuridicamente tutelabile può essere configurato, come affermato dalla ricorrente, con riguardo alla rivalutazione, sotto il profilo etico, di fatti che sarebbero sfuggiti ai vari giudici che si sono pronunciati sulla vicenda. Infatti, la questione sulle nuove emergenze documentali riguardanti la F.C. Internazionale Milano involve aspetti prettamente disciplinari, tuttavia all’epoca correttamente ritenuti prescritti in ambito sportivo; ciò impedisce in nuce la possibilità per qualsivoglia giudice sportivo di “riaprire” la questione e valutarla, men che meno adottando quale criterio di valutazione un “profilo etico”. Con il presente ricorso, si è, dunque, nuovamente resa del tutto palese la volontà della Juventus: riportare in luce i comportamenti disciplinarmente rilevanti dell’Internazionale - prescritti - al fine di utilizzarli quale fonte, sotto un profilo etico, per l’annullamento della delibera del Consiglio Federale del 18 luglio 2011 (n. 219/CF) e, pertanto, vedersi pronunciata la non assegnazione del titolo di Campione d’Italia 2005/2006.

Decisione C.F.: Comunicato Ufficiale n.19/Cf del 5 giugno 2007 n. 1 - www.figc.it

Decisione impugnata: Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 40/C del 15 marzo 2007 - www.figc.it

Impugnazione - istanza: Ricorso di ultima istanza ai sensi Dell’art. 32, Comma 7, Statuto F.I.G.C. (Vecchio Testo) e art. 32, Codice di Giustizia Sportiva, della Procura Federale avverso le decisioni adottate dalla commissione d’Appello Federale nei confronti di G. R., D. Z., P. C., F. A., A.S.D. Lupa Frascati

Massima: Al fine del perfezionamento della fattispecie violativa dell’art. 52 delle N.O.I.F. occorre il duplice presupposto che una società cedente cessi l’attività conferendo il titolo sportivo ad una società cessionaria, così consentendo a questa di partecipare al Campionato in luogo della stessa cedente ed in virtù del titolo ceduto. La costruzione del divieto di cessione del titolo sportivo può solo essere legata alla effettiva realizzazione dello scopo vietato attraverso atti che per ragioni strutturali ed oggettive possano a propria volta essere giudicati idonei al conseguimento dello scopo illecito. Solo al verificarsi di questa condizione le violazioni potrebbero dirsi in effetti ricorrenti.

 

Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 31 maggio 2007– www.coni.it 

Decisione impugnata: Delibera della Commissione d’Appello Federale pubblicata sul Comunicato Ufficiale n. 13/C del 27.9.2006 - www.figc.it

Parti: U.S. Triestina Calcio Spa contro F.I.G.C.

