F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONI UNITE – 2018/2019 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 55CFA DEL 29/11/2018 (MOTIVI) CON RIFERIMENTO AL COM. UFF. N. 041CFA DEL 25/10/2018 (DISPOSITIVO) RICHIESTA DI GIUDIZIO DEL PROCURATORE FEDERALE EX ART. 34, COMMA 11, LETT. D) STATUTO FIGC IN ORDINE ALLA SUSSISTENZA DEI REQUISITI DI ELEGGIBILITÀ ALLA CARICA DI CONSIGLIERE FEDERALE DEI SIGG.RI TOMMASI DAMIANO E CALCAGNO UMBERTO

RICHIESTA DI GIUDIZIO DEL PROCURATORE FEDERALE EX ART. 34, COMMA 11, LETT. D) STATUTO FIGC IN ORDINE ALLA SUSSISTENZA DEI REQUISITI DI ELEGGIBILITÀ ALLA CARICA DI CONSIGLIERE FEDERALE DEI SIGG.RI TOMMASI DAMIANO E CALCAGNO UMBERTO

Con istanza del 24.10.2018 il Procuratore Federale, in conseguenza della nota inviata in data 24 ottobre dal presidente della Associazione Italiana Calciatori, ha chiesto, ai sensi dell’art. 34, comma 11, lett. d), dello Statuto della FIGC, di pronunciarsi sulla sussistenza dei requisiti di eleggibilità alla carica di consigliere federale dei sigg.ri Damiano Tommasi e Umberto Calcagno.

In forza della citata disposizione, secondo cui la Corte federale d’Appello “su richiesta del Procuratore federale, giudica in ordine alla sussistenza dei requisiti di eleggibilità dei candidati alle cariche federali e alle incompatibilità dei dirigenti federali”, questa Corte è, infatti, nella presente sede, giudice di unico grado, conoscendo esclusivamente di una questione interna alla FIGC, rispetto alla quale quest’ultima dispone della più completa ed assoluta autonomia. Ne consegue, peraltro, che le pronunce in materia sono, come noto, per tali ragioni, definitive e non impugnabili.

Ciò premesso, occorre muovere, in fatto, dalla “valutazione preliminare”, di cui è notizia nella nota in data 9.10.2018, del Commissario Straordinario della FIGC, operata dal Collegio di Garanzia dello Sport, ai sensi dell’art. 4, comma 3, NOIF, anche con riferimento a quanto enunciato, con parere n. 6 del 1° ottobre 2018, dalla Sezione Consultiva dello stesso predetto Collegio, per effetto della quale Umberto Calcagno e Damiano Tommasi sono stati ritenuti privi dei requisiti di legge, «avendo già svolto tre mandati e non essendo in carica alla data di entrata in vigore della legge 11 gennaio 2018, n. 8».

La AIC, ritenendo che i due sopra indicati provvedimenti del Collegio di Garanzia siano privi di natura decisoria e giurisdizionale, ha quindi chiesto al Procuratore Federale di attivare, appunto, i propri poteri statutari al fine di accertare se i sigg.ri Calcagno e Tommasi abbiano o meno i requisiti di eleggibilità alla carica di consigliere federale per la medesima Associazione Italiana Calciatori, considerato che:

- come anche già affermato da questa Corte in precedente analogo giudizio (pubblicato sul C.U. n. 038/CFA in data 19 ottobre 2018), deve escludersi l’efficacia retroattiva del C.U. n. 63 del 31 agosto 2018 del Commissario Straordinario della FIGC;

- che i provvedimenti del Collegio di Garanzia si fondano su una interpretazione asseritamente letterale delle disposizioni di cui alle legge n. 8 del 2018;

- che, in ossequio all’art. 34, comma 11, lett. d), dello Statuto federale, «l’unico organo competente alla valutazione circa la sussistenza dei requisiti di eleggibilità dei consiglieri federali risulta essere la Corte Federale d’Appello FIGC, su istanza del Procuratore Federale»;

- che l’interpretazione resa dal Collegio di Garanzia appare confliggere con quanto previsto dall’art. 29 dello Statuto federale;

- che non può una norma di rango secondario modificare una norma di rango primario;

- che, come già evidenziato dalla Sezione Consultiva della Corte Federale d’Appello della FIGC, nel parere reso in data 1 ottobre 2018 e pubblicato sul C.U. n. 34/CFA, la norma di cui alla legge n. 8 del 2018 non può rivestire efficacia retroattiva.

