F.I.G.C. – CORTE SPORTIVA D’APPELLO – Sezioni Unite – 2016/2017 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione pubblicata sul C. U. n. 114/CSA del 11 Aprile 2017 (motivazioni) relativa al C. U. n. 103/CSA del 16 Marzo 2017 (dispositivo) – RICORSO DELL’A.S.D. VITTORIA SPORTING FUTSAL LE SANZIONI: PUNIZIONE SPORTIVA DELLA PERDITA DELLA GARA CON IL PUNTEGGIO DI 0-6; SQUALIFICA FINO AL 31.12.2019 ALLA CALC. PALUMBO PATRIZIA, NONCHE’ AVVERSO L’OBBLIGO DEL VERSAMENTO DELLA SOMMA DI € 2.200,00 (COM. UFF. N. 104/2014 FIGC) INFLITTO ALLA RECLAMANTE; INFLITTE SEGUITO GARA VITTORIA SPORTING FUTSAL/VIGOR SAN CATALDO DEL 12.2.2017 (Delibera del Giudice Sportivo presso la Divisione Calcio a 5 – Com. Uff. n. 612 del 15.2.2017)
RICORSO DELL’A.S.D. VITTORIA SPORTING FUTSAL LE SANZIONI: PUNIZIONE SPORTIVA DELLA PERDITA DELLA GARA CON IL PUNTEGGIO DI 0-6; SQUALIFICA FINO AL 31.12.2019 ALLA CALC. PALUMBO PATRIZIA, NONCHE’ AVVERSO L’OBBLIGO DEL VERSAMENTO DELLA SOMMA DI € 2.200,00 (COM. UFF. N. 104/2014 FIGC) INFLITTO ALLA RECLAMANTE; INFLITTE SEGUITO GARA VITTORIA SPORTING FUTSAL/VIGOR SAN CATALDO DEL 12.2.2017 (Delibera del Giudice Sportivo presso la Divisione Calcio a 5 – Com. Uff. n. 612 del 15.2.2017)
Con decisione del 15.2.2017 il Giudice Sportivo presso la Divisione Calcio a 5 ha inflitto la squalifica fino al 31.12.2019 alla calciatrice Patrizia Palumbo della Vittoria Sporting Futsal per aver sferrato “un violento calcio al fianco sinistro [dell’arbitro], procurandogli lancinante dolore”.
Il medesimo Giudice ha altresì comminato alla società ricorrente “la punizione sportiva della perdita della gara col punteggio di 0 – 6, ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 17 comma 1 del C.G.S.” e ha condannato la stessa sia a “risarcire all’arbitro le spese mediche occorse, se richieste e documentate” sia “alla corresponsione della sanzione di cui al Com. Uff. n. 104A/2014 F.I.G.C., dovuta a seguito di atti di violenza perpetrati da un proprio tesserato nei confronti del direttore di gara”, sanzione quantificata in € 2.200,00.
In particolare dal rapporto dell’arbitro, sig. Vincenzo Brischetto di Acireale, si legge che al 19’ minuto del II tempo regolamentare la calciatrice è stata ammonita per proteste “a seguito di un fallo a proprio favore”, poiché ha richiesto “più volte il provvedimento disciplinare verso la calciatrice avversaria, rea di aver commesso il fallo di giuoco”. In seguito a tale ammonizione la calciatrice si è avvicinata al direttore di gara, puntandogli il dito sul petto e apostrofandolo con espressioni ingiuriose (“Sei una testa di cazzo, non capisci niente!”). Di conseguenza, l’arbitro non ha potuto esimersi dal mostrarle il cartellino rosso. Per reagire all’espulsione subita la calciatrice ha colpito l’arbitro con “un violento calcio al fianco sinistro”. I dirigenti di entrambe le società sono entrati in campo per bloccare la calciatrice, la quale cercava di raggiungere l’arbitro per colpirlo ulteriormente. La terna arbitrale si dirigeva quindi negli spogliatoi, non proseguendo più la gara a causa dello stato di scuotimento che aveva colto l’arbitro.
Propone ricorso la società Vittoria Sporting Futsal per difendere sé stessa e la calciatrice, chiedendo l’annullamento della punizione sportiva della sconfitta a tavolino, l’annullamento o la congrua riduzione dell’ammenda di € 2.200,00 e la riduzione della squalifica comminata alla sua tesserata Palumbo, deducendo la circostanza della sua specchiata condotta anteatta.