Massima: Nell'ambito dell'iscrizione ad un campionato non vi è un diritto soggettivo all'ammissione; il titolo sportivo va ricostruito come una posizione di status nell'ambito dell'ordinamento sportivo, che, naturalmente vive ed è conformata alle regole dell'ordinamento sportivo, complessivamente considerato, ivi comprese le regole sulla solidità patrimoniale e finanziaria delle società sportive che si riflettono, inevitabilmente,intrecciandosi ad esse, sulle regole che governano lo svolgimento dei campionati escludendo che la partecipazione agli stessi sia collegata solo al merito acquisito per così dire "sul campo". Nell'ambito dell'iscrizione ad un campionato, in altre parole, non vi è un diritto soggettivo all'ammissione, perché, nel disporre l'ammissione al campionato, la FIGC fa applicazione di regole finalizzate al perseguimento degli interessi collettivi esistenti nel mondo sportivo, quali l'ordinato svolgimento delle attività sportive e la solidità economicofinanziaria delle società sportive che è necessaria per lo svolgimento regolare dei campionati, non meno della capacità o del c.d. merito sportivo. ( Cons. Stato Sez. VI, 09- 02-2006, n. 527 C. S.p.A. in liquidazione c. C. e altri) . In materia di documentazione richiesta ad una società di calcio per l'iscrizione, dal punto di vista formale non si può dire esistente alcuna disposizione che contempli il principio della regolarizzazione della documentazione, essendo evidente in materia l'esigenza di garantire con assoluta certezza il necessario contemporaneo avvio dei campionati: per tale motivo i termini fissati dalla Federazione per l'espletamento degli adempimenti prescritti per l'iscrizione delle società sportive ai campionati di calcio sono sempre perentori ( Cons. Stato Sez. VI, 12-10-2006, n. 6083 Curatela Fallimentare A.C. C. S.R.L. c. F.I.G.C. e altri) . Dal punto di vista giuridico, è possibile applicare all'iscrizione al campionato sportivo i principi generali in materia di ammissioni. (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 12-10-2006, n. 6083 Curatela Fallimentare A.C. C. S.R.L. c. F.I.G.C. e altri o ancora la decisione con cui e' stato giudicato legittimo il rigetto da parte dell'Amministrazione di una domanda di concessione per radiodiffusione sonora a carattere commerciale in ambito locale prodotta da una emittente a causa del mancato invio, entro i termini, perentori, previsti dall'art. 4, D.L. 27 agosto 1993, n. 323, della documentazione comprovante i requisiti prescritti. Cons. Stato Sez. VI, 26-10-2006, n. 6412) e, comunque, i principi validi per l’ammissione alle gare pubbliche, in cui è stato ritenuto illegittimo l'operato della Commissione giudicatrice che ha ammesso ad una gara di appalto una società che non ha presentato, in allegato alla domanda di partecipazione alla gara, le certificazioni o la documentazione richieste sui servizi già prestati in precedenza a favore di altri enti pubblici o di privati per la cui mancanza la lettera d'invito comminava l'esclusione dalla gara, (CDS, VI, 16.9.1998 n.1257; Cass. Sez.UN., 25.2.2000 n. 46; CDS, VI, 6083/06 del 12.10.2006 Curatela Campobasso / FIGC) ). Deve ritenersi che le condizioni ed i requisiti per l’ammissione a competizioni sportive e campionati sono stabilite dalle Federazioni sportive nell’esercizio di un potere, ampiamente discrezionale , connesso con le loro funzioni istituzionali di controllo e vigilanza dello sport. Le scelte di merito circa l’entità degli adempimenti concernenti il rispetto dei limiti temporali per il deposito dei documenti comprovanti la solidità finanziaria appaiono esenti da palesi irragionevolezze od incongruità., Ogni valutazione, in termini di ordinaria ragionevolezza, preclusa al collegio, è comunque demandata agli organi federali, che, materia di iscrizione ai campionati non può attenersi al principio del favor partecipationis (Cons. Stato Sez. V, 23-01-2006, n. 189 V. s.r.l. c. Comune di Castellaneta e altri Radio C. c. Ministero delle Comunicazioni e altri). Nel caso di specie, conformemente a quanto sostenuto dalla difesa della FIGC e dalle risultanze probatorie allegate da parte istante, non vi è alcuna dimostrazione del tempestivo adempimento richiesto, sicchè risulta legittima la penalizzazione inflitta per il mancato rispetto del termine federale.

Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 5 agosto 2005– www.coni.it

Decisione impugnata: Non attribuzione al Calcio Como srl del titolo sportivo della Calcio Como S.p.A., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Como - www.figc.it

Parti: Calcio Como Srl – contro F.I.G.C. – LP Serie C

Massima: La Camera di Conciliazione è competente a decidere, ai sensi del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport e dell’art. 27 dello Statuto FIGC in merito al ricorso presentato dalla società, con il quale la stessa chiede l’attribuzione del titolo sportivo della società dichiarata fallita. Ciò, in virtù della qualità di affiliato della società, come attestata dal provvedimento depositato presso la Camera, sia del disposto dell’art. 27, commi 1 e 3, dello Statuto F.I.G.C. In particolare, il primo comma dell’art. 27 prevede che tra i soggetti ai quali si riferisce il patto compromissorio sono ricompresi anche « […] I soggetti, organismi e loro componenti, che svolgono attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per l’Ordinamento Federale […]» (s.d.r). Pertanto, si deve reputare che tra tali soggetti vada, certamente, ricompresa la società che, come emerge dallo Statuto in atti, ha per oggetto esclusivo «[…] l’esercizio di attività sportive […] con le finalità e con l’osservanza delle norme e delle direttive della Federazione Italiana Giuoco Calcio e dei suoi organi […]».

