CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Quarta – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 3 del 12/01/2018 – A.S. Roma S.p.A./A.C.F. Fiorentina S.p.A./Federazione Italiana Giuoco Calcio/Lega Nazionale Professionisti Serie A
Decisione n. 3
Anno 2018
IL COLLEGIO DI GARANZIA QUARTA SEZIONE
composta da
Dante D’Alessio - Presidente
Stefano Bastianon
Giovanni Iannini
Alfredo Storto - Componenti
Laura Santoro - Relatrice
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 106/2017, presentato, in data 8 novembre 2017, dalla società A.S. Roma S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv. prof. Saverio Sticchi Damiani,
nei confronti
della società A.C.F. Fiorentina S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Coccia e Mario Vigna,
nonché nei confronti
della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.),
e della Lega Nazionale Professionisti Serie A (L.N.P.A.),
avverso la decisione della Corte Federale d’Appello FIGC, di cui al C.U. n. 47/CFA del 9 ottobre 2017, che, nel confermare, seppure con diversa motivazione, la decisione di primo grado endofederale resa dal Tribunale Federale Nazionale – Sezione Vertenze Economiche, dichiarata preliminarmente inammissibile l’istanza di “interpretazione” proposta innanzi al medesimo Giudice federale di prime cure della LNPA, ha respinto il ricorso proposto dalla A.S. Roma S.p.A., confermando la condanna, a carico della stessa, al pagamento dell’importo di euro 1.000.000,00, oltre IVA, ed euro 5.000,00, a titolo di spese oltre accessori, in favore della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per la corresponsione del “premio di rendimento”, di cui alla lettera a) del Modulo 146/A, denominato “Eventuali premi di rendimento da riconoscersi alla Società cedente”, allegato al contratto stipulato tra le due Società in data 28 agosto 2013, nell’ambito dell’accordo di cessione delle prestazioni professionali sportive del calciatore Adem Ljajic.
Non si sono costitute in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio e la Lega Nazionale Professionisti Serie A.
Uditi, nell'udienza del 18 dicembre 2017, l’avv. Davide Monteleone, giusta delega all’uopo ricevuta dall’avv. prof. Saverio Sticchi Damiani, per la ricorrente - A.S. Roma S.p.A. -, nonché gli avv.ti Massimo Coccia e Mario Vigna, per la resistente A.C.F. Fiorentina S.p.A.;
udita, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, la Relatrice, prof. Laura Santoro.
Ritenuto in fatto
- In data 28 agosto 2013, la A.S. Roma e la A.C.F. Fiorentina stipulavano la cessione a titolo definitivo del contratto di lavoro sportivo del calciatore Adem Ljajic per il corrispettivo di euro 11.000.000, da corrispondersi nelle stagioni sportive 2013/2014, 2014/2015 e 2015/2016; contestualmente le parti stipulavano, utilizzando il Modulo 146/A allegato al contratto di cessione, “Eventuali premi di rendimento da riconoscersi alla Società cedente”. Tra questi, in particolare, alla lett. a) del predetto Modulo 146/A veniva pattuito il “Premio di euro 1.000.000, oltre IVA, pagabile interamente nella stagione sportiva successiva alla maturazione del premio, qualora, nelle prossime 5 stagioni sportive (ovvero fino alla stagione sportiva 2017/2018 compresa) la Società A.S. Roma arrivi ad una posizione di classifica nel Campionato di Serie A (o tramite la Coppa Italia) tale da consentirgli di partecipare alla competizione europea Europa League Fase a Gironi”, con la specificazione che “Il premio maturerà a prescindere dalla permanenza del giocatore nella rosa della squadra, ovvero anche se ceduto in precedenza”. Una clausola similare veniva pattuita alla lett. c) dello stesso Modulo 146/A, con le sole differenze relative alla misura dell’importo del premio, pari ad euro 1.250.000, ed al riferimento “alla competizione europea Champions League Fase a Gironi”, invece che alla Europa League.
- Al termine della stagione sportiva 2013/2014 la A.S. Roma arrivava seconda nella classifica del Campionato di Serie A e, pertanto, avendo conseguito l’accesso alla Fase a gironi della Champions League, corrispondeva alla Fiorentina il premio di rendimento di cui alla lett. c) del Modulo 146/A.
- Analoga posizione in classifica la A.S. Roma conseguiva nel successivo Campionato di Serie A, maturando, quindi, anche per la stagione sportiva 2015/2016, il diritto a partecipare alla Fase a gironi della Champions League.
