Decisione C.F.A. – Sezione Unite: Decisione pubblicata sul CU n. 0014/CFA del 10 Agosto 2022 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - n. 0002/TFNSD/2022-2023 del 07.07.2022

Impugnazione – istanza: Sig. V.M.R./Divisione Calcio a Cinque + altri

Massima: Rigettato il reclamo e confermata la decisione del TFN che a sua volta aveva rigettato il ricorso promosso del calciatore che aveva impugnato la delibera della Divisione Calcio a 5 sostenendo l’illegittimità della categoria dei calciatori “formati”, individuata dal C.U. n. 1/2021 in base a presupposti e criteri considerati distonici rispetto alla formazione nei vivai o nei settori giovanili delle società, e ancor più l’illegittimità della crescente limitazione della loro possibilità di utilizzazione disposta dal C.U. n 772/2022. Da questa, nel suo caso specifico, conseguirebbe il rischio della risoluzione per giusta causa dell’accordo economico stipulato con la società…Nel merito della vicenda, è indiscusso che il signor …. non abbia i requisiti tassativamente elencati dai successivi C.U. per il riconoscimento della qualifica di “formato”, tanto è vero che egli chiede l’equiparazione, appunto, agli “atleti formati in Italia”. In realtà, come il reclamante ha ben presente, il suo interesse alla richiesta equiparazione potrebbe essere soddisfatto solo mediante l’adozione di un eccezionale provvedimento derogatorio, che egli considera giustificato nel suo caso specifico dalla peculiarità della propria situazione personale, dovuta all’emigrazione della sua famiglia, che lo avrebbe costretto a formarsi all’estero sebbene cittadino italiano. Questo però non è possibile per almeno tre concomitanti ragioni, e cioè in quanto l’ipotetica deroga ad personam: i) si risolverebbe in una elusione in parte qua della disciplina generale dettata in materia e più volte confermata; ii) non avrebbe alcuna base normativa, anche perché appare priva di fondamento la tesi, sostenuta dal reclamante, secondo cui la sua situazione sarebbe assimilabile alla forza maggiore; iii) ove fosse per avventura consentita, non potrebbe che essere riservata alla piena discrezionalità della Divisione calcio a 5, cosicché la sua mancata adozione non sarebbe soggetta a valutazione giurisdizionale se non nelle ben note ipotesi-limite del c.d. sindacato esterno, che qui non è dato riscontrare. Conviene infine osservare che - come anche si è rilevato tra i commentatori - se, in via pretoria, si predispongono “vie di fuga” a una disciplina generale, gli effetti sono sempre pericolosi, perché la norma perde di credibilità, si genera confusione fra gli addetti ai lavori, si diffonde il malcontento fra coloro che non vengono accontentati, si creano presupposti perché chiunque si senta legittimato a richiedere deroghe in virtù di situazioni anche radicalmente lontane da quelle delineate in termini generali.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 2/TFN - SD del 7 Luglio 2022  (motivazioni)

Impugnazione - Ricorso del sig. V.M.R. - Reg. Prot. 167/TFN-SD

Massima: Premessa la dubbia procedibilità del ricorso, veicolato rispetto al solo “silenzio” originariamente serbato dalla Divisione Calcio a 5 (e non anche al provvedimento di diniego espresso, intervenuto in corso di causa), il principio della c.d. ragione più liquida, applicabile anche al processo sportivo, suggerisce di vagliare i profili di infondatezza delle domande del ricorrente, siccome di manifesta e immediata evidenza. Noto è, infatti, l’orientamento di legittimità, radicato – come è stato condivisibilmente sostenuto (Cass. civ., Sez. lav., 26 settembre 2019, n. 24093) – nel principio di economia processuale e nei principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost. (oggetto di doverosa applicazione anche nell’ecosistema del giusto processo sportivo), che attribuisce al decidente il potere di pronunciarsi immediatamente sulle questioni che risultino ictu oculi di evidente e ragionevole soluzione (v., ad es., Cass. civ., Sez. lav., 20 maggio 2020, n. 9309).

Massima: Respinto il reclamo del calciatore - tesserato in Italia, nato in Brasile e di cittadinanza italiana – contro la Divisione Calcio a 5, LND, FIGC, nonché nei confronti del sig. A. B. e della società SSD Petrarca Calcio a 5 Srl, relativo alla richiesta di equiparazione del proprio status e/o posizione di calciatore, in seno alla FIGC, LND e alla Divisione Calcio a 5, alla categoria degli atleti "formati in Italia", ai sensi del Comunicato Ufficiale della Divisione medesima n. 1 del 1° Luglio 2021 nonché del successivo e più recente C.U. n. 772 del 15 Febbraio 2022…Occorre, quindi, richiamare il Comunicato Ufficiale della Divisione Calcio a 5 n. 1, relativo alla Stagione Sportiva 2020/2021, che ha puntualmente individuato i limiti di partecipazione dei calciatori alle gare dei vari Campionati Nazionali. Per quanto di interesse nell’ottica della delibazione del ricorso, il Comunicato fa precisa menzione dei cosiddetti calciatori “formati” in Italia, pacificamente e obbligatoriamente riservatari di posti nella distinta di gara rispetto agli atleti non formati. Per come si legge, a chiare lettere, nella delibera (p. 5), “Nelle […] gare è fatto obbligo alle Società di impiegare un numero di calciatori formati, almeno pari al 50% (cinquantapercento), arrotondato per eccesso al numero dei calciatori presenti ed inseriti nella distinta presentata all’arbitro”; delibera, in parte qua, modificata dal successivo Comunicato Ufficiale n. 772, relativo alla Stagione Sportiva 2021/2022, che ha modificato progressivamente, in relazione alle prossime due stagioni sportive, il rapporto percentuale tra calciatori formati e non formati (si rinvia al C.U., pp. 1-2, per il dettaglio delle proporzioni). Le condizioni legittimanti l’appartenenza alla categoria de qua sono precisamente disegnate dal Comunicato n. 1, cit. (pp. 5-6), che così recita: “Per calciatori formati, si intendono quei calciatori che abbiano almeno una delle caratteristiche di seguito indicate: a) abbiano assunto il primo tesseramento per la FIGC prima del compimento del 18° anno di età, con tesseramento valido non revocato e/o non annullato anteriormente al 30 giugno 2017; b) abbiano assunto il primo tesseramento per la FIGC prima del compimento del 16° anno di età, con tesseramento valido non revocato e/o non annullato anteriormente al 30 giugno 2018; c) siano stati tesserati prima del 14° anno di età con tesseramento valido non revocato e/o non annullato; d) risultino residenti in Italia precedentemente al compimento del 10° anno di età”. Il Comunicato è stato, in parte qua, sostanzialmente confermato dal successivo Comunicato n. 772, cit. (p. 2), a tenore del quale: “Sono considerati formati/e i calciatori e le calciatrici che abbiano almeno una delle caratteristiche di seguito elencate: a) abbiano assunto il primo tesseramento per la FIGC prima del compimento del 18° anno di età, con tesseramento valido non revocato e/o non annullato anteriormente al 30 giugno 2017; b) abbiano assunto il primo tesseramento per la FIGC prima del compimento del 16° anno di età, con tesseramento valido non revocato e/o non annullato anteriormente al 30 giugno 2018; c) abbiano assunto il primo tesseramento per la FIGC prima del compimento del 14° anno di età, con tesseramento valido non revocato e/o non annullato; d) risultino residenti in Italia precedentemente al compimento del 10° anno di età”. La puntuale elencazione dei presupposti induce a ritenere che gli stessi siano tassativi e, per l’effetto, insuscettibili di interpretazioni estensive. Ora, la parte, nell’istanza prodromica al ricorso (e nello stesso ricorso), ha delineato i presupposti in fatto che, a proprio giudizio, giustificherebbero l’equiparazione della stessa allo status di formato. Dallo stesso lessema “equiparazione” (più volte ribadito nell’atto introduttivo) si evince che, per pacifica ammissione del ricorrente, in testa a quest’ultimo non ricorre alcuno dei presupposti sagomati dai due Comunicati di cui si è detto. La parte chiede, in buona sostanza, a questo Tribunale la selettiva disapplicazione delle condizioni, previa valorizzazione delle peculiarità (inerenti al personale vissuto della parte e alla sua carriera sportiva) esposte nel ricorso introduttivo e ribadite nella memoria di parte. Operazione siffatta, oltre a non essere consentita per avere la parte prestato acquiescenza al chiaro prescritto del Comunicato, in ogni caso ritenuto legittimo dalla Corte Federale di Appello (Corte Federale di Appello, Sezioni Unite, 22 giugno 2022, n. 96), striderebbe con il principio di par condicio del trattamento dei calciatori; principio che verrebbe vulnerato, con gravi corollari in punto di certezza giuridica, da eterodosse applicazioni ratione personarum. Come ricorda la giurisprudenza amministrativa rispetto al tema dell’interpretazione di bandi di gara (pur altro da quello oggetto dell’odierno contendere, ma a quest’ultimo avvinto per l’identica ratio di tutela della parità di trattamento), sono le preminenti esigenze di certezza connesse alle procedure a imporre di ritenere di stretta interpretazione le clausole delineate a monte, che non ammettono postume integrazioni a danno (e, come deve aggiungersi, a vantaggio) di questo o quel destinatario (v., ad es., Cons. St., Sez. V, 25 giugno 2021, n. 4863; Id., Sez. V., 31 marzo 2021, n. 2710; Id., Sez. V., 26 marzo 2020, n. 2130). Tali orientamenti non appaiono contraddetti dalla giurisprudenza sportiva, che, pur in materie diverse da quella per cui oggi è controversia, condivide gli stessi principi, in definitiva ispirati a basilari (e condivisibili) esigenze di coerenza, ragionevolezza, certezza ed eguaglianza (v., ad es., Alta Corte di Giustizia Sportiva, 1 ottobre 2014, n. 34, che osta a valutazioni flessibili a valle in presenza di precisi requisiti formali fissati ex ante). Non è dato, dunque, neppure nel caso oggetto del contendere, disapplicare le condizioni che legittimano l’accesso al genus dei calciatori formati; cosa vieppiù vietata in difetto dell’impugnativa del prescritto dei Comunicati della Divisione Calcio a 5, rimasto per anni – quanto ai requisiti per la qualifica di “formato” – inalterato (v., ad es., il C.U. n. 1, relativo alla Stagione Sportiva 2018/2019) e comunque ritenuto legittimo dalla Corte Federale d’Appello, che ne ha riconosciuta la non irragionevolezza in virtù della meritevolezza dell’interesse della tutela dei vivai nazionali (Corte Federale di Appello, Sezioni Unite, 22 giugno 2022, n. 96; Tribunale Federale Nazionale, Sezione Disciplinare, 12 maggio 2022, n. 144). Neppure rileva il richiamo, compiuto dal Mello nel ricorso introduttivo, al caso del cestista Campanaro (Cons. St., Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3037), che invero riguardava il settore professionistico (mentre parte ricorrente è non professionista a norma dell’art. 2 l. n. 91/1981 e dell’art. 29 NOIF, secondo cui “Sono qualificati “non professionisti” i calciatori che, a seguito di tesseramento […] giocano il “Calcio a Cinque” […]”; in termini, Corte Federale di Appello, Sezioni Unite, 22 giugno 2022, n. 96); le oggettive diversità che dividono le fattispecie giustificano trattamenti differenziati. È assorbita ogni altra questione di rito e di merito.

