CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva – coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 5/2018 del 27/06/2018 – (SU RICHIESTA FIJLKAM – ISTANZA CHIARIMENTO PARERE 2-2018)
Parere n. 5
Anno 2018
IL COLLEGIO DI GARANZIA
SEZIONE CONSULTIVA
composta da
Virginia Zambrano - Presidente
Barbara Agostinis - Relatrice
Pierpaolo Bagnasco
Carlo Bottari
Amalia Falcone - Componenti
ha pronunciato il seguente
PARERE 5/2018
Su richiesta di parere presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI, e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, dal Segretario Generale del CONI, dott. Carlo Mornati, prot. n. CE230518192717836PU del 23 maggio 2018.
La Sezione
Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00012/14 del 17 settembre 2014;
vista la richiesta di parere n. 2/2018, presentata dal Segretario Generale del CONI, dott. Roberto Fabbricini, in data 19 febbraio 2018, ai sensi dell’art. 12 bis, dello Statuto del CONI e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva;
visto l’art. 57, comma 2, lett. c), del Codice della Giustizia Sportiva, in base al quale il Presidente del Collegio di Garanzia assegna ciascuna controversia alla sezione di competenza, ovvero alle Sezioni Unite;
visto l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della Sezione Consultiva dell’organo de quo;
esaminati gli atti e udita la Relatrice, Avv. Prof. Barbara Agostinis.
PREMESSA
Alla sezione Consultiva del Collegio di Garanzia dello Sport viene richiesto di fornire parere motivato di chiarimento del parere già reso al medesimo ente (parere n. 2/2018) riguardo l’interpretazione delle norme dettate dalla Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali (d’ora in poi F.I.J.L.K.A.M.) in combinato disposto con quelle emanate dal CONI - nell’ambito del proprio Statuto - in merito ai requisiti di eleggibilità/candidabilità alle cariche federali, con particolare riguardo all’obbligo per i candidati (ai fini della candidabilità alle cariche federali) di non avere “riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiori ad un anno”.
Il precedente quesito, in definitiva, muoveva da un’incertezza relativa all’interpretazione della normativa federale, ovvero se “la norma dello Statuto FIJLKAM, laddove indica la sentenza di condanna, come causa di ineleggibilità o decadenza (non avere riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiori ad un anno), debba essere interpretata in senso restrittivo e non estesa anche a ricomprendere i provvedimenti di cui all’art. 444 c.p.p. ovvero se, come sembra esprimersi l’art. 445 c.p.p., gli stessi debbano considerarsi equipollenti alla sentenza di condanna e determinare di conseguenza, la situazione di ineleggibilità o di decadenza”. In particolare, si chiedeva se le sentenze derivanti dal patteggiamento possano essere equiparate - ai fini della candidabilità/eleggibilità alle cariche federali - alle sentenze di condanna.
La formulazione del quesito attuale si pone in linea con il precedente, posto che la FIJLKAM chiede di meglio chiarire la conclusione del parere n. 2 reso alla medesima Federazione (“In definitiva, alla luce di simili considerazioni, pare opportuno offrire una lettura della norma sulla candidabilità/eleggibilità che tenga conto della complessità del rito premiale - presupponente il decorso di cinque anni senza la commissione di ulteriori reati per la fruibilità dei benefici che ne derivano -, in combinato disposto con l ’autonomia normativa del sistema sportivo ”), che, ad avviso della Federazione richiedente, potrebbe prestarsi ad una duplice lettura:
Da una parte, sembrerebbe indicare che, preso atto della complessità del rito premiale (cioè estinzione degli effetti del reato con sentenza di patteggiamento più decorso di cinque anni senza la commissione di ulteriori reati), il candidato che abbia conseguito la sentenza, ma che si trovi nel corso del lasso temporale di cinque anni, non possa essere dichiarato decaduto, perché altrimenti sarebbe danneggiato irrimediabilmente, qualora l’effetto estintivosi perfezionasse allo scadere dei cinque anni (egli, cioè, sembrerebbe titolare di una posizione giuridica soggettiva tutelata a che sia messo in grado di maturare il periodo di cinque anni senza ulteriori infrazioni, così consolidando l’effetto premiale);
Da un’altra parte, tuttavia, non sembrerebbe decisamente da escludere l’alt r a possibile interpretazione secondo cui - in assenza di diverse e più specifiche disposizioni del legislatore sportivo - poiché al momento della candidatura esisteva la sentenza di patteggiamento, ma non erano ancora decorsi i cinque anni, il candidato non era libero dagli effetti penali e si debba, per questo motivo, dare ingresso puramente e semplicemente al disposto dell’art. 445 c. p.p. che equipara g li effetti della sentenza di patteggiamento a quella di condanna, ove non diversamente disposto dalla legge.