La vicenda in esame ha origine dalle modifiche normative introdotte con legge 11 gennaio 2018, n. 8, che, all’art. 2, comma 1, così recita: «All'articolo 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, e successive modificazioni, il comma 2 è sostituito dal seguente: “Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate prevedono le procedure per l'elezione del presidente e dei membri degli organi direttivi, promuovendo le pari opportunita' tra donne e uomini. Il presidente e i membri degli organi direttivi restano in carica quattro anni e non possono svolgere più di tre mandati”».

Aggiunge la medesima disposizione: “Qualora le federazioni sportive nazionali e le  discipline sportive associate non adeguino i propri statuti alle predette disposizioni,  il  CONI,  previa  diffida, nomina un commissario ad acta che vi provvede entro sessanta giorni dalla data della nomina. Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate possono prevedere un numero di mandati inferiore al limite di cui al presente comma, fatti salvi gli effetti delle disposizioni transitorie in vigore”.

Nonostante tale procedura di adeguamento dello statuto – prevista dalla legge come obbligatoria ed ineludibile – non sia stata espletata, il Commissario Straordinario, all’atto della emanazione del regolamento elettorale volto a disciplinare le modalità dell’Assemblea federale fissata per il giorno 22 ottobre 2018, con C.U. n. 63 del 31 agosto 2018, ha previsto (art. 4, comma 2) che «il Presidente federale non può svolgere più di tre mandati. La preliminare verifica dei requisiti di legge in capo ai candidati alla presidenza federale è effettuata dal Collegio di Garanzia del Comitato Olimpico Nazionale Italiano» e che (art. 4, comma 3) «non può assumere la carica di Consigliere federale, in quanto membro dell’organo direttivo, chi abbia già svolto tre mandati (...) La preliminare verifica dei requisiti di legge in capo ai Consiglieri federali designati da ciascuna componente, e comunicati almeno sette giorni prima dell’assemblea elettiva, è effettuata dal Collegio di cui al precedente comma 2».

Nello stesso senso, con C.U. n. 62 del 31 agosto 2018, il Commissario Straordinario della FIGC ha deliberato di approvare le modifiche agli artt. 2, 3 e 4 delle Norme organizzative interne federali, così stabilendo, in particolare, per quanto qui rileva, all’art. 4, comma 3: «Non può assumere la carica di Consigliere federale, in quanto membro dell’organo direttivo, chi abbia già svolto tre mandati. Ciascuna componente promuove inoltre, anche in sede di elezione dei consiglieri federali, le pari opportunità tra donne e uomini. La preliminare verifica dei requisiti di legge in capo ai Consiglieri federali designati da ciascuna componente, è effettuata dal Collegio di Garanzia del Comitato Olimpico Nazionale Italiano».

È appena il caso, per inciso, di ribadire che lo Statuto della FIGC attribuisce esclusivamente alla CFA la competenza sui requisti di eleggibilità dei consiglieri FIGC. Competenza, questa, che resta, quindi, definitivamente preclusa al Collegio di Garanzia del CONI, non essendo prevista dallo stesso predetto Statuto FIGC.

Sia consentito, preliminarmente, osservare come l’art. 4, comma 3, delle NOIF, nella sua attuale formulazione, appare di dubbia legittimità, in quanto sembra violare il principio di autonomia delle Federazioni, nonché il principio di sussidiaretà orizzontale ex art. 118, ultimo comma, Costituzione – anche legislativamente alle stesse riconosciuti – nella parte in cui attribuisce ad un organo esterno (rectius: non federale) la competenza in ordine alla verifica dei requisiti di eleggibilità del Presidente e dei Consiglieri federali. In contrasto, peraltro, con lo Statuto che, invece, come detto, prevede, in materia, la competenza della Corte Federale d’Appello.

