F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONI UNITE – 2018/2019 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 63CFA DEL 11/01/2019 (MOTIVI) CON RIFERIMENTO AL COM. UFF. N. 61CFA DEL 19/12/2018 (DISPOSITIVO) RICORSO DEL SIG. REPACE LUIGI PER REVISIONE E/O REVOCAZIONE EX ART. 39 C.G.S. AVVERSO LE SANZIONI: – INIBIZIONE PER MESI 4 INFLITTA AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1 C.G.S. SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE NOTA 3671/896 PF 12-13 SP/BLP DEL 25.11.2014 (Delibera della Corte Federale D’Appello – Com. Uff. n. 032/CFA dell’1.10.2015); – INIBIZIONE PER GIORNI 35 INFLITTA AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS C.G.S. SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE NOTA 3670/1829 PF 10-11 SP /BLP DEL 25.11.2014 (Delibera della Corte Federale D’Appello – Com. Uff. n. 002/CFA del 5.7.2016);

RICORSO DEL SIG. REPACE LUIGI PER REVISIONE E/O REVOCAZIONE EX ART. 39 C.G.S. AVVERSO LE SANZIONI: - INIBIZIONE PER MESI 4 INFLITTA AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1 C.G.S. SEGUITO  DEFERIMENTO  DEL  PROCURATORE  FEDERALE  NOTA  3671/896  PF  12-13  SP/BLP  DEL

25.11.2014 (Delibera della Corte Federale D’Appello – Com. Uff. n. 032/CFA dell’1.10.2015); - INIBIZIONE PER GIORNI 35 INFLITTA AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS C.G.S. SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE NOTA 3670/1829 PF 10-11 SP /BLP DEL 25.11.2014 (Delibera della Corte Federale D’Appello – Com. Uff. n. 002/CFA del 5.7.2016);

Il sig. Luigi Repace propone ricorso affichè la Corte Federale d’Appello «voglia disporre la revisione e/o revocazione ai sensi dell’art. 39 codice di giustizia sportiva» delle decisioni di cui ai seguenti comunicati ufficiali:

a) n. 3/TFN del 7.7.2015, confermata dalla Corte federale d’appello con decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 032/CFA del 1.10.2015, con la quale l’istante è stato condannato a mesi quattro di inibizione;

b) n. 135/CFA del 5.7.2016, con la quale all’istante è stata irrogata la sanzione della inibizione “fino a tutto il 10.8.2016”.

Premette, l’istante, che «per i fatti oggetto dei procedimenti sopra indicati è sorto procedimento penale innanzi all’Ill.mo Tribunale di Perugia nel quale è intervenuta sentenza irrevocabile di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p. con la formula “piena” perché il fatto non sussiste» e che, dunque, «allo stato dei fatti è evidente la sussistenza di un contrasto di giudicati non solo formale, in virtù delle decisioni contrapposte assunte dall’Organo Giudicante del procedimento Sportivo rispetto a quanto sancito irrevocabilmente dalla Giustizia ordinaria penale, ma tale da determinare una inconciliabilità dei fatti posti a fondamento delle decisioni sopra citate».

Il ricorrente ritiene, in punto ammissibilità, che si siano realizzate entrambe le condizioni di cui all’art. 39 C.G.S., tanto, quindi, per disporre la revocazione, quanto per procedere alla revisione. «Da un lato, infatti», si legge nel ricorso, «nel procedimento penale instaurato nei confronti dell’odierno ricorrente sono emersi elementi probatori di cui l’Organo giudicante sportivo non ha potuto tenere conto, nella propria pronuncia, per le esigenze di speditezza tipiche della normativa processualistica sportiva. Tali fonti di prova sono costituite sia dalle testimonianze rese in sede dibattimentale, che dalla consulenza tecnica di parte del Pubblico Ministero. Dalla attenta lettura della sentenza del Tribunale di Perugia, infatti, emerge chiaramente come queste prove siano alla base della libera determinazione del Giudicante e come, valutate nella loro interezza, abbiano condotto ad una sentenza assolutoria.

In secondo luogo è parimenti evidente la sussistenza di un contrasto di giudicati e come tale contrasto non sia il mero frutto di una diversa interpretazione dei fatti posti  a  fondamento  delle decisioni  contrapposte.  La  ricostruzione  storica  completa,  così  come  emersa  nel  procedimento

penale, infatti, ha come logica conclusione la pronuncia di assoluzione ed è evidente come tale assoluzione debba portare ad una riforma delle decisioni assunte in ambito sportivo» (cfr. ricorso).

Evidenzia, a tal riguardo, il ricorrente, come sia stata la stessa Corte federale d’appello, «nella riunione del 4.9.2015, pubblicata sul Com. Uff. n. 18 in pari data» a disporre la sospensione del procedimento sportivo, sulla base del seguente presupposto: “il processo penale in corso appare in grado di fornire ulteriori elementi utili al giudizio, con particolare riferimento all’accertamento delle circostanze di fatto, ai fini della definizione del presente procedimento”.

Il ricorrente sig. Luigi Repace deduce, in particolare, inconciliabilità dei fatti posti a fondamento delle decisioni degli Organi sportivi con quelli a fondamento della sentenza penale di assoluzione ed in tale direzione evidenzia come il Tribunale di Perugia, con sentenza n. 1711/18 del 3.7.2018 (pubblicata in data 11.7.2018, passata in giudicato in data 17.10.2018, abbia – nei suoi confronti - pronunciato decisione di assoluzione con formula piena “perché il fatto non sussiste”.

Segnala, altresì, il ricorrente, come non sia di poco conto «la circostanza che la sentenza di assoluzione sia intervenuta nonostante fosse maturato, per i reati ascritti, il termine di prescrizione; è fatto notorio come tale possibilità sia consentita, ex art. 129 c.p.p., soltanto qualora degli atti risulti “evidente che il fatto non sussiste”».

Il sig. Luigi Repace conclude, quindi, chiedendo la revocazione o la revisione delle due decisioni in premessa indicate, con conseguente dichiarazione di proscioglimento con la formula ritenuta più opportuna.

Alla seduta del 19.12.2018 sono comparsi, innanzi a questa Corte, il sig. Luigi Repace personalmente ed il suo difensore avv. Marta Bocci, nonché il rappresentante della Procura federale, avv. Dario Perugini.

