F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONE IV – 2018/2019 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 98/CFA DEL 08/05/2019 MOTIVI CON RIFERIMENTO AL COM. UFF. N. 088/CFA DELL’11 APRILE 2019 RICORSO DELLA SOCIETA’ ACF FIORENTINA SPA AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO PROPOSTO NEI CONFRONTI DELLE SOCIETÀ AC PERUGIA CALCIO SRL E ATALANTA BC SPA, RELATIVO ALLA RICHIESTA DI PAGAMENTO DELL’IMPORTO RESIDUO DEL PREMIO DI RENDIMENTO RIFERITO AL CALCIATORE MANCINI GIANLUCA, DERIVANTE DA ACCORDO DELL’1.8.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Vertenze Economiche – Com. Uff. n. 15/TFN SVE del 6.3.2019)

RICORSO DELLA SOCIETA’ ACF FIORENTINA SPA AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO PROPOSTO NEI CONFRONTI DELLE SOCIETÀ AC PERUGIA CALCIO SRL E ATALANTA BC SPA, RELATIVO ALLA RICHIESTA DI PAGAMENTO DELL’IMPORTO RESIDUO DEL PREMIO DI RENDIMENTO RIFERITO AL CALCIATORE MANCINI GIANLUCA, DERIVANTE DA ACCORDO DELL’1.8.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Vertenze Economiche - Com. Uff. n. 15/TFN SVE del 6.3.2019)

Con ricorso in data 13 marzo 2019 la società ACF Fiorentina s.p.a., come rappresentata e difesa, ha chiesto l’annullamento e/o la riforma della decisione del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Vertenze economiche, di cui al Com. Uff. 15/TFV – SVE del 6 marzo 2019, che ha rigettato il reclamo proposto dalla stessa medesima società nei confronti delle società AC Perugia Calcio s.r.l. ed Atalanta Bergamasca Calcio S.p.A..

È opportuno premettere, prima di procedere all’esame dell’odierna controversia, una rapida sintesi dell’iter del precedente procedimento disciplinare che ha avuto ad oggetto i fatti dedotti nel presente giudizio, in funzione del possibile rilievo o utilità dello stesso ai fini della decisione da assumere da parte di questa Corte.

A seguito di esposto presentato dalla società A.C. Fiorentina in data 4 dicembre 2017 la Procura Federale procedeva agli accertamenti di rito in ordine ad alcuni accordi di trasferimento di calciatori conclusi tra le società A.C. Perugia Calcio s.r.l. e Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a. Ad avviso della esponente, infatti, le predette operazioni avrebbero determinato un danno economico nei confronti della stessa medesima società.

Acquisita, da parte della Procura Federale, documentazione relativa a variazioni di tesseramento, accordi ecoomici ed altro materiale, disposte alcune audizioni di diversi soggetti implicati in tali operazioni o a conoscenza dei fatti, la Procura Federale, esclusa qualsivoglia verosimile ricostruzione alternativa dei fatti oggetto di indagine, riteneva sussistere sufficienti elementi probatori atti a comprovare la illiceità, per quanto qui rileva, delle condotte dei Sigg.ri Santopadre Massimiliano, Goretti Roberto, Percossi Luca, Sartori Giovanni, A.C. Perugia Calcio s.r.l., e Atalanta Bergamasca Calcio S.p.a.

La Procura Federale, con atto in data 7 giugno 2018 ha, dunque, deferito dinanzi al Tribunale Federale Nazionale, sezione disciplinare, i Sigg.ri:

- Santopadre Massimiliano, nella sua qualità di Presidente della società A.C. Perugia calcio s.r.l., nonché amministratore delegato della stessa all’epoca dei fatti, per la violazione dell’art. 1 bis, comma 1, CGS, che prevede che Le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici, gli ufficiali di gara e ogni altro soggetto che svolge attività  di  carattere  agonistico,  tecnico,  organizzativo,  decisionale  o comunque rilevante  per  l’ordinamento  federale,  sono  tenuti  all’osservanza  delle  norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”, nonché dell’art. 8, comma 2, CGS, secondo cui “Costituiscono altresì illecito amministrativo i comportamenti comunque diretti a eludere la normativa federale in materia gestionale ed economica, nonché la mancata esecuzione delle decisioni degli organi federali

competenti in materia”, per avere sottoscritto in data 12.1.2017 il contratto di cessione del calciatore Gianluca Mancini con la società Atalanta Bergamasca Calcio S.p.A. indicando il valore fittizio di cessione di € 200.000,00, valore ritenuto di gran lunga inferiore al reale valore del calciatore, determinando quindi un danno economico alla società A.C.F. Fiorentina S.p.A. con la quale il Perugia, in sede di acquisizione del calciatore stesso, aveva sottoscritto un accordo che prevedeva la corresponsione di una somma pari al 50% del valore di una successiva eventuale rivendita del calciatore.

Al suddetto deferito vengono, altresì, contestate le medesime violazioni per avere sottoscritto con la società Atalanta Bergamasca Calcio S.p.A. il contratto di cessione del calciatore Alessandro Santopadre indicando un valore fittizio di cessione di € 1.000.000,00 di gran lunga superiore all’effettivo valore dello stesso, per come emerge dagli elementi acquisiti in atti.

Infine, lo stesso sig. Santopadre Massimiliano viene deferito per la violazione dell’art. 1 bis, comma 1, C.G.S., e dell’art. 8, commi 1 e 2, C.G.S. per non essersi opposto a che venissero apposte nelle scritture contabili e nelle comunicazioni sociali destinate ai soci e al pubblico della società A.C. Perugia Calcio S.r.l. i valori di cessione dei predetti due calciatori, valori ritenuti, come detto, non veritieri, e più in particolare, la cessione del calciatore Gianluca Mancini al prezzo di 200.000,00 in luogo di quello ragionevolmente e prudenzialmente individuabile sulla base degli elementi acquisiti in atti in 500.000,00, nonché la cessione del calciatore Alessandro Santopadre al prezzo di euro 1.000.000,00 in luogo di quello ragionevolmente e prudenzialmente individuabile, sempre sulla base degli elementi acquisiti in atti, in € 100.000,00;

- Goretti Roberto, all’epoca dei fatti responsabile dell’area tecnica della società A.C. Perugia Calcio s.r.l., per la violazione dei predetti art. 1 bis, comma 1, C.G.S., e art. 8, comma 2, C.G.S., per avere offerto il proprio contributo alla stipula dei predetti contratti di cessione dei calciatori Gianluca Mancini e Alessandro Santopadre;

