Decisione C.F.A. – Sezioni Unite : Decisione pubblicata sul CU n. 0021/CFA del 11 Agosto 2023 (motivazioni) - www.figc.it

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale n. 1 del 3 luglio 2023

Impugnazione – istanzasig. G.F./Procura Federale

Massima: Accolto il ricorso ex art. 79 del CGS proposto dal Presidente della Commissione Disciplina AIA nei confronti dell’AIA e FIGC tendente ad ottenere la visione e l’estrazione di copia della documentazione contenuta nel fascicolo della Procura federale a suo carico (procedimento definito con l’archiviazione) - richiesta fondata, sulla necessità di utilizzare la documentazione richiesta nell’ambito di alcuni procedimenti, penali e civili, intrapresi nei confronti delle testate giornalistiche che lo avevano denigrato - e per l’effetto disposta l'ostensione dei documenti richiesti nei limiti di interesse e nel rispetto della normativa in materia di tutela della riservatezza dei dati personali e della corrispondenza, con riferimento ad altri soggetti eventualmente coinvolti….Al riguardo, ritiene il Collegio che, sul piano dei principi, vanno condivise le osservazioni del reclamante secondo le quali è incongrua una ricostruzione del requisito della «strumentalità» nel senso che i documenti di cui si richiede l’accesso dovrebbero avere natura necessariamente decisoria in un eventuale giudizio correlato per il quale vengano richiesti. Sul punto deve essere richiamato l’orientamento del giudice amministrativo (Adunanza plenaria n. 4/2021 e n.19 e n. 20/2020) secondo cui: a) non occorre svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione; b) tuttavia occorre accertare l’ammissibilità della domanda di accesso nel caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti. Orbene appare indubbio che, quanto al requisito sub a), la decisione impugnata in questa sede si pone al di là dei limiti imposti (all’amministrazione e al giudice) in termini valutazione di ammissibilità, influenza e decisività del documento richiesto: al giudice, difatti, non appartiene alcuna valutazione della prova che compete, invece, a chi decide il giudizio principale. E quanto al requisito sub b), non pare rinvenirsi un esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo ma sussiste, prima facie, un nesso di strumentalità tra l’accesso e il giudizio principale. Ad ogni modo, anche ponendosi sul piano, più concreto, del ragionamento condotto dal giudice di primo grado rispetto al caso sottoposto, occorre porre in evidenza le seguenti incongruenze: a) stando ai rilievi riguardanti la ripartizione degli oneri probatori in un giudizio di responsabilità per diffamazione, se ne dovrebbe trarre la conseguenza che il convenuto (diffamante) avrebbe accesso ai documenti a differenza dell’attore (diffamato), con una conseguente asimmetria nei rispettivi poteri difensivi in netto contrasto con i principi del giusto processo e, più in radice, con elementari esigenze di civiltà giuridica; b) ammesso che i rilievi imperniati sull’art. 2697 c.c. fossero fondati nei processi che vedono coinvolto il reclamante davanti a giudici civili, non altrettanto potrebbe comunque dirsi per i dedotti procedimenti penali, rispetto ai quali non si potrebbe trascurare il rischio di un’eventuale controquerela per calunnia o di un successivo giudizio civile risarcitorio su ciò fondato in cui si profilerebbe un ribaltamento degli oneri probatori; c) i casi di diffamazione/illecito per mancato rispetto del decalogo del giornalista non costituiscono una fattispecie monistica potendo dubitarsi a volte della verità dei fatti (effettiva o putativa), altre volte della forma civile dell’esposizione (c.d. continenza), altre volte ancora dell’interesse della collettività a essere informati (c.d. pertinenza), con la conseguenza che i fatti da accertare non costituiscono un tema fisso di prova da ricondurre sbrigativamente al criterio di riparto dell’art. 2697 c.c., che peraltro va in ogni caso integrato col criterio c.d. del «chi muove le acque» e col criterio della c.d. «vicinanza»; d) il ragionamento trascura la rilevanza della eventuale lesione di situazioni giuridiche connesse con l’ordinamento sportivo – specificamente salvaguardata dall’art. 2, l. 280/2003 – della quale l’interessato possa venire a conoscenza soltanto a seguito dell’ostensione dei documenti (si pensi ad esempio a un abusivo utilizzo di dati sensibili non pertinenti con l’oggetto del procedimento – e v. infra). Una volta rimosso il giudizio fondato sulla ritenuta assenza di un interesse immediato, diretto e concreto, si ripropongono le complesse questioni che il Tribunale federale ha ritenuto di poter trascurare in forza del principio della ragione più liquida, prima fra tutte quella riguardante l’applicabilità, in generale, dei principi in materia di accesso di cui alla legge n. 241/1990 e, immediatamente collegato, il tema dell’estensione e dei limiti di tale applicabilità. In generale, è da condividere la prospettiva secondo la quale « in base al principio pluralistico, ammessa la coesistenza tra ordinamenti a fini generali e ordinamenti a fini settoriali, si deve ritenere l’asimmetria del rapporto tra i sistemi ordinamentali (i primi riconoscono i secondi) tale che il carattere dell’autonomia non assorbe anche quello dell’autosufficienza, con la conseguenza che l’ordinamento sportivo (settoriale) si debba trovare necessariamente in rapporto di collegamento con il corrispondente ordinamento giuridico esprimente interessi generali» (CFA, Sezioni Unite, n. 97/CFA/2019-2020 del 29 luglio 2020 e già Collegio di Garanzia n. 74/2017). Alla stregua di tale premessa, questa Corte ha ritenuto che « secondo questa matrice relazionale è inquadrabile la progressiva rilevanza del diritto di accesso nell’ordinamento a fini generali (cui corrisponde l’elevazione del concetto di trasparenza quale condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, che integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino) rispetto all’ordinamento sportivo: poiché il ribaltamento di prospettiva sull’esercizio del diritto di accesso (prima confinato ai soli documenti amministrativi, poi limitato a quelli oggetto di pubblicazione, ed oggi esteso a tutte le informazioni detenute da un pubblico potere) impone di considerare la trasparenza come regola generale “mentre la riservatezza e il segreto solo delle eccezioni, e ciò in coerenza ed in analogia con gli ordinamenti in cui vige il c.d. Freedom of Information Act (FOIA)”, tanto che l’ordinamento italiano riconosce e tutela la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni quale “diritto fondamentale”, il principio di trasparenza “ben può e deve essere trasferibile...agli organi amministrativi dello sport” (CFA, Sezioni Unite, n. 97/CFA/2019-2020 del 29 luglio 2020 e già Collegio di Garanzia n. 74/2017)). Le superiori considerazioni consentono quindi di ritenere che l’ordinamento sportivo – in via generale - è permeabile ai principi in materia di accesso che connotano l’ordinamento statale. L’ulteriore questione che, tuttavia, pone il caso in esame dipende dalla circostanza che si tratta di un procedimento effettuato, in autonomia e nel massimo riserbo, dalla Procura federale. Tale questione si traduce, innanzitutto, nel quesito se l’applicazione della normativa sull’accesso debba operare con i medesimi limiti, in questa previsti, quando si tratti di atti di indagine della Procura coperti dal segreto istruttorio e sotto vari profili sottratti al diritto di accesso in generale previsto dall’art. 22, l. n. 241/1990 (art. 329, primo comma, c.p.p. in combinato, specialmente, all’art. 408, comma terzo e 411, comma 1 bis del medesimo codice). Al di là delle incertezze applicative della deroga da ultimo accennata, va in primo luogo sottolineato che secondo gli orientamenti maggioritari si tratta di norme di stretta interpretazione, ovvero non estensibili analogicamente, visto che l’art. 22, comma 2, l. n. 241/1990 prevede che «l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza» e pare in tal modo configurare le deroghe come norme eccezionali non estensibili analogicamente (art. 14, preleggi). In tal senso fa propendere anche l’art. 22, comma 3, in combinato disposto con l’art. 24, specialmente comma 1, lettera a), ove si prevede la deroga per i casi di segreto o di divieto di divulgazione «espressamente previsti dalla legge». Sul piano del requisito della somiglianza, poi, se per un verso è innegabile che anche nel caso delle indagini della Procura federale si riscontrano peculiari esigenze di libertà e autonomia nella conduzione delle stesse, nonché di tutela della privacy di soggetti terzi eventualmente coinvolti, per altro verso, tuttavia, non può trascurarsi il rischio che un’eventuale applicazione analogica del limite in esame finirebbe per attribuire la medesima valenza del potere pubblico di indagine previsto in capo a organi burocratici strutturati dello Stato a presidio di interessi generali alla sicurezza e alla pacifica convivenza, all’esercizio di un potere di natura eminentemente privata, attribuito mediante cariche onorifiche, e che si svolge in forme giuridiche di natura privatistica con il compito di assicurare il buon andamento dell’associazionismo sportivo e il regolare avvio e svolgimento delle competizioni sportive. È noto, peraltro, che secondo un orientamento (TAR Lazio-Roma, Sez. III quater, n. 9848/2012; TAR Calabria-Reggio Calabria, Sez. II, n. 984/2006 e ancor