CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva – coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 6/2016 del 09/06/2016 – (richiesta CONI su potere sanzionatorio Commissione Federale di Garanzia)
Parere n. 6
Anno 2016
IL COLLEGIO DI GARANZIA
SEZIONE CONSULTIVA
composta da
Virginia Zambrano – Presidente e Relatrice
Barbara Agostinis
Pierpaolo Bagnasco
Alessandro Di Majo
Amalia Falcone
PARERE n. 6/2016
Su richiesta di parere presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del Coni, dal Segretario Generale del Coni, prot. n. 0003639/16 del 2 marzo 2016.
La Sezione
Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00012/14 del 17 settembre 2014;
vista la richiesta di parere n. 3/2016, presentata dal Segretario Generale del Coni, dott. Roberto Fabbricini, in data 2 marzo 2016;
visto l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della sezione consultiva dell’organo de quo;
esaminati gli atti e udito la relatrice, Virginia Zambrano.
Premesse
Il Segretario Generale del CONI ha richiesto che la sezione consultiva del Collegio di Garanzia dello Sport fornisca parere motivato riguardo all’interpretazione da dare all’art.5.3, lett. c, del Codice di Giustizia Sportiva il quale prevede che la Commissione Federale di Garanzia possa adottare, nei confronti dei componenti gli organi di giustizia e della Procura, una serie di misure sanzionatorie che vanno dal richiamo alla rimozione dall’incarico, il tipo di sanzione dipendendo dalla gravità della condotta.
Ciò premesso, l’istante chiede di conoscere “quale sia l’Organismo preposto ad esaminare il ricorso promosso da un componente degli Organi di Giustizia o della Procura federale eventualmente sanzionato con un provvedimento adottato dalla Commissione Federale di Garanzia”.
1. L’autonomi a e l’ indipendenza del sistema di giustizia sportiva e il ruolo della Commissione di Garanzia. La risposta al presente quesito non può andare disgiunta dalla necessità di rammentare come il Codice di Giustizia Sportiva sia il prodotto di un intervento riformatore volto a porre rimedio a quella situazione di tensione fra la perenne domanda di autonomia delle Federazioni, per un verso, e le esigenze di omogeneizzazione della Giustizia sportiva, per l’altro. Dalle pieghe di un articolato normativo sicuramente complesso – che interviene sia sul piano della struttura organizzativa della giustizia sportiva che sul profilo del concreto esercizio della funzione giurisdizionale – esce delineato un sistema organico il quale, nel dare attuazione alle previsioni di cui all’art. 5, co. 2, lett. e), e all’art. 7, co. 2, lett. h bis), d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dal d.lgs. 15/2004, recupera altresì alla giustizia sportiva i paradigmi dell’autonomia e dell’indipendenza.
Sul piano delle garanzie processuali, il robusto richiamo al quadro costituzionale - e segnatamente agli artt. 25, 101, 104, 107 e 111 Cost. – trova sintesi nella definizione di quel catalogo “aperto” dei principi del processo sportivo di cui all’art. 2 del Codice che, nel richiamo all’interesse al regolare svolgimento delle competizioni sportive e all’ordinato andamento dell’attività federale, sintetizza la peculiarità dei procedimenti di giustizia regolati dal Codice.
L’intreccio fra principi costituzionali, regole processuali analogicamente richiamate (art. 2, comma 6) e aperture alle soluzioni del c.p.a. si riflette così nel recepimento di una serie di principi (cfr., Panzarola, Sui principi del processo sportivo (riflessioni a margine dell’art. 2 del codice di giustizia sportiva) che vanno dal diritto di agire in giudizio innanzi agli organi di giustizia (art. 6) al principio della atipicità della azione, dal gratuito patrocinio (art. 8), alla possibilità di una remissione in termini, dalla informalità del procedimento, alla previsione di un articolato sistema di impugnazioni, e così via enumerando, di cui è chiaro il fine.
L’obiettivo è quello di approdare alla definizione di un principio di legalità, qui sportiva, che, nel rispetto dei precetti costituzionali di autonomia, indipendenza e imparzialità della persona chiamata a giudicare, come vivificati dai valori e dall’ideologia dell’ordinamento cui quei principi afferiscono, vincoli i giudici sportivi. Autonomia ed indipendenza si configurano, e non potrebbe essere diversamente, allora, come le dorsali lungo le quali si dipana l’organizzazione di un sistema di giustizia che mira ad assicurare la totale assenza di condizionamenti e ingerenze esterne.
