CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva – coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 5/2017 del 01/08/2017 – (su richiesta FIM)
Parere n. 5
Anno 2017
IL COLLEGIO DI GARANZIA
SEZIONE CONSULTIVA
composta da
Virginia Zambrano - Presidente
Pierpaolo Bagnasco - Relatore
Alessandro Di Majo
Amalia Falcone
Marcello Molè - Componenti
ha pronunciato il seguente
PARERE 5/2017
La Sezione
Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00012/14 del 17 settembre 2014;
Vista la richiesta di parere, presentata dal Segretario Generale del CONI, dott. Roberto Fabbricini, in data 5 giugno 2017, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva;
Visto l’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, in base al quale alla Sezione Consultiva spetta, tra l’altro, l’adozione di pareri su richiesta del CONI;
Visto l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della sezione consultiva dell’organo de quo;
Visto gli articoli 2 e 3 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport;
Esaminati gli atti e udito il relatore, avv. Pierpaolo Bagnasco, rende il seguente
PARERE
1. Con atto del 5 giugno 2017 il Segretario Generale del C.O.N.I., dott. Roberto Fabbricini, ha richiesto parere alla Sezione Consultiva Collegio di Garanzia dello Sport sulla seguente questione:
Premesso in fatto
- che [omissis] è stato tesserato agonistico 2016 presso la Federazione Motonautica Svizzera;
- che, in data 16/3/2016, con nota Segreteria Generale FIM nr. 181, è stata comunicata a [omissis] la concessione del nulla osta per la stagione agonistica 2016;
che, in data 1/1/2017, [omissis] ha chiesto nulla osta per tesseramento presso la Federazione Motonautica Svizzera per l'anno agonistico 2017;
che, in data 9/1/2017, il Segretario Generale della FIM, dott. Alessandro Basilico, ha comunicato al richiedente le condizioni inderogabili (residenza presso quel Paese estero) richieste per ottenere il nulla osta per l'iscrizione presso una Federazione motonautica di altro Paese;
- che [omissis] ha, pertanto, proceduto al deposito presso la Segreteria Generale della Federazione Italiana di un documento accertante la residenza in Svizzera risultato poi, in seguito a verifiche effettuate, falso;
- che, in data 29/03/2017, il Presidente pro tempore della FIM, Avv. Vincenzo Iaconianni, denunciava, a norma del vigente Statuto FIM e del vigente Regolamento di Giustizia FIM, il predetto [omissis] alla competente procura federale;
- che l’espletanda procedura, però, potrebbe concludersi con un provvedimento di archiviazione, stante la qualità di non tesserato del predetto [omissis] al momento della commissione del fatto contestato;
- che, in data 25/05/2017, [omissis] ha chiesto il tesseramento alla FIM per l'anno 2017, richiedendo, inoltre, la licenza di pilota per il medesimo anno;
- che, nelle more del Procedimento Penale avanti la Procura di Milano, il predetto [omissis] (nonostante l'accertato falso documentale risultante dalla unita documentazione) avrebbe diritto al rilascio sia della tessera di socio FIM sia della licenza di pilota FIM, non avendo (per effetto della sua qualifica di non tesserato alla FIM al momento della commissione del falso, di cui sopra) alcun procedimento disciplinare in corso.
Tutto ciò premesso la Federazione Italiana Motonautica, in persona del Presidente pro- tempore, chiede alla Sezione Consultiva del Collegio di Garanzia del CONI un parere pro- veritate riguardo la possibilità di applicare misure, anche cautelari, in virtù della particolare condotta, contraria ai principi di lealtà, correttezza e rettitudine morale e sportiva tenuta dal soggetto che chiede il tesseramento alla Federazione.
DIRITTO
La questione sollevata dalla Federazione Italiana Motonautica merita una premessa essenziale prima di procedere all’elaborazione del presente parere.