Orbene, ciò premesso in fatto ed in ordine al contesto normativo di riferimento, sia concesso, ancora in via preliminare, condividere qui i dubbi – già sollevati dalla Sezione Consultiva di questa Corte – sulla aderenza alla Costituzione delle disposizioni, in punto introduzione del limite ai mandati dei presidenti e dei consiglieri federali, come introdotti dalla legge n. 8 del 2018 anche per le Federazioni sportive nazionali.

Ha, a tal proposito, così osservato la Sezione Consultiva della Corte Federale d’Appello, nel parere pubblicato sul C.U. n. 034/CFA del 1 ottobre 2018: «Per quanto non specificamente rilevanti ai fini della deliberazione del presente parere ritiene, questa Corte, opportuno svolgere, in via preliminare, anche nella prospettiva del loro possibile rilievo incidentale, alcune brevi riflessioni sulle innovazioni (segnatamente, limite dei tre mandati per i presidenti ed i componenti degli organi direttivi delle Federazioni sportive) apportate dalla legge 11 gennaio 2018, n. 8.

A dispetto dell’apperente chiarezza dell’enunciazione normativa di cui alla disposizione  qui  in esame, ad una più approfondita lettura la stessa sembra in realtà sollevare una molteplice serie di perplessità ed interrogativi.

In tale prospettiva, occorre, anzitutto, rammentare come le Federazioni sportive nazionali siano delle associazioni di diritto privato. Autonomia e giuridicità dell’ordinamento sportivo, unitamente alla struttura essenzialmente associativa delle Federazioni sportive, hanno convinto già da  tempo  la dottrina a considerare privata la natura delle predette medesime Federazioni (cfr., tra gli alti, F.P. LUISO, Natura giuridica delle federazioni sportive nazionali e questioni di giurisdizione, nota a sentenza Pret. Novara, 15 dicembre 1979, in Giust. civ., 1980, I, p. 2545 ss.; P. DINI, Le basi dell’autonomia normativa nel diritto sportivo, in Riv. dir. sport., 1975, p. 229; R. PEREZ, Disciplina statale e disciplina sportiva nell’ordinamento dello sport, in Scritti in onore di M.S. Giannini, Giuffrè, Milano, 1988, p. 532 ss.).

In tale direzione, attenta dottrina ha posto anche l’accento sul momento genetico di siffatte associazioni, ossia la spontanea e volontaria aggregazione di società e persone per il perseguimento di un obiettivo comune: lo svolgimento di una data attività sportiva (cfr. I. e A. MARANI TORO, Gli ordinamenti di liberazione, in Riv. dir. sport., 1977, p. 143). Infatti, “l’ingresso di soggetti, persone fisiche o giuridiche ovvero entità non personificate, nella comunità sportiva avviene non già per atto di un’autorità dotata di poteri pubblicistici, bensì esclusivamente in base ad un atto di adesione spontanea alla comunità stessa e all’accettazione convenzionale, costituente manifestazione di autonomia negoziale privata, delle regole che gli organismi preposti alla organizzazione sportiva liberamente si sono dati” (così A. QUARANTA, Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, in AA.VV., Saggi di diritto sportivo, Giuffré, Milano, 1999, p. 28).

Dopo alcune oscillazioni della giurisprudenza, inizialmente divisa tra tesi pubblicistica e tesi privatistica, la tesi della natura privatistica delle Federazioni sportive nazionali ha avuto un primo sostanziale avallo normativo dall’art. 14 della legge n. 91/1981, secondo cui “le federazioni sportive nazionali sono costituite dalle società e dagli organismi ad esse affiliati e sono  rette  da  norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna. Alle federazioni sportive nazionali è riconosciuta l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del CONI”.

Il decreto legislativo n. 242/1999 ha, poi, definitivamente sancito la natura di associazioni di diritto privato delle Federazioni sportive nazionali, pur riconoscendo alle stesse “valenza pubblicistica» (anche attesa l’ampia potestà di controllo sulle medesime attribuita al CONI). Infatti, secondo l’art. 15, comma 2,  del predetto decreto legislativo, «le federazioni sportive nazionali hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto espressamente previsto nel presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo”.