Richiesto dalla A.C.F. Fiorentina di corrispondere il premio per la seconda volta, la A.S. Roma contestava l’avvenuta maturazione del premio in ragione del fatto che esso dovesse ritenersi pattuito una tantum.
3.1. La A.C.F. Fiorentina proponeva quindi ricorso innanzi al Tribunale Federale Nazionale – Sezione Vertenze Economiche, riconoscendo, da un lato, che la maturazione del premio di rendimento per singola clausola fosse stata pattuita una tantum, ma chiedendo, dall’altro, che fosse riconosciuto il diritto al premio di rendimento pattuito alla lett. a) del Modulo 146/A “atteso che il raggiungimento di una posizione in classifica tale da permettere la qualificazione alla Champions League, quindi una competizione di rango superiore rispetto a quella indicata nella lett. a), integrasse comunque la relativa condizione”.
3.2. Il T.F.N. – Sezione Vertenze Economiche rigettava la domanda della A.C.F. Fiorentina in base alla motivazione che “l’unica corretta interpretazione che questo Tribunale Federale ritiene di dover privilegiare è quella letterale che pone in stretta correlazione non già le varie clausole tra loro bensì la singola clausola con il singolo evento in essa previsto” e, pertanto, nell’ambito dell’economia delle clausole relative ai premi “non debba rilevare tanto e soltanto ai fini della maturazione del premio il posizionamento in classifica, quanto e soprattutto la partecipazione alla Europa League”.
3.3. La A.C.F. Fiorentina proponeva ricorso innanzi alla Corte Federale d’Appello, che lo rigettava in base alla motivazione che “l’unica interpretazione ammissibile, qualora non si voglia cadere nell’arbitrarietà, è quella che condiziona il premio previsto in ogni specifico punto all’evento nel medesimo previsto, senza alcun possibile collegamento tra gli stessi”.
- In data 31 agosto 2015 la A.S. Roma cedeva a titolo temporaneo alla società Internazionale S.p.A. il contratto con il calciatore Adem Ljajic.
5. All’esito della stagione sportiva 2015/2016 la A.S. Roma conseguiva il terzo posto nella classifica del Campionato di Serie A, ciò che le consentiva di disputare il turno di qualificazione della UEFA Champions League. A seguito della sconfitta nel turno predetto, la A.S. Roma entrava di diritto nella Fase a gironi della UEFA Europa League, così come prescritto nel relativo Regolamento.
5.1. La A.C.F. Fiorentina provvedeva, quindi, a richiedere alla A.S. Roma il pagamento del premio di rendimento previsto alla lett. a) del Modulo 146/A.
A tale richiesta la A.S. Roma opponeva che la condizione ivi contemplata non poteva considerarsi realizzata, atteso che la partecipazione alla Fase a gironi della UEFA Europa League era stata conseguita “diversamente da quanto pattuito in contratto, solo a seguito (e in ragione) della sconfitta nel turno preliminare della competizione UEFA Champions League”.
La A.C.F. Fiorentina replicava che, al fine dell’accertamento dell’avveramento della condizione, occorresse fare riferimento alla effettiva partecipazione della squadra alla UEFA Europa League, richiamando sul punto la pronuncia della Corte Federale d’Appello resa nel giudizio in cui era risultata soccombente.
5.2. Con nota del 3 gennaio 2017, l’Ufficio Tesseramento della LNPA comunicava ad entrambe le società che la condizione di cui alla lett. a) del Modulo 146/A doveva intendersi verificata, e successivamente la LNPA adiva il T.F.N. affinché questo dichiarasse quale fosse la corretta interpretazione della clausola in parola.
5.3. Altro procedimento innanzi allo stesso T.F.N. veniva promosso dalla A.C.F. Fiorentina e il T.F.N., “stante l’indubbia connessione oggettiva e soggettiva”, disponeva “la riunione del procedimento promosso dalla Lega Serie A con quello promosso dalla Fiorentina nei confronti della Roma”.
5.4. Il T.F.N., richiamando le motivazioni della precedente decisione, accoglieva il ricorso della A.C.F. Fiorentina.
La A.S. Roma proponeva, quindi, reclamo innanzi alla Corte Federale d’Appello, che lo respingeva con la decisione oggetto della odierna impugnazione.
- Il ricorso della A.S. Roma S.p.A. è fondato sui seguenti motivi:
- Difetto di motivazione, omessa e/o insufficiente motivazione in ordine alla validità e meritevolezza di tutela della clausola che prevede la maturazione del premio di rendimento “a prescindere dalla permanenza del calciatore nella rosa della squadra ovvero anche se ceduto in precedenza”.