prima TAR Toscana, Sez. I, n. 411/1998), il diritto di accesso potrebbe essere esercitato in relazione agli atti assunti dalle Federazioni nell’esercizio di una funzione pubblicistica e non di quelli di natura privatistica. Tale impostazione sembrerebbe confortata dall’art. 23 dello Statuto del CONI che individua le attività delle Federazioni che assumono carattere pubblicistico (“Ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, e successive modificazioni e integrazioni, oltre quelle il cui carattere pubblico è espressamente previsto dalla legge, hanno valenza pubblicistica esclusivamente le attività delle Federazioni sportive nazionali relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione dei contributi pubblici; alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello, alla formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi pubblici.”). E in questo senso il successivo art. 23, comma 1-bis prevede che «La valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse» Senonché appaiono evidenti – al di là delle questioni teoriche di cui si dirà – le difficoltà pratiche dell’applicazione di tale criterio – che, si ripete, distingue tra attività privatistiche e pubblicistiche - in relazione alla genericità di alcune delle tipologie di attività individuate dalla disposizione. A ciò si aggiunga che il diritto di accesso costituisce una situazione giuridica che, più che fornire utilità finali, risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 6/2006) e quindi, in qualche modo, prescinde dalla qualificazione (privatistica o pubblicistica) dell’attività medesima. Non solo. Ma è da dubitare che l’istituto dell’accesso - soprattutto, come si vedrà, cd. difensivo -  in sè considerato – quindi a prescindere dall’attività posta in essere dalla Federazione - possa assumere caratteri privatistici in senso proprio. Difatti, vale la pena di notare – utilizzando l’iter logico-giuridico seguito dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 21/2020 – che nel caso di specie non si fa questione del cd. accesso partecipativo ma del cd. accesso difensivo. E tale ultima forma di accesso è costruita come una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi. In sostanza, sul piano della logica ‘difensiva’ il legislatore inserisce all’interno di una norma di natura sostanziale uno strumento di valenza tipicamente processuale, fornendo ‘azione’ alla ‘pretesa’, anche in senso derogatorio in concreto rispetto ai classici casi di esclusione procedimentale (cfr. art. 24, comma 7: «Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici»). Il diritto d’accesso di cui all’art. 24, comma 7, L. n. 241/1990, quindi, risponde ad un’esigenza difensiva del privato che si traduce in un’accessibilità dei documenti “rafforzata” per esigenze di tutela. Al riguardo, vale la pena rammentare che – secondo la dottrina più avveduta - la formulazione testuale della disposizione avvalora un’interpretazione lata del bisogno di protezione, per tale intendendosi certamente, ma non esclusivamente, la tutela giurisdizionale, potendo rientrare anche forme di tutela pre-giurisdizionali o para-giurisdizionali, come nel caso di specie. Ma al di là di tali considerazioni, occorre porsi la questione se, pur restando all’interno dell’approccio privatistico e prescindendo, quindi, dalla rilevanza pubblicistica dell’azione degli organi federali, si configuri un diritto di accesso del tesserato nei confronti della Federazione procedente con i suoi procuratori e ausiliari. La questione, in effetti, tocca i temi - di grande interesse dogmatico - della libertà dell’associazione privata e della protezione dei diritti del singolo all’interno della stessa. Peraltro da tempo si è posto in evidenza che la realizzazione degli interessi di un gruppo sociale può ben esigere il sacrificio delle aspettative meramente individuali purché non vengano lesi i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona umana (Cass. SS.UU. n. 12149/2021). E in questo senso il diritto di agire in giudizio di cui all’art. 24 Cost. – cui è connesso l’accesso difensivo, anche rivolto ad un soggetto privato - può ben essere considerato un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale, rappresentando la garanzia per una completa tutela giurisdizionale a favore del cittadino. E ciò all’esito del bilanciamento necessario dei principi di autonomia dell’ordinamento sportivo con il rispetto delle altre garanzie costituzionali che possono venire in rilievo (Corte costituzionale n. 160/2019).D’altro canto, in senso affermativo alla configurabilità iure privatorum di un diritto di accesso agli atti del procedimento militano ulteriori principi di carattere generale. Ci si riferisce al diritto all’identità personale e, oggi, più precisamente, al diritto alla trasparenza e correttezza del trattamento sui propri dati personali. Perché si configuri la fattispecie «trattamento dei dati personali» sottoposta a controllo dall’ordinamento non è più necessario che vi sia un procedimento automatizzato ma è sufficiente che i dati siano trattati in un qualsiasi modo (Reg. UE n. 2016/679, art. 4, comma secondo) e, essendo espressamente posto il principio di correttezza e trasparenza nel trattamento (art. 5) si riconosce alla persona i cui dati siano oggetto del trattamento un generico diritto di accesso (art. 15) che, oltre che al fine di ottenere un’eventuale rettificazione di dati raccolti erroneamente (art. 16), potrebbe essere strumentale a una successiva richiesta di cancellazione (essendo altresì riconosciuto il c.d. diritto di oblio – art. 17). Sul punto basti segnalare l’interpretazione assai pregnante che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiamata a pronunciarsi in fase pregiudiziale, proprio con riferimento al significato da attribuire al diritto di accesso apprestato dall’art. 15 del Regolamento, ha di recente fornito, sancendo in particolare che «tale diritto di accesso è necessario affinché l'interessato possa esercitare, se del caso, il suo diritto di rettifica, il suo diritto alla cancellazione ("diritto all'oblio") e il suo diritto di limitazione di trattamento, diritti questi che gli sono riconosciuti, rispettivamente, dagli articoli 16, 17 e 18 del RGPD, il suo diritto di opposizione al trattamento dei suoi dati personali, previsto all'articolo 21 del RGPD, nonché il suo diritto di agire in giudizio nel caso in cui subisca un danno, previsto agli articoli 79 e 82 del RGPD» (Corte giustizia Unione Europea, Sez. I, Sent. del 04/05/2023, reg. n. 487/21). La Corte ha altresì precisato che «in caso di conflitto tra, da un lato, l'esercizio del diritto di accesso pieno e completo ai dati personali e, dall'altro, i diritti o le libertà altrui, occorre effettuare un bilanciamento tra i diritti e le libertà in questione. Ove possibile, si devono scegliere modalità di comunicazione di dati personali che non ledano i diritti o le libertà altrui, tenendo conto del fatto che tali considerazioni non devono "condurre a un diniego a fornire all'interessato tutte le informazioni", come risulta dal considerando 63 del RGPD» (ivi). Con le considerazioni svolte non si vuole negare la peculiarità e la delicatezza della questione oggetto del presente procedimento, ma al contempo non si può disconoscere all’interno del nostro ordinamento la presenza di rilevanti istituti sia di diritto pubblico che di diritto privato in forza dei quali il diritto di accesso ai documenti riguardanti le proprie situazioni giuridiche, soprattutto se di natura personale, deve essere tendenzialmente riconosciuto e a tali logiche non può restare estraneo l’ordinamento sportivo, al di là dell’assenza, all’interno di esso, di una puntuale, compiuta regolamentazione (in particolare, nell’art. 122, CGS). Per quanto riguarda quest’ultimo profilo, del resto, non va trascurato come l’art. 123, comma 2, CGS dia in qualche modo per presupposto il diritto della persona sottoposta a procedimento disciplinare ad avere accesso ai documenti dell’indagine e si limiti a prevedere che di ciò si debba dare contezza nell’avviso sulla chiusura delle indagini. Vero è che si tratta del caso in cui la Procura intenda (non già archiviare) bensì procedere e nel quale, dunque, si configura nella sua pienezza l’interesse a difendersi nei confronti di un annunciato deferimento, ma ciò non significa che, nel caso dell’archiviazione, non si configuri alcun interesse, ma se mai che quest’ultimo vada diversamente contemperato con eventuali ulteriori diversi diritti in conflitto e, segnatamente, con quello di terzi a restare nell’anonimato o comunque a essere tutelati nella loro riservatezza. Conclusivamente si deve ritenere che, a fronte di un procedimento disciplinare avviato dalla Procura federale e esitato nell’archiviazione, in applicazione dei principi di cd. accesso difensivo, di trasparenza nel procedimento, di trasparenza e correttezza nel trattamento dei dati personali e più in generale, di trasparenza e democraticità della vita associativa, si configura un diritto dell’interessato ad avere accesso ai documenti relativi al procedimento poi archiviato nei limiti in cui la sua domanda non entri in conflitto con interessi di terzi specificamente presidiati dall’ordinamento generale quali, ad esempio, il diritto alla riservatezza e/o alla segretezza e alla libertà nella corrispondenza.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 001/TFN - SD del 3 Luglio 2023  (motivazioni)