Accanto alla natura essenzialmente privatistica delle Federazioni, pacifica (e codificata) è anche l’autonomia alle stesse riconosciuta dall’ordinamento giuridico generale. Questa premessa, che riassume decenni di conforme indirizzo giurisprudenziale, porta ad affermare, in linea generale, la niente affatto obbligata permeabilità dell’ordinamento federale ad ogni e ciascuna disposizione dell’ordinamento generale astrattamente applicabile alla singola fattispecie.

Ora, la materia dell’elettorato passivo è tipica delle istituzioni di diritto pubblico e, in particolare, delle cariche di natura politica o politico-amministrativa. Dunque, le limitazioni del numero dei mandati mal si prestano ad essere destinate ad un ambito la cui natura privatistica non sembra più in discussione. Occorrerebbe, dunque, sotto tale profilo, chiedersi, in via del tutto preliminare, se le disposizioni, sul punto, dettate dalla legge n. 8 del 2018 siano compatibili (rectius: costituzionalmente legittime) nella parte in cui le stesse sono (anche) indirizzate – per quanto qui interessa – alle Federazioni sportive nazionali, attesa, come detto, la loro natura di enti di diritto privato, cui l’ordinamento riconosce ampia autonomia organizzativa e normativa.

In altri termini, se la legge può legittimamente porre la limitazione (dei mandati di presidente e componente degli organi direttivi) con riferimento all’ente pubblico “CONI”, sorge il dubbio se possa fare altrettanto anche con riferimento alle associazioni private “Federazioni”. La disposizione di cui trattasi, riferita alle Federazioni, potrebbe essere, dunque, a rischio di tenuta costituzionale, non essendovi alcuna “copertura” da parte della nostra Carta fondamentale ed apparendo, quantomeno prima facie, in contrasto con le previsioni costituzionali in materia di libertà di associazione ed autonomia degli enti privatistici.

Occorre, poi, porsi il dubbio se il divieto di proposizione della candidatura alla carica di presidente federalo o componente di un organo direttivo della Federazione per chi abbia già ricoperto il medesimo ufficio per tre consiliature, non sia in contrasto con i principi costituzionali in materia e, segnatamente, con l’art. 51, comma 1, Costituzione, che in attuazione del principio di uguaglianza in materia di ammissione alle cariche elettive, assicura che alle stesse possano accedere “tutti i cittadini”. Per consolidata giurisprudenza costituzionale, infatti, “l’accesso alle cariche pubbliche deve ricevere la più ampia applicazione possibile, secondo la formula per cui “l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità l’eccezione”, in quanto strettamente connesso con un diritto politico fondamentale – il diritto  di elettorato passivo – cui la Corte ha riconosciuto carattere di inviolabilità.

Ragion per cui l’apposizione di un tetto ai mandati presidenziali, comprimendo di fatto la piena espansione di tale diritto, violerebbe l’articolo 51 Cost.” e sarebbe, dunque, “in forte odore di incostituzionalità” (così L. CASTELLI, Profili costituzionali del terzo mandato dei presidenti di regione).

L’attività dell’interprete non può, poi,  e  comunque,  prescindere  da  un  necessario  bilanciamento degli interessi  in gioco,  nella  prospettiva della  ricerca della  soluzione ermeneutica  che risulti legittima alla luce dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. “Vanno, in sostanza, bilanciati il  diritto  di elettorato passivo e la necessità che l’impiego pubblico debba essere ricoperto da chi abbia i requisiti necessari e adatti per espletare le funzioni di interesse pubblico che ad esso si connettono: alla discrezionalità legislativa deve accompagnarsi la ragionevolezza” (R. ROLLI, Le limitazioni al diritto  di elettorato passivo, in Istituzioni del federalismo, 2017, n. 1, p. 131).

In tal ottica, su un piano più generale, non si può trascurare di considerare che la previsione della ineleggibilità è misura che comprime un diritto fondamentale di ciascun cittadino, quello dell’elettorato passivo. Nel contempo, comprime il diritto essenziale della persona di contribuire allo sviluppo del Paese ed alla piena partecipazione alla sua vita politica, economica e sociale. In sintesi, di concorrere al processo democratico.

