Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. –  Sezione Terza: Decisione n. 119 del 23/12/2021

Decisione impugnata: Decisione della Corte Federale di Appello della FIGC n. 116/CFA/2020-2021 Registro Reclami, n. 085/CFA/2020-2021 Registro Decisioni, depositata il 4 marzo 2021, con la quale è stato respinto il reclamo, sollevato in data 18 febbraio 2021, con cui i ricorrenti chiedevano la integrale riforma della decisione del Tribunale Federale Nazionale, Sezione Disciplinare, n. 102 del 12 febbraio 2021, con la quale veniva respinto il ricorso, presentato in data 09 gennaio 2021, in quanto inammissibile. I ricorsi avevano ad oggetto la declaratoria di nullità e/o annullamento ed inefficacia, previa adozione di misure cautelari, anche monocratiche, per gravi irregolarità dell’Assemblea Ordinaria elettiva del Comitato Regionale Lombardia della Lega Nazionale Dilettanti (di seguito, l’Assemblea), svoltasi in data 09 gennaio 2021.

Impugnazione Istanza: A. P. e altri/Comitato Regionale Lombardia Lega Nazionale Dilettanti/C. T./P. R./C. G./Federazione Italiana Giuoco Calcio/Corte d’Appello FIGC/Lega Nazionale Dilettanti e altri

Massima: E’ inammisssibile il ricorso al Collegio di Garanzia avverso la decisione della CFA che a sua volta aveva confermato l’inammisssibilità dei ricorsi per la declaratoria di nullità dell’Assemblea del Comitato Regionale in quanto mancante della notifica ai controinteressati. …. il Collegio intende stabilire se – come sostenuto dalla ricorrente - la CFA, nel respingere il reclamo proposto dagli odierni ricorrenti, abbia violato le norme del CGS del CONI, nonché le norme statutarie e regolamentari della FIGC e della LND. Al riguardo, è opportuno rammentare che la cognizione del Collegio di Garanzia è ammessa, ai sensi dell’art. 54, comma 1, CGS CONI, esclusivamente per la violazione di norme di diritto e per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, che abbia formato oggetto di disputa tra le parti. Inoltre, in virtù del richiamo che l’art 2, comma 6, CGS del CONI opera nei confronti delle norme generali del processo civile, il Collegio deve conformarsi all’art. 360 c.p.c. e qualificare il ricorso ad esso proposto come mezzo di impugnazione a critica vincolata. Ne segue che al Collegio è preclusa la possibilità di rivalutare eccezioni, argomentazioni e risultanze istruttorie acquisite nella fase di merito, al fine di rispettare l’ordine dei gradi di giustizia (ex multis, Collegio di Garanzia, SS.UU., nn. 93/2017 e 16/2016; Collegio di Garanzia, Prima Sezione nn. 30/2018 e 86/2017; Collegio di Garanzia, Quarta Sezione, n. 26/2016). Sulla base di queste premesse, occorre valutare se la sentenza della CFA, che ha applicato il principio della ragione più liquida desumibile dagli articoli 24 e 111 Cost., in ossequio ad esigenze di economia processuale e celerità del processo, rigettando una prima eccezione e decidendo la controversia con una dichiarazione di irricevibilità del secondo motivo di ricorso ritenuto assorbente ai fini del reclamo, abbia violato norme di legge o abbia omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Esaminati i quattro motivi di ricorso proposti davanti a questo Collegio, può concludersi per la loro inammissibilità, sottolineando, peraltro, che la dichiarazione di irricevibilità del motivo posto a sostegno della decisione da parte della CFA è del tutto condivisibile. Quanto al primo motivo di ricorso, esso è palesemente inammissibile perché viene chiesto al Collegio di svolgere un’indagine in fatto sull’asserito diniego di accesso agli atti del procedimento. Identica sorte va riservata anche all’ultimo motivo di ricorso, non solo per la sua genericità, ma anche perché, dietro lo schermo della omessa motivazione di ulteriori motivi di reclamo, si cela una inammissibile richiesta di svolgimento di una nuova valutazione dei fatti oggetto della controversia. Anche il secondo motivo, avente ad oggetto l’asserita violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di ultrapetizione, e di violazione dell’art. 112 Cost., è inammissibile. La CFA si è limitata a considerare non ricevibile il ricorso, fermo l’obbligo, per ognuno dei proponenti del reclamo collettivo, di corrispondere il contributo per l’accesso alla giustizia sportiva. In questa prospettiva, non sussiste la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato perché il giudice, qualificando giuridicamente i fatti in modo diverso rispetto alla prospettazione offerta dal ricorrente, si è comunque pronunciato in ordine alla domanda proposta; né tantomeno sussiste la violazione dell’art.112 Cost., e di riflesso, il vizio di ultrapetizione, non avendo il giudice pronunciato oltre i limiti delle pretese ed eccezioni fatte valere dalle parti. Quanto, invece, all’ulteriore motivo, avente ad oggetto la violazione o falsa applicazione dell’art. 2 CGS del CONI e dell’art. 44 CGS della FIGC, nonché la violazione dell’art. 31, comma 1, CGS del CONI e dell’art. 86, comma 1, del CGS della FIGC, la motivazione della CFA è, ad avviso del Collegio, immune da qualsiasi vizio logico, tenuto conto che il ricorso collettivo, essendo un mezzo di natura del tutto eccezionale, può essere fatto valere esclusivamente nei limiti in cui il medesimo risulti previsto. A tale riguardo, la motivazione della CFA è, anche per questo verso, immune da ogni censura laddove, richiamando l’art. 86 CGS FIGC, sottolinea che per l’impugnazione di una delibera assembleare occorre essere titolari di una situazione giuridica protetta dall’ordinamento federale. Il diritto fatto valere dai ricorrenti, a tale riguardo, non integra l’ipotesi prevista per un ricorso collettivo, ma al più avrebbe ad oggetto la proposizione di ricorsi individuali di ciascuno dei ricorrenti con le relative conseguenze che ne discendono in termini di ammissibilità di un unico ricorso, anziché di autonomi ricorsi individuali, peraltro, soggetti alla prova di resistenza, come richiamato correttamente dalla CFA.