- Percossi Luca, nella sua qualità di Presidente della società Atalanta Bergamasca Calcio S.p.A., nonchè amministratore delegato della stessa, per la violazione dell’art. 1 bis, comma 1, C.G.S. che prevede che Le  società,  i  dirigenti,  gli  atleti,  i  tecnici,  gli  ufficiali  di  gara  e ogni  altro soggetto he  svolge  attività  di  carattere  agonistico,  tecnico,  organizzativo,  decisionale o comunque  rilevante  per  l’ordinamento  federale, sono tenuti  all’osservanza  delle  norme e degli atti       federali e devono comportarsi  secondo  i principi  di  lealtà,  correttezza e  probità  in  ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”, nonché dell’art. 8, comma 2, C.G.S., secondo cui “Costituiscono altresì illecito amministrativo i comportamenti comunque diretti a eludere la normativa federale in materia gestionale ed economica, nonché la mancata esecuzione delle decisioni degli organi federali competenti in materia, per avere sottoscritto in data 12.1.2017 il contratto di cessione del calciatore Gianluca Mancini con la società A.C. Perugia calcio s.r.l., indicando il valore fittizio di cessione di  euro 200.000,00, valore  ritenuto  di gran lunga inferiore  al  quelo  reale, determinando quindi un danno economico alla società A.C.F. Fiorentina S.p.A. con la quale il Perugia, in sede di acquisizione del calciatore stesso, aveva sottoscritto un accordo che prevedeva la corresponsione di una somma pari al 50% del valore di una successiva eventuale rivendita del calciatore.

Inoltre,  allo  stesso  predetto  deferito  vengono  contestate  le  medesime  violazioni  per  avere sottoscritto con la società A.C. Perugia calcio s.r.l. il contratto di cessione del calciatore Alessandro Santopadre indicando un valore fittizio di cessione di € 1.000.000,00 di gran lunga superiore all’effettivo valore dello stesso per come emerge dagli elementi acquisiti in atti.

Infine, lo stesso sig. Luca Percossi viene deferito per la violazione dell’art. 1 bis, comma 1, C.G.S., e dell’art. 8, commi 1 e 2, C.G.S. per non essersi opposto a che venissero apposte nelle scritture contabili e nelle comunicazioni sociali destinate ai soci e al pubblico della società Atalanta Bergamasca Calcio S.p.A., i valori di cessione dei predetti due calciatori, valori ritenuti, come detto, non veritieri, e più in particolare, la cessione del calciatore Gianluca Mancini al prezzo di € 200.000,00 in luogo di quello ragionevolmente e prudenzialmente individuabile sulla base degli elementi acquisiti in atti in € 500.000,00, nonché la cessione del calciatore Alessandro Santopadre al prezzo di € 1.000.000,00 in luogo di quello ragionevolmente e prudenzialmente individuabile, sempre sulla base degli elementi acquisiti in atti, in € 100.000,00;

- Sartori Giovanni, all’epoca dei fatti responsabile dell’area tecnica della società Atalanta Bergamasca Calcio S.p.a., per la violazione dei predetti art. 1 bis, comma 1, C.G.S., e art. 8, comma 2, C.G.S., per avere offerto il proprio contributo alla stipula dei predetti contratti di cessione dei calciatori Gianluca Mancini e Alessandro Santopadre;

- La società A.C. Perugia Calcio s.r.l., per la violazione dell’art. 4, comma 1, CGS che prevede che “Le società rispondono direttamente dell’operato di chi le rappresenta, anche per singole questioni, ai sensi delle norme federali”, e del successivo comma 2, secondo cui “Le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1 bis, comma 5” a titolo di responsabilità diretta ed oggettiva per il comportamento posto in essere dal proprio presidente e dal proprio responsabile dell’area tecnica;

- La società Atalanta Bergamasca Calcio S.p.a., per la violazione dell’art. 4, comma 1, CGS che prevede che “Le società rispondono direttamente dell’operato di chi le rappresenta, anche per singole questioni, ai sensi delle norme federali”, e del successivo comma 2, secondo cui “Le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1 bis, comma 5a titolo di responsabilità diretta ed oggettiva per il comportamento posto in essere dal proprio presidente e dal proprio responsabile dell’area tecnica.

La  Procura  Federale  ha,  in  sintesi,  fondato  il  proprio  convincimento  in  considerazione  della concomitanza temporale delle operazioni di cessione dei calciatori Gianluca Mancini e Alessandro Santopadre tra il Perugia e l’Atalanta, unito alla (asserita) palese anomalia dei valori attribuiti ai due calciatori. La vicenda, in altri termini, lasciava ragionevolmente trasparire, ad avviso della pubblica accusa federale, un collegamento tra le stesse predette operazioni, realizzate con la verosimile consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi economici della società Fiorentina, che, di fatto, ha percepito somme corposamente inferiori rispetto a quelle che avrebbe ottenuto nel caso in cui la cessione del calciatore Mancini fosse avvenuta per il reale valore di mercato dello stesso.

In particolare sulla base degli elementi dell’indagine, la Procura ha ritenuto che il valore  del calciatore Mancini (venduto per Euro 200.000,00) al momento del trasferimento dal Perugia all’Atalanta poteva essere riconosciuto in Euro 500.000,00/600.000,00 tenuto conto che:

- nella stagione sportiva 2015/2016 era stato posto un diritto di opzione per l’acquisto del calciatore pari ad € 30.000,00;

- che il sito Transfertmarket riteneva che alla data della cessione il calciatore Mancini avesse una valutazione di € 800.000,00;

- che al momento della cessione del predetto calciatore era stato previsto il riconoscimento di una serie di bonus che avrebbero comportato introiti a favore del Perugia per almeno 500.00,00 euro.

Per quanto riguarda, invece, il calciatore Alessando Santopadre (il cui diritto  alle  prestazioni sportive sono state cedute al prezzo di euro 1.000.000,00) la Procura Federale ha ritenuto che al momento della cessione dal Perugia all’Atalanta, allo stesso dovesse essere riconosciuto un valore non superiore a € 100.000,00 considerato, in rapida sintesi, che:

- il sito Tranfertmarket valutava il calciatore in euro 75.000,00

- in nessun contratto gli era stato riconosciuto alcun premio di valorizzazione e  dall’Atalanta riceveva solo un rimborso spese di € 300/400 mensili.

In  definitiva,  la  Procura  Federale  riteneva  elusivi  gli  accordi  di  trasferimento  dei  due  giocatori conclusi tra A.C. Perugia Calcio S.r.l. ed Atalanta S.p.A.

Tale prospettazione accusatoria, tuttavia, non trovava riscontro nella decisione del Tribunale Federale Nazionale, sezione disciplinare, che, all’esito della riunione tenutasi il giorno 12 luglio 2018, non ha ritenuto responsabili i deferiti per le violazioni contestate e, per l’effetto ha disposto il proscioglimento dei medesimi.

In breve, il Tribunale Federale ha ritenuto che il deferimento fosse infondato nel suo complesso poiché carente nel progetto istruttorio, in quanto la Procura Federale non era stata in grado di fornire un criterio valido e incontestabile su cui fondare le regole di mercato in ordine alla valutazione dei calciatori di cui trattasi.