La ricorrente, sul punto, rileva come la clausola in oggetto non contenga un premio di rendimento, bensì “altra utilità meramente economica (…) non prevista dalla normativa federale e dall’art. 102, comma 3 bis, NOIF della FIGC”. Rileva, in secondo luogo, che “in ogni caso, anche laddove detta diversa utilità (che nulla ha a che fare con il concetto stesso di premio di rendimento) dovesse ritenersi ammessa dal sistema federale e, quindi, dovesse farsi (impropriamente) rientrare nell’ambito della previsione dell’art. 102, comma 3 bis, NOIF della FIGC, che detta utilità non sia in alcun modo oggetto del premio previsto dalle parti contraenti nella lett. a) del modulo 146/A (…) è reso evidente dal fatto che tale evenienza (ossia, in particolare, una somma da riconoscersi alla cedente A.C.F. Fiorentina in caso di successiva cessione – da parte della A.S. Roma – del calciatore di cui trattasi ad altra società) è già stata espressamente prevista e disciplinata dalle stesse parti contraenti nel modulo 147/A”.
La ricorrente lamenta che la Corte Federale d’Appello, dopo avere rilevato che sussistono “dubbi in ordine alla corretta qualificazione del riconoscimento economico di cui trattasi quale premio di rendimento”, non ha tratto “le conseguenze del proprio corretto argomentare e, quindi: o prendere atto che la clausola negoziale che istituisce un premio di rendimento (che, in realtà, premio di rendimento non è!) è illecita per mancanza di causa e/o illegittima in mancanza di una copertura normativa da parte dell’Ordinamento della FIGC; oppure, laddove ritenuto che l’art. 102, comma 3 bis, NOIF della FIGC si estende anche a tali tipi di accordi e previsioni negoziali, disapplicare detta norma, perché in contrasto con i principi dell’ordinamento sportivo e con lo stesso ordine pubblico sportivo (…) considerato che, diversamente affermando, si assegna tutela ad una fattispecie di certo non meritevole di tutela né per l’Ordinamento giuridico generale, né comunque per l’Ordinamento sportivo”.
La ricorrente lamenta, quindi, che “la Corte Federale di Appello non ha spiegato le ragioni per cui, rigettando il reclamo della A.S. Roma, ha ritenuto che, pur non trattandosi di un vero e proprio premio di rendimento, la previsione contrattuale istitutiva di quel premio possa considerarsi meritevole di considerazione e tutela per l’Ordinamento sportivo”.
- Violazione o falsa applicazione di norme e/o erronea interpretazione di diritto su un punto decisivo della controversia: difetto di meritevolezza di tutela del Modulo 146/A, nella parte in cui prevede la maturazione del premio “a prescindere dalla permanenza del calciatore nella rosa della squadra ovvero anche se ceduto in precedenza”.
La ricorrente lamenta l’errata applicazione al caso in esame dell’art. 102, comma 3 bis, delle NOIF, giacché esso disciplina i “premi di rendimento”, cui non può ricondursi la pattuizione intercorsa tra le parti stante il difetto di permanenza del calciatore nella rosa della squadra.
La ricorrente richiama sul punto l’art. 5 della L. 23 marzo 1981, n. 91, che, con riguardo alla cessione del contratto, dispone che “siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali”, nonché l’art. 3 della stessa legge, là dove statuisce che “La prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato”, dal che discenderebbe che “per dare sostanza e contenuto al concetto di premio di rendimento è, allora, conducente attingere in proposito alla elaborazione giuslavoristica, stante l’assenza di una norma che ne fornisca una definizione e ne precisi i contorni”.
In proposito la ricorrente specifica che il premio di rendimento può riguardare la prestazione, il risultato o il successo e per tutte e tre le tipologie sopra indicate “la giurisprudenza e la dottrina laburistica subordinano la maturazione (…) dei premi (…) all’apporto del lavoratore”.
La ricorrente sostiene che l’art. 102, comma 3 bis, delle NOIF prevede la possibilità di concordare esclusivamente premi di rendimento, da intendersi come quelli necessariamente riferiti all’apporto del calciatore; peraltro, l’illegittimità della clausola de qua discenderebbe “dalla sua evidente contrarietà ai principi generali dell’Ordinamento federale”, in ragione dei “criteri di rigidità, formalità e rigore” che assistono “la disciplina federale per quanto specificamente attiene il tesseramento e la cessione dei calciatori”.