Massima: Il titolo sportivo di una società, ai sensi dell’art. 52, terzo comma, (vecchio testo,) delle N.O.I.F. può essere attribuito ad altra società previo parere vincolante della CO.VI.SO.C. Nel caso di specie, il parere di tale organismo è negativo, con la conseguenza che il Presidente federale non poteva non adottare un provvedimento di diniego. Nel caso di specie questo rilievo è assolutamente assorbente posto che la società non ha fornito alcuna prova in ordine alla presunta erroneità delle valutazioni fatte dalla COVISOC.

Massima: L’art. 52 prevede che il Presidente federale può attribuire il titolo sportivo di una società di cui sia stata revocata l’affiliazione ad un’altra, previo parere vincolante della CO.VI.SO.C. Si tratta, dunque, fatta eccezione per la vincolatività del provvedimento della CO.VI.SO.C emesso sulle sole materie di sua competenza, di un potere discrezionale riconosciuto in capo al Presidente federale. Nell’esercizio di tale potere, quest’ultimo ben può dunque fissare dei termini, prevedere modalità, forme e contenuti dei documenti a corredo della domanda di attribuzione del titolo, anche in mancanza di una specifica normativa, e ciò anche in considerazione delle esigenze connesse alla organizzazione e al regolare inizio dei campionati. L’esercizio del suddetto potere incontra il solo limite del rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede previsti dal nostro ordinamento giuridico. Entrambi i suddetti principi nel caso di specie appaiono essere stati osservati in quanto il termine del 30.6.2005 è stato comunicato e quindi non può essere imputata alla Federazione la circostanza che l’istanza della società sia stata inoltrata solo un giorno prima della scadenza.

Massima: La fattispecie del trasferimento d’azienda, non determina automaticamente l’acquisizione del titolo sportivo perché a ciò osta il secondo comma dell’art. 52 delle N.O.I.F., laddove è previsto espressamente l’impossibilità di cessione del titolo sportivo. Ne consegue che la disciplina civilistica del trasferimento d’azienda (art. 2555 c.c.) non risulta applicabile al caso di specie.

 

Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 16 dicembre 2004– www.coni.it

Decisione impugnata: Non ammissione della Napoli Sportiva spa al Campionato di Serie B 2004/05- www.figc.it

Parti: Napoli Sportiva S.P.A. contro F.I.G.C.

Massima: Il c.d. “titolo sportivo” non ha carattere “assoluto”, nel senso che lo stesso, in assenza di qualsivoglia disciplina nell’ambito dell’ordinamento statale, ha esistenza solo nella misura in cui le norme federali lo disciplinano e riconoscono, e dunque solo nei limiti della relativa regolamentazione. In particolare, il titolo sportivo costituisce un’espressione sintetica dello “status sportivo” – nel senso del livello agonistico raggiunto nel corso degli anni – di un dato soggetto all’interno dell’organizzazione sportiva di cui lo stesso fa parte, al di fuori della quale il titolo stesso non ha significato e giuridica rilevanza. 32. In altri termini, intanto il titolo sportivo esiste in quanto lo stesso è riconosciuto dalla FIGC, come anche si desume dall’art. 52, comma 1, delle NOIF, a tenore del quale “Il titolo sportivo è il riconoscimento da parte della F.I.G.C. delle condizioni tecniche sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali, la partecipazione di una società ad un determinato Campionato”. È allora chiaro che, essendo il titolo sportivo una sorta di “certificazione” della sussistenza di determinati requisiti tecnici, rilevanti esclusivamente sotto il profilo della posizione sportiva del soggetto nell’ambito della FIGC e rispetto agli altri affiliati, lo stesso non ha alcun autonomo rilievo “esterno” all’ordinamento federale. La logica e necessaria conseguenza della ricostruzione brevemente esposta è che – con l’eccezione di quanto dispongono le stesse norme federali – nessun soggetto può rivendicare la libera disponibilità del titolo sportivo alla stregua di un qualsivoglia diritto assoluto, “bene della vita” o situazione giuridica soggettiva di vantaggio previsti dall’ordinamento generale, e che la sua trasmissione può avvenire solo nelle forme e nei limiti previsti dalla normativa federale. Sempre alla luce della normativa federale – e di quanto si è detto – si comprende poi che la nozione di “titolo sportivo” è differente da quella di “affiliazione” alla FIGC, ma che, tuttavia, fra le due vi è uno stretto legame, in quanto la perdita della seconda determina di regola la perdita del primo.