Per contro, il Giudice di prime cure ha ritenuto verosimili le repliche della difesa in ordine alla valutazione del giocatore Mancini, secondo cui il Perugia aveva acquisito il calciatore dalla Fiorentina all’esito di una serie di infortuni, con limitate, dunque, prospettive di carriera e che per questa ragione allo stesso era stata data quella valutazione.

Quando al calciatore Alessandro Santopadre, il Tribunale, accoglieva le deduzioni della difesa, secondo le quali il maggior valore del giocatore era stato commisurato in base alla sua giovane età, il minimo compenso salariale, il ruolo di portiere e l’imponente struttura fisica.

Inoltre, afferma il Tribunale,  la posizione della  difesa era  ulteriormente suffragata dalla  perizia tecnica del dott. Claudio Garzelli (perito nominato dall’Atalanta) che concludeva per la congruità dei valori  dei  calciatori  individuati  dalle  società  attraverso  una  ritenuta  puntuale  analisi  dei  parametri economici a cui le società devono fare riferimento per la corretta gestione del patrimonio giocatori.

Infine, ad ulteriore riprova dell’infondatezza dell’impianto accusatorio, le Leghe di appartenenza delle società Perugia ed Atalanta non avrebbero segnalato alcun genere di irregolarità al momento del deposito dei contratti di trasferimento dei calciatori.

In conseguenza di quanto sopra il Tribunale federale nazionale disponeva il proscioglimento dei deferiti.

Avverso la suddetta decisione del Tribunale Nazionale Federale, proponeva reclamo la Procura Federale.

Con un primo motivo di gravame, la Procura contestava l’assunto del Giudice di prime cure secondo il quale le Leghe di appartenenza delle due società deferite non avrebbero rilevato nessuna irregolarità nei contratti di trasferimento dei due giocatori, in quanto le stesse non avrebbero alcun potere/dovere di verifica sul contenuto dei contratti di prestazione sportiva depositati dalle società professionistiche consociate.

In secondo luogo, l’appellante contestava l’affermazione del TFN in ordine alla mancata produzione da parte della Procura di criteri “inequivocabili” relativi alle valutazioni del prezzo delle cessioni dei due calciatori, ritenendo, invece, di aver portato diversi e numerosi elementi idonei a sostenere l’impianto accusatorio. Inoltre, evidenziava l’appellante, le difese interessate non hanno documentato idedotti infortuni (calciatore Mancini) che avrebbero determinato una diminuzione del valore del giocatore. Né risulterebbe spiegabile la disparità di valutazione, dal momento in cui gli infortuni dell’altro giocatore (Santopadre) non sarebbero stati neppure citati.

Evidenziava, ancora, la ricorrente Procura come il calciatore Mancini avrebbe, poi, avuto emolumenti in forte e costante crescita, ignorati dal TFN.

Circa la valutazione del giocatore Santopadre, la Procura contestava l’adesione del Giudice di prime cure alle argomentazioni della difesa, in quanto:

- non sarebbe possibile ravvisarsi una proficua prospettiva di carriera del calciatore in quanto, egli non avrebbe mai debuttato in una gara ufficiale;

- l’accostamento del Santopadre ad un altro portiere dell’Atalanta (Andrea Carnesecchi) sarebbe inconferente in quanto quest’ultimo avrebbe due anni in meno del primo e, inoltre, a differenza di quest’ultimo, sarebbe entrato a fare parte delle rappresentative nazionali;

- l’altezza del calciatore Santopadre, posta a fondamento dell’incremento del suo valore di mercato, sarebbe  erronea in quanto lo stesso rientrerebbe  tra i più  bassi  portieri  dei campionati professionistici  italiani.

Ancora, l’appellante Procura rilevava che la perizia del consulente tecnico dott. Gorzelli, a cui il Tribunale ha aderito, sarebbe basata principalmente sulla tesi – ritenuta infondata – che il prezzo di acquisizione dei diritti sportivi di un atleta sarebbe inversamente proporzionale all’ammontare dei suoi emolumenti.

Infine, la ricorrente Procura contestava la violazione e falsa applicazione delle norme di valutazione della prova nel processo sportivo in quanto per fondare il proprio convincimento, il Tribunale avrebbe posto come criterio il raggiungimento della ragionevole certezza (che coinciderebbe con il ragionevole dubbio, secondo la Procura stessa) in aperto contrasto con i principi propri del processo disciplinare sportivo che richiederebbero un livello superiore alla mera probabilità, ma inferiore al ragionevole dubbio.

Per quanto sopra, la Procura Federale in totale riforma della sentenza di primo grado chiedeva alla Corte federale d’Appello di affermare la responsabilità disciplinare di tutti i soggetti deferiti e condannarli alle sanzioni richieste dalla Procura Federale in sede di udienza di primo grado o alla diversa sanzione che la Corte riterrà di giustizia.

Tutti i deferiti resistevano con proprie specifiche controdeduzioni.

All’esito della camera di consiglio, svolta al termine del dibattimento, la Corte Federale d’Appello, Sezioni Unite, con decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 024/CFA del 17 agosto 2018, respingeva il ricorso proposto dal Procuratore Federale.

Illustrato, in via preliminare e su un piano generale, lo standard probatorio applicabile in sede di processo disciplinare – sportivo, al fine di correggere, per quanto occorresse, la relativa motivazione – sul punto – del TFN (secondo cui «il coacervo dei contrapposti interessi e dei contrastanti riscontri sulla veridicità o meno del valore effettivo, impone al Tribunale di formulare il motivato giudizio di proscioglimento in applicazione della evidente incertezza istruttoria, non essendo stata raggiunta la palmare prova che possa condurre, con ragionevole certezza, alla colpevolezza dei deferiti, anche in onore alla struttura del processo sportivo che non si pone in ausilio all'accertamento specifico, per via della propedeutica rapidità sancita ai fini del raggiungimento della decisione», laddove, invece, costante giurisprudenza federale ed esofederale ritiene che per affermare la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito, né il superamento di ogni ragionevole dubbio,  come  nel  processo penale, ma può ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito) la Corte riteneva che, complessivamente valutato il materiale probatorio ritualmente acquisito al presente procedimento, non sussista quel ragionevole grado di certezza in ordine alla commissione dei predetti illeciti e che, dunque, non sussista, con riferimento alle contestate violazioni, quel livello probatorio che, seppur inferiore al grado che esclude ogni ragionevole dubbio è comunque superiore alla semplice valutazione della probabilità.

«In tale prospettiva», proseguivano le Sezioni unite di questa Corte Federale d’Appello, «l’assunto accusatorio, pur validamente progettato sotto il profilo concettuale, difetta di elementi oggettivi e gli elementi sui quali la ricorrente ha fondato le proprie censurare avverso la pronuncia di primo grado, non sono idonei a fornire criteri imparziali ed oggettivi su cui fondare, quantomento, per quanto qui interessa, nel caso di specie, la valutazione di mercato dei calciatori.