Decisione C.F.A. – Sezione I: Decisione pubblicata sul CU n. 90/CFA del 6 Aprile 2021 (motivazioni)

Decisione Impugnata: Decisione del Tribunale federale nazionale – Sezione disciplinare n. 105, comunicata il 19.02.2021

Impugnazione – istanza:  Avv. A.M.E. e Sig. C.D.A./C.R. BASILICATA ed altri

Massima: ….. il ricorso originario e il reclamo, anche se proposti collettivamente mediante il deposito di un unico atto, sono in realtà diretti, sia sotto un profilo formale che sostanziale, a far valere in giudizio posizioni differenziate e autonome. Ne discende, nel caso di specie, che il contributo per l’accesso alla giustizia sportiva avrebbe dovuto essere versato da ognuno dei reclamanti, il che, in linea con quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione n. 85/CFA/2020-2021, determina non l’irricevibilità del reclamo, ma l’obbligo del tempestivo pagamento del contributo omesso.

 

DECISIONE C.F.A. – SEZIONI UNITE:  DECISIONE N. 085 CFA dell'11 Marzo  2021

Decisione Impugnata:  Decisione del Tribunale federale nazionale, sezione disciplinare n. 102 del 12 Febbraio 2021;

Impugnazione – istanza: Sig. P.A. ed altri/CR Lombardia ed altri)

