CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva – coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 2/2018 del 05/04/2018 – (SU RICHIESTA FIJLKAM)

Parere n. 2

 

Anno 2018

 

IL COLLEGIO DI GARANZIA

SEZIONE CONSULTIVA

composta da

Virginia Zambrano – Presidente

Barbara Agostinis - Relatore

Pierpaolo Bagnasco

Carlo Bottari

Amalia Falcone - Componenti

ha pronunciato il seguente

PARERE 2/2018

 

 

Su richiesta di parere presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del Coni, e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva dal Segretario Generale del Coni, dott. Roberto Fabbricini, prot. n. CE190218160915576PU del 19 febbraio 2018.

 

 

La Sezione

 

Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00012/14 del 17 settembre 2014;

vista la richiesta di parere n. 2/2018, presentata dal Segretario Generale del Coni, dott. Roberto Fabbricini, in data 19 febbraio 2018, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del Coni e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva;

visto lart. 57, comma 2, lett. c), del Codice della Giustizia Sportiva, in base al quale il Presidente del Collegio di Garanzia assegna ciascuna controversia alla sezione di competenza, ovvero alle Sezioni Unite;

visto l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della Sezione Consultiva dell’organo de quo;

Esaminati gli atti e udito il Relatore, Barbara Agostinis.

 

Premesse

 

Alla Sezione Consultiva del Collegio di Garanzia dello Sport viene richiesto di fornire parere motivato riguardo l’interpretazione delle norme dettate dalla Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali (dora in poi F.I.J.L.K.A.M.) in combinato disposto con quelle dettate dal CONI - nell’ambito del proprio Statuto - in merito ai requisiti di eleggibilità/candidabilità alle cariche federali.

La disciplina prevista in ambito federale si presenta analoga a quella emanata dall’ente esponenziale dello sport italiano, in virtù della propria autonomia statutaria; entrambi pongono invero i medesimi requisiti – ai fini della candidabilità alle cariche federali – ovvero, tra l’altro, che i candidati non abbiano riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino linterdizione dai pubblici uffici superiori ad un anno”.

La richiesta del presente parere muove da una riflessione circa la natura delle sentenze di patteggiamento, in particolare che: le sentenze di patteggiamento, seppure espressamente equiparate, a livello normativo, alle sentenze di condanna, sono soggette ad una regolamentazione specifica (differente da quella di carattere generale) atta a configurare una sorta di rito premiale, connotato da plurimi benefici, tra cui è indiscutibilmente annoverabile anche leffetto estintivo del reato previsto dallarticolo 445, comma 2, c.p.p.. Questo articolo dispone che il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni quando la sentenza concerne una contravvenzione, limputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole”.

In virtù di tale considerazione, si chiede di specificare se la norma dello Statuto FIJLKAM, laddove indica la sentenza di condanna, come causa di ineleggibilità o decadenza (non avere riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino linterdizione dai pubblici uffici superiori ad un anno), debba essere interpretata in senso restrittivo e non estesa anche a ricomprendere i provvedimenti di cui allart. 444 c.p.p. ovvero se, come sembra esprimersi lart. 445 c.p.p., gli stessi debbano considerarsi equipollenti alla sentenza di condanna e determinare, di conseguenza, la situazione di ineleggibilità o di decadenza”.

Il quesito, in definitiva, mira a chiarire se le sentenze derivanti dal patteggiamento possano essere equiparate - ai fini della candidabilità/eleggibilità alle cariche federali - alle sentenze di condanna.

 

Diritto

 

 

La risposta al quesito presuppone unanalisi dellistituto del patteggiamento1, con riguardo alla natura giuridica del provvedimento conclusivo del rito, in particolare se il medesimo possa (o meno) essere assimilato ad una sentenza di condanna, questione fortemente discussa in dottrina e in giurisprudenza.