Del resto, posto che già nella relazione d’indagine della Procura federale si da atto che le cessioni dei due calciatori di cui trattasi non costituiscono una consecutio, ma due autonome operazioni di mercato, si ritiene non sussistano – quanto alle specifiche valutazioni di mercato – elementi idonei e sufficienti, tantomeno di natura oggettiva o documentale, sui quali fondare un giudizio di colpevolezza in ordine alla non congruità della valutazione degli stessi predetti calciatori, né, tantomento,  in relazione alla funzione elusiva della valutazione medesima».

Successivamente, con ricorso in data 18 dicembre 2017, proposto dinanzi al Tribunale Federale Nazionale, l’ACF Fiorentina s.p.a. ha chiesto, ai sensi dell’art. 30, comma 28, CGS condannarsi l’AC Perugia Calcio s.r.l. a corrispondere, in suo favore, il premio di rendimento effettivamente dovuto in ordine alle vicende di mercato tra la medesima Fiorentina, il Perugia Calcio e l’Atalanta Bergamasca, con riferimento al trasferimento del calciatore Gianluca Mancini.

Secondo la prospettazione della reclamante, dopo avere raggiunto un accordo con l’AC Perugia Calcio per la cessione del giocatore Mancini, quest’ultima società, d’intesa con la Atalanta Bergamasca Calcio, avrebbe messo in atto un accordo simulatorio volto a sottrarre alla stessa medesima ACF Fiorentina un importo quantificato, nel corso del giudizio, in € 475.000,00.

Questi, in sintesi, i fatti, come prospettati dalla interessata.

Successivamente al temporaneo trasferimento, in data 10 luglio 2015, del calciatore Mancini dall’ACF Fiorentina all’AC Perugia Calcio e l’esercizio del diritto di opzione e contro-opzione da parte delle due Società, l’ACF Fiorentina ha trasferito il calciatore Mancini a titolo definitivo all’AC Perugia Calcio in data 1 agosto 2016.

Contestualmente al trasferimento le suddette società hanno sottoscritto un accordo per eventuali premi di rendimento da riconoscersi alla società cedente con il quale l’AC Perugia Calcio si è impegnata a corrispondere all’ACF Fiorentina il 50% del valore delle somme eventualmente ricevute, a qualunque titolo, da AC Perugia Calcio, per la futura cessione del contratto del calciatore Mancini ad altra società.

In data 12 gennaio 2017 l’AC Perugia Calcio ha, dunque, trasferito – a titolo definitivo – il calciatore Mancini all’Atalanta Bergamasca Calcio, per un importo di euro duecentomila, versando, di conseguenza, all’ACF Fiorentina il pattuito importo di rendimento di euro centomila.

Ciò premesso, ritiene, l’ACF Fiorentina, che il suddetto corrispettivo pattuito per il trasferimento sia stato simulato tra l’AC Perugia Calcio e l’Atalanta Bergamasca Calcio in suo danno. In corso di giudizio la reclamante ha, poi, quantificato in euro quattrocentosettantacinquemila l’importo – a suo dire – effettivamente dovutole in base agli intercorsi accordi negoziali.

L’accordo simulatorio, sempre secondo la prospettazione attorea, si sarebbe realizzato  per  il tramite di due operazioni di mercato poste in essere tra Perugia ed Atalanta, formalmente diverse, ma legate dalla medesima finalità dissimulatoria, relative ai calciatori Gianluca Mancini e Alessandro Santopadre, entrambi acquistati dall’Atalanta Bergamasca Calcio e, poi, trasferiti, a titolo temporaneo, all’AC Perugia Calcio, il primo fino al 30.6.2017 e, il secondo, fino al 30.6.2018.

Deduce, segnatamente, la ricorrente Fiorentina, che il reale prezzo di mercato del calciatore Mancini si sarebbe dovuto attestare intorno ad euro un milione e mezzo e quello del calciatore Santopadre intorno ad euro settantacinquemila. Prova o conferma di ciò si trarrebbe, sempre a dire della ACF Fiorentina, anche da una intervista resa dal Sig. Massimiliano Santopadre, presidente dell’AC Perugia Calcio, rilasciata nel gennaio 2017, nella quale lo stesso avrebbe dichiarato che quanto ricavato dall’operazione relativa alla cessione del calciatore Mancini era stato già reinvestito per l’acquisizione delle prestazioni sportive di altri calciatori (Terrani, Forte e Mustacchio).

Le società AC Perugia Calcio e Atalanta Bergamasca Calcio, nel costituirsi nel giudizio di prime cure, ha contestato gli assunti della ricorrente ACF Fiorentina ed  il  correlato  asserito  pregiudizio  dalla stessa  lamentato.

L’AC Perugia Calcio, in particolare, ha dedotto genuinità delle operazioni di mercato contestate dall’ACF Fiorentina, denunciando la condotta pretestuosa e di carattere meramente esplorativo della società toscana. Nessuna prova esisterebbe, infatti, a suo dire, del denunciato accordo simulatorio a fronte di trasferimenti muniti del visto di esecutività da parte della Federazione.

Analoghe sotanziali argomentazioni difensive ha svolto l’Atalanta Bergamasca Calcio, secondo cui, inoltre, da un attento esame dell’accordo di trasferimento del calciatore Mancini tra Atalanta Bergamasca Calcio e AC Perugia Calcio, quest’ultima, e, per l’effetto, anche la ACF Fiorentina, potrebbero introitare ulteriori somme rispetto a quella già corrisposta pari ad euro duecentomila.

Infatti, nell’accordo economico di cui trattasi è stato concordato un ulteriore importo da corrispondersi, a titolo di rendimento, fino ad euro trecentomila, in base alle presenze del calciatore Mancini con la prima squadra dell’Atalanta Bergamasca Calcio, nonchè un importo aggiuntivo pari al 10 per cento sulla successiva rivendita del calciatore, da  calcolarsi  sul delta  tra  quanto  fino  a  quel momento incassato dall’AC Perugia Calcio e l’importo di euro due milioni.

Proprio quest’ultima circostanza, rappresenterebbe, a dire della ricorrente Fiorentina, ulteriore riprova che l’effettivo prezzo del calciatore Mancini concordato tra l’AC Perugia Calcio e l’Atalanta Bergamasca Calcio, sarebbe molto vicino ad euro due milioni.

Depositate memorie istruttorie, sentite le spontanee dichiarazioni del presidente dell’AC Perugia Calcio, esperito il tentativo di conciliazione tra le parti, disposta l’acquisizione degli atti e documenti di cui al fascicolo del procedimento disciplinare (sopra, in premessa indicato) conclusosi con la decisione della Corte Federale d’Appello pubblicato sul Com. Uff. n. 024/CFA del 27 agosto 2018, autorizzata l’acquisizione di copia dell’intero fascicolo relativo al predetto procedimento, quantificata – da parte della Fiorentina – la propria richiesta in complessivi euro quattrocentosettantacinquemila, all’esito del dibattimento, il TFN rigettava il ricorso.