La dottrina ha, a tal riguardo, evidenziato che “l’esercizio  di  tale  diritto  è  connesso  al conseguimento  di  ulteriori  finalità  di  rilievo  costituzionale,  in  quanto  concretizza,  insieme  con  il  diritto di voto e con gli altri diritti politici, il principio di democrazia rappresentativa e deve svolgersi, pertanto, conformemente alle condizioni  prodromiche  poste  dal  legislatore,  tese  a  garantire  anche  altre esigenze” (V. PUPO, La disciplina dell’incandidabilità alle cariche elettive regionali e locali alla luce della più recente giurisprudenza; cfr. anche V. MARCENÒ, L’indegnità morale dei candidati e il suo tempo, in Giur. cost., 2014, 1, p. 624).

“Le limitazioni al diritto elettorale passivo si pongono a garanzia del benessere della collettività tutta cui si riconnette la necessità di perseguirne gli interessi generali pur sacrificando la libertà e un diritto fondamentale della persona. Limitare questo diritto fondamentale significa limitare e impedire la partecipazione, prescritta e garantita dai testi costituzionali, di un individuo alla titolarità delle cariche pubbliche e di governo, a concorrere in maniera libera ed uguale con i suoi simili a perseguire le finalità generali. Limitare il diritto di candidarsi si traduce parimenti nell’impedire di concorrere alla determinazione della politica attraverso i fenomeni associativi come i partiti politici i quali potrebbero “rifiutare”, per motivi di opportunità politica, l’iscrizione di una persona che incorre in una delle fattispecie preclusive alla candidatura” (R. ROLLI, Le limitazioni al diritto di elettorato passivo, in Istituzioni del federalismo, 2017, n. 1, p. 133).

A fronte di ciò, la nuova regola (in materia) del tetto ai mandati sembra basarsi sull’asserito presupposto di una migliore gestione del CONI e delle Federazioni sportive nazionali.

Ora, le limitazioni di un diritto costituzionale inviolabile sono ammesse solo nella misura in cui le stesse risultino strettamente indispensabili per la tutela di altri interessi di pari rango, e si rivelino, in tal ottica, ragionevoli e proporzionali a siffatto interesse, scongiurandosi il rischio che, con la ingiustificata compressione di un diritto inviolabile, siano operate alterazioni degli ordinari meccanismi di partecipazione di ciascun cittadino alla vita socio-politica del proprio Paese.

Ciò premesso, considerato che la verifica di legittimità costituzionale deve, anzitutto, essere effettuata alla luce del diritto di elettorato passivo, che l'art. 51 della Costituzione assicura in via primaria e generale, diritto che, appunto, lo stesso Giudice della legge ha ricondotto alla sfera dei diritti inviolabili sanciti dall'art. 2 della Costituzione (cfr. Corte Costituzionale, sentenze n. 571 del 1989 e n. 235 del  1988), non possono non sorgere  perplessità in  ordine alla legittimità costituzionale  della norma di cui trattasi, alla luce di un corretto contemperamento degli interessi (di rilievo costituzionale) in gioco.

Il bilanciamento effettuato, nel caso di specie, dal legislatore nell’introdurre la causa di ineleggibilità di cui trattasi, potrebbe, in altri termini, non essere ragionevole e non essere sorretto da una specifica ragion d’essere prevalente (non è chiaro quali siano i motivi di pubblico interesse idonei a giustificare la compressione di diritti costituzionalmente garantiti) alla luce degli indirizzi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale. Del resto, anche la stessa Corte Costituzionale, ha, in tale direzione, avuto modo di affermare che “le restrizioni del contenuto di un diritto inviolabile sono ammissibili solo nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituzionale, e ciò in base alla regola della necessarietà e della ragionevole proporzionalità di tale limitazione” (Corte Costituzionale, 6 maggio 1996, n. 141).

In definitiva, l’eccezione al principio dell’elettorato passivo potrebbe, nel caso di  specie,  non rivelarsi conforme a Costituzione».