All’esito della discussione, questa Corte si è riunita in camera di consiglio, pronunciando la seguente

Ordinanza

«La C.F.A., ritenutane l’opportunità e la rilevanza, invita parte ricorrente a produrre copia dei verbali di udienza, inerenti le acquisizioni testimoniali, relativi al processo penale (n. 16/228 R.G.) definito dal Tribunale di Perugia con la sentenza n. 1711/2018 pubblicata in data 11.7.2018, nonché le risultanze delle consulenze peritali disposte d’ufficio dal medesimo predetto Tribunale.

Assegna al ricorrente termine fino al 31.12.2018 per il deposito della predetta documentazione, riservando all’esito, la decisione».

Con nota di deposito in data 29.12.2018 il ricorrente ha prodotto copia dei verbali di udienza – relativi alle acquisizioni testimoniali – del processo penale svoltosi innanzi al Tribunale di Perugia, n. 3

s.i.t. richiamate nella sentenza del Tribunale di Perugia, n. 2 consulenze peritali dell’ing. Ruggero Minelli.

Ritenuto, così, sufficientemente istruito il procedimento, questa Corte, sciogliendo la riserva assunta all’esito della camera di consiglio, ha deciso il giudizio come in dispositivo, sulla base dei seguenti

Motivi

La domanda di revocazione  ex  art. 39,  comma  1, C.G.S. deve essere dichiarata inammissibile. Come noto, il procedimento per revocazione contempla il doppio  momento,  quello  dell’ammissibilità  e quello, eventuale e successivo, della rescindibilità. Sotto tale profilo, dunque, la questione che in via logicamente preliminare la Corte è chiamata ad affrontare riguarda la ammissibilità del ricorso.

Recita l’art. 39, comma 1, C.G.S.: «Tutte le decisioni adottate dagli Organi della giustizia sportiva, inappellabili o divenute irrevocabili, possono essere impugnate per revocazione innanzi alla Corte federale di appello, entro trenta giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti: a) se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno all'altra; b) se si è giudicato in base  a  prove riconosciute false dopo la decisione; c) se, a causa di forza maggiore o per fatto altrui, la parte non ha potuto presentare nel precedente procedimento documenti influenti ai fini del decidere; d) se è stato omesso l’esame di un fatto decisivo che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento, oppure sono sopravvenuti, dopo che la decisione è divenuta inappellabile, fatti nuovi la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia; e) se nel precedente procedimento è stato commesso dall’organo giudicante un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa».

Come detto, il Giudice della revocazione deve, anzitutto, valutare l’ammissibilità della domanda revocatoria, anche d’ufficio ed a prescindere, quindi, da eventuali eccezioni o sollecitazioni di parte resistente, atteso il chiaro disposto della norma di cui al sopra ricordato art. 39 C.G.S.. Nel caso di specie, l’istante ritiene ricorra l’ipotesi descritta al comma 1, lett. d), della predetta norma, essendo «emersi elementi probatori di cui l’Organo giudicante sportivo non ha potuto tenere conto». L’assunto non può essere condiviso.

Il Giudice della revocazione è tenuto, preliminarmente, a verificare l’attitudine dimostrativa dei nuovi fatti, congiuntamente alla decisione del precedente giudizio, rispetto al risultato finale della revisione dello stesso. In altri termini, ciò che al giudice della fase rescindente si chiede è di simulare se la precedente struttura decisoria fosse attraversata da un grado di permeabilità tale da consentire l’utile innesto di altri fatti, di per sé capaci di scardinarne la coerenza. Occorre, in breve, verificare se le dedotte nuove circostanze fattuali si palesino induttive di una possibile revisione critica della precedente pronuncia.

Orbene, in tale prospettiva, l’istanza di revocazione ex art. 39, comma 1, C.G.S. non è connotata da idonea allegazione relativa al “fatto decisivo che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento” od ai “fatti nuovi” (la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia) sopravvenuti dopo che la decisione è divenuta inappellabile. Il ricorrente, dunque, non consente a questa Corte di compiere quel preliminare giudizio volto a verificare l’astratta idoneità – degli asseriti nuovi fatti posti a fondamento della richiesta revocazione – a rendere possibile una diversa conclusione del procedimento disciplinare definito con l’applicazione della sanzione della inibizione. La richiesta di revocazione ex art. 39, comma 1, C.G.S. deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.

Questa Corte ritiene, invece, ammissibile la domanda di revisione del processo proposta ex art. 39, comma 2, C.G.S., seppure per ragioni in parte differenti da quelle dedotte dal ricorrente.

Recita siffatta norma: «La Corte di Giustizia Federale può disporre la revisione nei confronti di decisioni irrevocabili se, dopo la decisione di condanna, sopravvengono o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il sanzionato doveva essere prosciolto oppure in caso di inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione irrevocabile, od in caso di acclarata falsità in atti o in giudizio».

L’istituto, come noto, si fonda sull’esigenza di correggere un errore giudiziario e su un principio di razionalità dell’ordinamento, che, in casi eccezionali, consente di giustificare il sacrificio del giudicato dinanzi ad un interesse superiore che attiene a diritti di dignità e di libertà della persona (cfr. Cassazione penale, 18 luglio 1996, n. 2562).

Orbene, a tal proposito, merita di essere ricordato quanto già affermato da queste Sezioni unite:

«la struttura letterale e la stessa impostazione finalistica della norma federale ricalcano quelle che il codice di procedura penale disciplina all’art. 630: è, allora, inevitabile che la norma processualpenalistica costituisca lo sfondo di riferimento anche per il giudizio sportivo, non ravvisandosi ragioni per affermare una applicazione derogatoria, attesa la sostanziale identità delle condizioni al cui ricorso è subordinato l’utile esperimento del rimedio» (cfr. CGF, Com. Uff. n. 190/CGF del 20.5.2009). «Ebbene, l’art. 637, comma 3, c.p.p. stabilisce che il giudice non può pronunciare il proscioglimento del condannato esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio, ponendo in tal modo un limite invalicabile alla revisione nel divieto di riesame degli stessi elementi che furono valutati nel processo conclusosi con il giudicato» (cfr. CGF, Com. Uff. 245/CGF del 4.5.2012).

«Ed invero, le ipotesi di cui alle lett. a), c), e d) dell’art. 630 c.p.p. descrivono le medesime ipotesi recepite dal comma 2 dell’art. 39 C.G.S., riferendosi rispettivamente al caso di inconciliabilità dei fatti stabiliti a fondamento della pronuncia soggetta a revisione con quelli stabiliti in altre sentenze irrevocabili promananti dal plesso giurisdizionale ordinario o speciale, al caso di sopravvenienza di nuove prove risolutive e, infine, all’accertamento della dipendenza della condanna dalla dimostrata falsità in atti o in giudizio.