Ha ritenuto, anzitutto, il Tribunale, «ammissibile la perizia di stima del valore dei calciatori Mancini e Santopadre al gennaio 2017 prodotta dalla ricorrente ACF Fiorentina in quanto quest’ultima, avendo appreso del deposito di analogo documento da parte dell’Atalanta Bergamasca Calcio nel corso del procedimento disciplinare, nel rispetto del contraddittorio ha diritto a tale produzione.

Contrariamente a quanto eccepito sul punto dalle Società resistenti,  infatti,  la  ricorrente  non poteva partecipare al procedimento disciplinare che ai sensi dell’art. 41, comma 7 e dell’art. 33, comma 3, del Codice di Giustizia Sportiva, ammette l’intervento di terzi solo in ipotesi di illecito sportivo».

Con riferimento, poi, alle istanze istruttorie della ricorrente Fiorentina, rappresentate da richieste di esibizione e/o acquisizione della documentazione relativa ai trasferimenti dei calciatori Mancini, Santopadre, Terrani, Mustacchio e Forte e ai relativi accordi economici con le società AC Perugia Calcio e Atalanta Bergamasca Calcio, il TFN riteneva le stesse superate dalla integrale acquisizione dei documenti del procedimento disciplinare dei quali le parti hanno estratto integrale copia

Nel merito, il TFN, preso atto che l’ACF Fiorentina ha insistito nel proprio assunto, contestando l’assoluta incongruità dei trasferimenti dei calciatori Mancini e Santopadre dall’AC Perugia Calcio all’Atalanta Bergamasca Calcio ai rispettivi importi di euro duecentomila ed euro un milione, importi, che, raffrontati ai discordanti accordi economici dei due calciatori rispetto al prezzo di trasferimento, unitamente alle altre risultanze, dimostrerebbero un unico accordo simulatorio tra le stesse predette società volto a dissimulare il maggior prezzo effettivamente attribuito al calciatore Mancini, ha ritenuto che «allo stato della documentazione in atti» non vi è «alcuna prova in ordine alla dedotta circostanza che i due contratti in contestazione riferiti ai calciatori Mancini e Santopadre, rappresentino un’operazione negoziale singola posta in essere in danno dell’ACF Fiorentina.

In tal senso, anche se la decisione assunta in sede disciplinare non vincola in alcun modo questo Collegio, si deve condividere con le Sezioni Riunite della Corte Federale di Appello, che, pur in presenza di elementi di fatto che possono ritenersi come anomalie, non si può obiettivamente andare oltre alla presenza di meri indizi.

Indizi, peraltro, che non possono ritenersi gravi e concordanti.

Unico dato certo è la mera coincidenza temporale delle due operazioni.

In questa sede, peraltro, tali indizi avrebbero, al limite, consentito alla ricorrente ACF Fiorentina di richiedere di provare aliunde il dedotto accordo simulatorio.

Come detto invece, le prove articolate dall’ACF Fiorentina si sono limitate alla richiesta di esibizione documenti che, pur presenti oggi in atti in seguito all’acquisizione del fascicolo della fase disciplinare, non assurgono a prova della denunciata simulazione.

In aggiunta alle rilevate carenze probatorie in atti, si deve inoltre considerare la sostanziale impossibilità di accertare il valore di mercato di un calciatore.

Tale valore, infatti, non può essere che quello che le parti attribuiscono al calciatore nella loro autonomia negoziale.

Valore questo, inoltre, estremamente variabile in base alle esigenze del momento delle Società sul mercato e dipendente in buona parte anche dalle capacità previsionali sulle qualità del calciatore in questione.

Per tale motivo, tutti i documenti al riguardo versati in atti dalle parti, comprese le perizie di stima, relativi al valore di mercato dei calciatori Mancini e Santopadre non possono che essere valutate come semplici indicazioni.

È indubbio che tali quotazioni, inserendosi in una contrattazione di libero mercato, non sono infatti ancorate a fattori valutativi normativamente predeterminati o predeterminabili.

Difettano, in sostanza, uniformi e oggettivi criteri di valutazione dell’effettivo valore dei calciatori: non vi sono dei parametri certi di riferimento o unanimemente condivisi in ordine all’oggettivo valore di cessione di un calciatore.

Anche sotto tale profilo è quindi impossibile ravvisare un collegamento negoziale di natura simulata tra le cessioni dei calciatori Mancini e Santopadre.

Proprio la sostanziale impossibilità di attribuire valori certi ai calciatori, rende estremamente complicata l’analisi della devoluta controversia e quindi impone una compensazione integrale delle spese del procedimento».

Avverso la predetta decisione, pubblicata sul Com. Uff. n. 15/TFN – SVE del 6 marzo 2019 ha, come detto, proposto appello la ACF Fiorentina s.p.a.

Ripercossa la vicenda dedotta in giudizio, richiamati i fatti di rilievo e l’iter del procedimento dinanzi al Tribunale Federale Nazionale, l’appellante Fiorentina deduce, anzitutto, erronea, contraddittoria ed illogica motivazione della decisione in ordine alla valutazione delle prove in atti.

Ritiene, sotto tale profilo, la ACF Fiorentina, viziata – la decisione impugnata - «per la palese violazione, da parte del Collegio, della disciplina della simulazione di cui agli artt. 1414 – 1417 c.c. e delle previsioni in materia di onus probandi ivi contenute». Disposizioni, queste, secondo l’assunto della ricorrente, applicabili alla fattispecie in virtù dell’art. 1323 c.c. Nel caso di specie, occorre applicare la disposizione di cui all’art. 1417 c.c.: “La prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi […]”.

In tal ottica, la ricorrente ACF Fiorentina ritiene di aver «argomentato e provato una serie di circostanze gravi, precise e concordanti, sulle quali il Collegio non si è minimamente espresso, come se avesse omesso di considerarle, dalle quali si può chiaramente desumere che:

a) il contratto di trasferimento del Mancini dal Perugia all’Atalanta del 12 gennaio 2017 reca un valore incongruo e quindi simulato di € 200.000;

b) il contratto di trasferimento di Santopadre dal Perugia all’Atalanta, nella medesima finestra di mercato, del 23 gennaio 2017, reca un valore incongruo e quindi simulato di € 1.000.000;

c) i due contratti di trasferimento, la cui coincidenza temporale è stata riconosciuta dal TFN – Sezione Vertenze Economiche nel rilevare altresì la presenza di “elementi di fatto che possono ritenersi come anomalie”, costituiscono un’unica operazione volta a permettere al Perugia di disattendere i propri impegni negoziali nei confronti di Fiorentina».

Rimane «del tutto inverosimile», secondo la ricorrente, che nella stessa sessione di mercato le due società di cui trattasi abbiano posto in essere «due cessioni utilizzando parametri  valutativi  dei calciatori del tutto difformi tra loro e senza alcuna logica» e «l’abnorme differenza dei corrispettivi di cessione palesa ictu oculi la simulazione invocata da Fiorentina».