Ciò osservato, occorre ora passare all’esame dell’oggetto del giudizio richiesto a questa Corte. Il quesito, come anticipato, è il medesimo: sussistono in capo ai sigg.ri Tommasi e Calcagno i requisiti di eleggibilità alla carica di consigliere federale?

Orbene, come già affermato da questa Corte in relazione ad analoga richiesta del Procuratore Federale relativa alla verifica della sussistenza dei requisiti di eleggibilità alla carica di consigliere federale del sig. Claudio Lotito (v. C.U. n. 38/A del 19 ottobre 2018), la modifica – come operata – dell’art. 4, comma 3, NOIF sembra in contrasto con lo Statuto. Infatti, la novella di cui trattasi avrebbe dovuto essere dapprima introdotta nello Statuto federale, attraverso l’adozione del relativo iter specificamente ed appositamente disciplinato per le modifiche statutarie, anche alla luce delle esigenze di osservanza delle garanzie a tal riguardo previste dall’Ordinamento federale.

Del resto, a ben vedere, la stessa disposizione  legislativa  di  cui  trattasi  (legge  n.  8  del  2018)  si rivolge espressamente agli Statuti delle Federazioni.  Infatti,  l’art.  2,  comma  1,  così  recita:  «Gli  statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate prevedono …».

Sotto siffatto angolo visuale deve, dunque, qui ribadirsi come le disposizioni della legge n. 8 del 2018 difettino di diretta efficacia precettiva nei confronti dei singoli tesserati. Come detto, infatti, i destinatari della novella legislativa sono le Federazioni e le Discipline sportive associate, che dovranno, appunto, provvedere ad apportare le relative necessarie modifiche agli Statuti, con correlata indicazione, quindi, del limite dei tre mandati.

Conferma se ne trae dalla circostanza che la medesima legge di cui trattasi prevede un meccanismo di chiusura del sistema, a garanzia dell’effettività della riforma. Così, infatti, dispone l’art. 2: «Qualora le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate non adeguino i propri statuti alle predette disposizioni, il CONI, previa diffida, nomina un commissario ad acta  che  vi provvede entro sessanta giorni dalla data della nomina. Gli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate possono prevedere un numero di mandati inferiore al limite di cui al presente comma, fatti salvi gli effetti delle disposizioni transitorie in vigore».

In definitiva, quindi, le Leghe e le Componenti tecniche, per quanto riguarda il contesto federale di cui trattasi, saranno tenute ad adeguare i loro rispettivi statuti e/o regolamenti elettorali che presiedono alla nomina / elezione degli organi direttivi, compresi i consiglieri federali, non appena la FIGC avrà adeguato il proprio Statuto alle disposizioni della legge sopra ricordata.

Se ne desume che la regola introdotta con il C. U. n. 62 del 31 agosto 2018 dal Commissario straordinario della FIGC e, segnatamente, per quanto qui rileva, l’art. 4 delle NOIF («non può assumere la carica di Consigliere federale, in quanto membro dell’organo direttivo, chi abbia già svolto tre mandati») e quella correlata di cui al C.U. n. 63 del 31 agosto 2018 («ai sensi dell’art. 2 della Legge 11 gennaio 2018, n. 8, non può assumere la carica di Consigliere federale, in quanto membro dell’organo direttivo, chi abbia già svolto tre mandati»)  appaiono in contrasto con lo Statuto  federale  tuttora vigente. Questo, infatti, al momento, non prevede alcuna limitazione relativa al numero dei mandati dei Consiglieri federali.

In particolare, l’art. 26, comma 4, dello Statuto FIGC così recita: «L’elezione dei Consiglieri federali da parte delle Leghe nonché da parte degli atleti e dei tecnici, avviene prima della data fissata per lo svolgimento dell’Assemblea federale elettiva secondo i regolamenti elettorali emanati rispettivamente dalle Leghe e dalle associazioni rappresentative delle Componenti tecniche».