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0096/CFA del 22 Giugno 2022 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale – sezione disciplinare n. 144/TFN SD del 12.5.2022

Impugnazione – istanza: sig. C.A.D.S.D.S.-sig. M.S.P./Divisione Calcio a 5

Massima: Rigettato il ricorso promosso dal calciatore partecipante al campionato nazionale maschile di Serie A nato in Brasile, tesserato per società affiliate alla FIGC dalla stagione 2007/2008 e cittadino italiano da ottobre 2013 (che vanta 17 presenze e 3 reti con la nazionale italiana) con il quale ha impugnato la decisione del TFN chiedendo l’annullamento e/o la riforma, della delibera del Consiglio Direttivo della Divisione Calcio a Cinque assunta nella riunione del 14.2.2022, pubblicata sul Comunicato Ufficiale n. 772 del 15.2.2022, nella parte in cui “venivano introdotte molteplici e significative modifiche alle disposizioni in tema di Limiti di Partecipazione dei Calciatori/Calciatrici alle gare dei Campionati Nazionali di Calcio a 5 di Serie A, A2 e B Maschile di Serie A ed A2 Femminile per le stagioni 2022/2023 e 2023/2024”… poiché, da un lato, alcuna violazione delle libertà di circolazione è configurabile nella specie trattandosi di censure proposte da cittadini italiani e che non è possibile configurare alcuna violazione dei principi di uguaglianza non essendo i ricorrenti formati in Italia, mentre le modifiche introdotte appaiono proporzionali alla ratio sottesa alla deliberazione di tutelare e valorizzare i vivai italiani Passando ora all’esame del merito, va dato atto che la delibera impugnata, facendo esercizio di ampia discrezionalità tecnica, ha dettato una particolare disciplina dei campionati di calcio a 5 per le due stagioni a venire. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il sindacato giurisdizionale sugli atti di tale natura può essere esercitato nei soli casi di violazione di legge o nelle ipotesi-limite di errore sui presupposti, manifesta infondatezza, palese illogicità. La Divisione calcio a 5 sostiene la piena legittimità e ragionevolezza della delibera. Si tratta di una considerazione che il Collegio condivide nei termini di cui ora si dirà. Le ragioni alla base della delibera emergono nitidamente nel verbale della riunione del Consiglio direttivo della Divisione in data 14 febbraio scorso, in atti. Come si legge nella relazione del Presidente, appare “la grande distonia tra il numero dei giocatori formati e non formati in Italia che vengono effettivamente impiegati nelle gare dei campionati e soprattutto nelle categorie di vertice”. “Questa distorsione … ha creato un corto circuito. A causa del quale le società hanno smesso di fare quella normale attività di scouting sui territori … privilegiando scorciatoie e semplificazioni, andando alla ricerca di calciatori già pronti e formati in realtà estere … Questo ha generato delle distorsioni che hanno portato a una insostenibilità del sistema …”, tanto che “delle 19 società vincenti i 37 titoli della serie A assegnati a partire dal 1983/1984, solo 6 sono ancora in attività e solo 2 sono in serie A”. Alla relazione è allegata una tabella. E - come osserva la reclamata – “i numeri dimostrano come i giocatori formati, mediante il sistema di inserirli in distinta di gara e di non farli partecipare alla partita in termini effettivi, arrivano ad avere un minutaggio pari al solo 20% dei minuti giocati, a fronte di un minutaggio pari al 80% dei minuti giocati per i giocatori non formati”. La relazione del Presidente è stata condivisa nel merito dai consiglieri, che solo non sono stati unanimi circa la tempistica delle misure da prendere. Come ricorda la reclamata, la promozione e la tutela dei vivai giovanili costituiscono obiettivi condivisi a livello sia interno (delibera CONI 15 luglio 2004, n. 1276) che euro-unitario (Comunicazioni della Commissione europea 11 luglio 2007, recante il Libro bianco dello sport, e 18 gennaio 2011, per “Sviluppare la dimensione europea dello sport”). La delibera CONI perseguiva l’obiettivo di far sì che “nelle squadre che partecipano ai campionati di livello nazionale [sia] garantita una presenza di giocatori formati nei vivai giovanili non inferiore al 50 per cento del totale dei giocatori compresi nel referto arbitrale”. Con la prima Comunicazione, la Commissione ha ritenuto che “le regole che impongono alle squadre una quota di giocatori formati sul posto possono ritenersi compatibili con le disposizioni del Trattato sulla libera circolazione delle persone se non causano una discriminazione diretta basata sulla nazionalità e se gli eventuali effetti discriminatori indiretti possono essere giustificati come proporzionati a un obiettivo legittimo perseguito quale, ad esempio potenziare e tutelare la formazione e lo sviluppo dei giovani giocatori di talento”. Con la seconda, la Commissione ha rilevato che “norme indirettamente discriminatorie (ad esempio quote di giocatori formati sul posto) … si possono considerare compatibili se perseguono un obiettivo legittimo e nella misura in cui sono necessarie e commisurate al raggiungimento di tale obiettivo”. Non è un caso, d’altronde, che - come osserva la resistente - iniziative analoghe a quella qui in discussione siano state assunte in altri settori dello sport (rugby, pallavolo, hockey inline, pallanuoto). Anche altri ordinamenti sportivi, stranieri e sovranazionali, hanno introdotto la c.d. “Home Grown Player Rule”, secondo la quale una quota dei giocatori schierati in campo o compresi nella rosa, anche indipendentemente dalla nazionalità, deve provenire dai settori giovanili del club o comunque del Paese. Il Consiglio di direttivo della Divisione calcio a 5 ha inteso raggiungere questa finalità combinando una serie di parametri secondo criteri che sono espressione di discrezionalità tecnica eminente, qui non sindacabile. Alla legittimità della decisione impugnata i reclamanti oppongono - con il quarto motivo del reclamo - un precedente della VI Sezione del Consiglio relativo al caso del cestista Campanaro, di nazionalità italiana, ma non formatosi tecnicamente nel nostro Paese, che impugnava il rigetto dell’istanza volta a ottenere il tesseramento nella Federazione italiana pallacanestro quale atleta italiano a tutti gli effetti (sentenza n. 3037/2014)….Vengono dunque in questione settori radicalmente diversi, la cui disciplina corrisponde a valori, esigenze e tecniche di tutela non comparabili. Pertanto, data la situazione di fatto e la indiscutibile meritevolezza dell’interesse alla tutela dei vivai, perseguito dal provvedimento, il Collegio ritiene che il Consiglio direttivo abbia legittimamente assunto le iniziative di modifica giudicate necessarie per porre rimedio a una situazione giudicata in via di grave e progressivo deterioramento. La scelta di intervento fatta è una opzione di merito non sindacabile in questa sede e sfugge alle censure mossa dai reclami. Va sottolineato che la procedura non prevedeva l’espressione obbligatoria di alcun parere. Peraltro il Presidente della Divisione calcio a 5 ha informato i consiglieri che dell’intenzione di riforma erano stati messi al corrente il Commissario straordinario della LND e il Presidente federale. La disciplina transitoria, di cui i reclamanti lamentano l’assenza, è sostanzialmente disposta attraverso una articolata scansione temporale dell’applicazione della nuova disciplina. I reclamanti censurano il (ritenuto) il brusco scarto fra la regolamentazione della stagione 2021/2022 e quella prevista per le due stagioni seguenti, con un aumento “indiscriminato” del numero dei calciatori “formati” necessariamente presenti nella rosa. Il signor …. ricorda che, secondo la disciplina recata dal previgente C.U. n. 1 del 1° luglio 2021 per la serie A maschile, ove egli milita, in relazione a una distinta di gara con il numero massimo di quattordici calciatori vi sarebbe stato un perfetto equilibrio tra “formati” e “non formati” (sette a sette). La delibera ha progressivamente modificato tale equilibrio prevedendo per il campionato nazionale maschile di serie A: - per la stagione 2022/2023, una distinta di gioco di non più di dodici giocatori, di cui non più di quattro non formati; - per la stagione 2023/2024, una distinta di gioco di non più di dodici giocatori, di cui non più di tre non formati. Il signor …. ricorda che, secondo la disciplina recata dal previgente C.U. n. 1 del 1° luglio 2021 per la serie A2 maschile, ove egli milita, in relazione a una distinta di gara con il numero massimo di dodici calciatori vi sarebbe stato un ragionevole equilibrio tra “formati” e “non formati” (sette a cinque). La delibera ha progressivamente modificato tale equilibrio prevedendo per il campionato nazionale maschile di serie A2: - per la stagione 2022/2023, una distinta di gioco di non più di dodici giocatori, di cui non più di tre non formati; - per la stagione 2023/2024, una distinta di gioco di non più di dodici giocatori, di cui non più di due non formati (nella serie A2 Élite, di nuova istituzione) e uno non formato (nella serie A2). L’articolazione nei termini descritti, a prima vista, potrebbe suscitare qualche dubbio. Dubbio che, in effetti, ha trovato riscontro anche in sede di approvazione della delibera, in quanto la stessa ha ricevuto il voto contrario di un consigliere, il quale, pur convenendo in linea di principio sull’esigenza di una rimodulazione, riteneva necessario imprimere alla riforma una maggiore gradualità. La delibera, però, va rapportata alla particolare gravità della situazione emersa nella riunione del Consiglio direttivo e alla conseguente esigenza di provvedere in tempi molto rapidi. In ogni caso la decisione impugnata presuppone - come detto - una valutazione di stretto merito che fuoriesce dall’ambito del consentito sindacato estrinseco di questa Corte o, a tutto concedere, può alimentare una perplessità che non raggiunge quel limite della palese e plateale irragionevolezza che sola consentirebbe di accogliere la domanda impugnatoria.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 144/TFN - SD del 12 Maggio 2022  (motivazioni)