In definitiva, “si chiede di volere meglio chiarire la portata del parere n. 2/2018 e di volerlo integrare con indicazioni … se la fattispecie della sentenza di patteggiamento comporti o meno la ineleggibilità del candidato o la sua decadenza dopo l’e le zione ( a seconda del fatto che la sentenza sia conosciuta prima o dopo lo svolgimento delle elezioni federali) ovvero se la ineleggibilità/decadenza non possa essere dichiarata pur in presenza della sentenza d i patteggiamento, a salvaguardia dei diritti dell’interessato, ove sia in corso il periodo di cinque anni previsto dalla legge per il consolidamento degli effetti premiali del provvedimento”.
DIRITTO
La formulazione del quesito, finalizzato ad una risoluzione del contrasto interpretativo esistente in merito alla natura giuridica del patteggiamento (oltre a presentarsi come un’interpretazione della precedente interpretazione), non sembra invero tenere in debito conto la funzione consultiva della sezione chiamata a pronunciarsi.
Per espressa disposizione normativa (art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI, in combinato disposto con l’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva e l’art. 3 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello sport), “La sezione Consultiva generale esprime i pareri relativi agli schemi di atti normativi richiesti dal Coni e, per suo tramite, dalle Federazioni - nonché decide sulle istanze di ricusazione di cui al comma 3 dell’art. 56 del Codice della Giustizia Sportiva -. La sezione Consultiva speciale esprime i pareri richiesti dai Comitati regionali del Coni, per il tramite del Segretario Generale del Coni che ne abbia valutato la rilevanza per l’ordinamento sportivo”.
La sezione Consultiva, in definitiva, è chiamata solo a rendere pareri.
Diversamente dalle sezioni giudicanti non è invero tenuta a fornire una soluzione al caso concreto, né è suo compito sostituirsi al legislatore per colmare eventuali situazioni “lacunose” dal punto di vista normativo o per dirimere contrasti interpretativi. Proprio a quest’ultima attività la sezione sembra essere stata chiamata dalla FIJLKAM, con la richiesta dell’attuale parere, avente ad oggetto la pretesa di un chiarimento definitivo circa la natura giuridica delle sentenze di patteggiamento, oggetto di contrasto interpretativo non solo in ambito sportivo1, bensì anche nell’ordinamento statale.
Come già esposto nel precedente parere (n. 2/2018), cui si rimanda per un’analisi dettagliata degli orientamenti in materia, il fatto che la decisione venga “concordata” con l’imputato ha determinato un acceso dibattito in dottrina e giurisprudenza riguardo l’assimilabilità (o meno) del provvedimento conclusivo del rito premiale con una sentenza di condanna.
In particolare ed in estrema sintesi, a fronte di coloro i quali si esprimono in senso negativo, considerata la natura “concordata” del provvedimento e il mancato accertamento della colpevolezza dell’imputato, altri accolgono la teoria opposta, anche in virtù della disposizione normativa contenuta all’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. (“Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”), che sembra avvalorare una simile tesi.
Non spetta invero alla sezione Consultiva dirimere il conflitto interpretativo esistente in materia, trattandosi di un compito esclusivo del legislatore, già peraltro intervenuto a prendere posizione sul punto, seppure limitatamente ad alcuni istituti specifici, sia in ambito statale sia sportivo.
Indipendentemente dall’adesione ad un orientamento piuttosto che ad un altro, scelta peraltro individuale, non può non condividersi quanto già enunciato nel parere precedentemente reso alla Federazione richiedente, ovvero che, “a prescindere dalla tesi cui si voglia aderire, il rito premiale delineato dal legislatore penalistico costituisce una fattispecie complessa la quale presuppone - per la sua perfezione - anche la decorrenza di un termine di cinque anni senza che alcun reato sia commesso… L’effetto estintivo, insomma, si produce solo a seguito di una fattispecie che si compone sia del momento “negoziale”, sia del decorso del tempo (5 anni)”.
Se, da un lato, è inconfutabile che gli effetti premiali si consolidino al termine dei cinque anni (senza la commissione di alcun reato), dall’altro, non risulta essere così chiara la posizione del condannato con sentenza di patteggiamento durante il decorso del periodo di tempo richiesto al fine del perfezionarsi della fattispecie.
Il chiarimento di un simile dubbio non può prescindere da una lettura sistematica delle norme emanate in ambito sportivo.
L’ordinamento sportivo detta invero criteri particolarmente rigorosi per la valutazione del comportamento dei consociati, richiedendo l’adozione di una condotta di “specchiata qualità”.
Il doveroso rispetto di principi etici, quali l’obbligo di lealtà, fair play, correttezza costituisce una regola cardine di tutto il movimento olimpico (dettata dall’ente esponenziale dello sport italiano e condivisa da tutte le Federazioni sportive italiane e dagli altri organismi di riferimento).