L’ulteriore corollario di questa armoniosa convivenza tra i due sistemi normativi quanto all’ipotesi in esame è che possono certamente costituire utili, se non addirittura imprescindibili, criteri ermeneutici quelli elaborati nel tempo e con costanza di caratteri dalla giurisprudenza penale di legittimità in punto di determinazione della ammissibilità dei ricorsi per revisione» (cfr. CGF, Com. Uff. n. 190/CGF del 20.5.2009).

Sotto tale profilo, occorre, allora, aversi riguardo alla nozione di “prove nuove”, così ponendo le premesse per delibare l’ammissibilità del ricorso per revisione proposto dal sig. Repace.

Orbene, in tale prospettiva, ritiene, il Collegio, che non vi siano ragioni per discostarsi dai precedenti della giurisprudenza sportiva in materia, secondo cui, ai fini dell’ammissibilità della richiesta

di revisione, devono qualificarsi “prove nuove” anche «quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su tecniche diverse e innovative […] Nel medesimo senso si è ritenuto che la valutazione di ammissibilità debba intendersi estesa anche ad elementi di prova di cui rilevi solo l’esistenza e la persuasività e non il procedimento, o le forme della loro avvenuta acquisizione» (cfr. CGF, Com. Uff. n. 245/CGF del 4.5.2012).

I suddetti orientamenti consolidano l’idea che nei giudizi in materia il giudice della revisione debba verificare l’attitudine dimostrativa delle nuove prove, congiuntamente alle prove del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento (cfr., in tal senso, anche Cassazione pen., 17.6.2008, n. 29486). Peraltro, preme qui ribadire come le circostanze di fatto sulle quali si fonda la decisione del giudice della revisione non possono essere separatamente valutate, ma devono essere necessariamente esaminate nel loro complessivo insieme probatorio, anche al fine di individuarne il relativo legame.

Orbene, ricordato come la struttura del procedimento di revisione desumibile dall’art. 39 C.G.S. contempli il doppio momento, comune a quello per revocazione, della ammissibilità e quello, ulteriore e successivo, della rescindibilità e possibile sostituibilità della pronuncia della cui rimozione si tratta (cfr. CGF, Com. Uff. n. 190/CGF del 20.5.2009), nel caso di specie, il nuovo materiale probatorio acquisito al presente procedimento (sentenza penale, verbali di udienza con l’esito delle prove testimoniali, perizia) consente di ritenere superato il vaglio di ammissibilità del ricorso per revisione proposto dal sig. Luigi Repace.

Ciò premesso, nel caso di specie, il ricorrente deduce due dei profili che l’art. 39, comma 2,

C.G.S. pone a fondamento della pronuncia caducatoria di una decisione irrevocabile adottata dagli Organi federali di Giustizia sportiva. Dal ricorso, infatti, sembra doversi desumere come siano sopravvenute nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrerebbero che il sanzionato avrebbe dovuto essere prosciolto, evidenziandosi la inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione degli organi della giustizia sportiva con quelli di altra decisione (giudice penale) irrevocabile, avendo – la stessa – acquisito autorità di giudicato.

Ritiene, inoltre, parte ricorrente, come sia «evidente la sussistenza di un contrasto di giudicati» e come la «ricostruzione storica completa, così come emersa nel procedimento penale», sfociata nella sentenza di assoluzione in sede penale, «debba portare ad una riforma delle decisioni assunte in ambito sportivo». Insomma, le condizioni afferenti il profilo relativo al dedotto contrasto di giudicati dovrebbero, secondo il ricorrente, ravvisarsi nella sentenza n. 171/2018 del Tribunale penale di Perugia (pubblicata in data 11.7.2018). L’inconciliabilità con altra decisione irrevocabile andrebbe colta nel fatto che il procedimento penale – che avrebbe tratto origine dalla medesima condotta, fenomenicamente intesa, su cui si è pronunciato il giudice sportivo – si è concluso con sentenza di assoluzione.

Evidenzia, ancora, il ricorrente, come «secondo la giurisprudenza di legittimità, il contrasto di giudicati che consente la revoca di un provvedimento definitivo» debba essere inteso «con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra fatti storici, su cui queste ultime si fondano, tali da dimostrare, rispetto alla sentenza  di condanna, una  diversa realtà fattuale irrevocabilmente accertata in altra sentenza idonea a scagionare il “condannato”».

Quest’ultimo assunto è infondato.

Quanto al profilo della inconciliabilità tra giudicati la giurisprudenza di legittimità ha nel tempo affermato che le situazioni di contrasto non sono definibili in numero chiuso e possono essere le più varie, in modo da denunciare, rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale, irrevocabilmente accertata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condannato (cfr. Cass. pen., 7.2.2006, n. 10916).

Nel contempo, tuttavia, occorre osservare come l’apprezzamento della capacità rivalutativa della precedente pronuncia posseduta dagli elementi che si asseriscono sopravvenuti sia unicamente riservata dal legislatore federale al giudice della revisione (i.e. questa Corte federale d’appello), che, in tale contesto, appare del tutto sciolto dal vincolo di conformità ad altre valutazioni svolte, in ambiti giudiziari diversi (penale, civile, disciplinare, ecc.), con riferimento ai medesimi fini: semmai la conformità tra tale apprezzamento ed altri realizzati, sia pur interinalmente, in altre sedi di giustizia, può corroborare o meno l’affidabilità dell’apprezzamento effettuato in ambito federale. In altri termini, il giudice della revisione deve, comunque, procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e delle responsabilità disciplinari contestati al deferito, tenendo ovviamente conto degli eventuali vincoli del giudicato penale, nella misura e nei limiti definiti dall’ordinamento sportivo.

In  tale  ambito  valutativo,  seppure,  come  già  sopra  evidenziato,  non  si  pone,  nel  presente procedimento di revisione – per quanto innanzi rilevato – un problema di stretta inconciliabilità (i.e. contrasto) di giudicati, dovendosi comunque valutare il merito della fattispecie e giudicare in ordine alla commissione o meno del fatto e della conseguente violazione o meno della norma federale da parte dell’incolpato, occorre comunque tener conto della disposizione di cui all’art. 39, comma 3, C.G.S. del CONI, che così recita: «La sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare nei confronti dell’imputato quanto all'accertamento che il fatto non  sussiste o che  l'imputato non lo ha commesso, ferma restando l’autonomia dell’ordinamento sportivo nella definizione della fattispecie e  nella  qualificazione  del fatto».