Impugnazione –  Istanza: Ricorso dell'Avv. G.F. del 29 maggio 2023 - Reg. Prot. 191/TFN-SD

Massima: Rigettato il ricorso ex art. 79 CGS proposto dell’Avvocato Arbitro Benemerito già Presidente della Sezione AIA di Napoli e Presidente della Commissione Disciplinare d’Appello dell’AIA, avente a oggetto la visione e l’estrazione di copia della documentazione contenuta nel fascicolo della Procura Federale archiviato al fine di tutelare la sua immagine in sede civile per diffamazione…In disparte, quindi, le questioni relative alla natura della FIGC, all’applicabilità alla stessa della normativa di cui alla legge 241/90 in tema di accesso agli atti, alla natura meramente esplorativa, perché generica, dell’istanza di ostensione formulata dall’Avv. F., alla necessità di mantenere il segreto istruttorio sugli atti contenuti nel fascicolo in considerazione della possibile riapertura ai sensi dell’art. 122, comma 4, CGS, alla corrispondenza della semplice nota che la Procura Federale inoltra alle parti per comunicare l’archiviazione con il dettato del comma 3 dell’art. 122, che prevede che l’Organo inquirente “… è tenuto a comunicare il provvedimento di archiviazione …” e al comma 2 del medesimo articolo che recita “… dispone l’archiviazione con provvedimento succintamente motivato …”, all’opportunità di comunicare l’archiviazione tanto al denunciante quanto all’indagato con la medesima nota così fornendo al secondo l’identità del primo e quindi violando il diritto alla riservatezza di questi, peraltro invocato dalla Procura stessa come motivo impeditivo dell’ostensione, ritiene il Tribunale che l’istanza di accesso agli atti formulata dall’Avv. F., sia da ritenersi carente sotto il profilo del requisito della strumentalità. E valga il vero. Il ricorrente, tanto nell’istanza del 31 marzo 2023 quanto nel ricorso introduttivo, ha motivato la sua richiesta, con riguardo alla  strumentalità, limitandosi ad evidenziare come la documentazione di cui si chiedeva l’ostensione fosse “… palesemente rilevante ai fini della tutela dei diritti personali …” e “… può essere prodotta nei giudizi che l’Avv. F. ha già attivato nei confronti delle testate giornalistiche TPI, Fanpage e Calcioefinanza nonché degli autori degli articoli diffamatori e dei rispettivi direttori, in sede civile e penale”. E ancora “La documentazione, ove resa disponibile, avrebbe confortato la pretesa risarcitoria promossa dall’Avv. F. presso il Tribunale di Latina nei confronti di TPI (RG 1988/2023 con udienza il 12 ottobre 2023), Calcioefinanza e Fanpage (RG 2151/2023 – 2152/2023 con udienza il 12 luglio) che hanno propalato la falsa notizia della sussistenza di eventuali profili di illegittimità nella nomina del ricorrente al vertice della giustizia endo-associativa AIA ovvero di eventuali comportamenti dello stesso finalizzati a “ripulire illecitamente il proprio curriculum vitae”. Osserva il Collegio che i tre giudizi che il ricorrente documenta di aver intrapreso innanzi al Tribunale di Latina in sede civile (docc. nn. 5, 6, e 7 allegati al ricorso) hanno come oggetto la responsabilità extracontrattuale e quindi il risarcimento dei danni derivanti dalla diffamazione compiuta nei suoi confronti. Sostiene ancora l’Avv. F., ma non documenta, di aver avviato e di voler avviare azioni penali nei confronti dei soggetti che l’hanno diffamato. La documentazione di cui l’istante chiede l’ostensione servirebbe quindi a supportare le domande dell’attore sotto il profilo probatorio. È principio oramai granitico, nell’ambito del giudizio risarcitorio a seguito di diffamazione, che “ in ambito di responsabilità aquiliana, la distribuzione degli oneri probatori è disciplinata dall'art. 2697 c.c., cosicché l'attore che assuma di essere stato leso da una notizia di stampa deve provare il fatto della pubblicazione di una notizia di natura diffamatoria e, a fronte di ciò, spetta al convenuto dimostrare, a fondamento dell'eccezione di esercizio del diritto di cronaca e della sussistenza della relativa esimente, la verità della notizia, che può atteggiarsi anche in termini di verità putativa, laddove sussista verosimiglianza dei fatti in relazione all'attendibilità della fonte, nel qual caso competerà all'attore l'eventuale dimostrazione della non attendibilità della fonte medesima” (per tutte Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 26/04/2022, n. 12985). Parimenti, nel giudizio penale per il reato di cui all’art. 595 c.p., il Giudice è chiamato a verificare l’offensività di quanto attribuito all’offeso competendo comunque all’offendente, ai fini della non punibilità, provare la veridicità di quanto propalato. Da quanto sopra discende che gli atti di cui si chiede l’ostensione non possono ritenersi “necessari” all’esperimento di azioni giudiziarie a tutela della persona e dell’onorabilità dell’Avv. F. in quanto la loro eventuale produzione nell’ambito dei giudizi civili e penali avrebbe una marginale, se non inesistente, rilevanza sotto il profilo probatorio incombendo sull’offendente, e non sul diffamato, l’onere di dimostrare la veridicità, eventualmente anche putativa, della notizia. Si aggiunga, poi, che il Consiglio di Stato, in tema di accesso agli atti e, in particolare, con riguardo al requisito della strumentalità della richiesta, ha da ultimo affermato che “In materia di accesso agli atti amministrativi, le finalità dell'accesso devono essere dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell'istanza di ostensione e suffragate con idonea documentazione; ciò al fine di consentire all'Amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta di astratta pertinenza con la situazione finale controversa, con la precisazione che deve escludersi la sufficienza di un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente o ancora instaurando, poiché l'ostensione del documento passa attraverso un rigoroso vaglio circa il nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale controversa” (Cons. Stato, Sez. VI, 07/04/2023, n. 3589). Alla luce di quanto sin qui evidenziato appare di tutta evidenza che le ragioni addotte dal ricorrente a conforto della propria istanza, sotto il profilo del necessario nesso di strumentalità tra la richiesta e la situazione da tutelare, non possano superare quel “rigoroso vaglio” cui fa riferimento la costante giurisprudenza del giudice amministrativo.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 170/TFN - SD del 28 Giugno 2022  (motivazioni)

Impugnazione: Ricorso del sig. G.P. contro AIA e FIGC - Reg. Prot. 163/TFN-SD

Massima:….dopo la sentenza n. 74/2017 del Collegio di garanzia, condivisa dagli Organi di giustizia federale ( ex plurimis: Sezioni unite, decisione n.97/CFA/2019-2020), non vi sono più dubbi sulla configurabilità ed esistenza del diritto di accesso agli atti anche nell’ambito dell’Ordinamento sportivo, attesa la sua non autosufficienza rispetto all’Ordinamento statale ai cui principi generali non può sottrarsi, comunque ferma l’autonomia del primo rispetto al secondo. Sicché, secondo il richiamato arresto delle SS.UU. (cit.), “Ne deriva che gli interessi e le situazioni giuridiche dei soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo devono essere valutati anche in correlazione alle norme dell’ordinamento statale: in particolare qualora le norme dell’ordinamento statale stabiliscono dei principi che possono essere in un certo modo espressione anche dei principi che permeano l’ordinamento settoriale”, “quest’ultimo è chiamato a recepirli e ad adattarli al proprio diritto positivo, attesa anche la propria non autosufficienza e il suddetto rapporto di collegamento con l’ordinamento statale esprimente interessi generali” (Collegio di garanzia 74/2017)”. Alla luce del chiaro principio, ormai consolidato anche nell’ambito dell’Ordinamento sportivo, non si vede come possa imputarsi al richiedente la dilatazione dei tempi per la proposizione del ricorso, considerato che l’AIA, in assenza di qualunque palese impedimento, non consentendogli l’accesso alle informazioni relative al procedimento, è venuta meno al dovere di comunicargli le informazioni richieste, di fatto costringendolo ad adire (e gravare) gli Organi di giustizia con la richiesta ostensiva, peraltro soddisfatta solo il 13.5.2022, a distanza di oltre sette mesi dalla richiesta di accesso del 30.9.2021.

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 122/TFN - SD del 24 Marzo 2021  (motivazioni)  - www.figc.it

Impugnazione - Istanza: Ricorso del sig. C.C. contro l’Associazione Italiana Arbitri e la Federazione Italiana Giuoco Calcio - Reg. Prot. 111/TFN-SD