Impugnazione: Ricorsi dei sigg.ri C.A.D.S.D.S. e M.S.P. - Reg. Prot. 119-120/TFN-SD

Massima: Infondato nel merito è il ricorso proposto dal calciatore partecipante al campionato nazionale maschile di Serie A nato in Brasile, tesserato per società affiliate alla FIGC dalla stagione 2007/2008 e cittadino italiano da ottobre 2013 (che vanta 17 presenze e 3 reti con la nazionale italiana) con il quale ha impugnato, chiedendone l’annullamento e/o la riforma, la delibera del Consiglio Direttivo della Divisione Calcio a Cinque assunta nella riunione del 14.2.2022, pubblicata sul Comunicato Ufficiale n. 772 del 15.2.2022, nella parte in cui “venivano introdotte molteplici e significative modifiche alle disposizioni in tema di Limiti di Partecipazione dei Calciatori/Calciatrici alle gare dei Campionati Nazionali di Calcio a 5 di Serie A, A2 e B Maschile di Serie A ed A2 Femminile per le stagioni 2022/2023 e 2023/2024”… poiché, da un lato, alcuna violazione delle libertà di circolazione è configurabile nella specie trattandosi di censure proposte da cittadini italiani e che non è possibile configurare alcuna violazione dei principi di uguaglianza non essendo i ricorrenti formati in Italia, mentre le modifiche introdotte appaiono proporzionali alla ratio sottesa alla deliberazione di tutelare e valorizzare i vivai italiani

Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I.- Sezione Prima: Decisione n. 25 del 14/07/2015www.coni.it

Decisione impugnata: Decisione della Corte di Giustizia Federale, pubblicata sul C.U. n.055 CFA del 14.5.2015

Parti: Damiano Tommasi/Federazione Italiana Giuoco Calcio (C.U. 83/A)