In particolare, la difesa della società qualifica il gesto violento della calciatrice come “pedata” e non come “calcio” e ritiene che sarebbe stato possibile portare a termine l’incontro, che vedeva fino a quel momento vincitrice la società ricorrente con il punteggio di 6-2, perché mancavano soltanto 72 secondi al fischio finale e perché la serenità in campo è stata ristabilita in soli 20 secondi (il tempo impiegato dai dirigenti di entrambe le società per condurre la Palumbo negli spogliatoi). Inoltre, la ricorrente rileva che il dolore subito dall’arbitro è stato momentaneo, giacché lo stesso ha rifiutato le cure che gli sono state offerte ed ha fatto ritorno autonomamente (e con la sua auto) ad Acireale.
Il reclamo è infondato e, per l’effetto, va rigettato per le seguenti considerazioni in diritto.
Per condotta violenta si intende un comportamento connotato da “intenzionalità e volontarietà miranti a produrre danni da lesioni personali o a porre in pericolo l’integrità fisica [...] che si risolve in un’azione impetuosa e incontrollata connotata da un’accentuata volontaria aggressività con coercizione operata su altri” (cfr. Corte giust. fed., in C.u. FIGC, 10 gennaio 2014, n. 161/CGF; nonché, Corte giust. fed., in C.u. FIGC, 18 gennaio 2011, n. 153/CGF; Corte giust. fed., in C.u. FIGC, 19 novembre 2011, n. 100/CGF; Corte giust. fed., 13 settembre 2010, cit.; e Corte giust. fed., in C.u. FIGC, 27 maggio 2010, n. 272/CGF).
La condotta tenuta dalla calciatrice Palumbo si sussume in tale fattispecie.
Su di essa vi è poco da aggiungere, trattandosi di un gesto gratuito, doloso e inopportuno, in quanto è stato commesso contro il direttore di gara, come disapprovazione per le sue scelte arbitrali e in seguito a gesti minacciosi e ad espressioni ingiuriose rivolte nei suoi confronti.
Dalla stessa cornice fattuale emerge, pertanto, l’intenzione della calciatrice di arrecare danni all’arbitro, corroborata anche dal fatto che i dirigenti e le altre calciatrici hanno dovuto bloccare la Palumbo con la forza al fine di evitare che la stessa potesse reiterare la sua condotta violenta.
Inoltre, la volontarietà di tale condotta emerge dal referto di gara, dal rapporto del secondo arbitro sig. Salvatore Cucuzzella di Ragusa (“notavo che entrambe le società bloccavano la calciatrice la quale voleva nuovamente aggredirlo non riuscendoci”) e dal rapporto del cronometrista sig. Filippo Pancrazi di Ragusa (“la giocatrice Palumbo Patrizia (…) cercava di venire a contatto per aggredire il collega arbitro con calci e pugni, non riuscendo nel suo intento perché bloccata con veemenza dalle giocatrici e dirigenti di entrambe le società”).
Spostando l’attenzione dal piano fattuale, dai cui elementi si deduce chiaramente la gravità del gesto della calciatrice, a quello normativo, bisogna soggiungere che l’articolo 19, comma 4, lettera d) del C.G.S., norma applicabile al caso di specie, fissa solo la cornice edittale minima della sanzione irrogabile in caso di condotta violenta nei confronti degli ufficiali di gara, quantificata in “otto giornate”, consentendo al giudice sportivo di aumentarla in presenza di circostanze aggravanti e di ridurla in caso di circostanze attenuanti.
Nel caso che ci occupa la difesa della calciatrice rileva l’esistenza della circostanza dell’assenza di precedenti in capo alla stessa.
Tuttavia, si è autorevolmente osservato che “la dedotta irreprensibilità della condotta anteatta nel settore sportivo dell’istante non può costituire elemento sintomatico dell’irragionevolezza o erroneità della decisione della Commissione” (cfr. Trib. naz. arb. sport, 23 aprile 2012, ist. n. 17/12, P.M. c. FIGC, in www.coni.it), ragion per cui si esclude valenza attenuante a tale circostanza.
Invero, non sembra che le circostanze non contestuali con i fatti, cioè sostanzialmente quelle inerenti la personalità e la vita anteatta dell’incolpato, possano assumere alcuna rilevanza ai fini della valutazione dell’entità della squalifica. Questa, infatti, dovrebbe essere
determinata essenzialmente alla luce degli specifici fatti contestati all’autore dell’infrazione.