Significativo, in tal senso, il contenuto del Codice di Comportamento Sportivo emanato dal CONI (finalizzato a specificare i doveri fondamentali, inderogabili e obbligatori, di lealtà, correttezza e probità previsti e sanzionati dagli Statuti e dai regolamenti del CONI, delle Federazioni Sportive Nazionali, ivi compresi quelli degli organismi rappresentativi delle società, delle Discipline Sportive Associate, degli Enti di Promozione Sportiva e delle Associazioni Benemerite) che impone in modo incisivo l’osservanza dell’obbligo di lealtà da parte di tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo. Ai sensi dell’art. 2 (Principio di lealtà), infatti “I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all'attività sportiva. I tesserati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo cooperano attivamente alla ordinata e civile convivenza sportiva”.
Nello stesso senso, depongono i Principi di giustizia sportiva (adottati dal Consiglio Nazionale del CONI con Deliberazione n. 1519 del 15 luglio 2014), secondo cui (art. 1 comma 2) “Gli Statuti e i regolamenti federali, in particolare, devono assicurare la corretta organizzazione e gestione delle attività spor t ive, il rispetto del “ f air play”, la decisa opposi zione a ogni forma di illecito sportivo, f r ode sportiva, all ’uso di sostanze e metodi vietati, alla violenza sia fisica che verbale e alla corruzione”.
Il doveroso rispetto di tali principi, nonché l’adozione di una condotta rispondente alla dignità dell’attività sportiva, è sancito, tra l’altro, anche dalla Federazione richiedente il parere. Ai sensi dell’art. 10 dello Statuto FIJLKAM “Tutti coloro che aderiscono alla Federazione si impegnano ad operare con assoluta lealtà e correttezza e con la totale osservanza delle norme che regolano lo Sport, mantenendo sempre un comportamento rispondente alla dignità dell'attività svolta”.
L’ordinamento sportivo non si limita ad imporre l’osservanza dei principi etici, preoccupandosi anche di sanzionare l’eventuale violazione degli stessi.
La norma, citata da ultimo, ad esempio, prosegue statuendo che “Gli affiliati ed i tesserati che contravvengono a quanto previsto nello Statuto e nei Regolamenti della FIJLKAM sono passibili delle sanzioni disciplinari previste nelle norme federali, in linea con quanto disposto dal CONI”.
Numerosi sono i riferimenti, in tal senso, rinvenibili nell’ambito delle disposizioni emanate dal CONI, in virtù della propria autonomia normativa. Si veda, tra l’altro, il disposto del Codice di Comportamento (premessa), secondo cui “I tesserati alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate, agli Enti di promozione sportiva e alle Associazioni benemerite, in qualità di atleti, tecnici, dirigenti, ufficiali di gara, e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo, in eventuali altre qualifiche diverse da quelle predette, comprese quelle di socio cui è riferibile direttamente o indirettamente il controllo delle società sportive, sono tenuti all'osservanza del Codice e la loro violazione costituisce grave inadempimento meritevole di adeguate sanzioni”. La medesima fonte normativa, oltre ad enunciare la doverosa osservanza di tali disposizioni, giunge ad individuare un soggetto tenuto a farle rispettare (Il Garante del Codice di comportamento sportivo, istituito presso il CONI, adotta istruzioni, vigila sulla corretta attuazione del Codice e segnala ai competenti organi degli Enti di appartenenza i casi di sospetta violazione, ai fini del conseguente giudizio disciplinare, fermi restando i poteri di controllo del Coni).
L’idea che la violazione delle regole di condotta dettate in ambito sportivo non possa non essere sanzionata, costituendo il presupposto dell’inflizione di sanzioni disciplinari, è enunciato in modo incisivo nell’ambito dei Principi di Giustizia Sportiva; ai sensi dell’art. 2 (Principi del processo sportivo) “Tutti i procedimenti di giustizia sportiva, secondo le modalità definite dal Codice di giustizia sportiva emanato dal Consiglio nazionale del Coni, assicurano l ’effettiva osservanza delle norme dell ’ordinamento sportivo e la piena tutela dei diritti e degli inter essi dei tesserati, degli affiliati e degli altri soggetti dal medesimo riconosciuti”.
Il mancato rispetto delle regole di comportamento emanate in ambito sportivo è ritenuta talmente grave da giustificare la previsione di un procedimento disciplinare anche nei confronti dei soggetti che non fanno più parte dell’ordinamento sportivo (purchè si tratti di violazione commessa in costanza di tesseramento); l’art. 1, comma 4, dei citati Principi di Giustizia Sportiva, considera “punibili coloro che, anche se non più tesserati, per i fatti commessi in costanza di tesseramento si rendono responsabili della violazione dello Statuto, delle norme federali o di altra disposizione loro applicabile”.