Passando, ora, alla disamina della fattispecie dedotta in giudizio, questa Corte ritiene che una lettura costituzionalmente orientata delle regole introdotte con i sopra ricordati C.U. del 31 agosto 2018 conduca ad affermare che le stesse non possano, nel caso di specie, rivestire efficacia retroattiva.

In tale prospettiva occorre prendere atto del fatto che in data 1 ottobre 2018 (quindi, «prima della data fissata per lo svolgimento dell’Assemblea federale elettiva», come, appunto, espressamente previsto dallo Statuto federale), sulla base ed in forza delle vigenti disposizioni regolamentari interne, l’Associazione Italiana Calciatori ha provveduto alla elezione, di competenza, dei componenti del Consiglio federale.

Orbene, atteso che lo Statuto della FIGC dispone espressamente che l’elezione dei Consiglieri federali da parte delle Leghe e delle Componenti tecniche avvenga, prima della data fissata per lo svolgimento dell’Assemblea federale elettiva, secondo i rispettivi regolamenti elettorali, ne consegue che le elezioni dei consiglieri AIC Tommasi e Calcagno, in seno al costituendo Consiglio federale, effettuate in base al regolamento elettorale interno vigente, sono, dunque, pienamente  valide  ed efficaci.

Occorre, poi, sotto altro profilo, considerare che, come già osservato dalla Sezione Consultiva di questa Corte Federale d’appello, «deve ritenersi che la legge n. 8 del 2018 abbia (e non possa avere che) disposto per il futuro. Dunque, la regola del tetto dei tre mandati non può che operare per il futuro e non può, invece, anche riferirsi a tutti coloro che abbiano già svolto in passato tre mandati quale – per quanto qui rileva – presidente o consigliere federale.

In tale direzione, del resto, non occorre dimenticare che la Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato che “l'eleggibilità è la regola, e l'ineleggibilità l'eccezione” (cfr., ad esempio, sentenze n. 46/1969 e n. 141/1996). Ne consegue anche che le disposizioni che derogano al principio della generalità del diritto elettorale passivo non possono che essere di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti di quanto è necessario ai fini della soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse cui le medesime sono preordinate.

Proprio in tale direzione, si è – di recente – anche pronunciato, in analaga fattispecie, il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza in data 21 giugno 2018» (CFA, Sezione Consultiva, C.U. n. 034/CFA del 1° ottobre 2018).

«Del resto», afferma ancora la Sezione Consultiva della Corte, «in una prospettiva ermeneutica, gli elementi testuali, da un lato, e quelli logico-sistematici, dall’altro, devono essere composti, in  un rapporto dialettico, in funzione della ragionevolezza della soluzione interpretativa, alla luce dei principi propri dell’ordinamento giuridico generale. Rapporto dialettico, questo, che, peraltro, affonda le sue radici e trova formale codificazione nell’art. 12 delle preleggi, che pur nella sua non perfetta formulazione, fa sicuro riferimento tanto al dato letterale, quanto alla ratio legis riassunta nella formula della “intenzione del legislatore”.

Si aggiunga, peraltro, che l’interpretazione dei profili testuali della norma deve essere condotta senza il pregiudizio che ogni e qualsiasi termine sia stato usato dal legislatore nel suo significato proprio e in modo sempre tecnico. Ogni termine, del resto, può assumere diversi significati o diverse sfumature anche in ragione del relativo contesto di riferimento.

La disposizione normativa che introduce il limite dei tre mandati non può, dunque, che essere interpretata alla luce dei consueti canoni ermeneutici. Muovendo, pertanto, dalla non rigorosa struttura letterale e linguistico-concettuale della disposizione, tenuto conto che la legge non dispone che per l’avvenire, all’esito di una analisi interpretativa che passando per la ricostruzione spazio- temporale dell’enunciato normativo, avuto anche riguardo al contesto politico-sportivo nel quale lo stesso interviene, deve giungersi, ad avviso di questa Corte, ad una interpretazione teologico- sistematica necessariamente fondata sulla ricerca della ratio della disposizione all’interno delle tradizionali regole di base dell’ordinamento giuridico e del complesso sistema logico-normativo. Tale percorso interpretativo depone nel senso che il limite all’espletamento dei mandati di cui trattasi non possa valere per il passato (per chi, cioè, abbia già svolto in passato tre incarichi quale presidente o consigliere federale) e possa (i.e. debba) essere applicato (solo) a coloro che, dal momento dell’entrata in vigore della legge di cui trattasi (o del relativo recepimento nello statuto federale) svolgeranno tre mandati».