Tant’è che il sistema sanzionatorio federale non individua forme di attenuanti generiche analoghe a quelle previste dall’ordinamento penale e che anzi attraverso l’istituto della recidiva i precedenti assumano rilevanza prevalentemente per determinare un aggravamento della posizione del soggetto responsabile di violazioni disciplinari (cfr. art. 19, comma 9).
Pertanto, esclusa la presunta attenuante evocata dalla difesa della calciatrice, le Sezioni Unite ritengono ragionevole, anche alla luce della cornice fattuale in cui si inserisce il gesto, della sua volontarietà e della sua gratuità, la scelta del giudice di prime cure di irrogare alla calciatrice Palumbo la squalifica fino al 31.12.2019, aumentando in tal modo a tempo determinato la sanzione- base di otto giornate, prevista dall’articolo 19, comma 4, lettera d) del C.G.S., norma applicabile al caso di specie.
Accertata la responsabilità della tesserata, il giudice di prime cure ha poi correttamente sanzionato la società Vittoria Sporting Futsal con la punizione sportiva della sconfitta a tavolino per 0-6.
Peraltro, il comma 1 dell’art. 17 costituisce evidente manifestazione di quelle esigenze di elasticità proprie di un sistema non penalistico come quello della giustizia sportiva. Tale disposizione disciplina, infatti, due distinte fattispecie sostanziali, il cui precetto è genericamente prescritto, alle quali seguono, tuttavia, differenti sanzioni ben definite (sul punto giova precisare che la determinatezza delle sanzioni irrogabili ha la funzione di bilanciare l’elasticità del precetto), che vengono irrogate automaticamente in capo alla società ritenuta responsabile dall’ordinamento, anche prescindendo da qualsivoglia valutazione del grado di partecipazione soggettiva al fatto (in tal senso milita il dato letterale secondo il quale “[l]a società ritenuta responsabile, anche oggettivamente”).
La prima fattispecie si ha nell’ipotesi in cui sussistano “fatti o situazioni che abbiano influito sul regolare svolgimento della gara o che ne abbiano impedito la regolare effettuazione”. Può affermarsi che la più grave delle ipotesi disciplinate dall’art. 17, comma 1 si verifica quando le situazioni riferibili alla società abbiano concretamente alterato il regolare svolgimento della gara ovvero siano state tali da impedirne lo svolgimento.
Come esempio concreto di tali situazioni impeditive, si consideri il caso delle aggressioni fisiche al direttore di gara, così gravi da incidere sulla sua serenità di giudizio, alterando in tal modo il regolare svolgimento della gara (cfr. App. fed., 5 aprile 2004, in C.u. FIGC, 6 aprile 2004, n. 41/C). Secondo la Corte di Giustizia Federale ricorrono tali circostanze quando si è in presenza di un’“oggettiva gravità di un evento che appare radicalmente estraneo al contesto di una gara sportiva necessariamente ispirata da principi di lealtà e correttezza” (cfr. Corte giust. fed., in C.U. FIGC, 20 giugno 2013, n. 309/CGF). In tali ipotesi la società ritenuta responsabile – anche oggettivamente – si vede comminare automaticamente la sanzione della perdita della gara stessa con il punteggio di 0-3, o di 0-6 per le partite di calcio a cinque ovvero con il punteggio conseguito sul campo dalla squadra avversaria, se a questa più favorevole, che, invece, consegue l’enorme vantaggio della vittoria della gara.
Ed è proprio in questa fattispecie di responsabilità oggettiva che si sussume la vicenda oggetto del ricorso de quo.
Come statuito dalla stessa Corte federale, infatti, per lo stesso fatto potrebbero aversi due sanzioni: “l’art. 17 CGS prevede proprio la possibilità di due separati procedimenti: uno relativo alla responsabilità della società, anche a titolo solo oggettivo, per la mancata disputa della gara, uno per le responsabilità personali, con ricaduta sulla società di appartenenza […] La disposizione prefigura dunque la possibilità di due procedimenti disciplinari, uno diretto a disporre delle conseguenze della mancata disputa di una gara, l’altro a sanzionare i tesserati che, in violazione dei doveri di lealtà, correttezza e probità, hanno causato tale mancata disputa” (cfr. Corte giust. fed., in C.U. FIGC, 28 dicembre 2012, n. 121/CGF).
Pertanto, le Sezioni Unite ritengono equa la sanzione sportiva della perdita della gara a tavolino per 0-6 inflitta alla società ricorrente.