Richiama, poi, la ricorrente, a conforto del proprio assunto in ordine alla unitarietà dell’operazione simulatoria, la clausola di rivendita tra Atalanta e Perugia, c.d. sell-on clause: nel contratto di trasferimento del calciatore Mancini tra Atalanta e Perugia è stabilita una percentuale del 10% a favore di quest’ultima, da computarsi sulla differenza tra il prezzo di una futura rivendita dello stesso Mancini e la soglia di euro due milioni. È evidente, ritiene la ACF Fiorentina, «che detta soglia fu fissata da Perugia ed Atalanta con il fine di non remunerare oltre il club umbro per una cessione che aveva già previsto un corrispettivo reale ben maggiore agli €  200.000 e di consentire altresì all’Atalanta  di ottenere un vantaggio economico sulla futura rivendita (ossia aumentare la soglia oltre la quale la sell-on clause si attiverebbe)».

Insomma, «riassumendo», per la ricorrente:

«-€ 1.000.000 è il valore simulatamente attribuito a Santopadre;

- € 500.000 il valore simulatamente attribuito a Mancini (€ 200.000 per il trasferimento più € 300.000 di premi di rendimento);

- posto che i due contratti costituiscono un’operazione unitaria, Atalanta avrebbe dovuto fissare la soglia per il calcolo del delta a € 1.500.000. Tuttavia, così facendo, la  società bergamasca  non avrebbe tratto alcun giovamento dalla collaborazione all’operazione simulatoria, al contrario di Perugia, che oltre ad aver eluso la pretesa creditoria di Fiorentina, avrebbe guadagnato un ulteriore 10% sul delta del prezzo pieno di futura rivendita. In tale ottica, Atalanta ha aggiunto € 500.000 alla soglia (elevandola a € 2.000.000), così da ottenere essa stessa un tornaconto economico per la propria collaborazione  all’operazione».

«Le dichiarazioni (confessorie) del Presidente del Perugia», prosegue l’appellante, «i dati di mercato, le prestazioni dei calciatori Mancini e Santopadre, gli importi dei diversi contratti inerenti i giocatori coinvolti e la soglia della sell-on clause prevista nel contratto di cessione  di  Mancini  sono  tutti elementi gravi, precisi e concordanti che rendono del tutto chiara l’esistenza di un accordo simulatorio tra Perugia e Atalanta».

Con un secondo motivo di ricorso, l’ACF Fiorentina deduce erronea motivazione della decisione in ordine all’accertabilità del valore di mercato di un calciatore e alla conseguente valutazione della perizia prodotta da Fiorentina.

Evidenzia, in sintesi, sotto tale profilo, l’appellante, l’erroneità della affermazione del TFN in ordine alla «sostanziale impossibilità di accertare il valore di mercato di un calciatore», anche perché, se fosse così, cadrebbe il presupposto alla base di un qualunque giudizio disciplinare in materia di plusvalenze fittizie». Ed in tal senso, sussisterebbero i già indicati parametri sulla base dei quale procedere alla determinazione dell’effettivo valore di mercato di un calciatore, specie in un caso come quello dedotto in giudizio, connotato dalle già ricordate circostanze.

Calcolato, quindi, in euro unmilionecentocinquanta il prezzo reale di trasferimento, ottenuto sottraendo dall’ammontare di euro duemilioni, i seguenti valori: euro cinquantamila (valore dissimulato calciatore Santopadre), euro trecentomila (premi di rendimento calciatore Mancini), euro cinquecentomila (differenziale posto a puro vantaggio dell’Atalanta per avere collaborato all’operazione), «spettando a Fiorentina il 50% del prezzo reale di trasferimento, ossia € 575.000, e avendo Perugia già corrisposto € 100.000, il credito attuale di Fiorentina ammonta a € 475.000, fermo restando il diritto soprarichiamato di Fiorentina di ottenere potenziali ed ulteriori € 150.000 – nonché il 50% del 10% spettante a Perugia su una futura rivendita – una volta maturati i premi di rendimento del Mancini concordati tra Perugia e Atalanta».

A tale valore si giungerebbe anche attraverso una diversa metodologia di calcolo anch’essa dettagliatamente esposta dalla ricorrente Fiorentina.

Chiesto, infine, in via istruttoria, l’acquisizione integrale del fascicolo del procedimento di primo grado dinanzi al TFN, la ACF Fiorentina conclude chiedendo, in riforma della impugnata decisione del Tribunale Federale Nazionale, sezione Vertenze economiche:

«- accertare e dichiarare l’esistenza di una simulazione relativa al prezzo sia del contratto di trasferimento da Perugia ad Atalanta del giocatore Gianluca Mancini del 12 gennaio 2017, sia del contratto di trasferimento da Perugia ad Atalanta del giocatore Alessandro Santopadre del 23 gennaio 2017;

- accertare e dichiarare l’inefficacia dell’accordo di trasferimento di Mancini da Perugia ad Atalanta relativamente al prezzo di trasferimento ivi contemplato in quanto simulato;

- accertare e dichiarare che il prezzo reale (dissimulato) dell’accordo di trasferimento di Mancini da Perugia ad Atalanta, al netto dei premi di rendimento pari a complessivi € 300.000, è di € 1.150.000;

- per l’effetto, condannare Perugia a versare alla Fiorentina € 475.000, quale residuo premio di rendimento calcolato sul valore reale (dissimulato) del prezzo di trasferimento del giocatore Gianluca Mancini».

Nell’instaurato giudizio d’appello si è costituita la A.C. Perugia Calcio s.r.l., offrendo proprie controdeuzioni.

Ritiene, la società Perugia, che il gravame «si configura come palemente pretestuoso ed infondato, non riuscendo minimamente a scalfire il granitico e solidissimo impianto motivazionale elaborato dai Giudici di prime cure a supporto della emanata decisione».

In sintesi:

- è incomprensibile l’incrocio di trasferimenti dei calciatori Mancini e Santopadre nella prospettiva di «ridurre artificiosamente il corrispettivo pattuito per il primo giocatore ed ampliare strumentalmente quello relativo al secondo» e la ricostruzione offerta da ACF Fiorentina è sfornita «di qualsivoglia supporto probatorio»;

- sono eventi frequenti e normali sia il trasferimento di due calciatori, ad una data società, nell’ambito della medesima finestra di mercato, sia il contestuale prestito degli stessi;

- le valutazioni estrapolate dal sito Tranfermarket non hanno aggancio «con la realtà obiettiva e la verità storica»;

- l’intervista rilasciata dal presidente sig. Massimiliano Santopadre, peraltro, decontestualizzata, è stata strumentalizzata e gli effettivi costi di acquisto dei calciatori Giovanni Terrani, Francesco Forte e Mattia Mustacchio sono compravati dai relativi moduli federali versati in atti;

- non è stata considerata la nota del 27 marzo 2017 dell’Ufficio tesseramenti della Lega B avente ad oggetto il premio di rendimento relativo al calciatore Mancini Gianluca.