E’ opportuno sottolineare che la V sezione costituisce, nell’articolazione del Collegio di Garanzia del Coni, la Sezione Consultiva, la quale è tenuta distinta dalle altre quattro che sono chiamate ad esprimersi nel merito delle questioni e alle quali è riconosciuta la funzione giurisdizionale. I n base all’art . 3 del Regolamento organizza zione e funzionamento del Collegio, la competenza della Sezione Consultiva è determinata ai sensi del comma 5 dell’art . 12 bis dello St atut o del Coni ed in applicazione del co m m a 3 dell’art . 56 del Codice di Giustizia Sportiva. Se si prende in considerazione il significato letterale della di zione “ funzione consultiva” , è possibile capir e come l’attività post a in essere da Codesta Sezione non è volt a ad assumer e decisioni di merito, m a a predisporre pareri. In tal senso, l’art . 3, comma 3 , del Regolamento sull’organizzazione e il funzionamento del Collegio di Garanzia, precisa ulteriormente i contorni della competenza della Sez. Consultiva, stabilendo che essa esprime “ par eri r elativi agli schemi di atti normativi richiesti dal Coni e, per suo tramite, dalle Federazioni, nonché decide sulle istanze di ricusazione di cui al comma 3 dell’art. 56 del Codice della Giustizia Sportiva” .
In altri termini, la Sezione Consultiva è legittimata a risolvere questioni interpretative originate da eventuali contrasti normativi in r elazione a “ schemi di atti normativi” e/o, comunque, “ in materie rilevanti per l’ordinamento sportivo” . Non compete, quindi, a codesto Collegio esprimersi in merito al fatto se la condotta tenuta dal Sig. X sia o meno sanzionabile. Ciò che può offrire il Collegio è – al più – un richiamo analitico al rilievo e alla valenza stringente che, in un ordinamento quale quello sporti vo, assume la violazione dei doveri di lealtà e correttezza.
Punto obbligato di partenza è, qui, rappresentato dall’ordinamento statale in cui l’adozione della clausola di correttezza, quale canone generale di valutazione della condotta delle parti – e, dunque, criterio di apprezzamento dell’esercizio, formalmente legittimo, di diritti soggettivi – è da apprezzarsi come significativo e rilevante segnale evolutivo del regime della responsabilità (oltre che contrattuale) anche aquiliana. La crescente tendenza ad attribuire rilievo ad obblighi di comportamento ispirati al principio di lealtà e correttezza si trasforma in vero e proprio strumento di “politica legislativa” che, ove violato, può determinare – in presenza di una espressa previsione in tal senso – la previsione di una qualche sanzione (tra i tanti contributi, cfr. G. Alpa, Appunti sulla buona fede integrativa nella prospettiva storica e del commercio internazionale, in Contratti, 2001, 723). Le coordinate della riflessione che occupa codesto Collegio sono quindi rappresentate dal riferimento alla valenza che i principi di lealtà e correttezza assumono nell’ordinamento sportivo e rappresentano un “ritorno” su itinerari già tracciati senza che (e vale ribadirlo) si possa in qualche modo decidere la qualificazione di una condotta, al fine della irrogazione di eventuali sanzioni. Cosa che, evidentemente, esula dalla competenza del Collegio.
1) Sul principio di lealtà sportiva.
In ambito sportivo, l’ampio e generalizzato consenso che ricevono le clausole generali di lealtà e correttezza si ricava agevolmente dalla lettura di un dato normativo che, ripetutamente, si richiama a principi etici di rilevanza giuridica e morale. Lo stesso articolo 1 del Regolamento di Giustizia FIM, ad esempio, sancisce l'obbligo inderogabile del "rispetto dei principi di lealtà, correttezza e rettitudine morale e sportiva e, in ogni caso, debbono osservare un comportamento non lesivo della dignità e del prestigio della F.I.M. e/o di altre Federazioni”.
Dal canto suo, il Codice di Comportamento sportivo del Coni del 30 ottobre 2012, in premessa, sotto la rubrica «Principi Fondamentali», stabilisce che i principi cui atleti, affiliati,associati, amministratori devono ispirare la loro condotta sono quelli «inderogabili e obbligatori, di lealtà, correttezza e probità previsti e sanzionati dagli Statuti e dai regolamenti del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, ivi compresi quelli degli organismi rappresentativi delle società, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite».
E’ noto che il Codice di Comportamento sportivo è considerato come l’atto “attraverso il quale i principi etici acquistano uno specifico rilievo giuridico nel mondo sportivo”. In quest’ottica, ancor prima dell’emanazione del Codice di comportamento sportivo, ed a prescindere da esso, al principio di lealtà sportiva poteva e può assegnarsi la natura di principio, oltre che prettamente etico, anche giuridico.