In altri termini, ferma restando l’autonomia dell’ordinamento sportivo nella definizione della fattispecie e nella qualificazione del fatto, non vi è dubbio che questa Corte è tenuta anche a prendere in considerazione l’esito del giudizio penale conclusosi con sentenza irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, con la quale, quanto all'accertamento del fatto, si è acclarato che lo stesso non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso.

In diversi termini, il più recente legislatore in materia ha previsto una corposa riduzione degli effetti extrapenali della decisione penale, in linea, peraltro, con la complessiva  impostazione  dei rapporti tra giudizio penale ed altri giudizi, secondo cui, ormai, gli stessi non sono più improntati al principio, in precedenza imperante nel sistema inquisitorio, della unitarietà della funzione giurisdizionale e, quindi, della priorità e del primato della giurisdizione penale e della sua pregiudizialità rispetto agli altri processi (cfr. Cassazione civ., 2.8.2004, n. 14770). Nell’attuale contesto processuale vige, invece, in sostanza, il principio della parità dei differenti ordini giurisdizionali e dell’autonomia dei relativi giudizi.

Sotto il profilo qui in esame, questa Corte ritiene di dover, poi, tenere in debita considerazione l’insegnamento di cui alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione, resa a sezioni unite penali, 29 maggio - 28 ottobre 2008, n. 40049.

Premette, il giudice della legittimità, come sia pacifico, tanto in dottrina, quanto  in giurisprudenza, «che la formula “perché il fatto non sussiste” indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato (la condotta, l'evento o il nesso di causalità), ossia l'esclusione del verificarsi di un fatto storico che rientri nell'ambito di una fattispecie incriminatrice, anche soltanto a livello di tentativo».

Prosegue, la Corte di Cassazione: «Accertata dunque l'insussistenza del fatto (o mancando la prova della sua sussistenza), l'assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste” deve essere pronunciata con prevalenza su qualsiasi altra e rende superflua ogni valutazione della condotta (Sez. IV, 5.6.1992, n. 1340, Battaglia, m. 193032). Tale formula, avendo una maggiore ampiezza di effetti liberatori, prevale anche su quella perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (Sez. Un., 27.9.2007, n. 2451/08, Magera, m. 238195). Inoltre, pur essendo entrambe ampiamente liberatorie, la formula “perché il fatto non sussiste” è logicamente pregiudiziale rispetto a quella “per non aver commesso il fatto”, perché non è possibile assolvere taluno per non aver commesso il fatto senza aver potuto prima risolvere affermativamente la questione della sussistenza del fatto stesso».

Ciò premesso, evidenzia, la Suprema Corte, come il legislatore abbia introdotto, con il codice di procedura del 1988, il principio dell’autonomia e della separazione tra giudizio civile e giudizio penale, nel senso che, salve restando alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione previste dall'art. 75, comma 3, cod. proc. pen., da un lato, il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall'altro, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità civile dedotti in giudizio (cfr. Cassazione civ., sez. III, 30.7.200l, n. 10399).

«Questo nuovo principio generale è peraltro attenuato dal riconoscimento al giudicato penale di valore preclusivo negli altri giudizi in specifiche limitate ipotesi, e precisamente in quelle disciplinate dall'art. 651 con riferimento al giudicato di condanna e dall'art. 652 con riferimento al giudicato di assoluzione nei giudizi civili ed amministrativi di danno, dall'art. 653 con riferimento al giudizio disciplinare e dall'art. 654 con riferimento al giudicato assolutorio o di condanna negli “altri” (diversi da quelli precedenti) giudizi civili ed amministrativi» (Cassazione, sezioni unite penali, 29 maggio - 28 ottobre 2008, n. 40049). Dette disposizioni sono sottoposte al limite costituzionale, ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale, del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio e, costituendo un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi, sono soggette ad un'interpretazione  restrittiva  e  non  possono  essere  applicate  per  via  di  analogia  oltre  i  casi espressamente previsti (in tal senso, Cassazione civ., sez. III, 30.7.2001, n. 10399; Cassazione civ., sez. III, 3.12.2002, n. 17166; Cassazione cv., sez. III, 2.8.2004, n. 14770).

Orbene,  se  ne  ricava  come,  oggi,  l’ordinamento  giuridico  generale  ricolleghi  l'efficacia  del giudicato penale all' “accertamento” e non più alla mera “dichiarazione” della insussistenza del fatto e delle altre cause di proscioglimento. Se ne deduce, pertanto, anche in tale prospettiva interpretativa, come sia necessario, in questa sede di revisione, procedere, comunque, ad un effettivo, specifico e concreto accertamento positivo della insussistenza del fatto o della sua non attribuibilità all'imputato, non potendosi realizzare, l'effetto di giudicato penale, in quelle ipotesi in cui siffatto positivo accertamento non vi sia stato.

Ritiene, in definitiva, questa Corte che nella prospettiva rivalutativa propria del giudizio di revisione debba aversi riguardo non tanto alla sentenza (penale) di assoluzione in sé e per sé considerata ed al suo dispositivo, quanto, invece, al positivo accertamento in fatto nella stessa rinvenibile, atteso che «la formula assolutoria “perché il fatto non sussiste”, potendo astrattamente ricomprendere anche l'ipotesi della mancanza o dell'insufficienza delle prove in ordine alla sussistenza del fatto od all'attribuibilità di esso all'imputato, non deducibile per espressa esclusione di legge nel dispositivo della sentenza penale» (così Cassazione, sezioni unite penali, 29 maggio - 28 ottobre 2008, n. 40049), non è di per se stessa ostativa alla celebrazione del procedimento disciplinare in sede sportiva,  essendo  riservato, per quanto qui rileva, al  giudice sportivo, accertare, previa interpretazione del giudicato penale sulla base della motivazione del medesimo, se l'esclusione della responsabilità dell'imputato sia stata certa o dubbia e/o se l’accertamento in fatto presupposto sia stato o meno completo, e, di conseguenza, stabilire se l'azione disciplinare (o una decisione di condanna in sede sportiva) sia o meno preclusa.