Massima: Accolto il ricorso dell’associato dell’Associazione Italiana Arbitri dall’anno 2006 sino al luglio 2018  che  - dopo aver rassegnato le dimissioni ha richiesto il reintegro ai sensi e per gli effetti dell’art. 8, comma 6, lett. O) del Regolamento dell’AIA nella parte in cui prevede che “su richiesta scritta e motivata dell’interessato, acquisito il preventivo parere scritto del Presidente della Sezione di ultima appartenenza del richiedente e valutata la meritevolezza sulla base del precedente legame, può, se non sono trascorsi più di quattro anni dalla data delle dimissioni o della perdita della qualifica di arbitro, provvedere alla riammissione nell’AIA di ex associati dimissionari o che abbiano perso la qualifica per ipotesi diverse dal non rinnovo tessera e dal ritiro tessera disciplinare, disponendone il nuovo inquadramento, con ricongiungimento della precedente anzianità associativa” e non avendo ricevuto riscontro ha avanzato istanza di accesso agli atti, rimasta senza riscontro - ha chiesto “di obbligare l’AIA all’ostensione della documentazione richiesta con la domanda di accesso agli atti relativa al procedimento di riammissione nell’AIA per come istato dal ricorrente”. Occorre premettere come oggetto del presente procedimento sia esclusivamente la richiesta di ostensione della documentazione presentata all’AIA dal sig. C. ex art. 5 d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016 e non anche il procedimento a monte per la valutazione del reintegro ai sensi dell’art. 8, comma, 6 lett. O) del Regolamento AIA. Con specifico riferimento, quindi, all’esercizio del diritto di accesso di cui il ricorrente lamenta la compromissione, risulta di pacifica acquisizione documentale il mancato riscontro da parte dell’AIA dell’istanza ostensiva del 6.11.2020 allegata all’atto introduttivo e ricevuta in data 12.11.2020. Le Sezioni Unite del Collegio di Garanzia (decisione n. 74/2017), chiamate a far luce sul necessario contemperamento tra i principi di trasparenza dell’attività amministrativa ed i principi che governano l’ordinamento sportivo, tra cui lealtà, correttezza e probità, hanno rilevato come le situazioni giuridiche soggettive dei soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo debbano essere valutate anche in correlazione alle norme ed ai principi dell’ordinamento statale. Qualora le norme dell’ordinamento statale stabiliscano dei principi espressione anche dei valori che permeano l’ordinamento settoriale, quest’ultimo è chiamato a recepirli e ad adattarli al proprio diritto positivo, attesa anche la propria non autosufficienza. In tema di trasparenza e di diritto di accesso, il d.lgs. 97/2016 ha apportato numerosi cambiamenti, la riforma mirava a incentivare forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa. L’art. 5 comma 2 d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016, nel disciplinare la richiesta di accesso civico “generalizzato” vuole proprio consentire a chiunque di richiedere dati e documenti ulteriori rispetto a quelli che le amministrazioni sono obbligate a pubblicare. Si assiste ad un vero e proprio ribaltamento della prospettiva: dall’attivazione del diritto di accesso civico solo strumentalmente all’adempimento degli obblighi di pubblicazione, alla libertà di accedere ai dati e ai documenti. Il fil rouge della normativa è la tutela dell’interesse conoscitivo di tutti i soggetti della società civile. Ciò ha come corollario che, in assenza di ostacoli riconducibili ai limiti legali, l’amministrazione è obbligata a dare prevalenza al diritto di chiunque di conoscere e di accedere alle informazioni possedute dalla stessa. Se, quindi, il principio della trasparenza, diviene fondamentale nell’esercizio della funzione amministrativa e manifestazione del principio di imparzialità e buon andamento, contenuto nell’articolo 97 della Costituzione, lo stesso deve essere trasferibile, altresì, agli organi amministrativi dello sport. Nel coacervo di interessi e situazioni giuridiche soggettive che vengono in rilievo in seno all’ordinamento sportivo, infatti, è impensabile, a giudizio del Collegio di Garanzia, che la governance dello sport italiano, soprattutto in ambito federale, non si conformi ai principi di economicità, efficacia e pubblicità.Il binomio pubblicità-trasparenza deve, infatti, permeare l’attività delle istituzioni sportive al fine di comprenderne l’azione da parte degli associati e in modo da consentire la conoscenza reale della loro attività e di effettuare il controllo sulla stessa. Si deve, pertanto, consentire agli interessati di accedere alle informazioni relative ai “procedimenti” in corso, con il dovere, altresì, di comunicare agli stessi tutte le informazioni richieste. A fronte dell’istanza del richiedente l’AIA era tenuta, pertanto, a fornire i documenti richiesti in ossequio a quei principi di trasparenza dell’agere publicum che hanno informato i due richiamati testi normativi e del conseguente diritto all’informazione del cittadino. Ad opinare diversamente, si pregiudicherebbe del tutto il diritto del ricorrente a conoscere il contenuto di documenti reiteratamente richiesti all’amministrazione procedente, la cui prolungata inerzia ha di fatto compromesso i propri interessi meritevoli di tutela….Per quanto concerne, in particolare, l’oggetto del ricorso lo stesso pare individuato con sufficiente determinatezza: il ricorrente infatti ricorre per ottenere un provvedimento ostensivo a fronte del silenzio seguito alla richiesta di accesso ricevuta dall’AIA in data 12.11.2020. Anche alla luce delle menzionate statuizioni delle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia, non si ritiene di dover condividere la valutazione operata dalla difesa dell’AIA sull’istituto giuridico azionato e la compatibilità con l’interesse individuale del sig. C…, essendo per un verso irrilevante il nomen iuris individuato in sede di istanza di accesso a fronte della univocità della richiesta avanzata all’ente e della illegittimità della condotta dallo stesso mantenuta, per altro verso viene in aiuto la stessa ratio legis cui è informato l’accesso civico generalizzato (di cui all’art. 5 comma 2 d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016) volta proprio a consentire a chiunque di accedere a dati, documenti e informazioni delle pubbliche amministrazioni anche senza necessità di dimostrare un interesse qualificato. Tanto vale a superare anche l’eccezione sull’insussistenza di un interesse del ricorrente diretto, concreto ed attuale in considerazione della natura discrezionale del provvedimento di reintegra nel ruolo tecnico dell’AIA da parte del Presidente Nazionale fermo restando che, come noto, la discrezionalità amministrativa non può tradursi in arbitrio e, come tale, resta soggetta a controllo.

Massima: Il Tribunale, accoglie il ricorso proposto dall’associato AIA contro l’AIA limitatamente all’esercizio del diritto di accesso agli atti ed ordina alal stessa di dar seguito all’istanza ostensiva con specifico riferimento alla documentazione relativa al procedimento per la valutazione del reintegro del sig. C. C. introdotto ai sensi dell’art. 8, comma 6, lett. O) del Regolamento AIA….Le Sezioni Unite del Collegio di Garanzia (decisione n. 74/2017), chiamate a far luce sul necessario contemperamento tra i principi di trasparenza dell’attività amministrativa ed i principi che governano l’ordinamento sportivo, tra cui lealtà, correttezza e probità, hanno rilevato come le situazioni giuridiche soggettive dei soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo debbano essere valutate anche in correlazione alle norme ed ai principi dell’ordinamento statale. Qualora le norme dell’ordinamento statale stabiliscano dei principi espressione anche dei valori che permeano l’ordinamento settoriale, quest’ultimo è chiamato a recepirli e ad adattarli al proprio diritto positivo, attesa anche la propria non autosufficienza. In tema di trasparenza e di diritto di accesso, il d.lgs. 97/2016 ha apportato numerosi cambiamenti, la riforma mirava a incentivare forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa. L’art. 5 comma 2 d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016, nel disciplinare la richiesta di accesso civico “generalizzato” vuole proprio consentire a chiunque di richiedere dati e documenti ulteriori rispetto a quelli che le amministrazioni sono obbligate a pubblicare. Si assiste ad un vero e proprio ribaltamento della prospettiva: dall’attivazione del diritto di accesso civico solo strumentalmente all’adempimento degli obblighi di pubblicazione, alla libertà di accedere ai dati e ai documenti. Il fil rouge della normativa è la tutela dell’interesse conoscitivo di tutti i soggetti della società civile. Ciò ha come corollario che, in assenza di ostacoli riconducibili ai limiti legali, l’amministrazione è obbligata a dare prevalenza al diritto di chiunque di conoscere e di accedere alle informazioni possedute dalla stessa. Se, quindi, il principio della trasparenza, diviene fondamentale nell’esercizio della funzione amministrativa e manifestazione del principio di imparzialità e buon andamento, contenuto nell’articolo 97 della Costituzione, lo stesso deve essere trasferibile, altresì, agli organi amministrativi dello sport.  Nel coacervo di interessi e situazioni giuridiche soggettive che vengono in rilievo in seno all’ordinamento sportivo, infatti, è impensabile, a giudizio del Collegio di Garanzia, che la governance dello sport italiano, soprattutto in ambito federale, non si conformi ai principi di economicità, efficacia e pubblicità. Il binomio pubblicità-trasparenza deve, infatti, permeare l’attività delle istituzioni sportive al fine di comprenderne l’azione da parte degli associati e in modo da consentire la conoscenza reale della loro attività e di effettuare il controllo sulla stessa. Si deve, pertanto, consentire agli interessati di accedere alle informazioni relative ai “procedimenti” in corso, con il dovere, altresì, di comunicare agli stessi tutte le informazioni richieste.  A fronte dell’istanza del richiedente l’AIA era tenuta, pertanto, a fornire i documenti richiesti in ossequio a quei principi di trasparenza dell’agere publicum che hanno informato i due richiamati testi normativi e del conseguente diritto all’informazione del cittadino. Ad opinare diversamente, si pregiudicherebbe del tutto il diritto del ricorrente a conoscere il contenuto di documenti reiteratamente richiesti all’amministrazione procedente, la cui prolungata inerzia ha di fatto compromesso i propri interessi meritevoli di tutela.

 

DECISIONE C.F.A. – SEZIONI UNITE: DECISIONE N. 097 CFA del 29 Luglio 2020

Decisione Impugnata: Decisione n. 140/TFN – SD 2019/2020 del Tribunale Federale Nazionale FIGC del 22 Giugno 2020

Impugnazione Istanza: (Avv. G.C./AIA)