Massima: Quanto alle norme che consentono il trasferimento, l’operazione compiuta dalla società di trasferimento del titolo sportivo non rientra in alcuna delle ipotesi previste, cioè nelle ipotesi di: fusione, scissione o conferimento dell’azienda in conto capitale in altra società interamente posseduta dalla concedente (art. 52, comma 5, NOIF); attribuzione del titolo della società alla quale viene revocata l'affiliazione ai sensi dell’art. 16, comma 7, delle NOIF ad altra società appartenente alla Lega Dilettanti (art. 52, comma 4); nonché di quelle riconducibili al cosiddetto “Lodo Petrucci” (art. 52, comma 6). Per contro, l’operazione di cui si tratta viola chiaramente i divieti posti dalla normativa federale, la quale non solo stabilisce in via generale che “In nessun caso il titolo sportivo può essere oggetto di valutazione economica o di cessione” (art. 52, comma 2, NOIF), ma spiega che l’applicazione del precetto deve avvenire con approccio sostanziale e non formalista, precisando che costituiscono “gravi infrazioni” all’ordinamento sportivo – idonee a provocare la revoca dell’affiliazione – la “violazione dei fondamentali principi sportivi, quali la cessione o comunque i comportamenti intesi ad eludere il divieto di cessione del titolo sportivo”. Se si ammettesse ad un campionato professionistico della FIGC la società affittuaria dell’azienda di una società sportiva non dotata dei requisiti tecnici e finanziari richiesti per partecipare a quel campionato (al momento della scadenza dei termini temporali massimi fissati dalle norme federali), si permetterebbe una inammissibile elusione del predetto divieto, in quanto prenderebbe parte alla competizione un soggetto diverso da quello che avrebbe dovuto dimostrare – e che non ha tempestivamente dimostrato – il possesso dei predetti requisiti. In effetti, se si consentisse alle società professionistiche di affittare l’azienda calcistica ad altri soggetti ogni volta che si trovano in precarie condizioni economiche, si finirebbe per porre nel nulla le norme federali volte a verificare l’equilibrio finanziario delle società professionistiche e, soprattutto, si eluderebbe il disposto imperativo dell’art. 12 l. 91/1981. Del resto, anche ad ammettere (ma senza concedere) che l’ordinamento federale consenta la conclusione di contratti di affitto d’azienda ai fini dell’iscrizione ad un campionato professionistico da parte di un soggetto non coincidente con la società alla quale il titolo sportivo è stato attribuito, è evidente che la perdita del titolo medesimo da parte della società affittante (determinata nel caso di specie dalla mancata ammissione della società alla Serie B per la carenza dei necessari requisiti economico-finanziari nonché, tanto più, dalla successiva perdita dell’affiliazione a causa dell’intervenuto fallimento) impedisce alla società affittuaria di farlo valere ai fini della ammissione e/o della permanenza nel campionato. In effetti, anche a voler ammettere (ma di nuovo senza concedere) che il titolo sportivo sia assimilabile ad un bene immateriale che si può affittare assieme a tutti gli altri elementi dell’azienda, la perdita dello stesso da parte del dante causa non può che ripercuotersi immediatamente sulla sua utilizzabilità da parte dell’avente causa in forza del noto principio nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet. Infine, per mera completezza, va rilevato che (come osservato dalla FIGC) il contratto d’affitto contiene nel suo art. 2 bis una condizione sospensiva a tenore della quale l’efficacia dell’accordo è condizionata “al verificarsi dell’iscrizione dell’affittuaria al Campionato Italiano di Calcio della Serie B entro la prima Partita del Campionato di Serie B della stagione 2004/2005”. In ragione di quanto si è detto, la condizione in parola si dovrebbe correttamente qualificare come (giuridicamente) “impossibile” ai sensi e per gli effetti dell’art. 1354, comma 2, c.c.. Di conseguenza, il contratto in questione sarebbe verosimilmente da ritenersi affetto da nullità (sempre rilevabile d’ufficio) in forza della richiamata disposizione codicistica e, quindi, si potrebbe seriamente dubitare della stessa possibilità per la società di esercitare pretese verso la FIGC sulla base dello stesso.