Per giudicare in ordine alla fondatezza o meno del ricorso occorre, allora, nel merito, verificare se il complessivo quadro probatorio, come integrato dalle nuove sopravvenute prove, sia idonee a dimostrare che il sanzionato doveva essere prosciolto. Per inciso, a tal proposito, occorre, subito, precisare che solo una parte della documentazione probatoria (segnatamente, le risultanze dell’esame testimoniale dibattimentale) può essere tenuta in considerazione ai fini del presente giudizio di revisione, atteso che le altre (ossia, n. 3 verbali di s.i.t. e n. 2 consulenze peritali) non soddisfano i requisiti richiesti dalla norma di cui all’art. 39, comma 2, C.G.S., essendo le stesse antecedenti alle decisioni di condanna in sede disciplinare-sportiva.

Ciò premesso, ritiene, questa Corte, che le acquisite nuove prove (nei limiti appena chiariti) consentono, per quanto sopra detto, di pervenire ad un sereno giudizio di proscioglimento dalla responsabilità per le violazione contestate – con i capi di incolpazione di cui ai due deferimenti in premessa ricordati – al sig. Luigi Repace.

In tale prospettiva, questa Corte reputa, in primo luogo, che l’esame/raffronto dei capi di incolpazione di cui ai due deferimenti, poi, accolti nelle due decisioni in epigrafe indicate e qui fatte oggetto di istanza di revocazione / revisione e dei capi di imputazione contestati allo stesso sig. Luigi Repace nel procedimento penale svoltosi innanzi al Tribunale di Perugia e, poi, definito con la sentenza 1711/2018 del 3/7 luglio 2018, consente di affermare come la consistenza fattuale oggetto del procedimento sportivo e di quello penale sia, in effetti, la medesima.

Segnatamente, si tratta dei fatti relativi alla vicenda inerente la costruzione in Perugia, di un impianto sportivo, in forza di un finanziamento concesso dalla Regione Umbria.

Con deferimento in data 25.11.2014, accolto dal TFN con la decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 37TFN del 1.10.2015, il sig. Luigi Repace, per quanto qui rileva, è stato deferito per la violazione delle norme di comportamento di cui ai principi di lealtà, correttezza e probità da rispettare in ogni rapporto, comunque, riferibile all’attività sportiva, previsti dall’art. 1 bis C.G.S., per avere, in concorso con altre persone, formato e sottoscritto due appendici ai verbali di riunione del Comitato regionale Umbria (verbali n. 8 del 29.3.2008 e n. 9 del 29.4.2010) da ritenersi non veridici, poiché difformi  per contenuto, modalità e tempo alla realtà effettiva che, invece, volevano diversamente attestare, con l’aggravante della finalità illecita e del clamore avuto dalla vicenda.

Con altro deferimento in data 24.11.2014 il Procuratore Federale ha deferito il Sig. Luigi Repace, nella sua qualità di presidente del Comitato Regionale LND – FIGC dell’Umbria, “per rispondere della violazione delle norme di comportamento di cui ai principi di lealtà, correttezza e probità da rispettare in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, previsti dall’art. 1 bis C.G.S., avendo posto in essere comportamenti non conformi a buone regole di gestione della vicenda sul  finanziamento ottenuto dalla Regione Umbria per la realizzazione di un impianto sportivo, quali la disordinata e carente tenuta della contabilità, nonché l’utilizzo dei fondi per scopi diversi al momento dell’effettiva erogazione e comunque non attinenti allo scopo vincolato per il quale era stato concesso (prima quota del contributo di € 150.000,00 utilizzata per differenti esigenze e seconda quota del contributo di € 120.000,00, richiesta ed ottenuta in carenza di un reale ed effettivo stato di avanzamento dei lavori, come confermato dall’impresa appaltatrice degli stessi), tutti comportamenti da considerarsi fra loro collegati e finalizzati unitariamente all’irregolare ottenimento dei fondi ed irregolare utilizzo degli stessi, procurando così un danno all’immagine della struttura federale interessata ed esponendola al rischio di ripetizione del contributo ottenuto”.

Entrambe le decisioni di condanna (sia1) quella di cui al Com. Uff. n. 3/TFN del  7.7.2015, confermata dalla Corte Federale d’Appello con decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 032/CFA del 1.10.2015, sia 2) quella di cui al Com. Uff. n. 135/CFA del 5.7.2016), oggetto, nel presente giudizio, di richiesta di revocazione / revisione, si fondano, in sostanza, sull’assunto che il sig. Luigi Repace abbia posto in essere una condotta volta ad ottenere un finanziamento pubblico (regione Umbria) senza che ne ricossero i presupposti e grazie ad artifizi e raggiri consistenti nella falsificazione di due verbali, e ne abbia poi distratto le somme.

Questo, invece, il capo di imputazione di cui al processo penale svoltosi innanzi al Tribunale di Perugia:

«a) delitto di cui agli artt. 110, 640 c. 2° n. 1 c.p. per avere agendo il Repace quale presidente del Comitato Regionale Umbria della Federazione Giuoco Calcio Lega Nazionale Dilettanti […] mediante artifici e raggiri consistiti nella produzione di documentazione alterata e non rappresentativa del vero, atta a dimostrare l’inizio dei lavori per la realizzazione di un impianto sportivo consistente in un campo di calcio e strutture pertinenziali al medesimo, adiacente alla sede del Comitato, nonché il dovuto corrispettivo per gli stessi pari ad € 150.000,00, indotto in errore i funzionari della Regione dell’Umbria che provvedevano all’erogazione  del primo  rateo del finanziamento  a fondo  perduto, riconosciuto dall’Ente stesso per € 300.000,00, pari ad € 150.000,00, nonché al secondo per € 120.000,00;

b) delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv 316 bis c.p., per avere, agendo il Repace quale presidente del Comitato Regionale Umbria della Federazione Giuoco Calcio Lega Nazionale Dilettanti, socio unico della Calcio Umbia srl, […] impiegato per finalità estranee a quelle di erogazione, i ratei del contributo concesso ed erogato dalla Regione dell’Umbria per la realizzazione di un impianto sportivo consistente in un campo di calcio e strutture pertinenziali al medesimo, adiacente alla sede del Comitato, il tutto con le seguenti modalità:

I rateo

- quanto ad € 52.497,89 parte del primo rateo ricevuto il 18.03.2009 per € 150.000,00 trasferiti (giroconto) in data 19.3.2009 in favore della Calcio Umbria srl che li destinava a finalità diverse,

- quanto ad € 94.938,89, residua porzione del suddetto rateo di contributo, impiegati a fini gestionali (così come desumibile dal saldo residuo del c/c 11453 della BPS pari ad € 2.563,22 alla data  del  20.05.2009)

II rateo

- quanto ad € 83.259,39 parte del secondo rateo per € 120.000,00, ricevuto il 23.09.2010, impiegati ai fini gestionali (così come desumibile dal saldo residuo del c/c della BPS alla data del 28.02.2011 pari ad € 36.740,61 al netto del saldo di € 2.563,22 considerato al punto precedente)».