Massima: Il Collegio di Garanzia dello Sport dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Componente del Consiglio Federale avverso la delibera della Corte Federale con la quale veniva respinto il gravame dallo stesso presentato contro la decisione del Tribunale Federale Nazionale, con la quale lo stesso Tribunale Federale riteneva legittima la delibera del Consiglio Federale della FIGC assunta in data 20.11.2014, resa pubblica in pari data, con Com.Uff. n. 83/A, relativa alla limitazione di utilizzo di calciatori per le società partecipanti, nella stagione sportiva 2015/2016, alla serie A. La delibera di cui trattasi, pubblicata sul C.U. n. 83/A del 20 novembre 2014, così testualmente recita: «Il Consiglio Federale - tenuto conto dei principi emanati dalla Unione Europea e dalla Corte di Giustizia Europea, volti a promuovere la formazione e la preparazione di talenti cosiddetti locali; - considerato che la UEFA, in linea con i suddetti principi, ha da tempo emanato disposizioni in materia di incentivazione e promozione dei giocatori locali, alle quali sin dal 2006 la F.I.G.C. si è adeguata; - ritenuto, coerentemente con la linea di politica sportiva della F.I.G.C. volta alla valorizzazione dei calciatori formati calcisticamente nei club italiani ed anche in ragione della crisi economica che ha investito il paese da qualche anno, di dover favorire l’acceso alle competizioni del Campionato di Serie A ai calciatori che abbiano avuto una formazione in Italia; - considerato che una tale politica risponde anche alla altrettanto avvertita esigenza di garantire una migliore maturazione sportiva dei calciatori giovani e formati in Italia, al fine di alimentare il bacino di disponibilità dei calciatori selezionabili per le Nazionali; - visto l’art. 27 dello Statuto Federale d e l i b e r a di adottare il seguente provvedimento a valere dal Campionato di Serie A 2015/2016. 1. Le società di Serie A, fatto salvo quanto previsto al comma 2, potranno utilizzare nelle gare di campionato i 25 calciatori indicati nell’elenco di cui ai commi 3, 4, 5 e 6. Tra i 25 calciatori, almeno 4 devono essere “calciatori formati nel club” e almeno 4 “calciatori formati in Italia”. Per “calciatori formati nel club” si intendono i calciatori che, tra i 15 anni (o l’inizio della stagione nella quale hanno compiuto 15 anni) e i 21 anni (o la fine della stagione nella quale hanno compiuto 21 anni) di età, indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per il club nel quale militano per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive, intendendosi per stagione sportiva il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato. Per “calciatori formati in Italia” si intendono i calciatori che, tra i 15 anni (o l’inizio della stagione nella quale hanno compiuto 15 anni) e i 21 anni (o la fine della stagione nella quale hanno compiuto 21 anni) di età, e indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per uno o più club italiani per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive, intendendosi per stagione sportiva il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato. 2. Sarà consentito alle società di Serie A l’utilizzo aggiuntivo, rispetto a quelli dell’elenco dei 25 calciatori di cui ai successivi commi, di calciatori, tesserati sia a titolo definitivo sia temporaneo, che alla data del 31 dicembre della stagione sportiva precedente non abbiano già compiuto il 21° anno di età (“calciatori under 21”). 3. Le società di Serie A, entro le ore 12:00 del giorno precedente la prima gara di campionato, sono tenute ad inviare via PEC alla Lega l’elenco dei 25 calciatori, da individuarsi tra quelli per esse tesserati o tra quelli per i quali, completata la procedura di richiesta del transfer, lo stesso non sia stato ancora rilasciato, indicando quali siano i quattro “calciatori formati nel club” e quali siano i quattro “calciatori formati in Italia”. I calciatori per i quali non sia stato ancora rilasciato il transfer possono essere inseriti nell’elenco ma non possono essere utilizzati prima della concessione del visto di esecutività. 4. L’elenco dei 25 calciatori di cui al precedente comma, può essere variato fino alle ore 24:00 del giorno successivo alla chiusura del primo periodo di campagna trasferimenti. L’elenco dei suddetti 25 calciatori, scaduto il predetto termine e, fatto salvo quanto previsto dai successivi commi 5 e 6, può essere nuovamente variato dall’inizio del secondo periodo di campagna trasferimenti fino alle ore 24:00 del giorno successivo alla chiusura di detto periodo. Ogni variazione perché abbia effetto, ai fini della utilizzabilità del calciatore, deve pervenire alla lega a mezzo PEC entro le ore 12:00 del giorno precedente la gara di campionato. 5. L’elenco di cui al comma 3, se incompleto, può essere integrato fino al numero massimo di 25 consentito, esclusivamente con calciatori tesserabili in periodi diversi dai due ordinari periodi di campagna trasferimento, nei limiti, nei termini e secondo le modalità previste dal Comunicato Ufficiale annuale diramato in materia dalla F.I.G.C.. 6. Le società di Serie A, in qualsiasi momento della stagione sportiva, possono procedere alle variazioni di seguito indicate dell’elenco dei 25 calciatori: a) sostituzione di un portiere con un altro portiere; b) sostituzione di un calciatore proveniente dall’estero per il quale non si sia completata positivamente la procedura di rilascio del transfer; c) sostituzione di un calciatore al quale sia stato revocato il tesseramento; d) sostituzione di un calciatore con cui sia intervenuta risoluzione consensuale di contratto; e) sostituzione, per una sola volta nella stagione, fino ad un massimo di due calciatori (diversi dal portiere) con altri due calciatori. Nel caso di sostituzione di un calciatore di cui alla presente lettera e), quest’ultimo potrà essere reinserito al posto del suo sostituto nell’elenco dei “calciatori over 21” solo nel periodo di campagna trasferimenti successivo alla data della sostituzione. 7. Le variazioni dell’elenco, intervenute fuori dai periodi di campagna trasferimenti, acquisiscono efficacia, purché siano trasmesse via PEC alla Lega entro le ore 12:00 del giorno precedente la gara, ad eccezione della sostituzione del portiere che potrà essere comunicata via PEC alla Lega prima dell’inizio della gara, con contestuale consegna di copia della comunicazione al Delegato di gara della Lega. 8. E’ fatto divieto ai calciatori non inseriti nell’elenco dei 25 calciatori di partecipare a gare di campionato nel periodo di validità dell’elenco stesso. Tale divieto non sussiste per i calciatori di cui al comma 2. 9. Le società rispondono disciplinarmente per la violazione delle disposizioni di cui ai commi che precedono. L’utilizzo in una gara di campionato di un calciatore non inserito nell’elenco dei 25 calciatori o inserito nel suddetto elenco in violazione delle disposizioni precedenti, comporta, per la società responsabile, la sanzione della perdita della gara ai sensi dell’art. 17, comma 5, lett. a) del Codice di Giustizia Sportiva, non avendo tale calciatore titolo alla partecipazione alla gara. Non si incorre nella violazione in caso di utilizzo dei calciatori di cui la comma 2. Norma Transitoria Le società di Serie A che non disponessero del numero minimo di 4 “calciatori formati nel club”, potranno nella stagione sportiva 2015/2016 inserire nella lista dei 25 fino ad 8 “calciatori formati in Italia”». L'azione annullatoria proposta dal signor – omissis - è stata spiegata nell'esercizio del potere di impugnazione conferito ai componenti del Consiglio Federale (assenti o .dissenzienti) dall'art. 31.2. del Codice di Giustizia Sportiva emanato dal C.O.N.I. Tale legittimazione -attributiva delle facoltà di sollecitare l'esperimento in sede di giurisdizione domestica (cfr. 43 bis del C.G.S. della F.I.G.C.) di un sindacato sulla conformità dei deliberati consiliari "alla legge, allo Statuto del CONI e ai principi fondamentali del CONI, allo Statuto e ai Regolamenti della Federazione" - pur traendo origine dalla titolarità dello status di consigliere federale, incontra, tuttavia, nei casi in cui l'investitura elettiva derivi dalla designazione di un'associazione rappresentativa di una componente tecnica, le limitazioni imposte dalla necessità che di essa sia fatto uso in coerenza con il ruolo esponenziale rivestito dal soggetto agente.  Non è, infatti, ammissibile, alla stregua dei principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia di tutela di interessi diffusi e/o collettivi, che la speciale legittimazione di cui si discute possa essere spesa in funzione del conseguimento di un risultato processuale confliggente, in tutto o in parte, con gli interessi della base associativa, dalla quale promana l'elezione in seno al Consiglio.  Ed è proprio questa la situazione ravvisabile nel caso che ci occupa, ove si consideri che: a) il signor Tommasi siede all'interno del Consiglio Federale in rappresentanza della categoria degli "atleti", in forza della investitura elettiva ricevuta dalla relativa componente tecnica (cfr. art. 26.4. dello Statuto F.I.G.C.); b) con l’odierno ricorso denuncia la illegittimità della delibera gravata per la pretesa discriminatoria del suo contenuto precettivo in danno dei calciatori di età superiore ai 21 anni.  Emerge da quanto precede che l'eventuale annullamento del regime normativo oggetto di censura, per un verso, varrebbe a soddisfare le ragioni addotte a sostegno della platea di calciatori asseritamente discriminati, ma -al tempo stesso- risulterebbe pregiudizievole per gli under 21, ostacolando le finalità di promozione dei vivai e di formazione delle giovani leve perseguite dal legislatore sportivo.  Detto altrimenti, l'impugnativa, per come concepita e declinata, è rivelatrice di un intrinseco conflitto di interessi, che rende antagonistica la posizione delle due diverse schiere di atleti coinvolti, precludendo al consigliere eletto in rappresentanza dell'intera categoria di agire in giudizio a vantaggio degli uni e, contemporaneamente, a detrimento degli altri. Nonostante il profilo di inammissibilità testé illustrato abbia carattere assorbente, per completezza di trattazione il Collegio reputa opportuno aggiungere che il ricorso appare, comunque, destituito di fondamento nel merito per le considerazioni che seguono. La normativa impugnata, espressione comunque della ampia discrezionalità di cui è dotato il legislatore sportivo, è relativa al processo di valorizzazione dei giovani calciatori, nell’indirizzo delineato e attuato dalla FIFA e dalla UEFA: detta normativa non appare in contrasto con la legge, anche in considerazione del fatto che è consentita deroga al principio generale di non discriminazione nel caso della sussistenza di una finalità legittima (D. Lgs. n. 216/2003). Osserva, ancora, il Collegio, che non sussiste alcuna discriminazione diretta dovuta all’età, sotto il profilo dell’accesso al lavoro, poiché l’unico intento appare quello di favorire la crescita dei giovani calciatori, senza comprimere i diritti dei giocatori over 21, in sicura armonia con l’ordinamento statale. Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

 

Decisione C.F.A. – Sezioni Unite: Comunicato ufficiale n. 039/CFA del 27 Marzo 2015 e con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 055/CFA del 14 Maggio 2015 e  su  www.figc.it

Decisione Impugnata: Delibera del Tribunale Nazionale Federale Sez. Disciplinare – Com. Uff. n. 32/TFN del 17.2.2015

Impugnazione – istanza: 5) RICORSO DEL SIG. D.T.AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO TENDENTE AD OTTENERE L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE F.I.G.C. DI CUI AL COM. UFF. N. 83/A DEL 20.11.2014

Impugnazione – istanza: 6) RICORSO DEL SIG. U.C.AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO TENDENTE AD OTTENERE L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE F.I.G.C. NDI CUI AL COM. UFF.. 83/A DEL 20.11.2014