Il patteggiamento o applicazione della pena su richiesta delle parti, regolato dall’art. 444 ss. c.p.p., è un rito premiale che consente all’indagato o all’imputato di concordare con il pubblico ministero una pena detentiva o sostitutiva, tenuto conto delle circostanze. Un istituto analogo sembra invero essere stato mutuato anche dal Codice della Giustizia Sportiva, che, all’art. 28 - Applicazione consensuale di sanzioni a seguito di atto di deferimento - dispone: “1. Anteriormente allo svolgimento della prima udienza dinanzi al Tribunale federale, gli incolpati possono convenire con il Procuratore federale lapplicazione di una sanzione, indicandone il tipo e la misura. 2. Una volta concluso, laccordo è sottoposto al collegio incaricato della decisione, il quale, se reputa corretta la qualificazione dei fatti contestati in giudizio e congrui la sanzione o gli impegni indicati,  ne dichiara  anche fuori udienza  la efficacia con apposita decisione. La decisione comporta, a ogni effetto, la definizione del procedimento; specificando (al comma 3) che Il comma 1 non trova applicazione per i casi di recidiva. Non trova altresì applicazione per i fatti commessi con violenza che abbiano comportato lesioni gravi della persona nonché per i fatti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica qualificati come illecito sportivo o frode sportiva dallordinamento federale”2.

Con riguardo alle disposizioni previste dal sistema processualpenalistico, il fatto che la decisione venga “concordata” con l’imputato ha determinato un acceso dibattito in dottrina e giurisprudenza riguardo lassimilabilità (o meno) del provvedimento conclusivo di tale rito con una sentenza di condanna.

In particolare, a fronte di coloro i quali si esprimono in senso negativo, considerata la natura “concordata” del provvedimento e il mancato accertamento della colpevolezza dell’imputato, altri accolgono la teoria opposta, anche in virtù della disposizione normativa contenuta all’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. (Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna), che sembra avvalorare una simile tesi.

Second questultimo   indirizzo3 l pronunci conclusiv de patteggiamento   i realtà presuppone un accertamento del fatto contestato all’imputato e della sua responsabilità, posto che il momento c.d. negoziale investe, invero, il quantum’ della pena, ma non certo il merito della sussistenza degli estremi della responsabilità penale che, ancorché con cognizione sommaria, è sempre accertata dal giudice4.

Il primo orientamento esclude, al contrario, la possibilità di equiparare il provvedimento pronunciato a seguito di patteggiamento alla sentenza di condanna - nonostante il tratto comune caratterizzato dall’inflizione di una pena - in considerazione del mancato accertamento “pieno” della responsabilità dellimputato5. Significativa è, in tal senso, la posizione del giudice delle leggi ribadita in varie occasioni6, che identifica nell’accordo delle parti, da un lato, e nell’obbligo - imposto all’autorità giudiziaria - di verificare l’esistenza di eventuali cause  di non punibiliindicate dall’art. 129 c.p.p., dall’altro, le peculiarità dell’istituto del patteggiamento.

Secondo i sostenitori di questa tesi, l’equiparazione della pronuncia di condanna alla sentenza conclusiva del rito premiale, sancita dall’art. 445, comma 1 bis, c.p.p., non consente - in mancanza dell’accertamento della responsabilità penale del medesimo (nel giudizio sotteso all’emissione della sentenza ex art. 444 c.p.p.) - l’attribuzione allautore della condotta della qualità di soggetto penalmente responsabile del fatto di reato. Lefficacia del provvedimento sarebbe piuttosto circoscritta agli effetti riconosciuti dall’ordinamento giuridico al provvedimento conclusivo della procedura7. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di tener conto di un precedente penale costituito da una sentenza ex art. 444 c.p.p. ai fini del diniego delle attenuanti generiche o ai fini dell’inflizione dell’ordine di demolizione, in relazione a fattispecie edilizie o ambientali e, più in generale, di sanzioni amministrative accessorie o, ancora, alla possibilità di considerare il provvedimento di cui all’art. 444 c.p.p. titolo idoneo per la revoca della sospensione condizionale, precedentemente concessa, della pena.

In definitiva, secondo i sostenitori di tale tesi, la circostanza per cui la decisione del patteggiamento derivi da un accordo fra le parti, caratterizzato dalla rinuncia dellimputato a contestare la propria responsabilità, comporta che, seppur equiparata a una pronuncia di condanna, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 445, comma 1, c.p.p., non possa ontologicamente essere qualificata come tale.