Se ne ricava, dunque, come detto, che i fatti oggetto dei procedimenti disciplinari di cui trattasi (definiti con le decisioni degli organi di giustizia sportiva – oggetto della istanza di revisione qui in esame) e di quello penale (definito con la sentenza del Tribunale di Perugia n. 1711/2018 del 3.7.2018) sono i medesimi. Le prove provenienti dal predetto processo penale possono, dunque, considerarsi pertinenti e rilevanti nel presente procedimento di revisione.

Del resto, che gli accertamenti dibattimentali effettuati nel corso del processo penale innanzi al Tribunale di Perugia fossero utili fonti di completamento del quadro probatorio è già stato affermato dalla Corte federale d’appello nella stessa decisione di condanna di cui al Com. Uff. n. 002/CFA del 5.7.2016, che, con specifica ordinanza, ha «ritenuto che il processo penale in corso innanzi  al Tribunale di Perugia potesse fornire ulteriori elementi utili di giudizio, con particolare riferimento all’accertamento delle circostanze di fatto, ai fini della propria decisione», ed ha, dunque, sospeso il procedimento di appello (Com. Uff. n. 18/CFA – Stagione Sportiva 2015/2016), poi riprendendolo in considerazione del possibile maturare dei termini di prescrizione, atteso il prolungarsi del predetto processo penale, dando prevalenza all’interesse «alla pronuncia sportiva allo stato degli atti rispetto a quello dell’attesa dello svolgimento del giudizio penale (i cui tempi, come è stato accertato in seguito

all’ordinanza interlocutoria, non sarebbero funzionali alla giustizia sportiva)», ritenendo doverosa e possibile quella valutazione ponderata degli interessi in gioco, che al momento apparivano incompatibili, e stimolavano la celere definizione del procedimento sportivo.

Gli  elementi  probatori  disponibili  al  momento  della  decisione  del  procedimento  disciplinare sportivo relativo alla alterazione dei due verbali del Comitato regionale Umbria – LND avevano correttamente condotto la CFA ad affermare la sussistenza della violazione dei principi sanciti dall’art. 1 bis C.G.S..

Si legge, tra l’altro, nella decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 032/CFA del 1.10.2015:

«Venendo alla valutazione dei fatti, la Corte ritiene condivisibili le considerazioni del T.F.N. circa la sufficiente prova dell’avvenuta alterazione di entrambi i verbali in questione e, si può aggiungere, del comportamento tutt’altro che lineare degli incolpati. Ed infatti, dall’esame degli atti risulta confermato in modo incontrovertibile che solo in due occasioni sia stata aggiunta un’appendice ai verbali delle riunioni del Consiglio direttivo del Comitato Regionale Umbria (e si tratta dei verbali n. 8 del 29.3.2008 e n. 9 del 29.4.2010); l’oggetto delle appendici è il medesimo per i due verbali oggetto di esame (la realizzazione della nuova sede del Comitato Regionale Umbria e del campo di giuoco) ed in entrambi i casi l’aggiunta ha riguardato un argomento che non era stato preventivamente posto all’ordine del giorno; entrambi i verbali risultano integrati mediante riempimento dello spazio libero esistente fra il verbale precedente e quello successivo; le determinazioni oggetto delle appendici poste in calce ai due verbali sono state funzionali all’erogazione del contributo pubblico; in entrambi i casi l’estensione della verbalizzazione appare adattata alle dimensioni dello spazio trovato libero.

A tali argomentazioni coerentemente espresse dai primi giudici se ne possono aggiungere delle ulteriori, non poco decisive, che, nel confortare la ricostruzione del T.F.N., consentono anche  di superare definitivamente le tesi difensive proposte dai deferiti i quali hanno sempre sostenuto che:

a) le appendici dei verbali costituirebbero espressione della loro corretta e regolare compilazione;

b) le riunioni del Comitato Regionale Umbria sarebbero sempre avvenute in conformità ad una prassi seguita da tutti gli organi collegiali della L.N.D che vede il segretario verbalizzare lo svolgimento della seduta conciliare sulla base di appunti successivamente rielaborati e posti all’approvazione nella riunione immediatamente successiva a quella di cui trattasi;

c) la necessità di trattare l’argomento della realizzazione del campo di gioco avrebbe imposto in entrambi i casi la riapertura del verbale che avrebbe puntualmente riportato quanto trattato e deliberato;

d) le eventuali anomalie nella sottoscrizione dei verbali (firme sottoposte rispetto alla stampa dell’integrazione del verbale, firme apposte in formato compresso, utilizzazione di penne diverse da parte del medesimo sottoscrittore nell’apposizione della firma del verbale e di quella dell’appendice) sarebbero circostanze prive di validità rappresentativa;

e) il documento trasmesso via fax allo studio di consulenza il 12.7.2010 rappresenterebbe una copia dell’originale custodito in armadio chiuso a chiava e non una bozza da sottoporre alle valutazioni del consulente per la stesura definitiva. Sennonché tutte queste argomentazioni sono  in contraddizione con altri elementi che emergono dall’analisi del testo integrale dei verbali oggetto di giudizio e che consentono di pervenire a conclusioni che smentiscono anche quanto affermato dai Signori Bonato, Micciani e Bogliari in sede di audizione davanti a questa C.F.A.».