Tuttavia, sono necessarie alcune precisazioni in merito alla lettera d) del dispositivo della sentenza di primo grado, la quale, ai sensi dell’art. 16, comma 4 bis del C.G.S., irroga alla società, ritenuta oggettivamente responsabile del comportamento della propria tesserata, la condanna al pagamento della sanzione di cui al Com. Uff. n. 104A/2014 F.I.G.C., dovuta per gli atti di violenza perpetrati dai propri tesserati nei confronti dell’arbitro.
In particolare, con il Com. Uff. n. 256/A del 27.1.2016, il Consiglio federale della F.I.G.C. ha approvato l’inserimento del comma 4 bis, in forza del quale “[g]li Organi di giustizia sportiva, operanti in àmbito dilettantistico e di Settore Giovanile, nelle decisioni riguardanti condotte violente nei confronti degli ufficiali di gara, devono specificare che le sanzioni comminate vanno considerate ai fini della applicazione delle misure amministrative a carico delle società dilettantistiche e di settore giovanile, deliberate dal Consiglio Federale per prevenire e contrastare tali episodi”.
È evidente come la riscritta novella trovi giustificazione nella necessità di adeguare la formulazione originaria della norma alla luce delle disposizioni di nuovo conio dettate al fine di prevenire e reprimere gli episodi di violenza a danno degli ufficiali di gara nelle competizioni dilettantistiche e giovanili.
Tali sanzioni amministrative, dovute dalle società all’A.I.A. per il tramite della F.I.G.C., sono legate al passaggio in giudicato di una delle sanzioni previste nello stesso C.U. n. 104A/2014, il quale afferma che “la prescrizione opererà se la società, nella competizione di riferimento, abbia visto comminate in via definitiva per i suddetti fatti, nella stagione sportiva, le seguenti sanzioni (…)”.
In questa prospettiva, va ribadita la natura prettamente amministrativa di tali sanzioni, ossia di sanzioni ulteriori rispetto a quelle disciplinari che sono ad esclusivo appannaggio degli Organi di giustizia sportiva. Le sanzioni previste nel Com. Uff. n. 104, infatti, vengono comminate a seguito di specifica valutazione compiuta dai preposti Organi federali sul comportamento tenuto dai tesserati del particolare sodalizio in tutto l’arco della Stagione Sportiva.
Tale normativa non si pone, dunque, in contrasto con gli artt. 16, comma 1, e 18 C.G.S., i quali concedono piena discrezionalità agli Organi di giustizia sportiva in merito alla tipologia e alla misura delle sanzioni. Il Com. Uff. n. 104, infatti, si limita a conferire un’ulteriore qualificazione ai fatti storici (i.e. i comportamenti dei giocatori) già sanzionati in sede disciplinare, con sentenza definitiva. Come ricorda attenta letteratura, allo stesso accadimento il diritto può attribuire una pluralità di qualificazioni prendendolo in considerazione in più norme e a diversi fini. Lo stesso fatto è quindi giuridicamente rilevante non soltanto e non necessariamente ad un sol fine, ma a più fini. Esso ha una diversa qualificazione giuridica, una diversa funzione secondo che rientri in uno o in un altro assetto di interessi. Questo chiarisce la differenza tra il fatto come evento, come accadimento, che è sempre soltanto uno, e le sue qualificazioni, che possono essere molteplici, come nel caso che ci occupa.
Per questo motivo il Giudice Sportivo presso la Divisione Calcio a 5 avrebbe dovuto soltanto indicare la sanzione amministrativa di cui all’art. 16, comma 4 bis, C.G.S. e non irrogarla direttamente, in quanto la sua pronuncia sarebbe stata poi soggetta al termine ordinario di impugnazione dinanzi alla C.S.A. e, quindi, la condanna non sarebbe passata in giudicato già all’esito del processo di primo grado.
Infine, in ordine al quantum della sanzione le Sezioni Unite valutano corretto il calcolo effettuato dal giudice di prime cure, secondo i crismi del Com. Uff. n. 104A/2014, per complessivi
€ 2.200,00.
Per questi motivi la C.S.A., Sezioni Unite, respinge il ricorso come sopra proposto dalla società Vittoria Sporting Futsal di Ragusa confermano la sentenza di primo grado.
Per quanto concerne la lettera d) del dispositivo della predetta sentenza, le Sezioni Unite della C.S.A. confermano la sanzione amministrativa di € 2.200,00, ivi irrogata, di cui al C.U. 104°/2014, ma specificano che quest’ultima dev’essere meramente indicata dal giudice di prime cure in quanto discende soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza sportiva di primo grado o di appello.
Dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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