Posizioni divergenti si riscontrano invero anche nell’ambito del sistema sportivo. I pareri della Corte dAppello Federale della FIGC - sezione Consultiva - riflettono il contrasto interpretativo esistente nell’ordinamento giuridico statale in materia. Emblematico il parere reso dalla Corte Federale dAppello Federale sezione Consultiva in data 18/12/20178. Chiamati a pronunciarsi sulla possibilità di equiparare la sentenza emessa a seguito di patteggiamento alla sentenza di condanna, ai sensi e per gli effetti dell’ordinamento federale e, segnatamente, di quelli di cui all’art. 22 bis NOIF, i giudici hanno escluso l’automatica assimilabilità della sentenza resa a seguito di patteggiamento ad unordinaria sentenza di condanna, così giungendo a conclusioni parzialmente differenti dal parere  espresso - lanno precedente9 -  dalla medesima autorità riguardo ad un caso analogo.

In questo contesto, caratterizzato da evidenti difformiinterpretative, appare evidente, a prescindere dalla tesi cui si voglia aderire, che il rito premiale delineato dal legislatore penalistico costituisce una fattispecie complessa la quale presuppone - per la sua perfezione - anche la decorrenza di un termine di cinque anni senza che alcun reato sia commesso10. Il termine, decorrente dal passaggio in giudicato della decisione, è indicativo del disegno perseguito dal legislatore, che così ha inteso assicurare l’effetto premiale solo a chi dimostri di non reiterare la condotta illecita, pena, in caso contrario, la revoca dei benefici e - in caso di elezione - la decadenza dalla carica. Leffetto estintivo, insomma, si produce solo a seguito di una fattispecie che si compone sia del momento negoziale”, sia del decorso del tempo (5 anni). Per cui si deve ritenere che, per un verso, il legislatore abbia voluto concedere dei “benefici” a chi si fosse reso autore di una serie di reati non gravi - laddove la gravità si desume dalla sanzione in concreto applicabile - e, per l’altro, si sia riservato, quando lo ha ritenuto opportuno, la possibilità di escludere espressamente l’efficacia del patteggiamento (salva la ipotesi di responsabilità disciplinare di cui all’art. 653 c.p.p.).

D’altro canto, proprio la consapevolezza della complessa natura giuridica del provvedimento de quo e dei contrasti interpretativi cui questa ha inevitabilmente dato luogo, ha indotto non raramente il legislatore a prendere espressamente posizione in merito alla rilevanza del provvedimento conclusivo del patteggiamento, sia pur limitatamente ad alcuni istituti. La difficoltà di definire la natura giuridica del provvedimento si desume da tutte quelle ipotesi in cui il legislatore speciale ha ritenuto di sottolineare specificatamente l’equiparazione. Si pensi, ad esempio, al codice dei contratti pubblici11, ove (all’art. 80) ha equiparato, ai fini dell’esclusione dalla partecipazione ad una procedura dappalto o concessione, l’avere riportato una condanna - per i reati elencati - con sentenza definitiva, decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale. Alle medesime conclusioni (equiparazione dei citati provvedimenti) perviene in un altro ambito, relativo all’ufficio di testimone12, laddove stabilisce una deroga all’impossibilità di testimoniare per i coimputati del medesimo reato o imputati in procedimento  connesso qualora nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dellarticolo 444”. Ciò, tuttavia, senza mettere in discussione la struttura della fattispecie “patteggiamento” che è e resta prodotto dell’attività negoziale, cui si somma il decorso del tempo.

Il perdurare del contrasto interpretativo sulla natura giuridica del provvedimento conclusivo del patteggiamento e l’imprescindibilità di precisare la portata applicativa di previsioni statutarie che, attesa l’attuale formulazione, non sembrano sollevare dubbi, dovrebbero indurre anche il legislatore sportivo a prendere posizione sul punto. Un simile intervento, oltre ad essere ammissibile ai sensi del 445 c.p.p. che, equiparando la sentenza ex 444 c.p.p., fa tuttavia salva una diversa volonlegislativa, si pone senza dubbio in linea con il principio di autonomia normativa dell’ordinamento sportivo.