Orbene, ciò premesso, considerato che la disposizione qui in esame della legge n. 8 del 2018 non può ritenersi rivestire efficacia retroattiva, attesa la particolarità, in fatto, della fattispecie sopra descritta, occorre procedere ad una lettura della disposizione di cui al novellato art. 4, comma 3, NOIF che sia legittima ed aderente ai principi generali dell’ordinamento giuridico statale e dello stesso Statuto federale.

In difetto di una specifica regolamentazione transitoria, la disciplina del caso concreto non può, di conseguenza, che essere ricostruita dall’interprete alla luce dei principi generali sopra indicati e del criterio della interpretazione in bonam partem, anche considerato che si tratta, come sopra già evidenziato, di norme che incidono su diritti fondamentali della persona (libertà di elettorato passivo).

Percorso ermeneutico, questo prima tracciato, che conduce a ritenere che l’elezione dei sigg.ri Damiano Tommasi e Umberto Calcagno quale consigliere federale designato per l’Associazione calciatori, già avvenuta con le modalità sopra descritte, sia legittima ed efficace e non si ponga in contrasto con una lettura legittimamente orientata del disposto di cui all’art. 4, comma 3, NOIF.

Ciò detto, in via generale, occorre ulteriormente evidenziare, con riferimento alla specifica posizione del sig. Damiano Tommasi, che quest’ultimo risulta essere presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. In tale veste e qualità, dunque, lo stesso, anche alla luce del principio di democrazia, appare componente necessario del Consiglio federale. Ne consegue che, nei confronti del presidente dell’AIC, ed a maggiore ragione per il presidente di una Lega, a stretto rigor di termini, non sembra porsi neppure l’esigenza di una “preliminare verifica” dei requisiti di eleggibilità. Infatti, l’art. 26 dello Statuto FIGC così recita: «Il Consiglio federale si compone, senza possibilità di delegare ad altri la partecipazione, oltre al Presidente federale, di diciannove componenti eletti in numero di: a) sei dalla Lega Nazionale Dilettanti, ivi compreso il Presidente della Lega; b) sette dalle Leghe professionistiche, ivi compresi i rispettivi Presidenti, ripartiti in numero di tre per la Lega Nazionale Professionisti Serie A, uno per la Lega Nazionale Professionisti Serie B, tre per la Lega Italiana Calcio Professionistico». Non vi è dubbio, pertanto, che i presidenti delle Leghe sono componenti necessari del Consiglio federale e altrettanto, deve ritenersi possibile affermare per i presidenti delle Componenti tecniche, non essendovi ragione di differenziare, sotto questo profilo, il contributo di partecipazione alla gestione della FIGC delle Leghe rispetto a quella delle Componenti tecniche.

In conclusione, la C.F.A., su richiesta del Procuratore Federale, ex art. 34, comma 11, lett. d), dello Statuto della FIGC, giudica sussistenti, per tutte le argomentazioni sopra in sintesi rappresentante, i requisiti di eleggibilità del sig. Umberto Calcagno alla carica di Consigliere federale per la Associazione Italiana Calciatori e dichiara, altresì, che sussistono, in capo al sig. Damiano Tommasi, i requisiti per far parte del Consiglio federale.

Per questi motivi la C.F.A., su istanza del Procuratore Federale, ex art. 34, comma 11 lett. d) dello Statuto della FIGC, accerta e dichiara, per tutte le argomentazioni esposte in motivazione, che sussistono i requisiti di eleggibilità dell’avv. Umberto Calcagno quale Consigliere federale per l’Associazione Italiana Calciatori. Accerta e dichiara, altresì, che sussistono i requisiti in capo al Presidente dell’AIC, sig. Damiano Tommasi, per far parte del Consiglio federale.

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