Massima: La Corte respinge il ricorso proposto dal Componente del Consiglio Federale avverso la delibera del TFN che ha respinto il ricorso, avverso la delibera consiliare del 20.11.2014, resa pubblica in pari data, con Com.Uff. n. 83/A, relativa alla limitazione di utilizzo di calciatori per le società partecipanti, nella stagione sportiva 2015/2016, alla serie A. La delibera di cui trattasi, pubblicata sul C.U. n. 83/A del 20 novembre 2014, così testualmente recita: «Il Consiglio Federale - tenuto conto dei principi emanati dalla Unione Europea e dalla Corte di Giustizia Europea, volti a promuovere la formazione e la preparazione di talenti cosiddetti locali; - considerato che la UEFA, in linea con i suddetti principi, ha da tempo emanato disposizioni in materia di incentivazione e promozione dei giocatori locali, alle quali sin dal 2006 la F.I.G.C. si è adeguata; - ritenuto, coerentemente con la linea di politica sportiva della F.I.G.C. volta alla valorizzazione dei calciatori formati calcisticamente nei club italiani ed anche in ragione della crisi economica che ha investito il paese da qualche anno, di dover favorire l’acceso alle competizioni del Campionato di Serie A ai calciatori che abbiano avuto una formazione in Italia; - considerato che una tale politica risponde anche alla altrettanto avvertita esigenza di garantire una migliore maturazione sportiva dei calciatori giovani e formati in Italia, al fine di alimentare il bacino di disponibilità dei calciatori selezionabili per le Nazionali; - visto l’art. 27 dello Statuto Federale d e l i b e r a di adottare il seguente provvedimento a valere dal Campionato di Serie A 2015/2016. 1. Le società di Serie A, fatto salvo quanto previsto al comma 2, potranno utilizzare nelle gare di campionato i 25 calciatori indicati nell’elenco di cui ai commi 3, 4, 5 e 6. Tra i 25 calciatori, almeno 4 devono essere “calciatori formati nel club” e almeno 4 “calciatori formati in Italia”. Per “calciatori formati nel club” si intendono i calciatori che, tra i 15 anni (o l’inizio della stagione nella quale hanno compiuto 15 anni) e i 21 anni (o la fine della stagione nella quale hanno compiuto 21 anni) di età, indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per il club nel quale militano per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive, intendendosi per stagione sportiva il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato. Per “calciatori formati in Italia” si intendono i calciatori che, tra i 15 anni (o l’inizio della stagione nella quale hanno compiuto 15 anni) e i 21 anni (o la fine della stagione nella quale hanno compiuto 21 anni) di età, e indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per uno o più club italiani per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive, intendendosi per stagione sportiva il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato. 2. Sarà consentito alle società di Serie A l’utilizzo aggiuntivo, rispetto a quelli dell’elenco dei 25 calciatori di cui ai successivi commi, di calciatori, tesserati sia a titolo definitivo sia temporaneo, che alla data del 31 dicembre della stagione sportiva precedente non abbiano già compiuto il 21° anno di età (“calciatori under 21”). 3. Le società di Serie A, entro le ore 12:00 del giorno precedente la prima gara di campionato, sono tenute ad inviare via PEC alla Lega l’elenco dei 25 calciatori, da individuarsi tra quelli per esse tesserati o tra quelli per i quali, completata la procedura di richiesta del transfer, lo stesso non sia stato ancora rilasciato, indicando quali siano i quattro “calciatori formati nel club” e quali siano i quattro “calciatori formati in Italia”. I calciatori per i quali non sia stato ancora rilasciato il transfer possono essere inseriti nell’elenco ma non possono essere utilizzati prima della concessione del visto di esecutività. 4. L’elenco dei 25 calciatori di cui al precedente comma, può essere variato fino alle ore 24:00 del giorno successivo alla chiusura del primo periodo di campagna trasferimenti. L’elenco dei suddetti 25 calciatori, scaduto il predetto termine e, fatto salvo quanto previsto dai successivi commi 5 e 6, può essere nuovamente variato dall’inizio del secondo periodo di campagna trasferimenti fino alle ore 24:00 del giorno successivo alla chiusura di detto periodo. Ogni variazione perché abbia effetto, ai fini della utilizzabilità del calciatore, deve pervenire alla lega a mezzo PEC entro le ore 12:00 del giorno precedente la gara di campionato. 5. L’elenco di cui al comma 3, se incompleto, può essere integrato fino al numero massimo di 25 consentito, esclusivamente con calciatori tesserabili in periodi diversi dai due ordinari periodi di campagna trasferimento, nei limiti, nei termini e secondo le modalità previste dal Comunicato Ufficiale annuale diramato in materia dalla F.I.G.C.. 6. Le società di Serie A, in qualsiasi momento della stagione sportiva, possono procedere alle variazioni di seguito indicate dell’elenco dei 25 calciatori: a) sostituzione di un portiere con un altro portiere; b) sostituzione di un calciatore proveniente dall’estero per il quale non si sia completata positivamente la procedura di rilascio del transfer; c) sostituzione di un calciatore al quale sia stato revocato il tesseramento; d) sostituzione di un calciatore con cui sia intervenuta risoluzione consensuale di contratto; e) sostituzione, per una sola volta nella stagione, fino ad un massimo di due calciatori (diversi dal portiere) con altri due calciatori. Nel caso di sostituzione di un calciatore di cui alla presente lettera e), quest’ultimo potrà essere reinserito al posto del suo sostituto nell’elenco dei “calciatori over 21” solo nel periodo di campagna trasferimenti successivo alla data della sostituzione. 7. Le variazioni dell’elenco, intervenute fuori dai periodi di campagna trasferimenti, acquisiscono efficacia, purché siano trasmesse via PEC alla Lega entro le ore 12:00 del giorno precedente la gara, ad eccezione della sostituzione del portiere che potrà essere comunicata via PEC alla Lega prima dell’inizio della gara, con contestuale consegna di copia della comunicazione al Delegato di gara della Lega. 8. E’ fatto divieto ai calciatori non inseriti nell’elenco dei 25 calciatori di partecipare a gare di campionato nel periodo di validità dell’elenco stesso. Tale divieto non sussiste per i calciatori di cui al comma 2. 9. Le società rispondono disciplinarmente per la violazione delle disposizioni di cui ai commi che precedono. L’utilizzo in una gara di campionato di un calciatore non inserito nell’elenco dei 25 calciatori o inserito nel suddetto elenco in violazione delle disposizioni precedenti, comporta, per la società responsabile, la sanzione della perdita della gara ai sensi dell’art. 17, comma 5, lett. a) del Codice di Giustizia Sportiva, non avendo tale calciatore titolo alla partecipazione alla gara. Non si incorre nella violazione in caso di utilizzo dei calciatori di cui la comma 2. Norma Transitoria Le società di Serie A che non disponessero del numero minimo di 4 “calciatori formati nel club”, potranno nella stagione sportiva 2015/2016 inserire nella lista dei 25 fino ad 8 “calciatori formati in Italia”». Ciò premesso sotto un profilo più generale, l’indagine richiesta a questa Corte nel presente procedimento è quella di verificare la sussistenza di un eventuale contrasto tra la norma in tema di tetto alle rose delle società di calcio partecipanti al campionato di serie A, deliberata dal Consiglio federale della F.I.G.C. nella seduta del 20 novembre 2014, e le previsioni dettate dall’ordinamento  giuridico generale in materia di (non) discriminazione. Indispensabile, quindi, a tal fine, una preliminare attenta lettura delle principali disposizioni rinvenibili, per quanto di rilievo ai fini della decisione del presente giudizio, nell’ordinamento dello Stato. Il riferimento, come correttamente prospettato dai reclamanti consiglieri sigg.ri – omissis - e – omissis -, va, anzitutto, al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, come modificato dall’art. 8 septies del decreto legge 8 aprile 2008, n. 59 e dall’art. 9, comma 4 ter, del decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99. L’art. 3, comma 1, del suddetto decreto legislativo così recita: «Il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall'articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree: a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento; c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali; d) affiliazione e attività nell'ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni». Il raffronto di compatibilità, sotto il profilo della legittimità, della norma federale con la disciplina legislativa non può, tuttavia, prescindere dalle indicazioni di origine sovranazionale e, in particolare, dalle declinazioni comunitarie (normative e non) in tema di discriminazione e dalle specifiche previsioni in materia dettate dall’ordinamento sportivo internazionale. Il quadro legislativo comunitario in materia di principi di non discriminazione si fonda su due direttive: la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione, che vieta le discriminazioni fondate sulla religione, gli handicap, l’età e l’orientamento sessuale nell’ambito del lavoro, e la direttiva sull’uguaglianza razziale, che vieta le discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica oltre che nel contesto del lavoro anche nell’accesso alla protezione e alla sicurezza sociale come pure nell’accesso ai beni e ai servizi. Ratio del diritto europeo della non discriminazione è assicurare a tutti gli individui un accesso equo e paritario alle opportunità offerte dalla società. Stabilisce, anzitutto, che tutti coloro che si trovano in una determinata situazione debbano ricevere lo stesso trattamento a prescindere dal fatto che possiedano o meno una caratteristica ritenuta “protetta” (c.d. discriminazione “diretta”). Occorre, tuttavia, precisare che il divieto di discriminazione diretta è controbilanciato da un’eccezione generale basata sull’oggettiva giustificazione. In secondo luogo, il diritto della non discriminazione stabilisce che le persone che si trovano in situazioni diverse devono ricevere un trattamento diverso nella misura in cui ciò sia loro necessario per fruire di determinate opportunità su un piano di parità con gli altri. Nel momento in cui si definiscono delle regole è, pertanto, necessario tener conto dei medesimi motivi di discriminazione oggetto di protezione (c.d. discriminazione “indiretta”). Le disposizioni contenute, in particolare, nella