Conclude, dunque, la predetta resistente società, chiedendo il rigetto del ricorso proposto dalla ACF Fiorentina, «perché palesemente pretestuoso ed infondato in fatto come in diritto, con totale conferma della impugnata delibera di primo grado».

Anche la società Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a. ha offerto proprie controdeduzioni.

Deduce, anzitutto, la predetta società, in ordine alla accertata assenza di collegamento negoziale tra le operazioni di mercato che hanno interessato il trasferimento dei calciatori Mancini e Santopadre, richiamando, in particolare, quanto già emerso in sede di relazione dell’organo requirente.

Quanto alla valutazione del calciatore Mancini, «tutte le fonti di prova raccolte», secondo la resistente società, dimostrerebbero come «il valore del giocatore al momento del trasferimento all’Atalanta fosse pari ad € 200.000,00, esattamente come cinque mesi prima, al momento in cui la Fiorentina ha deciso di “sbarazzarsi” del giocatore e lo  ha trasferito al Perugia». Insomma, solo successivamente   al   trasferimento   all’Atalanta   il   valore   del   calciatore   di   cui   trattasi   sarebbe «progressivamente lievitato», passando, come si evincerebbe dallo stesso sito Transfermarkt invocato dalla ricorrente, «ad € 800.000,00 (a giugno 2017) e poi ad € 2.000.000,00 (a marzo 2018)».

Si sofferma, poi, la società Atalanta Bergamasca, sui corrispettivi variabili convenuti con la società Perugia che, in aggiunta al corrispettivo fisso, consentiranno di maturare a favore di quest’ultima società «(e di conseguenza, pare di capire, della Fiorentina)», «consistenti corrispettivi variabili che hanno fatto lievitare il valore del calciatore in questione ben oltre rispetto a quanto indicato da Transfermarkt ed addirittura oltre anche alle “esagerate” stime propugnate, come detto, della Procura Federale».

Insomma, secondo la prospettazione difensiva, «in tale contesto, secondo una evidente logica economica e giuridica, e tenendo conto dei dati relativi al giocatore (goal, presenze e voti che dimostrano, come detto, un deprezzamento tra le due cessioni) è allora incontestabile – una volta di più – che il valore di Mancini così come convenuto tra Atalanta e Perugia, sia non solo genuino, non solo superiore all’effettivo valore di mercato che il calciatore aveva il 12 gennaio 2017, ma certamente molto più “congruo” rispetto a quello oggetto della cessione intervenuta solo cinque mesi prima dalla Fiorentina al Perugia».

Aggiunge, ancora, Atalanta Bergamasca, come non vi fosse consapevolezza in ordine alla clausola di “rivendita” convenuta tra Fiorentina e Perugia e come, dunque, in un tale contesto, «adombrare una simulazione è ontologicamente impossibile».

Quanto all’onere della prova la società Atalanta Bergamasca tiene, comunque, a precisare come spettasse alla ricorrente fornire prova del proprio assunto, laddove, viceversa, non si possono ritenere addotte e dimostrate circostanze gravi, precise e concordanti.

Contestata, infine, sotto vari profili, la perizia tecnica offerta dalla ACF Fiorentina, la resistente Atalanta Bergamasca s.p.a.conclude chiedendo rigettarsi «il reclamo avversario siccome improcedibile o comunque infondato in fatto ed in diritto».

Alla seduta fissata dinanzi a questa Corte federale d’Appello per il giorno 11 aprile 2019 sono intervenuti: l’avv. Vigna ed il prof. Coccia, per la ricorrente ACF Fiorentina s.p.a., unitamente al presidente della predetta medesima società; l’avv. Bianchi, per la società Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a.; l’avv. Chiacchio, per la AC Perugia Calcio s.r.l.

Dopo ampia ed approfondita discussione, concesse reciproche repliche, il Collegio ha ascoltato le spontanee dichiarazioni rese dal Presidente della ricorrente ACF Fiorentina ed all’esito, ritiratasi in camera di consiglio, ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti

MOTIVI

La decisione del Tribunale federale nazionale appare meritevole di essere, nella sostanza, come nelle conclusioni, condivisa. Il Giudice di prima istanza ha esercitato in modo corretto la propria discrezionalità nell’apprezzamento dei fatti di rilievo nella vicenda che ci occupa, esplicitando i criteri logico-giuridici posti a base del proprio convincimento. Della stessa predetta pronuncia questa Corte ritiene, quindi, occorra soltanto, in parte, correggere la motivazione in punto quadro probatorio.

Ritiene, a tal riguardo, il TFN, che gli indizi offerti dalla ricorrente non possono ritenersi gravi e concordanti, «unico dato certo» essendo «la mera coincidenza temporale delle due operazioni». In questa sede, afferma il Giudice di prime cure, «tali indizi avrebbero, al limite, consentito alla ricorrente ACF Fiorentina di richiedere di provare aliunde il dedotto accordo simulatorio. Come detto invece, le prove articolate dall’ACF Fiorentina si sono limitate alla richiesta di esibizione documenti che, pur presenti oggi in atti in seguito all’acquisizione del fascicolo della fase disciplinare, non assurgono a prova della denunciata simulazione» (cfr. decisione TNF, penultima pag.).

Anche secondo Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a., resistente nel presente procedimento, la ACF Fiorentina si sarebbe limitata «a  fornire  nulla  più  che  apodittici  ed  infamanti  sospetti  prima  obliterati dalla decisione nomofilattica di questa Corte che  è  passata  in  giudicato  e  poi   dall’ineccepibile percorso motivazionale della decisione impugnata» (cfr. controdeduzioni Atalanta, pag. 11).

Orbene, sotto tale profilo, ritiene, invece, questa Corte, anche per dovere di correttezza  nei confronti del patrocinio attoreo, che la ACF Fiorentina abbia, in effetti, offerto un corposo compendio probatorio diretto ed idoneo, nella prospettazione difensiva, a dimostrare, anche per il tramite dell’allegazione di numerosi elementi, di diversa natura, l’incongruo valore di cessione / acquisto dei calciatori Mancini e Santopadre, da un lato, ed il vizio dell’accordo negoziale simulato intercorso tra Perugia ed Atalanta, dall’altro.

Molteplici, infatti, le circostanze addotte dalla ricorrente a supporto della propria ricostruzione dei fatti e dei correlati effetti sul piano giuridico in relazione al petitum qui azionato. Ad avviso di questa Corte, dunque, il problema non è tanto se la ACF Fiorentina abbia, o meno, portato sufficienti elementi, quanto, piuttosto, se sia o meno possibile, in questa sede, tanto giuridicamente, quanto – ad ogni buon conto – in fatto ed in concreto, determinare un prezzo “effettivo” di mercato dei calciatori di cui trattasi. Ed in tal ottica, reputa, appunto, questa Corte che, nonostante la “corposità” probatoria che caratterizza il fascicolo del presente procedimento e lo sforzo istruttorio della ACF Fiorentina, non può concludersi nel senso declinato dalla predetta medesima ricorrente società. Per la semplice ragione che è alquanto arduo, se non, nella concreta sostanza, quasi impossibile – come, in sintesi, correttamente rilevato dal Tribunale federale nazionale – accertare il valore di mercato di un calciatore.