Massima: Accolto il ricorso dell’associato AIA e per l’effetto, annullata la decisione del TFN con conseguente obbligo dell’AIA di provvedere alla ostensione dei documenti e delle informazioni richieste con l’istanza di accesso del 5 Marzo 2020 (visionare, in pendenza di un procedimento disciplinare a suo carico, tutte le delibere adottate dalla Commissione nazionale di disciplina e dalla Commissione di disciplina di appello dell’AIA relative all’ultimo quinquiennio aventi ad oggetto violazioni contemplate dall’art. 40 del regolamento AIA e dall’art. 6 del Cod. Etico AIA) proposta entro 20 giorni dalla data di pubblicazione della decisione per esteso, ferme restando, ove applicabili, le disposizioni di cui all’art. 52 del d.lgs. 163/2006 e ss.mm.ii….Ritiene il collegio che sia necessario affrontare in via preliminare l’esatto inquadramento della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio. Sebbene evocata dal reclamante per corroborare la tesi della prevalenza del principio di trasparenza sulla dedotta opacità dell’operato dell’AIA, senza che tuttavia se ne siano ricavate le inferenze più suggestive ai fini della soluzione della presente controversia, la decisione del Collegio di Garanzia n. 74 del 2017 costituisce un sicuro riferimento per configurare l’esistenza (e la conseguente giustiziabilità) del diritto di accesso nell’ambito dell’ordinamento sportivo. In base al principio pluralistico, ammessa la coesistenza tra ordinamenti a fini generali e ordinamenti a fini settoriali, si deve ritenere l’asimmetria del rapporto tra i sistemi ordinamentali (i primi riconoscono i secondi) tale che il carattere dell’autonomia non assorbe anche quello dell’autosufficienza, con la conseguenza che l’ordinamento sportivo (settoriale) si debba trovare necessariamente in rapporto di collegamento con il corrispondente ordinamento giuridico esprimente interessi generali. Ne deriva che gli interessi e le situazioni giuridiche dei soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo devono essere valutati anche in correlazione alle norme dell’ordinamento statale: in particolare qualora le norme dell’ordinamento statale stabiliscono dei principi che possono essere in un certo modo espressione anche dei principi che permeano l’ordinamento settoriale “quest’ultimo è chiamato a recepirli e ad adattarli al proprio diritto positivo, attesa anche la propria non autosufficienza e il suddetto rapporto di collegamento con l’ordinamento statale esprimente interessi generali” (Collegio di garanzia 74/2017). Secondo questa matrice relazionale è inquadrabile la progressiva rilevanza del diritto di accesso nell’ordinamento a fini generali (cui corrisponde l’elevazione del concetto di trasparenza quale condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, che integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino) rispetto all’ordinamento sportivo: poiché il ribaltamento di prospettiva sull’esercizio del diritto di accesso (prima confinato ai soli documenti amministrativi, poi limitato a quelli oggetto di pubblicazione, ed oggi esteso a tutte le informazioni detenute da un pubblico potere) impone di considerare la trasparenza come regola generale “mentre la riservatezza e il segreto solo delle eccezioni, e ciò in coerenza ed in analogia con gli ordinamenti in cui vige il c.d. Freedom of Information Act (FOIA)”, tanto che l’ordinamento italiano riconosce e tutela la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni quale “diritto fondamentale”, il principio di trasparenza “ben può e deve essere trasferibile… agli organi amministrativi dello sport”. Nella prospettiva della richiamata decisione la trasparenza dovrebbe “essere enucleata e posta accanto ai principi generali attinenti alle modalità di svolgimento del rapporto tra CONI, Federazioni e Leghe nei confronti dei tesserati ed affiliati, insieme ai principi di lealtà, probità e correttezza”; il binomio pubblicità-trasparenza deve “permeare l’attività delle istituzioni sportive al fine di comprenderne l’azione da parte degli associati e in modo da consentire la conoscenza reale della loro attività e di effettuare il controllo sulla stessa. L’azione delle Federazioni e delle Leghe deve, pertanto, consentire agli interessati di accedere alle informazioni relative ai “procedimenti” in corso, con il dovere, altresì, di comunicare agli stessi tutte le informazioni richieste”; inoltre “un accesso funzionale all’attività sportiva consentirebbe all’associato che abbia un interesse diretto, concreto e attuale di interloquire con gli apparati di governo dello sport, a tutela del proprio interesse, prima che sia adottata la decisione finale”. Sebbene le coordinate ermeneutiche della richiamata decisione arrivino a configurare l’esistenza di un principio generale proprio dell’ordinamento nazionale (trasparenza nell’esercizio dei pubblici poteri) necessariamente trasferibile nell’ordinamento settoriale, con conseguente riconoscimento di una situazione giuridica soggettiva (diritto di accesso) assurta alla dignità di diritto fondamentale, tuttavia l’effetto concreto di quella ricostruzione si arresta alla natura monitoria e sollecitatoria del provvedimento giustiziale sportivo, sia sul versante (sostanziale) dell’adeguamento delle regole settoriali ai “principi generali di libertà e diritto di accesso di ciascun soggetto alle informazioni possedute dagli organismi che del sistema sportivo sono componenti, nell’ambito in cui essi esprimono funzioni non meramente negozial-privatistiche”, sia su quello (processuale) della (auspicata revisione della) disciplina giustiziale sportiva. Ritiene il collegio che una simile condivisibile prospettiva debba essere ampliata fino a spingersi al riconoscimento di una situazione giuridica sostanziale rilevante nell’ambito dell’ordinamento sportivo (diritto di accesso) correlata ad un obbligo generale di trasparenza dell’esercizio del potere sia sotto il profilo morfologico che in termini funzionali: e come situazione giuridica soggettiva cui l’ordinamento settoriale deve protezione in omaggio al principio (questo declamato espressamente nei principi di giustizia sportiva, art. 2, comma 1, nel CGS CONI, art.2, comma 1, nel CGS FIGC art. 47, comma 1) di piena tutelabilità dei diritti e degli interessi dei soggetti dell’ordinamento settoriale.Sovviene in primo luogo la necessità di precisare che l’evoluzione normativa del diritto di accesso nell’ordinamento generale non riguarda solamente la tripartizione accesso documentale, accesso civico alle informazioni oggetto di pubblicazione e accesso civico generalizzato, ma si articola in molteplici riconoscimenti settoriali, legati ad esigenze conoscitive strettamente correlate ad interessi sensibili (come l’accesso alle informazioni ambientali, o quello definito dall’art 10 del d. lgs. n. 267 del 2000), e non è estraneo alla dinamica delle relazioni squisitamente privatistiche (si pensi all’art. 2476 cc sull’accesso del socio non amministratore ai libri sociali). E una simile evoluzione normativa non si concentra solo (o non più solo) sulla proiezione morfologica della pubblica amministrazione o delle articolazioni dello Stato apparato, astrette dai vincoli di buon andamento e imparzialità, e come tali sottoposte a forme di controllo diffuso (quale portato della legittimazione democratica dei pubblici poteri): prova ne è che, sia pure attraverso un progressivo affinamento della natura del diritto di accesso (e della correlata conformazione dell’amministrazione pubblica al principio di trasparenza, ancorchè non costituzionalizzato), la Corte Cost. ha ammesso (accanto all’inevitabile pedaggio al buon funzionamento dell’amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost.) che i principi di pubblicità e trasparenza sono riferiti quale corollario del principio democratico (art. 1 Cost.) a tutti gli aspetti rilevanti della vita pubblica e istituzionale; e più significativamente il Consiglio di Stato (A.P. 19 Febbraio  2020, n.10) ha affermato che, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti sanciti dall’art. 2 della Costituzione, il diritto di accesso civico è precondizione per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento “perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale autorità/libertà” (Cons. Stato A.P. 10/2020 punto 23.2). Una simile prospettiva consente di affrancare il riconoscimento della situazione giuridica soggettiva dalla necessità di una puntuale alfabetizzazione del diritto di accesso in riferimento agli apparati dotati della necessaria attribuzione legislativa di connotazioni pubbliche o dell’esercizio di poteri pubblici: questa visuale è propria solo dell’ordinamento generale (in cui la nozione di pubblico potere si innesta nella definizione di un apparato organizzativo qualificabile come amministrazione pubblica, non senza rammentare la tendenza ad allargarne le dimensioni in base alla funzionalizzazione dell’attività piuttosto che al mero riconoscimento della personalità giuridica). In altri termini nell’ordinamento sportivo ed al suo interno, la connotazione pubblica o meno dell’apparato verso il quale è diretta la pretesa, appare irrilevante ai fini della conformazione del diritto, proprio perché le categorie pubblico/privato appartengono ad una sfera di articolazione della sovranità che attribuisce il potere “naturalmente” pubblico ad un apparato servente lo Stato. Ciò che emerge dalle concezioni più moderne del diritto di accesso è la sua natura, diretta a colmare le asimmetrie informative tutte le volte che le relazioni istituzionali si fondano su un rapporto autorità/soggezione tra apparati (titolari del relativo potere) e destinatari (cioè i soggetti su cui si fonda la plurisoggettività dell’ordinamento settoriale): il diritto di accesso in sé considerato si configura come situazione giuridica soggettiva attivabile autonomamente perché strettamente legato, nelle organizzazioni complesse, alla connotazione democratica e trasparente del funzionamento delle istituzioni (sia pubbliche che private), contribuisce al dibattito pubblico, opera in funzione di garanzia dei diritti costituzionalmente garantiti, è strumentale al controllo diffuso dell’operato di organi a base rappresentativa. In secondo luogo occorre rammentare che il diritto di accesso è condizione per l’esercizio di altri diritti costituzionalmente tutelati, quali il diritto all’informazione (secondo la prospettiva CEDU, Grande Camera, 8 Novembre 2016, Magyar Helsinki Bizottsàg v. Hungary, in ric. n. 18030/11), o l’esercizio del diritto di difesa (v. art. 41, comma 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), o semplicemente correlato allo status del richiedente ai fini dell’esercizio di diritti politici (art. 42 della medesima Carta). Questa natura servente e strumentale rende il diritto di accesso come situazione giuridica di nuova generazione legata alla clausola generale della tutela dei diritti fondamentali e della dignità della persona riconosciuta nelle formazioni sociali in cui si espleta la personalità dell’individuo (ai sensi dell’art. 2 Cost.), che è matrice irrinunciabile del riconoscimento operato dall’ordinamento generale dell’ordinamento di settore. Il diritto di accesso serve ad arginare l’articolazione del potere (non importa se si tratta di un potere pubblico o privato), che si conforma, in una società democratica, in base al valore della trasparenza sia sotto il profilo dell’organizzazione che in quello del suo concreto esercizio, tutte le volte che la sua espressione sia in grado di incidere su situazioni giuridiche soggettive. In questa prospettiva non appare finanche necessaria (ancorchè certamente opportuna ed utile, come rammentato dalla richiamata decisione del Collegio di Garanzia) una puntuale ricognizione dell’esistenza di un simile diritto, proprio perché la penetrazione dei diritti fondamentali, garantiti dall’assetto costituzionale, negli ordinamenti settoriali, è nella natura stessa del riconoscimento dell’autonomia dei secondi, sia pure nella prospettiva asimmetrica della relazione tra i due sistemi: il cui riequilibrio, almeno sul piano delle garanzie primarie, è garantito dalla pervasività dei diritti attribuiti dalla Costituzione, o comunque riconosciuti in base a tradizioni costituzionali comuni, se non da norme convenzionali di matrice internazionale la cui applicazione non può che essere osservata in tutte le formazioni sociali in cui l’individuo sviluppa la sua personalità, ed in ultimo dall’espresso richiamo al principio di democrazia interna nelle organizzazioni sportive federali. Parafrasando il Consiglio di Stato (Ad. Plen n. 10/2020 citata, punto 