direttiva 2000/78/CE forniscono all’interprete la chiave di lettura delle specifiche discipline nazionali in materia. In particolare, sotto questo angolo visuale, occorre tenere presente che la direttiva, dopo aver affermato che «qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe essere pertanto proibita in tutta la Comunità», precisa che «in casi strettamente limitati una disparità di trattamento può essere giustificata quando una caratteristica collegata alla religione o alle convinzioni personali, a un handicap, all'età o alle tendenze sessuale costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, a condizione che la finalità sia legittima e il requisito sia proporzionato». Occorre, poi, considerare le indicazioni rinvenibili nella normativa sportiva UEFA e FIFA. L’art. 19 del Regolamento FIFA sullo status ed i trasferimenti internazionali dei calciatori, vieta (salvo alcune specifiche tassative ipotesi) il trasferimento all’estero di calciatori minorenni. Nella stessa direzione i regolamenti UEFA per le competizioni “Europa League” e “Champions League” codificano la regola c.d. “home grownplayers”, diretta ad incentivare gli investimenti nei vivai e ad agevolare la valorizzazione dei giovani calciatori. La prospettiva è anche quella di riaffermare, in qualche modo, una sorta di “identità locale” per le squadre che partecipano alle predette competizioni europee. In particolare, i predetti Regolamenti UEFA prevedono che ciascuna società potrà inserire in un elenco definito “Lista A” un numero massimo di 25 giocatori, di cui almeno 8 dovranno essere formati in ambito nazionale: 4 calciatori dovranno provenire dal vivaio dello stesso club che li utilizza, mentre gli altri 4 potranno essere stati formati anche nei vivai di altre società, purché appartenenti alla medesima Federazione. In altro elenco (c.d. “Lista B”), il club potrà invece inserire un numero illimitato di giocatori nati nelle annualità previste dal Regolamento e, segnatamente, un numero illimitato di giocatori sedicenni, solo, però, se ininterrottamente tesserati, nei due anni precedenti, per la medesima società di appartenenza. Si tratta di una normativa ormai risalente, attesa la sua introduzione a far data dal 2005, quando la UEFA stabilì che ogni squadra partecipante alle competizioni europee avrebbe dovuto inserire almeno 4 calciatori locali (2 cresciuti nel club e 2 in club della Federazione di appartenenza) nella lista dei 25 utilizzabili nelle gare ufficiali. Il limite minimo di 2 è stato poi, via via, elevato prima a sei (3+3) ed ora ad 8 (4+4). È importante osservare come la disciplina UEFA definisca di “formazione nazionale” l’atleta che, a prescindere da nazionalità ed età, nel periodo compreso tra 15 e 21 anni è stato tesserato con il club per un periodo, continuativo o meno, pari a 3 stagioni intere, oppure per un lasso di 36 mesi, nonché l’atleta che, indipendentemente dalla nazionalità e dall’età, tra i 15 e i 21 anni è stato tesserato presso una società appartenente alla medesima Federazione del club per un periodo pari a 3 stagioni intere od a 36 mesi. Da un lato, dunque, la FIFA limita il trasferimento dei calciatori di età inferiore agli anni 18, dall’altro la UEFA dispone che almeno 8 giocatori (per le società che partecipano alle competizioni europee) debbano, appunto, essere giovani atleti con formazione nazionale o nel club. Le suddette previsioni normative sembrerebbero, dunque, ad un primo sommario esame, introdurre una disparità di trattamento che di fatto realizza un effetto discriminatorio. Tuttavia, occorre prendere atto che tanto il Parlamento europeo, con risoluzione datata 8 maggio 2008 sul Libro Bianco sullo sport, quanto la Commissione europea, con comunicato ufficiale del 28 maggio 2008, hanno affermato che la regola dell’ “home grownplayers” è compatibile con le disposizioni comunitarie in materia. Tutto ciò premesso, nel delineato contesto legislativo di riferimento, all’esito di un esame tra i due corpi normativi, quello dello Stato, “letto” alla luce delle suddette indicazioni comunitarie e dell’ordinamento sportivo internazionale, e quello federale censurato dai reclamanti, questa Corte non ravvisa, nella fattispecie, alcun trattamento discriminatorio tra calciatori-lavoratori. Si ritiene, pertanto, non sussista la dedotta violazione di legge, tanto sotto il profilo della lettera della norma, quanto avuto riguardo alla ratio delle disposizioni di cui trattasi. In particolare, non sussiste discriminazione diretta. Questa è, come noto, rinvenibile nell’ipotesi di trattamento sfavorevole riservato a una persona o ad una categoria di lavoratori. Nel caso di specie, non si rinviene questo trattamento sfavorevole verso la categoria dei calciatori over 21, sia perché semmai si tratta di una agevolazione per i giovani calciatori provenienti dai vivai, sia perché non vi è alcuna preclusione al tesseramento da parte di calciatori di qualsiasi età e, segnatamente, di quelli over 21 o non formatisi in Italia. In altri termini, non vi è alcuna discriminazione, dovuta all’età, sotto il profilo dell’accesso al lavoro. La disposizione oggetto del giudizio, infatti, mira soltanto, del tutto legittimamente ed in sintonia con le risoluzioni FIFA e UEFA, ad incentivare e favorire la crescita dei giovani calciatori, senza per questo voler in alcun modo discriminare i calciatori over 21. L’effetto della norma è, infatti, quello di confermare (e non potrebbe essere altrimenti) il diritto di accesso al lavoro per tutti i calciatori e di favorirlo per gli under 21 e/o giovani atleti formati nel club o in club affiliati alla Federazione, risultando, così, pienamente in armonia con le previsioni generali dell’ordinamento statale, la cui ratio è, appunto, quella di elidere le discriminazioni volte ad ostacolare il lavoro, sia sotto il profilo dell’accesso, che sotto quello dello sviluppo contrattuale. Ad avviso di questa Corte non sussiste neppure la c.d. discriminazione indiretta, ossia quella che deriva non dal trattamento diverso di persone che si trovano in una situazione analoga, bensì da un medesimo trattamento riservato a persone che si trovano in situazioni diverse. La differenza, in questo caso, risiede non tanto nel trattamento, quanto piuttosto negli effetti che esso produce, che sono percepiti in modo diverso da persone con caratteristiche differenti. A tal proposito, non appare per nulla condivisibile l’assunto attoreo secondo cui la disposizione introdotta nell’ordinamento federale vieta di fatto «ai conseguenti esuberi non inclusi nelle liste l’effettivo svolgimento dell’oggetto della prestazione lavorativa, che, nel caso di specie, va necessariamente individuata anche nella partecipazione alle competizioni ufficiali». Sotto tale profilo questo Collegio ritiene inconferente l’argomentazione offerta, sul punto, dalla Federazione secondo cui non sussiste l’asserita preclusione all’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa per i tesserati over 21 non inseriti nell’elenco, perché la delibera gravata sarebbe «aderente alla dimensione delle rose ordinariamente e notoriamente utilizzate dalle squadre professionistiche» che, «schierando in campo soli 11 giocatori, sostituibili al massimo in numero di tre compreso il portiere, continuano a disporre di un numero ampiamente satisfattivo delle loro esigenze». Esula, infatti, dallo scrutinio – richiesto a questa Corte – di legittimità della norma di cui trattasi, il fatto che la stessa sia o meno aderente alla struttura delle attuali rose delle società di serie A e che sono utilizzati in campo solo 11 calciatori. Posto che non è rinvenibile nell’ordinamento giuridico generale dello Stato un diritto soggettivo perfetto del giocatore a partecipare, a prescindere, alle gare ufficiali della propria squadra, deve osservarsi, invece, come il calciatore tesserato per una data società sia tenuto a svolgere la propria prestazione lavorativo-sportiva secondo le disposizioni e con le modalità indicate dalla società medesima, avuto riguardo alle esigenze della stessa: di conseguenza, non necessariamente la prestazione lavorativa di cui trattasi si risolve nella partecipazione alla gara ufficiale del campionato nazionale. Del resto, la disciplina antidiscriminatoria non può essere confusa con un generico principio generale di parità assoluta di trattamento. Principio inesistente, come anche affermato dalle stesse sezioni unite della Corte di Cassazione (cfr. Cassazione, sez. un., 29 maggio 1993, n. 6030, in Foro it., 1993, I, c. 1794 ss. In senso conforme, da ultimo, Cassazione, 17 agosto 2004, n. 16032, in Mass. giur. lav., 2004, p. 790). Diversamente opinando, infatti, si giustificherebbe una estensione illimitata della tutela per giustificazione necessaria in un sistema costituzionale fondato sulla libertà di esercizio dei poteri conformativi del datore di lavoro all’interno dell’area non espressamente limitata da norme di legge o di natura negoziale. In disparte ogni disquisizione sulla sindacabilità dell’esercizio dei poteri del datore di lavoro, un tale principio sarebbe, inoltre, in netto contrasto con la stessa evoluzione del diritto del lavoro verso una progressiva attuazione delle previsioni costituzionali in materia di rapporti tra privati tramite una graduale limitazione dei poteri datoriali, laddove si osservi come la stessa diverrebbe del tutto inutile nel momento in cui si asserisce l’esistenza di un onere per l’imprenditore di giustificare ogni propria scelta. Nello stesso tempo, un siffatto principio generale di parità di trattamento renderebbe superflui gli stessi specifici obblighi di parità in materia, invece, previsti nella nostra legislazione. In ogni caso, anche laddove fosse stato ipotizzabile il lamentato contrasto, la disposizione federale censurata dalla parte reclamante rientrerebbe nelle ipotesi di deroga previste e consentite dalla disposizione di cui al comma 4 bis dell’art. 3 del decreto legislativo n. 216/2003, che così testualmente dispone: «Sono fatte salve le disposizioni che prevedono trattamenti differenziati in ragione dell'età dei lavoratori e in particolare quelle che disciplinano: a) la definizione di condizioni speciali di accesso all'occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, allo scopo di favorire l'inserimento professionale o di assicurare la protezione degli stessi; b) la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l'accesso all'occupazione o a taluni vantaggi connessi all'occupazione; c) la fissazione di un'età massima per l'assunzione, basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione o sulla necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento». Precisa, poi, il legislatore, al comma 4 ter, che «Le disposizioni di cui al comma 4-bis sono fatte salve purché siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate da finalità legittime, quali giustificati obiettivi della politica del lavoro, del mercato del lavoro e della formazione professionale, qualora i mezzi per il conseguimento di tali finalità siano appropriati e necessari». Sotto siffatto profilo, le motivazioni del provvedimento federale esplicitate nel testo del C.U. n. 83/A altro non sono che delle specificazioni delle previsioni generali individuate nelle disposizioni di cui allo stesso comma 4 bis. La «valorizzazione dei calciatori formati calcisticamente nei club italiani ed anche in ragione della crisi economica che ha investito il paese da qualche anno, di dover favorire l’accesso alle competizioni del Campionato di Serie A ai calciatori che abbiano avuto una formazione in Italia» e la «avvertita esigenza di garantire una migliore maturazione sportiva dei  calciatori giovani formati in Italia, al fine di alimentare il bacino di disponibilità dei calciatori selezionabili per le Nazionali», infatti, ben possono farsi rientrare nell’ambito del reticolo normativo di cui alla disposizione prima richiamata e, segnatamente, nell’ambito della «definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro» e nella «fissazione di condizioni minime di età» per l’accesso «a taluni vantaggi connessi all’occupazione». Del resto, ai fini del giudizio che qui ci occupa, questa Corte è chiamata a valutare la complessiva coerenza della novella federale con le previsione dell’ordinamento generale, al di là ed a prescindere da quelle che sono le motivazioni addotte a sostegno della modifica della disciplina in materia di utilizzo delle rose delle società di serie A. Ebbene, come detto, un’attenta comparazione tra i due testi normativi, quello federale e quello giuridico generale, non evidenzia, diversamente da quanto ipotizzato ed assunto dai reclamanti, contrasto alcuno, anche laddove si tenga presente che una maggiore valorizzazione dei calciatori giovani di età assume rilievo fondante per l’ordinamento calcistico, essendo diretto, più in generale, alla tutela dei vivai, ad agevolare gli investimenti nel settore giovanile da parte delle società cui il provvedimento federale si rivolge, nonché a contrastare iniziative sportive di carattere speculativo. Del resto, come ricordato anche dai medesimi reclamanti, è lo stesso statuto del CONI a porre tra gli obiettivi del Comitato quello della salvaguardia del patrimonio sportivo nazionale e della tutela dei vivai giovanili, in ossequio a quanto disposto dalla norma di cui all’art. 22 della legge 30 luglio 2002, n. 189, che attribuisce, appunto, al CONI anche il compito di «assicurare la tutela dei vivai giovanili». In tal ottica, infatti, l’art. 2, punto 4 bis,dello Statuto del CONI così stabilisce: «il CONI detta principi ed emana regolamenti in tema di tesseramento e utilizzazione degli atleti di provenienza estera al fine di promuovere la competitività delle squadre nazionali, di salvaguardare il patrimonio sportivo nazionale e di tutelare i vivai giovanili». Il tutto, avuto anche riguardo alle esigenze, sempre più avvertite, del fair play finanziario, che le società sportive di livello professionistico sono chiamate a rispettare e tenuto presente che l’ordinamento sportivo rimane pur sempre capace di regolare, anche per il tramite delle sue articolazioni organizzative (i.e. federali), fattispecie generali ed astratte con valenza verso la generalità dei soggetti dell’ordinamento medesimo, in funzione del perseguimento di specifiche finalità pur sempre rientranti nell’interesse generale in ragione del quale esso stesso è costituito e non contrastanti con i principi e le norme fondamentali dell’ordinamento generale dello Stato. Sotto questo angolo prospettico, dunque, il disposto normativo potrebbe rivelarsi anche coerente ed in linea con le previsioni di cui all’articolato normativo posto dall’art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 216/2003. Siffatta disposizione così recita: «Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima». Orbene, la speciale natura dell’attività lavorativa di cui trattasi, il contesto nel quale la stessa viene espletata, le particolari modalità di svolgimento della medesima, potrebbero effettivamente rendere legittima, come ritenuto dal giudice di prime cure, la disposizione federale di cui trattasi, anche avuto riguardo alle sue caratteristiche di adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza. In tal ottica, anche la giurisprudenza ordinaria ha avuto modo di affermare che «l'età rappresenta una condizione personale che, per la natura dell'attività lavorativa e per il contesto in cui viene espletata, costituisce un requisito determinante ai fini dello svolgimento» di determinate attività (cfr. Trib. Milano. 7 luglio 2010, in Riv. critica dir. lav., 2010, 4, p. 1024), mentre quella comunitaria ha precisato che è legittimo derogare al principio di non discriminazione laddove il differente trattamento riservato in ragione dell’età sia giustificato da una finalità legittima perseguita con mezzi appropriati (cfr. Corte Giustizia UE, Grande sezione, 19 gennaio 2010, n. 555). Ad ogni buon conto, tuttavia, occorre ricordare che la norma di cui all’art. 3, comma 6, del decreto legislativo n. 216 del 2003, prevede che non sono discriminatorie «quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari». La suddetta previsione interna è in linea con la direttiva comunitaria 2000/78/CE secondo cui «gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell'età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell'ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare: a) la definizione di condizioni speciali di accesso all'occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l'inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi; b) la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l'accesso all'occupazione o a taluni vantaggi connessi all'occupazione; c) la fissazione di un'età massima per l'assunzione basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione o la necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento». Pertanto, la disciplina normativa settoriale ben può introdurre misure anche oggettivamente svantaggiose per i singoli, laddove la ratio dell'intervento sia quella di perseguire una finalità legittima con mezzi occorrenti e proporzionati, e/o una finalità di riordino dell'assetto organizzativo improntato anche ad esigenze di contenimento della spesa, che deve informare di per sé anche la politica del lavoro nell’ambito sportivo di cui trattasi. Orbene, la norma dedotta in giudizio resiste pienamente al giudizio di proporzionalità indicato a livello comunitario e richiesto dalla disciplina interna: fissata la lista “chiusa” a 25 calciatori, la disposizione di cui trattasi limita a soli 4 giocatori quelli che devono essere formati nel club (ossia, calciatori che tra i 15 e i 21 anni di età siano stati tesserati a titolo definitivo per il club medesimo per un periodo, anche non continuativo, di 36 mesio per tre intere stagioni sportive, intendendosi per “stagione sportiva” il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato) ed altri 4 quelli che devono essere formati in Italia (ossia, calciatori che tra i 15 e i 21 anni di età, indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per uno o più club italiani per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive). La norma di cui trattasi, dunque, supera l’esame di proporzionalità invocato dai reclamanti, anche laddove si consideri che l’elenco dei 25 calciatori, come sopra composto, deve essere predisposto prima dell’inizio del campionato, ma può, poi, essere variato fino al giorno successivo alla chiusura del primo periodo di campagna trasferimenti e può essere nuovamente variato dall’inizio del secondo periodo di campagna trasferimenti fino al giorno successivo alla chiusura del predetto medesimo periodo. Rafforza il suddetto giudizio di adeguatezza e proporzionalità della disposizione, anche in funzione delle finalità perseguite, realizzando un giusto equilibrio tra le molteplici esigenze in gioco ed un adeguato assetto dei diversi interessi e diritti che insistono nella fattispecie, la previsione di cui al comma 6 della delibera censurata dai reclamanti, a mente del quale, «le società di serie A, in qualsiasi momento della stagione sportiva, possono procedere alle variazioni di seguito indicate dell’elenco dei 25 calciatori: a) sostituzione di un portiere con un altro portiere; b) sostituzione di un calciatore proveniente dall’estero per il quale non si sia completata positivamente la procedura di rilascio del transfer; c) sostituzione di un calciatore al quale sia stato revocato il tesseramento; d) sostituzione di un calciatore con cui sia intervenuta risoluzione consensuale di contratto; e) sostituzione, per una sola volta nella stagione, fino ad un massimo di due calciatori (diversi dal portiere) con altri due calciatori». Si aggiunga, ancora, che lo stesso sopra richiamato Libro bianco sullo sport, di cui alla Comunicazione della Commissione europea 11 luglio 2007 (lo ricorda anche parte reclamante), definisce «la promozione della formazione dei giovani sportivi di talento nelle condizioni adeguate» quale «elemento fondamentale per uno sviluppo sostenibile dello sport a tutti i livelli». Si legge, quindi, nella predetta Comunicazione: «Le regole che impongono alle squadre una quota di calciatori formati sul posto possono ritenersi compatibili con le disposizioni del trattato sulla libera circolazione delle persone se non causano una discriminazione diretta basata sulla nazionalità e se gli eventuali effetti discriminatori indiretti possono essere giustificati come proporzionati a un obiettivo legittimo perseguito, ad esempio potenziare e tutelare la formazione e lo sviluppo dei giovani giocatori di talento». In conclusione, un attento esame della disciplina legislativa in materia e una lettura complessiva e sistematica della stessa alla luce delle relative indicazioni sia degli organismi comunitari, che dell’ordinamento sportivo sovranazionale, conduce ad affermare che la deliberazione del Consiglio federale oggetto del presente procedimento, anche avuto riguardo alle finalità dalla stessa perseguite ed alle modalità della sua attuazione, è esente da vizi di contrasto con le disposizioni dell’ordinamento giuridico generale e dell’ordinamento sportivo.