Siffatta premessa deve ritenersi, a giudizio del Collegio, di particolare importanza. La difficoltà di offrire una definizione esaustiva dei doveri di lealtà, correttezza, probità non impedisce di considerarne la rilevanza dal punto di vista giuridico. La dottrina civilistica non manca, in proposito, di osservare come la clausola generale, «nell'ambito normativo in cui si inserisce» introduca «un criterio ulteriore di rilevanza giuridica, a stregua del quale il giudice seleziona certi fatti o comportamenti per confrontarli con un determinato parametro e trarre dall'esito del confronto certe conseguenze giuridiche».
Vero è che la struttura tipica delle clausole generali è quella di “norme incomplete” che «non hanno una propria autonoma fattispecie essendo destinate a concretizzarsi nell'ambito dei programmi normativi di altre disposizioni»1. Del pari indubbio che l’assimilabilità concettuale della lealtà ai principi generali di correttezza e buona fede (Galgano) induce a ritenere che essa debba considerarsi clausola di ““chiusura” del sistema, poiché evita di dover considerare permesso ogni comportamento che nessuna norma vieta e facoltativo ogni comportamento che nessuna norma rende obbligatorio”. Questo discorso trova – a parere del Collegio – fecondo terreno di applicazione nell’ordinamento sportivo.
Non diversamente da quanto accade per l’ordinamento statale – dove il richiamo ai doveri inderogabili di lealtà, correttezza e integrità acquista una caratteristica connotazione giuridica, che affiora proprio dalla necessità di porre limiti a situazioni giuridiche soggettive, alla luce dei valori costituzionali che ispirano l’ordinamento – nel caso dell’ordinamento sportivo, gli obblighi di lealtà, correttezza, non violenza, non discriminazione, appaiono interpretare l’essenza stessa dell’ordinamento, al punto che la loro violazione si traduce nella negazione stessa dei fini cui è rivolta l’attività sportiva.
Senza dubbio l’utilizzo delle clausole generali pone problemi interpretativi di non facile soluzione e che espressioni come “buona fede”, “correttezza”, “lealtà” appaiono così generiche e vaghe da rischiare di smarrire qualsiasi risvolto pratico, al punto da renderne difficile definire i confini di applicazione. E, tuttavia, la intrinseca flessibilità di questi concetti rinvia alle regole morali e di costume generalmente accettate e, più in generale, ad un “affidamento” sulla correttezza della condotta che non può non rilevare anche in ambito sportivo. Qui il rispetto degli obblighi di lealtà e correttezza – pur con quei limiti di definizione di cui si diceva – si fa più intenso, proprio in considerazione della peculiarità dell’ordinamento sportivo.
L’attenzione a siffatti principi, lungi dall’esaurirsi nel formale rispetto delle regole del gioco, non solo investe il corretto esercizio di una posizione soggettiva, ma può estendersi anche a condotte che si collocano al di fuori dell’attività sportiva strettamente intesa, ove siffatta condotta (pur in astratto lecita) implichi – per il modo in cui la persona si è comportata o per il contesto nel quale ha agito – una compromissione di quei valori cui si ispira la pratica sportiva.
Quella di lealtà sportiva opera, in altri termini, quale vera e propria clausola generale, a prescindere dalle peculiarità delle singole pratiche sportive e dal concreto atteggiarsi delle regole tecniche in ciascuno sport operanti. La lealtà sportiva si sostanzia così, da un lato, in una regola di comportamento oggettivamente valutabile e, dall’altro, in un criterio di valutazione della legittimità del comportamento. E non a caso la giurisprudenza statale ha espressamente affermato che la responsabilità nello sport si configura allorquando vengono superati i limiti della lealtà2.
Ovviamente, la valutazione della condotta – come si diceva – non può che essere operata caso per caso, riconducendo a sistema i valori cui si ispira l’ordinamento sportivo, nonché guardando alla condotta, per dir così, “abusante”.
2) Sull’ambito soggettivo del principio di lealtà sportiva.
Ciò necessariamente premesso, la questione dell’individuazione dei soggetti destinatari dell’obbligo che promana dal principio di lealtà sportiva, quale norma giuridica dell’ordinamento sportivo, e quindi, la delimitazione del suo ambito soggettivo di operatività (eccezion fatta ovviamente per chi possiede lo status di tesserato) pare più che altro dipendere da una scelta di “policy”.