23.4) il valore della trasparenza e il conseguente diritto di accesso alle informazioni concorre al soddisfacimento dei diritti fondamentali della persona, se è vero che l’organizzazione del potere e diritti fondamentali sono strettamente interrelati, sulla scorta dell’insegnamento secondo cui «non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione» (Corte cost., 27 Novembre 1998, n. 383). In terzo luogo il diritto di accesso è correlato, in una delle sue possibili manifestazioni, ad obblighi di pubblicità. Anche in questo caso l’asimmetria tra l’ordinamento generale (che quegli obblighi definisce in base a fonti primarie o regolamentari non sempre perspicui) e l’ordinamento sportivo (che quegli obblighi di “amministrazione trasparente” soddisfa in base alle medesime fonti, ovvero attraverso una ricognizione convenzionale in sé bastevole per determinare l’affidamento degli associati) appare colmabile attraverso l’indicazione delle disposizioni conferenti su cui si articola l’obbligo (anche in questo caso non rileva la dimensione imperativa della norma di interesse pubblico, quanto l’efficacia della disposizione di autovincolo in funzione di garanzia degli associati). Si tratta della modalità più semplice nella quale il diritto di accesso può essere esercitato, proprio perché il suo riconoscimento è specularmente garantito dalla ostensione indifferenziata dell’informazione, sicchè l’accesso diviene solo (per mera inversione dei medesimi fattori) la pretesa diretta a consentire che l’obbligo (in qualche modo formalizzato) sia effettivamente rispettato. Sotto questo profilo appare addirittura recessivo un possibile sindacato sulle ragioni sottese alla istanza, proprio perché la naturale vocazione dell’informazione ad essere pubblica (cioè, al di là dei mezzi utilizzati, a disposizione della generalità dei consociati) implica una preliminare valutazione, operata generalmente per tipologia di dati aggregati, della necessità della loro conoscenza quale presupposto delle modalità di autodeterminazione (a maggior ragione se simile pubblicità attiene ai giudizi sulla censurabilità di condotte degli associati, o di una loro specifica categoria, astretti ad un contegno conformato da norme spesso affette da un alto grado di indeterminatezza). Sarebbe in ultimo paradossale se si ammettesse che il diritto di accesso sia riconosciuto (in astratto) solo nell’ordinamento generale, secondo le modalità stabilite da fonti primarie sull’accesso documentale e sull’accesso civico verso le pubbliche amministrazioni, e non abbia diritto di cittadinanza nell’ambito dell’ordinamento sportivo, quando sia funzionale alla tutela di diritti ed interessi la cui tutela (anche alla luce del noto orientamento della Consulta sul sindacato giurisdizionale sulle sanzioni disciplinari) appare pienamente satisfattiva solo attraverso l’attivazione di sistemi giustiziali endofederali o comunque confinati all’interno dell’ordinamento sportivo. La conclusione opposta implicherebbe che l’armamentario a disposizione dell’istante lo costringerebbe ad una impropria digressione verso i mezzi di tutela esperibili solo di fronte al giudice amministrativo (titolare di giurisdizione esclusiva in materia), per poi tornare di fronte agli organi di giustizia sportiva una volta accolta la doglianza, senza che tra le due questioni (l’accesso per un verso e la vicenda disciplinare per l’altro) vi sia un nesso di pregiudizialità necessaria. In conclusione il collegio ritiene che il diritto di accesso alla informazione detenuta dagli apparati di governo o di decisione delle organizzazioni sportive in ambito federale - tutte le volte che esse non attivino facoltà prettamente negoziali o squisitamente privatistiche che implichino la definizione di un assetto di interessi basato sul consenso o sull’accordo di volontà, ma agiscano in virtù di competenze statutariamente attribuite dirette all’esercizio di poteri autoritativi in grado di incidere unilateralmente su situazioni giuridicamente rilevanti per gli associati - costituisca una situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’ordinamento sportivo perché legata e strumentale all’esercizio di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati anche nell’ordinamento di settore. E ciò indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto destinatario della pretesa (che rileverebbe solo nel diverso prisma dell’ordinamento a fini generali) e, nei casi in cui l’ordinamento sportivo preveda espressi obblighi di pubblicità, indipendentemente dalla qualificazione dell’interesse sotteso alla richiesta, con i limiti naturali della manifesta infondatezza della pretesa, del superamento del test di proporzionalità (come principio generale di adeguatezza e non eccedenza), del rispetto delle norme imperative sul trattamento dei dati personali. Come situazione giuridica soggettiva che appartiene al decalogo di diritti la cui mera enunciazione, se si conviene sulla sua matrice di derivazione da fonte superprimaria, costituirebbe una inutile superfetazione declaratoria, essa appare tutelabile di fronte agli organi di giustizia sportiva, in base alla piena giustiziabilità di pretese la cui cognizione non può essere sottratta all’esercizio dell’autodichia. Ciò non sottrae agli organi deputati alla adozione di norme endogene il compito di definire le articolazioni del diritto (e una preliminare enunciazione di sistema del principio di trasparenza nella funzionalizzazione delle attività in cui si esercita il potere decisionale verso gli associati), la definizione delle possibili eccezioni al suo esercizio, le modalità per garantire il bilanciamento con altri diritti tutelati dall’ordinamento generale, le forme di giustiziabilità della pretesa a fronte dell’inerzia del ricevente o delle sue possibili negazioni. La necessaria prolusione sulla quale il Collegio ha ritenuto di dover indugiare consente di illustrare le ragioni per le quali si ritiene fondato il reclamo. In primo luogo sulla eccezione della proposizione di una domanda nuova nel secondo grado di giudizio si deve rammentare che l’azione proposta in primo grado contemplava anche ragioni fondate sul mancato assolvimento dell’obbligo di pubblicità delle deliberazioni dell’AIA (come dimostra tra l’altro l’avvertita necessità di replicare sul punto nella memoria dell’associazione resa in primo grado, punto II. e pag. 11). In ogni caso la sussistenza dell’obbligo di pubblicità (che l’AIA riterrebbe assolto mediante la pubblicazione sul sito istituzionale di un massimario delle decisioni), che effettivamente è previsto dall’art. 2, n.4, del Codice di Giustizia CONI, dall’art. 2, n.4, del Principi di Giustizia di cui alla Deliberazione 1616/2018 del Consiglio Nazionale CONI, nonché dall’art. 44 del Codice di giustizia sportiva della FIGC, e da norme regolamentari interne all’AIA (regolamento dell’associazione art. 53 n.7 e Norme sul funzionamento degli organi di disciplina art.1, n.5), rende recessiva la finalizzazione della richiesta conoscenza per ragioni che non appartengono alla generalità degli associati (neanche l’accesso civico dell’ordinamento generale impone una simile forma di legittimazione): va inoltre rammentato che anche secondo la più recente giurisprudenza amministrativa (Cons. di Stato, Ad. Plen n.10/2020, citata) il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato “non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline”. Un simile assunto serve inoltre a smentire la fondatezza dell’argomentazione (obiettivamente contraddittoria) della decisione impugnata, nella parte in cui, pur ammettendo che la mancata pubblicazione delle decisioni dell’AIA fosse potenzialmente lesiva di obblighi regolamentari, non sarebbe stata censurabile per effetto della qualificazione originaria dell’istanza ai sensi della legge 241/90. Per un verso si può affermare che dove vi sono obblighi di pubblicità (obbligo di trasparenza) non vi è accesso, ma diritto alla conoscenza, assolto ellitticamente dalla preliminare imposizione del vincolo verso l’istituzione: in questo senso il diritto di accesso è solo lo strumento con il quale si denuncia l’obliterazione del dovere statutario o regolamentare incombente nei confronti dell’associazione. Per altro verso, secondo la prospettiva sopra delineata, la declinazione del diritto di accesso nell’ordinamento sportivo è obiettivamente refrattaria, in assenza di una sua puntuale articolazione normativa, ai paradigmi dell’accesso nell’ordinamento generale, ma vive di propria autoconsistenza, perché legata alla sua natura di diritto fondamentale, strumentale all’esercizio di diritti almeno di pari rango (nel caso di specie quelli di difesa): in altri termini la qualificazione formale, pur presente nella istanza originaria, che ascrive al modello di accesso documentale la richiesta di informazioni, se ha un significato nell’ordinamento generale data la diversa articolazione normativa delle fattispecie (salva la visione sincretica che ne ha recentemente fornito il Consiglio di Stato), non ha alcun rilievo nell’ordinamento sportivo, che quelle distinzioni non conosce. Ne deriva che la enunciazione delle esigenze difensive che si fondano sulla conoscenza dei precedenti disciplinari non altrimenti apprensibili da parte dell’istante, la individuazione delle connotazioni informative della documentazione richiesta (l’ignoranza dei precedenti non avrebbe potuto consentire una diversa – e tanto meno analitica - elencazione dei provvedimenti, sicchè la dedotta genericità della richiesta appare un paralogismo), sono elementi sufficienti a radicare la pretesa dell’istante, degradando la qualificazione giuridica (si ripete, funzionale ad un plesso normativo diverso, ancorchè condizionante, rispetto a quello dell’ordinamento di settore) a puro stilema. Le stesse ragioni presiedono il rigetto della eccezione, reiterata in secondo grado dall’AIA, ma elisa dalla decisione del Tribunale Federale Nazionale che ha ritenuto di dover prescindere dal suo esame, della inapplicabilità delle disposizioni in materia di accesso per difetto della qualificazione di amministrazione pubblica in capo all’AIA. Come si ricava dalla impostazione sin qui seguita, il discrimine pubblico/privato è funzionale al prisma dell’ordinamento generale, che su quella distinzione (che altro non è che la icastica rappresentazione della distinzione tra chi agisce per potere e chi opera per consenso) fonda l’ambito di applicazione del diritto di accesso nelle sue diverse forme (sempre di amministrazione pubblica si tratta): nell’ordinamento sportivo deve viceversa porsi in rilievo non tanto la natura giuridica del soggetto operante, quanto l’idoneità del potere esercitato ad incidere significativamente ed unilateralmente sugli interessi e sui diritti degli associati (e tale è l’organo titolare della decisione disciplinare). Similmente non è accoglibile la qualificazione esplorativa e difettosa di concretezza dell’interesse dell’istante: sia perché, come illustrato in precedenza, l’obbligo di pubblicità delle deliberazioni AIA (sulla cui concreta portata non viene formulata alcuna eccezione da parte dell’associazione convenuta) esenta da una puntuale illustrazione delle ragioni sottostanti la richiesta; sia perché, a riprova della natura strumentale del diritto esercitato in relazione a situazioni giuridiche protette (il diritto di difesa nell’ambito del procedimento disciplinare che non appare sfumato rispetto ad altri consolidati principi, quali il contraddittorio e parità delle armi), è proprio l’esigenza difensiva (che richiede la conoscenza dei precedenti disciplinari, non altrimenti satisfattibile se non con l’accesso, e che non può essere delibata negativamente sulla scorta della non vincolatività del precedente) che viene rappresentata dal reclamante sin dall’origine, e che consente una obiettiva circoscrivibilità (procedimenti disciplinari che si sono fondati sull’applicazione di disposizioni chiaramente individuate nell’istanza) della dimensione conoscitiva senza assumere connotazioni esplorative (comunque non configurabili neanche in astratto in presenza di un obbligo di pubblicità). In ultimo, sulla dedotta sproporzione dell’acquisizione conoscitiva rispetto alle risorse da impiegare da parte dell’AIA, la previsione di obblighi di pubblicità, la perimetrazione di uno spazio informativo dedicato sul sito, la redazione di massime (che costituiscono un sottoprodotto della decisione nel suo insieme, e che ha richiesto comunque uno sforzo intellettuale da parte dell’associazione), costituiscono elementi tali da fugare dubbi sulla insostenibilità in termini di costi dell’attività richiesta all’AIA.