In vero, che quello dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici fosse avvertito, anche prima dell’intervento riformatore, come un problema di non agevole soluzione riceve conferma dall’attenzione tributata dai Principi di Giustizia sportiva a siffatto profilo. Il riferimento sia nei Principi 2007 (art. 2) che nei Principi 2010 (art. 3.1) alla “necessaria” terzietà ed imparzialità del giudice, nella estrema linearità della formulazione, rendeva palese l’esigenza (appunto non soddisfatta dalla essenziale formulazione normativa) di garantire ai giudici quella piena autonomia e indipendenza che costoro, in quanto espressione della Federazione, sembrano non possedere, così frustrando l’applicazione integrale di quei “principi di terzietà e indipendenza previsti dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 Cedu» (A. E. BASILICO, La riforma della giustizia sportiva, in Giornale dir. amm., 2014, p. 652).
In quest’ottica, l’art. 3, comma 3, dei Principi di Giustizia Sportiva (Del. n. 1519 del Consiglio Nazionale CONI del 15 luglio 2014), in evidente rottura con il passato, esplicitamente discorre di indipendenza, autonomia e riservatezza quali principi ai quali gli organi di giustizia sportiva devono ispirare la propria condotta. Né si deve ritenere che tali richiami abbiano valore meramente dottrinale o terminologico. In vero, che il tema dell’autonomia ed indipendenza degli organi di giustizia, come arricchiti dal paradigma della imparzialità (art. 2, comma 3, Codice Giustizia Sportiva) percorra tutto l’ordito normativo si ricava dalla preoccupazione di un legislatore che non perde occasione di farvi menzione, per un verso, specificando le coordinate che devono ispirare l’azione degli organi di giustizia (art. 3, comma 3 CGS), per l’altro, delineando un articolato sistema di incompatibilità che riguarda giudici e Procura volto, appunto, ad evitare confusioni di ruoli e pericolosi conflitti di interessi (cfr., art. 3, comma 5; art. 5, comma 1; art. 17, comma 4; art. 26, comma 5; art. 55, comma 2, CGS). L’imposizione di un duty of disclosure dalla portata piuttosto ampia null’altro esprime, allora, che la presa d’atto della possibile esistenza di rapporti che “compromettano l’indipendenza con la Federazione o con i tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti sottoposti alla sua giurisdizione”, siano essi di lavoro o di parentela/affinità (art. 3, comma 3 CGS). Il ricco spettro di incompatibilità si erge, in altri termini, a baluardo dell’indipendenza e imparzialità dei giudici sportivi e mira ad escludere ogni suggestione derivante dal fatto che il giudice – proprio in ragione della propria competenza e professionalità – possa conservare il fondamentale requisito di soggetto super partes ed equidistante dagli interessi contrapposti (C.cost. 240/2003). Lo stesso richiamo alla grave negligenza o alle altre ”gravi ragioni” che possono giustificare l’adozione della sanzione sottende la tensione verso l’adozione da parte dei componenti degli organi di giustizia di una condotta adempitiva dei doveri fondamentali e inderogabili di lealtà e correttezza, tanto più rilevanti in chi è coinvolto, appunto, nell’amministrazione della giustizia sportiva. Laddove non sfugge lo sforzo di attribuire al concetto di colpa una ampia connotazione, come comprensiva di una condotta “contrastante con ogni criterio logico, che comporta l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo e lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero" (come in altro senso, ex multis, osservano i giudici in Cass. n. 7272/2008).
Ma v’è più. L’esigenza di salvaguardare il corretto operare degli organi di giustizia è assicurata, oltre che dalla verifica del possesso nei “potenziali giudici” di requisiti soggettivi di professionalità e competenza (cfr., per le Federazioni, art. 16, comma 1 CGS, ovvero l’art. 26, comma 2 CGS), dal rispetto di una articolata procedura di selezione in cui regole di trasparenza e di pubblicità si combinano fra loro. Ne esce delineato un modello di governance del settore in cui principi di responsabilità e regole di reclutamento intendono evitare un effetto di “cattura” dei giudici da parte dei “controllati”, attraverso pressioni di potere o altri condizionamenti. L’indipendenza deve, in questo senso, intendersi sia come un valore che come uno “status” che vuole assicurare l’esercizio di una funzione aliena da qualsivoglia influenza, diretta o indiretta, sì da approdare ad un’azione obiettiva ed imparziale.