Del resto, in ogni caso, che le circostanze complessivamente acquisite agli atti del presente procedimento non siano gravi, precise e concordanti e, comunque, non univoche è dimostrato dal fatto che le società resistenti hanno offerto una alternativa, plausibile e, ad ogni buon conto, non inverosimile, ricostruzione della vicenda dedotta in giudizio.

Sotto diverso angolo visuale, peraltro, non appare corretto ricostruire ex post il giusto valore di mercato dei calciatori di cui trattasi. Ai fini della decisione del presente giudizio, infatti, non possono essere prese in considerazione evenienze, tanto giuridico-economiche, quanto di fatto, che hanno interessato – in momento successivo ai trasferimenti oggetto del presente procedimento – i giocatori Mancini e Santopadre. La valutazione del calciatore, è evidente, non può, infatti, che essere riferita al momento “storico” della trattativa e della correlata cessione, esulando, dalla prospettiva che qui ci occupa, ogni diverso successivo elemento capace di modificare od idoneo ad interferire sulla possibile effettiva valutazione di mercato del medesimo.

Ma oltre che in concreto ed in fatto, la difficoltà nell’accertamento del valore  “negoziale”  di cessione del diritto alla prestazioni sportive di un professionista si rinviene, forse, prima ancora, sullo stesso piano ontologico e con rilievo giuridico per l’ordinamento federale.

In tale prospettiva, anche laddove fosse possibile determinare l’effettivo valore di mercato di un calciatore, mediante il riferimento a criteri terzi e parametri obiettivi, nutre perplessità – questa Corte – in ordine della effettiva possibilità di assumere una decisione atta ad incidere sulla autonomia negoziale delle parti, specie in difetto di specifica previsione della  normativa  federale.  In  diversi termini, questo Collegio ritiene che una cosa sia la valutazione di mercato di un calciatore, altra cosa sia, comunque, il valore di cessiore / acquisizione del diritto alle prestazioni sportive dello stesso. Valore, questo che può subire variazioni sulla base di molteplici elementi, anche di natura diversa.

Su un piano più generale, poi, occorre anche considerare che la natura aleatoria delle performance nei contratti per lo sfruttamento dei diritti alle prestazioni sportive dei  calciatori  connota profondamente e, quindi, incide sui meccanismi del calcio mercato e, ovviamente, sull’intera struttura economica del calcio, ponendo – peraltro – non pochi interrogativi sulla sostenibilità  dell’attuale sistema. E sotto siffatto profilo occorrerebbe, forse, domandarsi se i tradizionali strumenti di interpretazione consentano di valutare a tutto campo tali tipologie particolari di contratti tramite i quali, con sempre maggiore frequenza, le società disciplinano i rapporti relativi alla cessione delle prestazioni sportive di un calciatore professionista, o se non sia, invece, necessario ricercare una nuova ermeneutica del concetto di causa e di quello di motivo.

A tal riguardo, muovendo dalla nota sentenza n.10490/2006 della Suprema Corte di Cassazione, si è giunti ad affermare che «… partendo dall’invincibile rilievo che l’asciutto riferimento alla funzione economico-sociale degli accordi raggiunti dalle parti, considerata avulsa dal contesto in cui il programma negoziale è maturato ed è immerso, si risolve in una formula stereotipa che non aiuta l’interprete a confrontarsi con le problematiche poste dalla patologia negoziale», occorre spostare l’attenzione «dallo sterile e astratto schema contrattuale, di volta in volta adottato, al concreto e di- namico assetto dato dalle parti ai loro contrapposti interessi. Di talché, abbandonata la tradizionale nozione dell’elemento in discorso in ragione dell’obsolescenza e della insufficienza della matrice ideologica sottesa agli orientamenti che lo configurano come strumento di  controllo  della  utilità sociale delle modalità di attuazione dell’autonomia privata, la causa è stata ricostruita in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, al di là del modello utilizzato» (cfr. Cassazione, 3 aprile 2013, n. 8100).

In definitiva, questo Collegio ritiene che non possa essere – in difetto di specifica previsione della normativa federale – il giudice sportivo a cifrare l’esatta valutazione “negoziale” di un calciatore, sia perché compito estraneo alla sua funzione, sia perché l’entità del rischio che ogni società sportiva decide di assumere é basata su non palesi e personali valutazioni. Ne consegue che – allo stato – deve ritenersi demandato al giudice sportivo il solo compito di verificare che lo schema contrattuale non violi le norme dell’ordinamento sportivo e rifletta la concreta volontà delle parti per disciplinare i loro contrapposti interessi.

Per tutto quanto sopra considerato e con riferimento al caso di specie, questa Corte ritiene, in definitiva, che l’assunto attoreo, pur pregevolmente sostenuto e suggestivamente argomentato, non può essere condiviso, con la conseguenza che la ricostruzione operata dalla ACF Fiorentina e le correlate domande avanzate dalla stessa non possono, in questa sede, trovare accoglimento.

Come anche già affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, seppur ai diversi fini disciplinari, ma con decisione qui integralmente richiamata e pienamente condivisa e dal quale questo Collegio ritiene di non doversi discostare, «l’assunto accusatorio, pur validamente progettato sotto il profilo concettuale, difetta di elementi oggettivi e gli elementi sui quali la ricorrente ha fondato le proprie censure avverso la pronuncia di primo grado, non sono idonei a fornire criteri imparziali ed oggettivi su cui fondare, quantomento, per quanto qui interessa, nel caso di specie, la valutazione di mercato dei calciatori.

Del resto, posto che già nella relazione d’indagine della Procura federale si da atto che le cessioni dei due calciatori di cui trattasi non costituiscono una consecutio, ma due autonome operazioni di mercato, si ritiene non sussistano – quanto alle specifiche valutazioni di mercato – elementi idonei e sufficienti, tantomeno di natura oggettiva o documentale, sui quali fondare un giudizio di colpevolezza in ordine alla non congruità della valutazione degli stessi predetti calciatori, né, tantomento,  in relazione alla funzione elusiva della valutazione medesima» (cfr. Corte federale d’appello, sezioni unite, Com. Uff. n. 024/CFA del 17 agosto 2018).

In conclusione, dichiarato assorbito ogni ulteriore motivo, questa Corte ritiene che il ricorso debba essere  rigettato.

Per questi motivi la C.F.A., respinge il ricorso come sopra proposto dalla società ACF Fiorentina SpA di Firenze (FI).

Dispone addebitarsi la tassa reclamo.

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