La ricorrente afferma, dunque, che la clausola in contestazione “si traduce in una palese deviazione (i.e. violazione) dal modello legale federale, oltre a rendere carente di causa l’attribuzione patrimoniale”; aggiunge, inoltre, che la “libertà assegnata all’autonomia contrattuale nella determinazione del contenuto del contratto e dei relativi accordi economici non è e non può essere illimitata, ma trova (e non potrebbe essere altrimenti) un limite - se si vuole implicito, ma comunque chiaro ed evidente - nella normativa federale di riferimento e negli stessi tratti fondanti dell’Ordinamento sportivo e, segnatamente, nella natura e nelle finalità dello stesso”. “In altri termini, l’art. 102, comma 3 bis, NOIF lungi dal lasciare del tutto libere le parti di stipulare una clausola siffatta, condiziona la validità della stessa alla prestazione dell’atleta”.
La ricorrente richiama, sul punto, altresì, la giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in materia di contratto di lavoro sportivo, impiega “il canone della meritevolezza dell’interesse per formulare un giudizio di nullità (…) rispetto ad un contratto posto in essere senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste” dalla normativa federale.
- Difetto di motivazione e/o violazione o falsa applicazione di norme. Erronea applicazione della disciplina normativa di riferimento e, segnatamente, della Regulations UEFA Champions League, 2015/2018 Cycle, 2016/2017 Season.
La ricorrente, ripercorrendo i passaggi motivazionali della sentenza della Corte Federale di Appello impugnata, sottolinea come la stessa, discostandosi dall’orientamento espresso sul punto dal T.F.N., abbia correttamente riconosciuto che “ai fini dell’indagine in ordine alla avvenuta maturazione o meno del premio di cui trattasi, l’interprete, esclusa l’ipotesi dell’accesso all’anzidetta competizione europea per il tramite della Coppa Italia, deve arrestare la propria esegesi alla posizione raggiunta dalla Roma nella classifica finale del campionato di serie A (…) non potendo essere presi in considerazione eventi successivi che abbiano, per altra via o di fatto, consentito la partecipazione alla fase a gironi della Europa League (…). Si tratta di una verifica da effettuare ex ante. Arrestando l’esame a tale momento, se la posizione in classifica raggiunta dalla A.S. Roma è tale da consentirgli la partecipazione alla Europa League, il premio di euro 1.000.000 di cui alla lett. a) è dovuto. Altrimenti, no”.
La ricorrente lamenta che “Così ricostruita, in modo tanto chiaro, quanto corretto, l’interpretazione della clausola dell’accordo economico di cui trattasi, erra la CFA, nel passaggio al piano dell’applicazione pratica e concreta della stessa, incorrendo in una palese violazione della disciplina regolamentare in materia di accesso alle competizioni europee”, là dove ha ritenuto che “la posizione in classifica (3° posto) ottenuta dalla A.S. Roma nel campionato stagione sportiva 2015/2016 consentiva alla stessa predetta società di prendere parte alla competizione denominata Uefa Europa League, con l’ulteriore chance di disputare una gara il cui esito vittorioso avrebbe consentito l’accesso al torneo denominato Uefa Champions League”. La CFA ha, infatti, ritenuto che la gara disputata il 17 agosto 2016 (valevole ai fini della qualificazione alla UEFA Champions League, in caso di vittoria, ovvero di accesso alla UEFA Europa League, in caso di sconfitta) non può “collocarsi all’interno della predetta competizione Uefa Champions League, atteso che solo il superamento di detto turno di qualificazione avrebbe consentito di accedere a detto torneo. Ma anche in detto caso (quindi, di superamento del c.d. turno preliminare di qualificazione alla Uefa Champions League), il premio economico oggetto di controversia sarebbe stato, comunque, dovuto dalla A.S. Roma alla A.C.F. Fiorentina, dovendo, come sopra detto, arrestarsi la verifica alla posizione in classifica, con esclusione della possibilità di considerare le eventuali successive vicende sportive”.
La ricorrente osserva di contro che “la posizione (3° posto) nella classifica finale del campionato di serie A – stagione sportiva 2015/2016 – ha consentito alla A.S. Roma di accedere al turno preliminare di UEFA Champions League, che è già – ovviamente – turno (seppur, appunto, turno c.d. preliminare) del campionato europeo denominato Champions League”.