Analogamente, l’esame della documentazione probatoria allora versata in atti aveva correttamente indotto la Corte federale d’appello (decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 002/CFA del 5.7.2016) a ritenere che la documentazione medesima consentisse di individuare  profili  di responsabilità della condotta del sig. Repace, rilevanti ai sensi dell’art. 1 bis C.G.S.. «La documentazione in questione», si legge nella predetta decisione della CFA, «consente di dissentire dal giudizio espresso dal TFN circa l’assenza di qualsiasi profilo di responsabilità del Repace. Ed infatti, a prescindere dal rilievo secondo il quale l’impianto sportivo è stato ultimato nei tempi stabiliti ed in conformità agli obblighi assunti dal Comitato Regionale Umbria per ottenere l’erogazione del contributo regionale (permesso di costruire n. 111 dell’8.2.2006 e SCIA n. 3883 del 30.11.2011), ciò che rileva nella presente sede disciplinare appare il mancato rispetto delle regole di corretta amministrazione alle quali il dirigente federale avrebbe dovuto attenersi. Sotto questo precipuo aspetto (si rileva, per inciso, che pende davanti alla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale regionale Umbria, un giudizio di responsabilità erariale a carico del Repace per tali vicende), dagli atti istruttori a disposizione del Collegio emerge che le due tranches di finanziamento siano state richieste ed ottenute, la prima,

quando non era stato neanche acquisito il verbale di consegna lavori, la seconda, in mancanza di una rendicontazione chiara e trasparente, da parte del Comitato, degli importi fino a quel momento utilizzati da altro soggetto, ossia la Umbria Calcio S.r.l., società di servizi del Comitato, che aveva stipulato l’appalto unitario per la costruzione del campo da gioco e della nuova sede del Comitato Umbria».

Queste considerazioni, «valutate unitamente a tutti gli altri elementi individuati dal T.F.N. (tra i quali, lo ricordiamo, la circostanza che le due anomalie furono entrambe funzionali all’erogazione del finanziamento, senza contare l’invio del verbale in bozza via fax ad uno studio di consulenza) inducono a ritenere altamente verosimile, e comunque sufficientemente provato, che i due verbali, al momento della loro formazione, non avevano il contenuto che appare oggi in seguito all’aggiunta delle due appendici e che le determinazioni delle appendici non vennero affatto assunte in occasione delle due riunioni».

Orbene, ritiene questo Collegio, che la complessiva documentazione versata ed acquisita al presente giudizio, come integrata con i nuovi elementi probatori già posti a base della decisione del processo penale svoltosi innanzi al Tribunale di Perugia e conclusosi con la sentenza n. 1711/2018 del 3/7 luglio 2018, passata in giudicato, consente di accertare ed affermare come non possa ritenersi acclarata alcuna specifica condotta violativa inerente l’alterazione dei verbali, funzionale ad ottenere il richiesto contributo regionale, né distrazione di fondi pubblici (finanziamento regionale), essendosi la costruzione dell’impianto sportivo oggetto del predetto medesimo  finanziamento,  comunque, conclusosi nei termini preventivati.

In tale prospettiva è bene, subito, evidenziare come il Tribunale di Perugia sia pervenuto ad una pronuncia di assoluzione «sulla base delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale svolta».

È rimasto, tra l’altro, dimostrato che «i lavori di costruzione del campo sportivo, oggetto di contributo regionale, si sono regolarmente conclusi entro il termine indicato dalla Regione Umbria (31.12.11)». Sotto tale profilo, il consulente del PM (dott.ssa Daniela Saitta), sentito quale teste (verbale udienza 20.6.2017) ha confermato che l’indicazione della data di 24 mesi dalla delibera della Giunta regionale Umbria del 27.12.2007 era solo una “opportunità”, nel senso, riferisce il teste, che «venne segnalata l’opportunità di terminare i lavori entro i 24 mesi». «Non c’era», insomma, precisa il teste, «una scadenza cogente».

Il teste di PG, Giuseppe Martirichiano (luogotenente in servizio presso il PT della Guardia di Finanza di Perugia), sentito dal Tribunale di Perugia alla udienza del 20.6.2017 ha, poi, precisato che i lavori avrebbero dovuto svolgersi in due fasi, la prima da concludersi entro 24 mesi dall’inizio dei lavori ed una seconda da concludere «entro il 31.12.11» e che, in definitiva, la determina dirigenziale della Regione Umbria, nr. 7703 del 9 settembre 2010, indicava nella data “del 31.12.11”, il termine per la conclusione dei lavori.

Termine di conclusione lavori, questo, ribadito anche da altro teste del PM (, dott. Di Mauro, dirigente Regione Umbria).

In definitiva, che il termine ultimo  assegnato per la conclusione dei lavori fosse quello del 31.12.2011 può ritenersi acclarato e resta, come affermato anche dalla sentenza del Tribunale di Perugia, n. 1711/2018) anche documentalmente provato in forza della determina Regione Umbria n. 7703 del 09.09.2010.

«E’ anche emerso pacificamente», si legge – ancora – nella stessa predetta sentenza, che «che la comunicazione di fine lavori, rispettò il termine ultimo del 31.12.11». Ne conclude, quindi, il Tribunale, che «il reato contestato al capo b) (316 bis c.p.), non appare consumato». Conclusione che questa Corte condivide.

«La Suprema Corte ha, infatti, chiarito che “il delitto previsto dall’art. 316 bis c.p. – che consiste nella elusione del vincolo di destinazione gravante sui finanziamenti erogati per la realizzazione di una determinata finalità pubblica – si perfeziona nel momento in cui si attua la mancata destinazione dei fondi allo scopo per il quale erano stati ottenuti” [Cass. Sez. 6, sentenza n. 40375 del 08.11.2002». In tale direzione, la Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che «il reato si perfeziona non nel momento in cui il finanziamento viene erogato o in quello in cui i fondi vengono in ipotesi impiegati per altro scopo, ma nel momento in cui si attua la mancata destinazione dei fondi allo scopo per il quale erano stati ottenuti. Il momento consumativo del reato si identifica, in una parola, nel momento in cui possa ritenersi accertato che l’agente, non avendo compiutamente realizzato l’opera o l’attività  prevista nell’atto di erogazione, destina le somme ad altra attività» (Cass., sez. VI, sentenza n. 40375 dell’8.11.2002, cit.).

In sostanza, conclude, dunque, il Tribunale di Perugia, «nel caso di specie, il delitto contestato non appare consumato, atteso che l’opera è stata comunque realizzata entro il termine ultimo assegnato dalla Regione erogante il contributo (31.12.2011), a nulla rilevando che, medio tempore, il beneficiario del contributo, già accreditato, abbia utilizzato lo stesso per altre finalità, ben potendo comunque realizzare l’opera utilizzando altro denaro attinto dal proprio patrimonio o comunque allo scopo reperito».

Ne consegue che il sig. Luigi Repace va mandato assolto anche dalle relative contestazioni mosse dalla Procura federale.