 

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Comunicato Ufficiale n.032/TFN del 17 Febbraio 2015 - www.figc.it

Impugnazione Istanza:  RICORSO EX ART. 43BIS CGS DEL SIG. U.C. PER L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE FIGC DEL 20.11.2014, PUBBLICATA CON C.U. N.° 83/A IN PARI DATA. (65) – RICORSO EX ART. 43BIS CGS DEL SIG. D.T. PER L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE FIGC DEL 20.11.2014, PUBBLICATA CON C.U. N.° 83/A IN PARI DATA.

Massima: Il TFN rigetta i ricorsi proposti dai componenti del Consiglio Federale FIGC, riuniti per connessione oggettiva, con i quali è stata impugnata, ai sensi dell’art. 43 bis CGS, la delibera di detto Consiglio del 20 novembre 2014, pubblicata sul CU n. 83/A di pari data, con cui è stata approvata la norma, comunemente qualificata “tetto alle rose”, che, ai fini della presente decisione, appare utile riprodurre nel suo seguente, letterale tenore: “Le Società di Serie A, fatto salvo quanto previsto al comma 2, potranno utilizzare nelle gare di campionato i 25 calciatori indicati nell’elenco di cui ai commi 3, 4, 5 e 6. Tra i 25 calciatori, almeno 4 devono essere “calciatori formati nel club” e almeno 4 “calciatori formati in Italia”. Per “calciatori formati nel club” si intendono i calciatori che, tra i 15 anni (o l’inizio della stagione nella quale hanno compiuto 15 anni) e i 21 anni (o la fine della stagione nella quale hanno compiuto 21 anni) di età, indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per il club nel quale militano per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive, intendendosi per stagione sportiva il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato. Per “calciatori formati in Italia” si intendono i calciatori che, tra i 15 anni (o l’inizio della stagione nella quale hanno compiuto 15 anni) e i 21 anni (o la fine della stagione nella quale hanno compiuto 21 anni) di età, e indipendentemente dalla loro nazionalità o età, siano stati tesserati a titolo definitivo per uno o più club italiani per un periodo, anche non continuativo di 36 mesi, o per tre intere stagioni sportive, intendendosi per stagione sportiva il periodo che intercorre tra la prima e l’ultima giornata di campionato. 2. Sarà consentito alle Società di Serie A l’utilizzo aggiuntivo, rispetto a quelli dell’elenco dei 25 calciatori di cui ai successivi commi, di calciatori, tesserati sia a titolo definitivo sia temporaneo, che alla data del 31 dicembre della stagione sportiva precedente non abbiano già compiuto il 21° anno di età (“calciatori under 21”). 3. Le Società di Serie A, entro le ore 12:00 del giorno precedente la prima gara di campionato, sono tenute ad inviare via PEC alla Lega l’elenco dei 25 calciatori, da individuarsi tra quelli per esse tesserati o tra quelli per i quali, completata la procedura di richiesta del transfer, lo stesso non sia stato ancora rilasciato, indicando quali siano i quattro “calciatori formati nel club” e quali siano i quattro “calciatori formati in Italia”. I calciatori per i quali non sia stato ancora rilasciato il transfer possono essere inseriti nell’elenco ma non possono essere utilizzati prima della concessione del visto di esecutività. 4. L’elenco dei 25 calciatori di cui al precedente comma, può essere variato fino alle ore 24:00 del giorno successivo alla chiusura del primo periodo di campagna trasferimenti. L’elenco dei suddetti 25 calciatori, scaduto il predetto termine e, fatto salvo quanto previsto dai successivi commi 5 e 6, può essere nuovamente variato dall’inizio del secondo periodo di campagna trasferimenti fino alle ore 24:00 del giorno successivo alla chiusura di detto periodo. Ogni variazione perché abbia effetto, ai fini della utilizzabilità del calciatore, deve pervenire alla lega a mezzo PEC entro le ore 12:00 del giorno precedente la gara di campionato. 5. L’elenco di cui al comma 3, se incompleto, può essere integrato fino al numero massimo di 25 consentito, esclusivamente con calciatori tesserabili in periodi diversi dai due ordinari periodi di campagna trasferimento, nei limiti, nei termini e secondo le modalità previste dal Comunicato Ufficiale annuale diramato in materia dalla F.I.G.C.. 6. Le Società di Serie A, in qualsiasi momento della stagione sportiva, possono procedere alle variazioni di seguito indicate dell’elenco dei 25 calciatori: a) sostituzione di un portiere con un altro portiere; b) sostituzione di un calciatore proveniente dall’estero per il quale non si sia completata positivamente la procedura di rilascio del transfer; c) sostituzione di un calciatore al quale sia stato revocato il tesseramento; d) sostituzione di un calciatore con cui sia intervenuta risoluzione consensuale di contratto; e) sostituzione, per una sola volta nella stagione, fino ad un massimo di due calciatori (diversi dal portiere) con altri due calciatori. Nel caso di sostituzione di un calciatore di cui alla presente lettera e), quest’ultimo potrà essere reinserito al posto del suo sostituto nell’elenco dei “calciatori over 21” solo nel periodo di campagna trasferimenti successivo alla data della sostituzione. 7. Le variazioni dell’elenco, intervenute fuori dai periodi di campagna trasferimenti, acquisiscono efficacia, purché siano trasmesse via PEC alla Lega entro le ore 12:00 del giorno precedente la gara, ad eccezione della sostituzione del portiere che potrà essere comunicata via PEC alla Lega prima dell’inizio della gara, con contestuale consegna di copia della comunicazione al Delegato di gara della Lega. É fatto divieto ai calciatori non inseriti nell’elenco dei 25 calciatori di partecipare a gare di campionato nel periodo di validità dell’elenco stesso. Tale divieto non sussiste per i calciatori di cui al comma 2. 9. Le Società rispondono disciplinarmente per la violazione delle disposizioni di cui ai commi che precedono. L’utilizzo in una gara di campionato di un calciatore non inserito nell’elenco dei 25 calciatori o inserito nel suddetto elenco in violazione delle disposizioni precedenti, comporta, per la Società responsabile, la sanzione della perdita della gara ai sensi dell’art. 17, comma 5, lett. a) del Codice di Giustizia Sportiva, non avendo tale calciatore titolo alla partecipazione alla gara. Non si incorre nella violazione in caso di utilizzo dei calciatori di cui la comma 2.” L’art. 31 comma 2 CGS CONI prevede l’impugnativa delle deliberazioni del Consiglio Federale ai fini del loro annullamento qualora queste siano contrarie alla Legge, allo Statuto CONI, ai principi fondamentali del CONI, allo Statuto ed ai regolamenti delle Federazioni. Siffatta contrarietà non appare sussistere. Ed infatti lo scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi è rinvenibile nella volontà di favorire lo sviluppo e la crescita dei calciatori under 21, tanto da inserirsi a pieno titolo nel processo di sviluppo del calcio giovanile, particolarmente avvertito dagli organismi più rappresentativi a livello internazionale, FIFA ed UEFA, senza voler per questo discriminare o penalizzare i calciatori più avanti nell’età (gli over 21), per i quali, già presenti nelle rose nel numero massimo di 25, è tra l’altro e non a caso prevista un’ampia possibilità di variazione (commi 4 e ss. della normativa) e quindi di ampliamento della possibilità di loro utilizzazione. Né può fondatamente sostenersi che la normativa impugnata si ponga in contrasto con il Decreto Lgs. 9 luglio 2003 n. 216, in tema di attuazione della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; infatti, nel mentre la norma statale persegue la finalità di abbattere le discriminazioni che ostacolano l’accesso al lavoro, tanto al momento dell’assunzione quanto nella vigenza del contratto, la norma federale tutela pienamente detto accesso, confermandolo in capo agli over 21 e favorendolo per gli under 21, a tal punto da risultare in armonia con la stessa norma statale nella parte in cui non considera atti discriminanti quelle differenze di trattamento, legate anche all’età, che, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, costituiscono un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività medesima, come è nel caso in esame. Non sussistendo contrarietà della norma alle fonti indicate dal richiamato art. 31 comma 2 CGS CONI, i ricorsi riuniti appaiono infondati, rimanendo assorbita in siffatta infondatezza ogni eccezione, deduzione e richiesta formulata dai ricorrenti anche con riferimento al principio di lealtà e correttezza proprio dell’attività sportiva.

 

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