Dunque - afferma la ricorrente - “la verifica del realizzarsi della condizione deve essere effettuata con riferimento alla conclusione del campionato nazionale e, pertanto, essa si consuma (configurandosi come condizione alternativa) al momento del suo realizzarsi (posizionamento al terzo posto che consente, seppure tramite un turno preliminare, la partecipazione alla fase a gironi della Champions League)”.
In conclusione la ricorrente chiede, “in via principale e in gradato subordine”, l’annullamento della decisione impugnata e, per l’effetto, che venga accertata e dichiarata “la immeritevolezza della clausola contrattuale, oggetto del presente giudizio, di cui alla lett. a) del Modulo 146/A (…), nella parte in cui prevede la maturazione del premio a prescindere dalla permanenza del giocatore nella rosa della squadra, ovvero anche se ceduto in precedenza, e/o la mancanza di causa della stessa e/o la sua contrarietà all’ordine pubblico sportivo e/o il suo contrasto con l’Ordinamento federale e/o con quello sportivo e/o giuridico generale dello Stato e, di conseguenza, dichiarare che nulla la A.S. Roma S.p.A. deve alla A.C.F. Fiorentina S.p.A.”; che venga accertata e dichiarata “l’illegittimità della norma di cui all’art. 102, comma 3 bis, NOIF della FIGC nella parte si ritenga che la stessa sia o possa intendersi estesa agli accordi economici con i quali le società pattuiscono premi (denominati) di rendimento del tutto sganciati e svincolati dalla prestazione sportiva del calciatore ceduto o, comunque, che prevedono l’obbligo di corrispondere tali “premi” anche nell’ipotesi di avvenuta cessione del calciatore ad altro club”; che venga accertato e dichiarato che “la Corte Federale di Appello della FIGC ha errato ad interpretare e/o applicare i regolamenti delle istituzioni sportive federali e/o UEFA (e, in particolare, della Regulations Uefa Champions League, 2015/2018 Cycle, 2016/2017 Season) e/o ha violato l’applicazione degli stessi e, per l’effetto, dichiarare che la terza posizione in classifica nel campionato di serie A raggiunta al termine della stagione sportiva 2015/2016 ha consentito alla A.S. Roma di prendere parte ai turni preliminari (play-off) della competizione UEFA Champions League ( e non già a quella denominata UEFA Europa League)”.
Con vittoria delle spese e compensi di lite.
- Si è costituita nel giudizio la A.C.F. Fiorentina S.p.A. formulando le seguenti osservazioni:
- Sul preteso difetto di motivazione in ordine alla clausola che prevede la maturazione del premio “a prescindere dalla permanenza del giocatore nella rosa”, la resistente osserva che la Corte Federale d’Appello ha adeguatamente motivato la sua decisione, delineando “un iter logico incentrato sull’interpretazione e conseguente applicazione della previsione di cui all’art. 102, co. 3 bis, NOIF alla previsione contrattuale in esame, pervenendo dunque a rilievi e riflessioni di mero diritto scevre di accertamenti e/o valutazioni fattuali. In altre parole, non vi sono omissioni di fatti e dati storici, ma articolate riflessioni di diritto”. Ne consegue che il ricorso della A.S. Roma esulerebbe dal perimetro tracciato dall’art. 54, comma 1, CGS, in base al richiamo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. nella sua formulazione più restrittiva post riforma del 2012.
La resistente rileva, peraltro, che la stessa ricorrente riconosce a pag. 12, 3° par., del suo ricorso che la decisione gravata risulta essere “senza dubbio ben motivata”. Nello specifico, dunque, aver espresso nella parte motiva delle perplessità sul concetto di premio di rendimento (peraltro lasciando dubbi aperti e privi di risposta) non ha alcuna rilevanza ai fini del thema decidendum e delle conclusioni cui la Corte Federale d’Appello è da ultimo giunta, posto che la stessa evidenzia chiaramente nelle sue conclusioni come il criterio dirimente sia in realtà “la comune volontà manifestata in contratto dalle parti, legittimata dalla previsione del sopra richiamato art. 102, comma 3 bis, NOIF”.
- In ordine alla pretesa violazione o falsa interpretazione di norme sul punto di meritevolezza di tutela del Modulo 146/A, nella parte in cui prevede la corresponsione del premio “a prescindere dalla permanenza del calciatore nella rosa”, la resistente rileva la contrarietà della domanda intentata dalla A.S. Roma rispetto al comportamento tenuto in sede di negoziazione del Modulo 146/A, nonché in sede di esecuzione della clausola relativa al premio di rendimento per l’accesso alla Fase a gironi del campionato di Champions League.