Dal canto suo, riferita alla giustizia sportiva, l’autonomia – non diversamente da quanto accade per l’ordinamento statale – assume il significato di potestà di autodeterminazione (sui diversi significati in cui essa si può specificare si rinvia a M.S. Giannini, Autonomia. Saggio sui concetti di autonomia, in Riv. trim.dir. pubbl., 1951, p. 851 ss.) relativamente all’esercizio di quell’attività necessaria per dare attuazione al dettato normativo, legandosi allora inscindibilmente alla presenza di un organo, la Commissione di Garanzia, preposto a tutelare “ l’autonomia e l’indipendenza degli organi di giustizia presso la Federazione e della procura Federale” (art. 5, comma 1, CGS).
Ed in vero non sfugge, ove si ponga mente a quel profilo strutturale della riforma della giustizia, cui si faceva menzione prima, che la previsione di un organo come la Commissione di Garanzia giunga a completare un sistema il quale, nell’assicurare il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, intende creare le condizioni per assicurare l’effettiva indipendenza ed imparzialità degli organi giudicanti. In questo senso, la Commissione si presenta come organo dotato di attribuzioni che, lungi dall’essere fini a se stesse, sono preordinate all’inveramento del disegno tracciato nel Titolo I, Capo II, del Codice Giustizia Sportiva, attraverso la più volte richiamata tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici sportivi.
Ma ancora. A conferma della complessa natura dell’organo è la circostanza che la Commissione di Garanzia accanto ad un ruolo disciplinare, potendo intervenire e comminare sanzioni “nel caso di violazione dei doveri di indipendenza e riservatezza, nel caso di omessa o falsa dichiarazione in cui si attesti l’assenza delle incompatibilità di cui ai commi 3 e 5 dell’art. 3, nel caso di grave negligenza nell’espletamento delle funzioni, ovvero nel caso in cui altre gravi ragioni lo rendano comunque indispensabile” (art. 5, comma 3, lett. c)”, svolge, altresì, un ruolo politico/consultivo, nella misura in cui può indirizzare proposte al Consiglio Federale in ordine al funzionamento della giustizia sportiva, ovvero formulare pareri (art. 5, comma 3, lett. d). Essa, dunque, per un verso, svolge una funzione di “controllo” sull’operato dei giudici, come si desume dall’affidamento delle decisioni sulla responsabilità disciplinare (riecheggiandosi qui la competenza del CSM cui, superata la distinzione fra funzioni tipiche e atipiche, spetta il potere di assumere una serie di provvedimenti tra cui rientrano quelli aventi carattere generale, o comunque non incidenti sulla carriera dei magistrati, quelli disciplinari, nonché quelli che più in generale incidono sullo status del magistrato, e sono inclusi nella generica espressione di “provvedimenti riguardanti i magistrati” impiegata nell’art. 17 della legge n. 150 del 1953) e, per l’altro, dialoga con il Consiglio federale (ovvero con la Giunta nazionale). Ruolo, quest’ultimo, importante che completa le competenze della Commissione, secondo quanto si ricava dalla previsione di cui all’art. 13 ter, comma 3, lett. a), Statuto e quella assolutamente speculare di cui all’art. 5, comma 3, lett. d), CGS.
La funzione della Commissione non si esaurisce, in altri termini, nel garantire il mero “funzionamento del servizio”, contribuendo alla individuazione dei soggetti idonei ad essere nominati componenti del Tribunale Federale e della Corte Federale di Appello, ovvero Procuratore, Procuratore aggiunto e Sostituto procuratore. Accanto ad una funzione che si potrebbe definire “di tipo amministrativo” o, se si vuole “materialmente amministrativa”, trovano collocazione sia una funzione, lato sensu consultiva (e comunque non diversa da quella che la l.195/1958 affida al CSM), sia una funzione giurisdizionale che si sostanzia nell’accertamento delle responsabilità degli organi di giustizia e della Procura federale e nella conseguente comminazione di sanzioni.
Dinanzi all’insieme variegato delle competenze emerge una esigenza di riconduzione ad unità in grado di raccogliere le varie attribuzioni sotto l’egida della garanzia di valori; esigenza che trova soddisfazione nel disegno di un legislatore che non ha inteso separare questo dagli altri organi di giustizia, come emerge altresì dalla collocazione della Commissione nel Capo dedicato agli Organi di giustizia.