In questo senso, solo i tesserati e gli affiliati, in quanto soggetti dell’ordinamento sportivo, sono tenuti al rispetto rigoroso del principio di lealtà sportiva, trattandosi di regola che trova applicazione esclusivamente per coloro che decidono di entrare a far parte dell’ordinamento, in forza di un loro atto di volontà. Laddove gli atti tipici idonei ad attribuire soggettività sportiva sono soltanto il tesseramento o l’affiliazione. Per i soggetti non tesserati si deve ritenere si assista, dunque, ad una attenuazione della regola di lealtà e correttezza sportiva che “degrada” al rango di condotta corretta che è lecito attendersi da chiunque.
Tanto, a meno di non voler aprire ad un’interpretazione più ampia e ritenere attratto l’ordinamento sportivo agli stessi sviluppi che conducono, nell’ordinamento civilistico statale, a considerare le clausole di correttezza quale canone generale di comportamento, applicabile al regime della responsabilità sia contrattuale sia aquiliana. Si tratta, come si diceva, di una scelta lato sensu “politica” che (ove compiuta) può anche condurre alla erogazione di una qualche sanzione, purché, però, esista una norma che muova in tal senso.
Indicazioni contro la volontà di “restringimento” della categoria dei soggetti destinatari parrebbero desumersi dal combinato disposto della premessa del Codice di Comportamento sportivo del 30 ottobre 2012 e dell’art. 1 del Regolamento di Giustizia della Federazione Motonautica.
Come è noto, infatti, il Codice espressamente indica, tra i destinatari degli obblighi di comportamento, anche “…gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo” (precisazione ribadita anche nel successivo articolo 1), mentre il richiamato Regolamento di Giustizia Federale, nell’indicare i tesserati quali destinatari dei doveri e obblighi (art. 1), virgoletta tale sostantivo, come a volerne evidenziare, certamente in modo singolare, la non completa appropriatezza. E, tuttavia, se ben può condividersi la riflessione relativa al significato della lealtà sportiva quale essenza dello sport, principio connaturato alla pratica sportiva al quale tutti gli operatori – sia a livello agonistico che amatoriale – debbono conformarsi, nondimeno non si può sottacere che una applicazione oltremisura dilatata di siffatti obblighi di comportamento finisce con il “mostrare la corda”. Specie ove si consideri che il momento sanzionatorio conseguente alla violazione di tali obblighi, se esteso indistintamente a tutti i suddetti operatori, finirebbe nel tradursi – in assenza di una espressa previsione norma tiva – in un ingiustificato potere in capo alla Federazione a cui è riferita l’attività sportiva praticata. Tanto, a meno di non ritenere che sia l’esistenza di un rapporto giuridico – sportivo (per dir così) di fatto con la Federazione ad attivare sempre e comunque – recte a far entrare in gioco – quelle clausole di lealtà e correttezza di cui si è discorso.
Di talché, anche a prescindere dalla status di tesserato di una Federazione, non potrebbe
dirsi estraneo all’ordinamento sportivo chi, nello svolgimento e/o per lo svolgimento dell’attività sportiva, entri in rapporti con l’ente sportivo e ne accetti le regole. Laddove così si intendesse procedere (ma si tratta di scelta “politica” appunto), la mancanza della qualità di tesserato si rifletterebbe comunque sull’applicabilità stessa delle sanzioni le quali potrebbero unicamente declinarsi, qualora ricorressero presupposti di gravità, nell’inibizione del tesseramento, se successivamente richiesto, o nella cessazione (rectius non prosecuzione) del rapporto.
Non paiono contemplabili ulteriori forme di reazione a fronte della condotta illecita, essendo del tutto evidente la carenza di giurisdizione della Federazione e la sostanziale inapplicabilità dei provvedimenti afflittivi previsti dai regolamenti nei confronti dei tesserati.
PQM
Si rende il presente parere
Deciso nella camera di consiglio del 21 giugno 2017.
Il Presidente Il Relatore
F.to Virginia Zambrano F.to Pierpaolo Bagnasco
Depositato in Roma, in data 1 agosto 2017.
Il Segretario
F.to Alvio La Face
1 L. Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, RCDP, 1986, 11.
2 Cass. pen., sez. IV, 07 ottobre 2003.