 

Decisione C.F.: Comunicato Ufficiale n. 6/Cf del 6 Agosto 2004. n. 3 - www.figc.it

Impugnazione - istanza:Quesito interpretativo circa la possibilità di considerare campionati professionistici quello di Serie C, organizzato prima della istituzione della Lega Nazionale Semiprofessionisti e quelli di Serie C e Serie D (ex IV serie), organizzati dalla Lega Nazionale Semiprofessionisti, ai fini dell’applicazione dell’ art. 52, comma 6, delle N.O.I.F.

Interpretazione: Ai fini dell’applicazione dell’art. 52 comma 6 N.O.I.F. è possibile considerare campionati “nell’ambito del calcio professionistico” i campionati di Serie C e di Serie D (ex IV Serie), organizzati dalla Lega Nazionale Semiprofessionisti, nonché i campionati di Serie C svoltisi nel dopoguerra fino all’istituzione della predetta Lega.

Decisione CAF: Comunicato Ufficiale 8/CF del 30 luglio 1998 n. 2 – www.figc.it

Impugnazione - istanza: Richiesta del Presidente Federale, ai sensi dell’art. 16 comma 1 lett. a) C.G.S., di interpretazione dell’art. 51 comma 4 N.O.I.F.

Interpretazione: Se, al termine del Campionato di Serie A tre squadre si trovino a pari punti al primo posto in classifica, (posto che l'U.E.F.A. ha concesso il diritto di partecipazione alla Champions League sia alla vincitrice del titolo nazionale sia alla seconda classificata), deve applicarsi il quarto comma dell’art.51 N.O.I.F., laddove in tal senso il primo titolo (quello di Campione d'Italia) dovrebbe essere assegnato in base alla graduatoria risultante dalla cosiddetta "classifica avulsa" mentre per il secondo titolo, che nella fattispecie sarebbe anche l'ultimo, si dovrebbe ricorrere allo spareggio tra la seconda e la terza in graduatoria in quest'ultima classifica. La Corte ha ritenuto che nella fattispecie non possa parlarsi di concorso di più titoli sportivi nella competizione di campionato. Il titolo è unico, quello di "Campione d'Italia", che spetta alla prima classificata del Campionato di Serie A. Per ritenersi concorso di più titoli è necessario che questi siano effetto di riconoscimento "genetico" da parte della F.I.G.C. (art. 52 comma 1 N.O.I.F.) mentre nella fattispecie il riconoscimento per l'ammissione alla Champions League è di competenza dell'U.E.F.A. L'attribuzione del secondo posto nella graduatoria di classifica è quindi soltanto fatto "per relationem" a quello del primo posto; nel caso di classificazione di tre o più squadre a pari punti, sarà pur smpre lo spareggio tra la prima e la seconda in graduatoria nella "classifica avulsa" a determinare ad un tempo la vincitrice del campionato o di girone e la seconda classificata, individuata nella perdente nell'avvenuto spareggio, come aventi diritto a partecipare alla Champions League.

Interpretazione: In caso di eventuale situazione di parità di più di due squadre in testa alla classifica del campionato ai fini della partecipazione alla Champions League - la Corte Federale ha ritenuto che si tratti di un unico titolo sportivo - l'assegnazione del titolo di Campione d'Italia - rispetto al quale, per logica derivazione, discende l'individuazione della seconda classificata. Non si versa, pertanto, nella distinta ipotesi di pluralità di titoli, prevista nell'ultima parte del quarto comma dall'art. 51 N.O.I.F.

 

 

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