2. I provvedimenti disciplinari e il potere sanzionatorio della Commissione. Sgombrato il campo dalla questione della natura della Commissione di garanzia e verificatane la funzione si tratta si verificare – proprio alla luce di quanto premesso – se esista e quale sia l’organismo preposto ad esaminare il ricorso avverso un provvedimento adottato dalla Commissione Federale di Garanzia. Un primo aspetto che occorre affrontare riguarda la collocazione dei provvedimenti disciplinari tra gli atti di natura giurisdizionale, piuttosto che amministrativa. Ora, non v’è dubbio che il potere di applicare una serie di sanzioni in presenza di violazioni di doveri rappresenti un mezzo di regolamentazione interna delle condotte “patologiche” ostative al raggiungimento di fini istituzionali, attraverso un rapido ed efficace strumento punitivo volto a prevenire e, nel contempo, sanzionare dall’interno violazioni di regole di condotta. Si tratta di regole funzionali al rispetto del comportamento “idoneo al fine istituzionale”, la cui violazione assume rilevanza sotto il profilo punitivo-disciplinare.
A dispetto della presenza di comuni principi portanti, l’esercizio della funzione disciplinare non sempre si esprime, tuttavia, con analoghe modalità. Sull’esercizio della stessa, infatti, reagisce la peculiarità dell’ambito di riferimento e la tipologia del rapporto sì che ora esso si connota in senso amministrativo, ora giurisdizionale, ora negoziale in dipendenza – come si diceva – di scelte compiute dal legislatore, la cui discrezionalità in materia spazia (come non hanno mancato di osservare i giudici in C.cost. 183/2008) entro un ambito molto ampio.
Nel caso delle sanzioni comminate dalla Commissione di garanzia, il richiamo, ovvero la rimozione dall’incarico, nelle ipotesi di violazione dei doveri di indipendenza e riservatezza, in presenza di false dichiarazioni in tema di incompatibilità, grave negligenza o altre gravi ragioni, traggono fondamento dalla necessità di garantire, per un verso, il corretto esercizio della funzione giudiziaria e, per l’altro, la qualità della giustizia sportiva, senza con ciò stesso ledere o interferire (alla luce di quei principi cui si è più volte fatto richiamo) con l’indipendenza dell’esercizio della funzione stessa e, tanto meno, rinchiudere i giudici in maglie di comportamenti imposti.
Proprio il riferimento al principio costituzionale di garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia del sistema di giustizia sportiva (art. 12 ss., art. 13 ter Statuto, art. 3, comma 3, CGS) rende impossibile immaginare che quella disciplinare sia esercizio di attività amministrativa o che possa confondersi con il procedimento disciplinare previsto nell’impiego privato (o nell’impiego pubblico privatizzato), ove la natura dell’iter punitivo non è né giurisdizionale, né amministrativa, ma negoziale, in quanto rinviene il suo fondamento e la sua regolamentazione nella contrattazione collettiva recepita nei contratti di lavoro (Fantacchiotti, Fresa, Tenore, Vitello, La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010). Né il riconoscimento della natura giurisdizionale e non amministrativa del procedimento disciplinare è irrilevante, attese le conseguenze che ne derivano. Basti pensare alla inapplicabilità ai procedimenti giurisdizionali delle regole sul provvedimento amministrativo (l. 7 agosto 1990, n.241) o, tanto per esemplificare, alla esercitabilità dell’autotutela (revoca, modifica, annullamento, sospensione di atti: v. art.21- bis seg., l. n.241 del 1990) nei confronti di provvedimenti amministrativi (ovvero le sanzioni inflitte) eventualmente illegittime, potere precluso in sede giurisdizionale e così via.