Massima: Il ricorso è respinto in quanto proposto come ricorso collettivo si rinvengono censure di carattere non omogeneo perché espressione di interessi non necessariamente omogenei tra i vari reclamanti, riguardano atti differenti . Orbene, com’è noto, la proposizione del ricorso collettivo rappresenta una deroga al principio generale secondo il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione. Di conseguenza, ai fini della ammissibilità del ricorso collettivo, occorre che vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali e cioè che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi (Cons. Stato, sez. IV, 27 Gennaio 2015 n. 363; sez. VI, sent. 18 luglio 1997, n.1129; Cons. Stato, sez. IV, 14 Ottobre 2004, n.6671; Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2010, n. 5928; T.a.r. Lazio, sez. III bis, 20 Novembre 2020, n. 12242). Pertanto, la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di precisi requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo: i primi sono rappresentati dall’assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di una parte dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con quella degli altri; i secondi consistono, invece, nell’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi (Cons. Stato, sez. IV, 29 Dicembre  2011, n. 6990). Occorre, al riguardo, precisare che l’affermazione secondo la quale il ricorso collettivo deve essere inteso come una “deroga” al principio generale secondo il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione, non significa che principio generale del processo sia l’esercizio “singolare” del diritto di azione da parte di ciascun titolare di una posizione giuridica per la quale si richiede tutela giurisdizionale (norme che consentono una proposizione congiunta sono quelle in tema di connessione presenti sia nel codice di procedura civile - artt. 31-36, art. 40 c.p.c. - che in quello amministrativo - art. 70 c.p.a.). Ciò che consente a più soggetti di agire in giudizio per il tramite di un solo strumento di “vocatio” – assumendo “collettivamente” la qualità di parte attorea ovvero di parte ricorrente - è la identità di posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela: in questo senso, più titolari in comunione di un diritto reale potranno agire “collettivamente” in giudizio per la tutela del loro diritto da aggressioni e/o compromissioni ovvero per il risarcimento del danno eventualmente subito, così come più titolari di un medesimo diritto di credito con un solo atto processuale potranno richiedere la condanna del debitore all’adempimento della propria obbligazione. Tale situazione, tuttavia, più che “derogatoria” di un principio generale, costituisce una ipotesi ordinaria di esercizio del potere di azione, proiezione in sede processuale di una situazione sostanziale identica, accomunante tutti gli attori, ricorrenti o reclamanti. In questo contesto anche la giurisprudenza amministrativa - come si è visto - indica ai fini dell’ammissibilità del ricorso collettivo, “identità di situazioni sostanziali e processuali”, individuando tale identità nella circostanza che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi. Più precisamente, ciò comporta: per un verso, la “identità” della posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela in giudizio, intendendosi per “identità” la riconducibilità di tutte le posizioni alla medesima tipologia posta dall’atto di esercizio del medesimo potere amministrativo; per altro verso, la “identità” del tipo di pronuncia richiesto al giudice; per altro verso ancora, la “identità” degli atti impugnati, nel senso che tutti gli atti oggetto di impugnazione siano “comuni” a tutti i ricorrenti, cioè siano tutti (e ciascuno di essi) egualmente lesivi di “identiche” situazioni giuridiche (infatti, se l’identità delle posizioni giuridiche soggettive deve essere ricercata nel “tipo” di potere esercitato, ad identità - così definita - di posizioni non può che corrispondere, specularmente, “identità” di atti impugnati); infine, la identità dei motivi di censura rivolti avverso gli atti impugnati, che rappresenta una evidente conseguenza di quanto ora esposto. L’identità di posizione giuridica sostanziale, per la quale si richiede la tutela giurisdizionale è data dalla identità del momento genetico, di modo che tutte le situazioni giuridiche possono richiedere tutela attraverso lo stesso (ed unico) strumento processuale, ferma la necessaria presenza degli altri requisiti richiesti, il che – lo si ribadisce – comporta identità del provvedimento richiesto al giudice, identità degli atti lesivi impugnati e medesimi motivi di ricorso. Ed infatti l’eventuale esistenza di atti non lesivi della sfera giuridica di tutti i ricorrenti ovvero di motivi di doglianza non comuni a tutti, costituisce evidente dimostrazione della presenza di diversificazione delle posizioni giuridiche sostanziali per le quali ciascuno di essi chiede tutela in giudizio. Nel caso di specie, le censure formulate dai reclamanti hanno carattere non omogeneo (come emerge dal diverso articolare della prova di resistenza per ognuno di loro), sono espressione di interessi non necessariamente omogenei tra i vari reclamanti, riguardano atti differenti (in quanto l’interesse a ricorrere di ognuno dei ricorrenti nasce dall’elezione di un altro tesserato con riferimento a una specifica posizione e richiede, quindi, l’annullamento di atti differenti). Ne discende, prescindendo quindi dall’esame dell’altro motivo di inammissibilità del ricorso, il rigetto del reclamo.

DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2024 Dirittocalcistico.it