L’importanza di avere certezza al riguardo è, del resto, evidente se si pone mente alle conseguenze a cascata” per l’intero movimento sportivo, considerato che il problema della possibilità di equiparare o meno il provvedimento conclusivo del patteggiamento alla sentenza di condanna, ai fini della candidabilità, non si pone solo con riguardo alleleggibilità dei vertici del mondo sportivo (CONI e Federazioni Sportive Nazionali), bensì a tutte le cariche associative.

Il legislatore sportivo sembra, del resto, avere avuto contezza della necessità di stabilire la natura del provvedimento conclusivo del patteggiamento, seppure limitatamente ai rapporti con il procedimento disciplinare. In tale contesto (art. 39 del Codice della Giustizia Sportiva Efficacia della sentenza dellautorità giudiziaria nei giudizi disciplinari), ha equiparato gli effetti del provvedimento conclusivo del patteggiamento a quelli della sentenza penale irrevocabile di condanna, statuendo che 1. Davanti agli organi di giustizia la sentenza penale irrevocabile di condanna, anche quando non pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso. 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta delle parti. 3. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare nei confronti dellimputato quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, ferma restando lautonomia dellordinamento sportivo nella definizione della fattispecie e nella qualificazione del fatto. 4. Lefficacia di cui ai commi 1 e 3 si estende agli altri giudizi in cui si controverte intorno a illeciti il cui accertamento dipende da quello degli stessi fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale nei confronti dellincolpato. Omissis.

Una simile precisazione se, da un lato, denota consapevolezza circa il contrasto interpretativo sulla natura del patteggiamento nonché timore che la situazione esistente possa rivelarsi pregiudizievole per la certezza del diritto, dall’altro, fa emergere la necessità di un intervento chiarificatore. La circostanza che ci si limiti a considerare il procedimento disciplinare senza consentire unestensione automatica ad altre fattispecie del sistema dovrebbe indurre il legislatore sportivo a fornire un chiarimento generale,  in virtù del principio di autonomia normativa del sistema sportivo che consente di disciplinare l’istituto, salvaguardando la specificità e peculiarità dell’ordinamento, nonché le esigenze degli associati.

In definitiva, alla luce di simili considerazioni, pare opportuno offrire una lettura della norma sulla candidabilità/eleggibilità che tenga conto della complessità del rito premiale - presupponente il decorso di cinque anni senza la commissione di ulteriori reati per la fruibilità dei benefici che ne derivano -, in combinato disposto con l’autonomia normativa del sistema sportivo.

P.Q.M.

 

 

Si rilascia il presente parere.

 

Deciso nella camera di consiglio del 5 marzo 2018.

 

 

Il Presidente                                                                Il Relatore

F.to Virginia Zambrano                                                F.to Barbara Agostinis

 

 

Depositato in Roma, in data 5 aprile 2018.

 

Il Segretario

F.to Alvio La Face

 

 

 

  1. Al riguardo, si veda la voce di G. M. Anca, Pena, applicazione su richiesta delle parti, in Digesto delle discipline penalistiche, IX, Torino, 1995, p. 365 ss.
  2. 2 Per una comparazione di tale istituto con quello disciplinato dal codice di procedura penale, si veda M. Sanino, La giustizia sportiva, Padova, 2016, p. 289 ss.
  3. 3 Così, Corte Conti reg., (Veneto), sez. giurisd., 28/02/2017, n. 29, “La sentenza di patteggiamento, passata in giudicato, essendo equiparata ad una sentenza di condanna (art. 445 c.p.p.), costituisce idoneo presupposto per l'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno all'immagine della pubblica amministrazione”; Cass. Civ., sez. II, 11/05/2016, n. 9639, in Diritto & Giustizia 2016, 12 maggio (nota di: Maura Corrado) La sentenza di patteggiamento, pur non facendo stato nel giudizio civile, contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo”; Corte Conti reg., (Marche), sez. giurisd., 16/12/2016, n. 77, La sentenza penale di patteggiamento, pur non avendo efficacia nei giudizi civili o amministrativi, è equiparata ad una pronuncia di condanna e, se da un lato non comporta automaticamente l'applicazione dei rigori previsti dall'art. 651 c.p.p. in ordine agli effetti dell'accertamento penale nei giudizi restitutori e di risarcimento del danno, assume comunque specifico e univoco valore probatorio in ordine ai fatti contestati all'imputato, vincibile soltanto attraverso la presentazione di inequivocabili prove contrarie”; Corte Conti reg., (Veneto), sez. giurisd., 11/04/2014,