Ciò posto, occorre tuttavia rimarcare la peculiarità del momento sanzionatorio di cui all’art. 5, comma 3, lett.c), CGS che trova giustificazione nel ruolo svolto dalla Commissione. Questa, quale organo di garanzia, appunto, e non espressione di un potere, in presenza di violazioni particolarmente rilevanti, in grado di compromettere l’equilibrio del disegno di giustizia sportiva voluto dal legislatore, ha la possibilità di comminare sanzioni le quali, ove illegittimamente adottate, non possono che implicare esclusivamente la lesione di una situazione giuridica soggettiva protetta. In questo senso, l’intervento sanzionatorio della Commissione di Garanzia non si concretizza in un atto giuridico, in quanto non assume rilievo nell'ordinamento statale come manifestazione di un “potere giuridico”. Tanto meno è possibile immaginare, attesa la funzione della Commissione di Garanzia di tutela dell’autonomia e dell’indipendenza degli organi di giustizia presso la Federazione, che possa individuarsi un organismo (interno al sistema di giustizia) cui devolvere la definizione di un eventuale ricorso avverso il provvedimento sanzionatorio dalla stessa assunto. Se così fosse, infatti, si finirebbe con il compromettere irreparabilmente quella funzione - rafforzata dalla previsione dell’insindacabilità come nell’art. 5, comma 3, lett. a) e b) – di cui il legislatore ha voluto investire la Commissione.
Alla luce del sistema di giustizia elaborato dal legislatore e del ruolo assegnato alla Commissione di Garanzia si deve, in altri termini, ritenere che le sanzioni del richiamo e della rimozione dall’incarico vengano in rilievo, non come atti, ma come meri “fatti”. Questi, equiparabili ai comportamenti ben possono porsi all’origine di un danno il quale, allora, andrà risarcito ex art. 2043 c.c. (Ferrara L., Giustizia sportiva, Enc. dir., Annali, III. Milano, 2010). Se così è, ne deriva l’impossibilità di configurare una tutela di annullamento che – come noto – è una tipica tutela elargibile solo in presenza di “atti giuridici”. Non è infatti ipotizzabile l'annullamento di un “fatto storico”, di cui, al più, è possibile rimuovere le conseguenze pregiudizievoli ovvero risarcirle per equivalente. In assenza di una tutela demolitoria, l’unica strada che si profila è quella di accordare a quanti deducono che un loro interesse sia stato leso dall’applicazione delle sanzioni, lo strumento della responsabilità ex delicto, destinata a sfociare nel riconoscimento di un diritto ai danni.
Seguendo questa linea interpretativa, quindi, il componente dell’organo di giustizia che si sia visto ledere un proprio diritto soggettivo a causa della sanzione - pur non potendone chiedere l'annullamento da parte del giudice statale - potrà comunque ottenere da quest'ultimo una tutela piena del suo diritto mediante il risarcimento del danno (anche se solo “per equivalente” e non “in forma specifica”).
Laddove non v’è chi non veda come, all’esito di questo giudizio risarcitorio, il giudice, lungi dal prendere posizione sulla legittimità dell’atto, non potrà che conoscerlo in via solo “ incidentale e indiretta”, per valutare la “illiceità della condotta” tenuta. In questi termini può trovare altresì giustificazione la circostanza che il legislatore non abbia ripetuto, per la lett. c) del comma 3, art. 5, quell’inciso “con determinazione non più sindacabile” che altrove compare. Né pare proficuo recuperare al discorso, al fine di attrarre al G.A. la competenza per un eventuale ricorso, quelle riflessioni che, in materia di sanzioni sportive disciplinari, ruotano attorno alla previsione di cui all’art. 133, lett.z), c.p.a. Vero è che nella lettura dell’articolo de quo sembra prevalere la tendenza volta ad attribuire carattere “residuale” alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ambito sportivo (Tar Lazio, Roma, sez. III-ter, 7 marzo 2005, n. 1724, in Foro amm.-Tar, 2005, 735; Tar Lazio, Roma, sez. III- ter, 22 settembre 2004, n. 9668, ivi, 2004, 2585; Trib. Genova, ord. 18 agosto 2005; Trib. Genova, ord. 27 agosto 2005), in grado di estendersi ad ogni controversia avente ad oggetto atti del CONI e delle Federazioni Sportive purché “non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'art. 2 ”. Del pari indubbio che, per le ragioni esposte, questo discorso non è destinato a trovare qui accoglimento, vieppiù ove si consideri che, proprio sotto il profilo di una interpretazione strettamente letterale, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ambito sportivo è espressamente delimitata dal legislatore alle sole controversie aventi ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni.
PQM
Si rilascia il presente parere.
Deciso nella camera di consiglio del 16 marzo 2016.
Depositato in Roma, in data 9 giugno 2016.
Il Presidente e Relatrice F.to Virginia Zambrano
Il Segretario
F.to Alvio La Face