 

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione n. 140/TFN del 22.06.2020

Decisione impugnata: Diniego espresso dall’Associazione italiana Arbitri all’istanza di accesso agli atti formulata ai sensi della legge 241/90 di visionare, in pendenza di procedimento disciplinare a carico del ricorrente, di tutte le delibere della Commissione Nazionale di Disciplina e della Commissione di Disciplina di Appello, relative all’ultimo quinquennio

Impugnazione - Istanza: Ricorso del Sig. C.G. contro AIA e FIGC ex artt. 25 e 30 CGS – CONI del 29.04.2020 - Reg. Prot. n. 161/TFN-SD)

Massima: Infondato è il ricorso, ex artt. 25 e 30 CGS CONI proposto dall’associato AIA con il quale ha impugnato il diniego espresso dall’Associazione italiana Arbitri all’istanza di accesso agli atti formulata ai sensi della legge 241/90 di visionare, in pendenza di procedimento disciplinare a carico del ricorrente, di tutte le delibere della Commissione Nazionale di Disciplina e della Commissione di Disciplina di Appello, relative all’ultimo quinquennio aventi ad oggetto le medesime contestazioni formulate al ricorrente e meglio indicate in ricorso….Il collegio ritiene di prescindere dall’esame della questione avente ad oggetto la natura pubblicistica o meno dell’attività svolta in concreto dall’AIA in quanto il ricorso è palesemente infondato. Sul punto, infatti, devono ritenersi fondate le doglianze formulate dalla difesa dell’AIA, in ordine al fatto che il predetto ricorso abbia finalità meramente ed esclusivamente esplorativa giacché volta a richiedere una indistinta categoria di provvedimenti il cui specifico soddisfacimento si tradurrebbe in un controllo generalizzato sull’attività dell’associazione, fra l’altro di dubbia utilità per la tutela degli interessi del ricorrente, quanto meno in ambito endofederale, in ragione di alcuna valenza nomofilattica dei precedenti giurisprudenziali, soprattutto in ordine all’entità delle sanzioni in concreto irrogate liddove, come è noto, vengono in rilievo anche elementi specifici di natura fattuale. La lamentata mancata pubblicazione delle decisioni, con le dovute precauzioni ed accorgimenti in ordine alla tutela di contrapposti interessi, degli organi di giustizia sportiva dell’AIA, sebbene debba ritenersi potenzialmente lesiva, qualora sussistente, di specifici obblighi regolamentari, oltre che di indubbi principi generali di trasparenza, non appare risolutiva nel caso di specie, liddove l’istanza formulata ex l. 241/90 e, comunque a tutela di supposte situazioni giuridiche soggettive, ex art.30 CGS CONI, si appalesa estremamente generica e non rispondente alla tutela di un interesse specifico e concreto del ricorrente.

 

DECISIONE C.F.A. – SEZIONI UNITE: DECISIONE N. 100/CFA DEL  08/05/2019 MOTIVI CON RIFERIMENTO AL COM. UFF. N. 094/CFA DEL 18 APRILE 2019

Decisione Impugnata: Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 49/TFN del 28.2.2019

Impugnazione Istanza: RICORSO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA ARBITRI AVVERSO L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO EX ARTT. 25 E 30 C.G.S. CONI PROPOSTO DAL SIG. G.C..

Massima: Rigettato il ricorso dell’AIA e confermata la decisione del TFN che in accoglimento del ricorso proposto dall’associato AIA ha annullato il diniego tacito alla domanda di accesso agli atti  e la condanna all’ostensione dei predetti documenti….Occorre ricordare, in via generale, come l’accesso ai documenti amministrativi, attese  le  sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisca principio generale dell’attività amministrativa, anche al fine di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza….Non si tratta, infatti, nel presente giudizio, di mettere in discussione la sfera di autonomia riservata all’A.I.A. con riferimento ai provvedimenti di natura tecnica, bensì di verificare se il procedimento che conduce alla delibera di dismissione di un arbitro dalla CAN “A” assuma o meno rilievo pubblicistico. Orbene, sotto tale profilo questa Corte condivide quanto già affermato dal Tribunale Federale Nazionale. Infatti, le procedure di progressione e dismissione degli arbitri CAN “A” devono ritenersi rivestire una valenza pubblicistica, anche in considerazione del  fatto  che  detti direttori di gara sono chiamati a garantire il corretto svolgimento delle competizioni professionistiche. Sotto siffatto profilo è possibile richiamare la recente sentenza 9 gennaio 2019, n. 328, della Corte di Cassazione, sezioni unite civili, secondo cui l’arbitro (associato AIA, componente della FIGC – associazione con personalità giuridica di diritto privato -, a sua volta federata al CONI – ente pubblico non economico), pur non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, «è investito di fatto di un’attività avente connotazioni e finalità pubblicistiche, se non altro in quanto inserito, a pieno titolo, nell’apparato organizzativo e nel procedimento di gestione dei concorsi pronostici da parte del CONI, con il connesso impiego di risorse pubbliche». La decisione della Suprema Corte sembra, implicitamente, confermare che, anche considerato che i direttori di gara delle serie professionistiche partecipano nel perseguimento delle  finalità pubblicistiche assegnate a questo ambito dell’ordinamento sportivo e  sono  sostanzialmente compensati per la loro attività con fondi riferibili, in qualche modo – seppur indirettamente – alla sfera delle risorse pubbliche, i metodi e le procedure di selezione degli stessi (e, per converso, quelle di dismissione) non possono essere del tutto esenti da forme di controllo e, prima ancora, non possono non essere destinatarie degli ordinari principi di legittimità e della disciplina dettata in materia di trasparenza dell’azione, che, seppur di natura privatistica, assume, in tale prospettiva, valenza pubblicistica. Insomma, deve ritenersi che le regole dettate in materia di accesso agli atti della pubblica amministrazione e di trasparenza dell’azione della medesima debbano trovare  ingresso  ed applicazione anche nell’ambito dei procedimenti, di rilievo pubblicistico, posti in essere dalle Federazioni sportive e dalle relative componenti. In ogni caso, si aggiunga, il provvedimento di dismissione di un arbitro dalla CAN “A” è idoneo ad incidere sulla sfera giuridico-professionale dell’arbitro, la cui eventuale lesione merita, quindi, tutela piena….Parte ricorrente ha illustrato e documentato quelle che sono le ragioni poste a base della richiesta di accesso, individuandole nell’esigenza di tutelare la propria sfera giuridico-professionale nei confronti del provvedimento lesivo di dismissione dall’organico CAN “A”. Ragioni, queste, che di certo, dimostrano l’esistenza di un interesse giuridico, diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente rilevante sia per l’ordinamento sportivo, sia per quello generale e collegata ai documenti per i quali è stato richiesto l’accesso. Peraltro, sotto siffatto profilo e proprio in considerazione del predetto nesso di collegamento, del tutto correttamente il Tribunale di prime cure ha limitato l’accesso alla sola documentazione relativa alla stagione sportiva 2017/2018. Evidente, dunque, come la domanda di accesso non sia finalizzata ad un controllo generalizzato dell’attività dell’AIA, rappresentando, in generale, come nel caso di specie, uno strumento di protezione di situazioni giuridiche determinate. Del pari evidente, per quanto sopra osservato, l’esigenza di dare prevalenza all'interesse pubblico, attuale e concreto, alla trasparenza dell'azione dell’A.I.A. di natura, nella fattispecie, sostanzialmente amministrativa, specie nel caso oggetto del presente giudizio, nell’ambito del quale la stessa reclamante Associazione non ha individuato, come sua facoltà ed onere, eventuali soggetti controinteressati da coinvolgere nel procedimento volto alla definizione della domanda di accesso.