n. 85, “nella giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. I d’Appello, sent. n. 406 del 13.3.2014, sent. n. 253 del 12.2.2014 e sent. n. 407 del 23.7.2012) prevale la diversa tesi, secondo la quale la decisione dell’imputato di chiedere il patteggiamento della pena può considerarsi come tacita ammissione di colpevolezza e, nei giudizi diversi da quello penale, pur non essendo precluso al Giudice l'accertamento e la valutazione dei fatti difforme da quello contenuto nella sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., tuttavia questa assume un valore probatorio qualificato, superabile solo attraverso specifiche prove contrarie”; T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. III, 03/12/2013, n. 2672, in T.A.R. (Il) 2013, 12, 3654, “La sentenza pronunciata ex art. 444 c.p.p. equivale a quella di condanna, in quanto il patteggiamento investe la pena e non il titolo di imputazione, tanto che il giudice può disattendere la richiesta delle parti quando ritiene di pervenire ad una pronuncia di assoluzione o di estinzione del reato. In altre parole, i vantaggi di tale sentenza per l'imputato rimangono confinati nello stretto ambito penale, in quanto per le conseguenze extrapenali del fatto non sussiste alcuna preclusione, né per l'autorità amministrativa, che ai sensi dell'art. 445 comma 1, c.p.p. è tenuta ad equiparare detta pronuncia a quella di condanna, né per il condannato che, nei limiti previsti dai rispettivi ordinamenti processuali, è ammesso a provare nelle ulteriori sedi di giudizio quanto non ha voluto o potuto addurre innanzi al giudice penale (Tar Lombardia - Brescia, 13 dicembre 1993; Tar Lombardia-Milano 29 dicembre 2006, n. 4379). nel rito del patteggiamento il momento c.d. negoziale investe, invero, il "quantum" della pena, ma non certo il merito della sussistenza degli estremi della responsabilità penale che, ancorc con cognizione sommaria, è sempre accertata dal giudice”. In particolare, simili affermazioni, trovano riscontro nella disciplina positiva dell'istituto in base alla quale l'applicazione della pena a seguito del c.d. patteggiamento avviene sempre su motivata valutazione da parte del giudice dell'insussistenza dei presupposti per addivenire ad una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p. (perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato, ecc.) e previo accertamento della corretta qualificazione giuridica del fatto ascritto e delle circostanze ad esso afferenti, quali presupposti della formulazione della richiesta di applicazione negoziata della pena. A mezzo del modello processuale delineato dall'art. 444 c.p.p. e segg. si perviene all'ascrizione dell'illecito penale ad un soggetto determinato, muovendo dall'ammissione di responsabilità dello stesso inquisito congiunta alla proposta dell'applicazione della pena in misura determinata, e lo stesso art. 445 c.p.p. espressamente qualifica come "pronuncia di condanna" la sentenza che definisce il processo" (cfr. Consiglio di Stato., sez. VI, 22 maggio 2007 n. 2592). Nello stesso senso, anche Cass. Civ., sez. VI, 06/12/2011, n. 26263, in Giust. civ. Mass. 2011, 12, 1748, “La sentenza penale di applicazione della pena ai sensi degli art. 444 e 445 c.p.p. [] contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità”. In senso sostanzialmente conforme, cfr. Cass., 3 dicembre 2010, n. 24587; Cass., 19 novembre 2007, n. 23906; Cass. Pen., sez. V, 29 ottobre 1993; Cass. Pen., sez. I, 9 dicembre 1991; Corte Costit., 2 luglio 1990, n. 313. Sulla stessa linea si pone anche Cassazione civile, sez. lav., 19/01/2011, n. 1141, in Giust. civ. Mass., 2011, 1, 78, Nel giudizio disciplinare nei confronti di un pubblico dipendente, giudicato in sede penale con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., la sentenza penale, se vincola il giudice disciplinare quanto alla ricostruzione del fatto storico e della relativa responsabilità, non preclude una autonoma valutazione dell'incidenza dei medesimi fatti sul rapporto d'impiego [] Se, infatti, vi è nell'istituto una componente negoziale e manca un accertamento pieno della responsabilità, per converso, la componente negoziale non esaurisce i molteplici aspetti dell'istituto, che non diventa un negozio, ma rimane un giudizio, che si conclude con l'irrogazione della pena, il quale comporta, quale condizione imprescindibile di tale effetto, un accertamento di responsabilità penale, che non necessita di essere pieno, per l'accettazione dell'interessato, che implica ammissione del fatto storico”.