L’inosservanza dei principi etici, in definitiva, costituisce il presupposto di un procedimento disciplinare, nei cui confronti, peraltro, gli effetti del provvedimento conclusivo del patteggiamento sono equiparati a quelli della sentenza penale irrevocabile di condanna2.
Part i col are rigore nel la valutazione della condotta dei soggetti del l’ ordinamento sportivo, al fine di tutelare la dignità, onorabilità ed autorevolezza delle Istituzioni sportive è espresso, del resto, proprio con riguardo ai requisiti di eleggibilità.
Dirimente, in t al senso, risulta esser e l’art . 11 (Tutela dell’onorabilità degli organismi sportivi) del Codice di Comportamento Sportivo, dalla cui analisi si evince che: “Ferma restando la previsione di cui all’art. 5, comma 3, lett. b) e c), dello Statuto del CONI, al fine di tutelare l ’onorabilità e l ’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del CO NI , nonché degli organismi delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite, ivi compresi anche gli organismi rappresentativi delle società, sono immediatamente sospesi in via cautelare, secondo le modalità previste al terzo comma del presente articolo, i componenti che sono stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’ allegato “A” o che sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale.
La sospensione permane sino alla successiva sentenza assolutoria o alla conclusione del procedimento penale o alla scadenza o revoca delle misure di prevenzione o di sicurezza personale. La misura cautelare della sospensione ha una durata massima di diciotto mesi, decorsi i quali cessa di avere applicazione…”
Da una lettura dell’allegato esplicativo della norma citata si evince la volontà del legislatore sportivo di comprendere il maggior numero possibile di reati, la cui commissione è reputata oltremodo grave e disonorevole, soprattutto se compiuta da soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo, tenuti a comportarsi, giova ribadirlo, in modo particolarmente corretto e nel rispetto dei principi dettati in ambito sportivo.
Con riguardo al rigore mostrato nella valutazione della condotta richiesta ai fini della candidabilità/eleggibilità, non può trascurarsi l’incipit della norma appena citata, ovvero il richiamo all’art. 5, comma 3, lett. b) e c), dello Statuto CONI, ai sensi del quale - al fine della eleggibilità/candidabilità -, “il non avere riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno” è equiparato al “non avere riportato, salva riabilitazione, squalifiche o inibizioni sportive definitive complessivamente superiori a un anno, da parte delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate e degli Enti di promozione sportiva, del CONI o di organismi sportivi internazionali riconosciuti”. Principio, peraltro, condiviso e ribadito dalla FIJLKAM; l’art. 14, comma 1, lett. a) e b), dello Statuto richiede, ai fini della eleggibilità, che i candidati “non abbiano riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori ad un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiori ad un anno”, nonché “non abbiano riportato nell’ultimo decennio, salvo riabilitazione, squalifiche o inibizioni sportive definitive, complessivamente superiori ad un anno, da parte delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate, degli Enti di Promozione Sportiva, del CONI o di Organismi Sportivi Internazionali riconosciuti”.
Alla luce di simili considerazioni, sembra oltremodo condivisibile la conclusione del parere n. 2/2018, ai sensi della quale è doveroso offrire una lettura della norma sulla candidabilità/eleggibilità che tenga conto della complessità del rito premiale - presupponente il decorso di cinque anni senza la commissione di ulteriori reati per la fruibilità dei benefici che ne derivano -, in combinato disposto con l’autonomia normativa del sistema sportivo.
La lettura sistematica delle norme di tale ordinamento induce, come detto, ad una valutazione rigorosa della condotta dei consociati, nel rispetto della funzione sociale ed educativa dello sport, universalmente riconosciuta e condivisa dall’ente esponenziale dello sport italiano - all’art. 2, comma 5, del proprio Statuto -.
PQM
Si rende il presente parere.
Deciso nella camera di consiglio del 31 maggio 2018.
Il Presidente La Relatrice
F.to Virginia Zambrano F.to Barbara Agostinis
Depositato in Roma, in data 26 giugno 2018.
Il Segretario
F.to Alvio La Face
1 Un esempio è costituito dalle decisioni rese dalla Corte Federale d’Appello FIGC - sezione Consultiva - e riportate nel parere 2/2018.
2 Il riferimento è all’art. 39 del Codice di Giustizia Sportiva, “Efficacia della sentenza dell’autorità giudiziaria nei giudizi disciplinari”, secondo cui: “1. Davanti agli organi di giustizia la sentenza penale irrevocabile di condanna, anche quando non pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso.
- La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta delle parti.
- La sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel
giudizio disciplinare nei confronti dell’imputato quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, ferma restando l’autonomia dell’ordinamento sportivo nella definizione della fattispecie e nella qualificazione del fatto.
- L’efficacia di cui ai commi 1 e 3 si estende agli altri giudizi in cui si controverte intorno a illeciti il cui accertamento
dipende da quello degli stessi fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale nei confronti dell’incolpato”.