DECISIONE C.F.A. – SEZIONI UNITE: DECISIONE N. 59CFA DEL  07/12/2018 (MOTIVI) CON RIFERIMENTO AL COM. UFF. N. 045CFA - (IV SEZ. UNITE) 14/11/2018 (DISPOSITIVO)

Decisione Impugnata: Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 17/TFN del 20.9.2018

Impugnazione Istanza: RICORSO DEL SIG. D.R.D. (ARBITRO EFFETTIVO AIA) AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO, EX ARTT. 30 CGS CONI E 43 BIS CGS FIGC, A SEGUITO DELLA PROPRIA DISMISSIONE DALL’ORGANICO CAN PRO, PROPOSTO NEI CONFRONTI DELL’AIA E DELLA FIGC

Massima: Annullata la decisione del TFN per difetto di contraddittorio in quanto il ricorso ex artt. 30 CGS CONI e 43 bis CGS FIGC proposto dall’associato AIA avverso la delibera AIA del 28 luglio 2018, pubblicata sul Com. Uff. n. 11 Stagione Sportiva 2018/2019, con la quale veniva disposta (per “motivate valutazioni tecniche”) la sua dismissione dall’organico della CAN Pro, non è stato notificato ad almeno uno degli arbitri effettivi collocatisi in posizione immediatamente poziore rispetto al reclamante e, in quanto tali, da qualificarsi come controinteressati necessari.

 

Decisione T.F.N.- Sezione Disciplinare: Decisione pubblicata sul C.U. n. 49/FTN del 28 Febbraio 2019

Decisione impugnata: Diniego tacito opposto alla domanda di accesso agli atti presentata dall’A.E. … in data 5 Dicembre 2018, ricevuta dall’AIA il 7 Dicembre 2018” e “il conseguente accertamento del diritto di prendere visione e ottenere copia dei documenti richiesti”, nonché “la condanna dell’AIA, ad esibire ed a rilasciare copia della documentazione richiesta”.

Impugnazione - Istanza: RICORSO DI G.C. (A.E. – A.I.A.), AI SENSI DEGLI ARTT. 25 e 30 DEL CGS CONI.

Massima: Accolto il ricorso ex artt. 25 e 30 Codice di Giustizia Sportiva C.O.N.I. proposto dall’arbitro effettivo con il quale ha impugnato il del diniego tacito opposto alla domanda di accesso agli atti presentata dall’A.E. … in data 5 Dicembre 2018, ricevuta dall’AIA il 7 Dicembre 2018” e “il conseguente accertamento del diritto di prendere visione e ottenere copia dei documenti richiesti”, nonché “la condanna dell’AIA, ad esibire ed a rilasciare copia della documentazione richiesta” con l’effetto che si accerta il diritto del ricorrente a prendere visione e ottenere copia dei documenti richiesti relativi alla sola stagione 2017/2018 e si condanna l’AIA a esibire e rilasciare copia della documentazione richiesta relativa alla sola stagione 2017/2018 entro dieci giorni dalla pubblicazione della presente decisione.… non si può fare a meno di rilevare che nell’Istanza il sig. … ha indicato espressamente le ragioni poste a fondamento dell’accesso, individuate nell’esigenza di tutelare la propria sfera giuridico professionale avverso la lesione provocata dalla dismissione dall’Organico CAN “A”. Ragioni che dimostrano l’esistenza di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti per i quali è chiesto l’accesso. Tra l’altro con la memoria del 19.2.2019, il ricorrente, ha altresì chiarito che la documentazione richiesta risulta necessaria al fine di verificare la correttezza delle graduatorie, la veridicità degli elenchi contenuti nei fogli excel prodotti dall’AIA nell’ambito del giudizio avente a oggetto la prefata dismissione e la congruità delle contestazioni rispetto ai voti conseguiti. Tuttavia, stante l’interesse posto a fondamento dell’Istanza non sembra sussistere alcuna corrispondenza tra la situazione giuridicamente tutelata e la documentazione richiesta in relazione alle stagioni precedente a quella  del 2017/2018 al termine della quale è stata disposta la richiamata dismissione dalla CAN “A” dell’odierno ricorrente. Infatti, l’unica graduatoria rilevante ai fini della decisione appare quella relativa all’ultima stagione. Conseguentemente, anche al fine di non gravare eccessivamente l’AIA e di garantire l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa si ritiene che l’accesso debba essere limitato a tutta la documentazione richiesta relativa alla Stagione 2017/2018.

Massima:il Collegio non può fare a meno di aderire alle eccezioni delle difese dell’AIA, in relazione alle censure di asserita violazione della disciplina del c.d. nuovo accesso civico e del D.Lgs. n. 97/2016. Tali censure sono, infatti, irrituali e tardive, in quanto proposte per la prima volta dal ricorrente con la memoria del 19.2.2019, oltre che infondate, dal momento che l’istanza è stata espressamente proposta ai sensi degli art. 22 e ss. della l. n. 241/1990. In merito alla non sovrapponibilità dei due accessi la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che si tratta di due istituti distinti ed autonomi che operano sulla base di norme e presupposti differenti (da ultimo, Tar Lazio, Rm, I bis, 5.2.2019, n. 1458). Non appaiono condivisibili, invece, le argomentazioni delle Difese dell’AIA secondo le quali il regime dell’accesso di cui alla l. n. 241/1990 non troverebbe applicazione nel caso di specie stante la natura privata dell’A.I.A. e il rilievo meramente endofederale dell’attività di promozione e dismissione degli arbitri dai vari ruoli tecnici. Innanzitutto, la giurisprudenza (amministrativa e endofederale) richiamata non sembra conferente, in quanto non ha ad oggetto l’applicazione dell’accesso ex l. n. 241/1990 e l’asserita carenza di rilievo pubblicistico dei provvedimenti di reintegro o dimissioni degli arbitri delle competizioni professionistiche, bensì la diversa questione relativa alla sussistenza della giurisdizione statale sulle controversie relative ai predetti provvedimenti di reintegro o dimissioni degli arbitri (Così la sentenza del Tar Lazio n. 10308/2016, erroneamente riportata come 10306; anche Cons. St. n. 2333/2009; Tar Lazio, n. 8607/2014; Tar Lazio n. 10911/2007). Del resto, il Tar del Lazio ha recentemente ribadito che le componenti della FIGC (tra le quali si annovera anche l’AIA, che partecipa all’assemblea elettorale e siede in Consiglio Federale) sono “sottoposte all’applicazione della normativa in materia di accesso documentale, quando svolgono funzioni pubblicistiche”, tra le quali si “annoverano espressamente quelle relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati ed alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione” (Tar Lazio, Rm, I, 14.5.2018, 5361). Tra l’altro, questo Tribunale già con la precedente decisione pubblicata con il C.U. n. 17 (stagione sportiva 2017/2018), dalla quale non vi sono ragioni di discostarsi, ha affermato l’applicabilità dei principi di cui alla legge n. 241/1990 alle procedure di progressione e dismissione degli arbitri, trattandosi di attività avente una valenza pubblicistica, “dal momento che concernono la scelta e l’individuazione dei soggetti che devono garantire il corretto svolgimento delle competizioni, anche professionistiche”. Del resto, la dismissione di un tesserato AIA dalla CAN “A” assume certamente un rilievo pubblicistico trattandosi della scelta dei soggetti che devono garantire il corretto svolgimento delle competizioni professionistiche, oggetto anche delle scommesse sportive. Tra l’altro tale fattispecie appare assimilabile alle attività aventi certa rilevanza pubblicistica elencate nel richiamato precedente del TAR, dal momento che si tratta di decisioni che incidono sul mantenimento della qualità di associato AIA e di componente della CAN “A”. Alla luce di tali considerazioni la legge n. 241/1990 risulta senz’altro applicabile all’Istanza, in quanto l’AIA nella specie risulta sussumibile nella categoria dei soggetti di diritto privato che esercitano attività di pubblico interesse.

Massima:infondate appaiono le eccezioni d’inammissibilità dell’Istanza in quanto generica o indeterminata. L’istanza, infatti, riporta puntualmente gli atti di cui viene chiesta l’ostensione e, anche laddove non indica espressamente i riferimenti, circoscrive la tipologia di documentazione oggetto di interesse (ad esempio, le “lettere di rilievo”, analoghe a quelle inviate al sottoscritto in data 5.2.2018 e 23.5.2018, rivolte agli arbitri appartenenti all’organico della CAN “A””). Del resto, nel caso di specie, la domanda di accesso non è finalizzata ad un controllo generalizzato dell’attività dell’AIA, bensì all’acquisizione dei documenti che, per quanto numerosi, appaiono comunque utili al sig. … – odierno ricorrente – per tutelare le proprie ragioni nell’ambito del giudizio avente a oggetto la propria dismissione.

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