  1. 4 Così, T.A.R. Milano, sez III, 3/12/2013 n. 2672, cit. nota 3.
  2. 5 Le pronunce delle Sezioni Unite del giudice di legittimità (Cassazione penale, S.U., 8 maggio 1996;  Cassazione penale, S.U., 25 novembre 1998; Cassazione penale, S.U., 25 marzo 1998; Cassazione penale, S.U., 26 febbraio 1997) sono pervenute ad enunciare il principio per cui la decisione del rito speciale non risulta subordinata all'accertamento della responsabilità dell'imputato, bensì ad un difetto di convincimento in ordine alla sua innocenza.
  3. 6 Se, in un primo momento, la Consulta ha ritenuto che la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. si basasse su un accertamento di responsabilità, sia pure implicito (decisione del 2 luglio 1990, n. 313), successivamente ha mutato la propria posizione, ponendo in luce che l’accordo tra le parti è invero la peculiarità del rito speciale (così, Corte  Costituzionale,  n.  251/1991  Quanto  alla  responsabilità,  la  sentenza  che  applica  la  pena  concordata presuppone l'accertamento negativo da parte del giudice circa la possibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento per una delle cause di non punibilità indicate dall'art. 129 c.p.p., la cui declaratoria immediata è obbligatoria in ogni stato e grado del processo (art. 444, comma 2, c.p.p.). L'anzidetto accertamento negativo non equivale di per sé, simmetricamente, a una pronuncia positiva di responsabilità. Infatti, la sentenza pronunciata a norma dell'art. 444 c.p.p. non assume le caratteristiche proprie di una pronuncia di condanna basata sull'accertamento pieno della "fondatezza dell'accusa penale". Così, anche Corte Costituzionale, n. 499/1995; Corte Costituzionale, n. 155/1996.
  4. 7 Cassazione civile, sez. I, 22/11/2017 n. 27835, la sentenza pronunciata a norma dell'art. 444 cod. proc. pen. non è

una vera e propria sentenza di condanna, alla quale è, difatti, equiparata solo a determinati fini”.

  1. Pubblicato con comunicato ufficiale N. 071/CFA.
  2. 9 Il riferimento è alla decisione resa dalla stessa Corte in data 7 marzo 2016 (C.U. n. 087/CFA, s.s. 2015/2016).
  3. 10 In tal senso, si v., ex plurimis, Cass. Pen., sez. III, 17/11/2016, n. 11045, È preclusa la dichiarazione di estinzione del reato oggetto di una sentenza di patteggiamento qualora, nel termine di cinque anni, l'autore di quel reato commetta un nuovo delitto”.
  4. Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, “Codice dei contratti pubblici”, art. 80 (motivi di esclusione), secondo cui: “1. Costituisce motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura dappalto o concessione, la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, per uno dei seguenti reati (Omissis)”.
  5. 12 Art. 197 c.p.p. (Incompatibilità con l’ufficio di testimone) 1. Non possono essere assunti come testimoni: a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444; b) salvo quanto previsto dall’articolo 64, comma 3, lettera c), le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444; (omissis)”.

Analogo è il contenuto dell’art. art. 197-bis c.p.p. (Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l’ufficio di testimone). 1. L’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444. (omissis)”.

 

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