Alla luce delle evidenze istruttorie come definite dal Tribunale di Perugia, questa Corte ritiene di poter giungere alla medesima conclusione quanto alla incolpazione relativa alla violazione connessa alla contestata alterazione delle appendici dei due verbali di riunione del Comitato regionale Umbria della LND, atta a dimostrare, secondo la prospettazione accusatoria, l’inizio dei lavori per la realizzazione dell’impianto sportivo oggetto del finanziamento pubblico regionale.

In tal ottica, occorre, peraltro, ricordare che già con sentenza n. 56/2015 il GIP del Tribunale di Perugia ha dichiarato il non luogo a procedere, nei confronti del Sig. Luigi Repace, in ordine al contestato reato di falso, «perché il fatto non sussiste».

L’accertamento già contenuto dalla predetta decisione penale è rimasto, ora, confermato dalle risultanze testimoniali. In particolare, il teste dell’accusa, sig. Mirco Gregori (sovraintendente della Polizia di Stato), escusso dal Tribunale di Perugia (processo penale R.G. n. 16/228) all’udienza del 7.12.2017, ha affermato di non aver rilevato irregolarità alcuna dall’esame dei fax e degli hard disk oggetto di sequestro – a seguito di perquisizione – presso il Comitato Regionale Umbria della FIGC – LND. Dichiara, tra l’altro, ad esempio il teste: «posso dire che al 25.11.2008 il testo era esattamente quello che poi rinveniamo dal 2.2.2010 cioè il momento in cui viene messo sul computer all’atto della perquisizione e quindi relativa analisi del disco che viene fatta in modalità ripetibile quindi nessuna modifica viene fatta, viene trattato esattamente da spento se pure andiamo in lettura quindi viene acceso, quindi i contenuti di quel file erano quelli del 2008».

Ciò premesso, «Quanto al capo A) di imputazione», afferma il Tribunale di Perugia nella sentenza 1711/2018 del 3/7 luglio 2018, «la pronuncia assolutoria si fonda sulla semplice considerazione in dubbio, che all’esito dell’istruttoria svolta, non appare integrato un elemento costitutivo della contestata truffa, e cioè quello dell’altrui danno.

Infatti, per le ragioni viste con riferimento al capo B), i lavori di costruzione dell’impianto sportivo oggetto di contributo, si sono conclusi regolarmente nel termine del 31.12.11, indicato dalla Regione Umbria.

Né è stato nemmeno contestato che l’opera realizzata sia difforme da quella assentita dalla Regione erogatrice del contributo.

Ne segue che la Regione, nel termine da essa assegnato, ha conseguito un impianto sportivo perfettamente conforme a quello voluto, per la costruzione del quale aveva erogato il contributo al CRU.

Con la conseguenza che nessun tipo di danno l’ente pubblico ha risentito dalla costruzione dell’opera finanziaria.

Né è stato nemmeno contestato che altro soggetto, diverso dalla Regione Umbria,  abbia risentito di un qualche danno derivante dall’operato del CRU e della Calcio Umbria S.r.l..

Pertanto, il contestato reato di truffa, a prescindere da ogni considerazione relativa all’eventuale integrazione degli artifizi o raggiri, non appare integrato per il difetto di un elemento costitutivo della fattispecie dell’altrui danno.

Ne segue l’assoluzione degli imputati anche dal capo A), perché il fatto non sussiste».

In conclusione, questa Corte ritiene possibile affermare che i sopravvenuti elementi probatori, ora acquisiti al presente procedimento di revisione, consentono di pervenire ad un solido giudizio alla luce di un complessivo quadro probatorio innovato e completo e che una considerazione d’insieme delle risultanze tutte, testimoniali e documentali, ammesse ed esaminate, consente di superare quella valutazione di colpevolezza, basata sul solo materiale istruttorio all’epoca esistente e sulle correlate valutazioni logico-deduttive (peraltro, lo si ribadisce, allo stato di quel procedimento,  pienamente corrette e funzionali alle esigenze di celerità del giudizio sportivo, anche imposte dall’ordinamento federale).

La revisione critica dei procedimenti disciplinari di cui trattasi conduce, quindi, ad affermare che le nuove prove, unite a quelle già valutate, dimostrano che il sanzionato doveva essere prosciolto. Pertanto, le decisioni fatte oggetto di istanza di revisione ex art. 39, comma 2, C.G.S. – ossia quella

della Corte Federale d’Appello, pubblicata sul Com. Uff. n. 032/CFA del 1.10.2015, di conferma della pronuncia resa dal Tribunale federale nazionale, pubblicata sul Com. Uff. n. 3/TFN del 7.7.2015, con la quale al ricorrente è stata applicata la sanzione di mesi quattro di inibizione, nonché quella della Corte federale d’appello, pubblicata sul Com. Uff. n. 135/CFA del 5.7.2016, con la quale al ricorrente è stata applicata la sanzione della inibizione “fino a tutto il 10.8.2016” – devono essere revocate, con conseguente annullamento delle sanzioni disciplinari con le stesse inflitte al Sig. Luigi Repace.

Per questi motivi la C.F.A., Sezioni Unite:

1) dichiara  inammissibile  il  ricorso  per  revocazione  ex  art.  39,  comma  1,  C.G.S.  come  sopra proposto dal Sig. Luigi Repace;

2) dichiara ammissibile il ricorso per revisione ex art. 39, comma 2, CGS, come sopra proposto dal Sig. Luigi Repace; accoglie, nel merito, il predetto medesimo ricorso, e, per l’effetto:

a) annulla la decisione della Corte Federale d’Appello pubblicata sul Com. Uff. n. 135/CFA del 5 luglio 2016, con la quale al ricorrente è stata applicata la sanzione della inibizione “fino a tutto il 10 agosto 2016”, e, all’esito del giudizio di revisione, nel merito, proscioglie il deferito Luigi Repace dalle incolpazioni allo stesso ascritte;

b) annulla la decisione della Corte Federale d’Appello, pubblicata sul Com. Uff. n. 032/CFA del 1 ottobre 2015, di conferma della decisione del Tribunale Federale Nazionale, pubblicata sul Com. Uff. n. 3/TFN del 7 luglio 2015, con la quale al ricorrente è stata applicata la sanzione di mesi 4 di inibizione, e all’esito del giudizio di revisione, nel merito, proscioglie il deferito Luigi Repace dalle incolpazioni allo stesso ascritte.

Dispone restituirsi le tasse reclamo.

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