La resistente rileva, inoltre, che “la previsione contrattuale in esame è del tutto legittima e in linea con la normativa FIFA sul trasferimento dei calciatori”, normativa alla quale la FIGC ha l’obbligo di conformarsi in ossequio al disposto dell’art. 15, comma 1, del D.lgs. n. 242/1999, nonché dell’art. 20, comma 5, dello Statuto CONI. La resistente sottolinea, quindi, che è “frequente nella pratica dei trasferimenti internazionali di giocatori che le parti determinino contrattualmente che una parte del prezzo di trasferimento sia legata a fattori terzi quali il rendimento sportivo della società cessionaria collettivamente considerata, specie laddove – come nel caso in esame – le parti abbiano espressamente previsto che il premio sarebbe stato dovuto a prescindere dalla permanenza del Calciatore nel corso delle cinque stagioni successive al trasferimento dello stesso”.
La resistente contesta, altresì, il riferimento della disciplina dei premi di rendimento, correlata alla cessione di contratto, alla normativa lavoristica. Eccepisce, inoltre, come la controparte “erri ontologicamente nell’invocare l’illiceità o inesistenza della causa del Contratto sostenendo piuttosto un’invalidità (indimostrata) della singola clausola”.
La resistente rileva, poi, come appaia “del tutto infondato e vago il rilievo della A.S. Roma sull’asserita contrarietà della clausola ai “principi generali dell’Ordinamento Federale”, quando invece è provato che tale clausola trova fondamento e legittimità in una specifica norma federale e nelle richiamate previsioni FIFA”. Rileva, infine, come l’accoglimento della pretesa della A.S. Roma “comporterebbe la nullità di innumerevoli (e depositati) accordi di trasferimento di calciatori dove clausole basate sul 102, co. 3bis, NOIF sono pacificamente inserite con il beneplacito della LNPA e della FIGC”.
- Sul preteso difetto di motivazione e/o violazione o falsa applicazione di norme, segnatamente delle Regulations UEFA Champions League, la resistente preliminarmente eccepisce che questo motivo di doglianza è volto “a mettere in discussione le valutazioni di merito compiute dalla Corte Federale di Appello, e per ciò stesso esorbita dallo spettro del sindacato demandato a questo Collegio”.
La resistente osserva, peraltro, che tale motivo di ricorso è totalmente infondato, posto che “l’unica interpretazione ragionevolmente possibile è quella che leghi la corresponsione del Premio Fase a Gironi Europa League all’effettiva partecipazione della AS Roma alla Fase a Gironi Europa League, così come peraltro già correttamente enfatizzato dal TFN – Sezione Vertenze Economiche nella decisione di primo grado”. Una diversa interpretazione condurrebbe “all’assurdo risultato di non riconoscere alcun premio ad ACF Fiorentina laddove la AS Roma fosse giunta terza in campionato”, posto che “detta posizione non dà accesso diretto (…) alla Fase a Gironi delle competizioni UEFA”.
La resistente, inoltre, contesta “il tentativo di attribuire alla Corte Federale d’Appello l’errata interpretazione di regolamenti UEFA quali le Regulations UEFA Champions League 2015/2018 Cycle, 2016/2017 Season, posto che la AS Roma non li ha mai prodotti nei due gradi di giudizio federale”.
7.1. In conclusione la A.C.F. Fiorentina chiede che “il ricorso venga dichiarato inammissibile, e comunque respinto perché immotivato e infondato. In ogni caso, qualora codesto Collegio, ai sensi dell’art. 62, c.2 del Codice di Giustizia CONI, accogliesse il ricorso e decidesse di procedere con rinvio agli organi di giustizia FIGC, si chiede che venga confermato l’accoglimento delle domande di ACF Fiorentina di cui al ricorso introduttivo del giudizio endofederale”.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari
- Con memoria ex art. 60, comma 4, CGS, del 6 dicembre 2017, la A.S. Roma, in replica alle eccezioni preliminari di inammissibilità formulate dalla controparte relativamente ai motivi rubricati sub 1 e 3 dell’atto introduttivo, osserva che “il perimetro entro cui può dispiegarsi il giudizio di legittimità di Codesto Ecc.mo Collegio ha portata sicuramente più ampia rispetto ai più angusti confini delineati dalla normativa processual-civilistica”; osserva, inoltre, che il terzo motivo di doglianza concerne, tra l’altro, l’errata applicazione e/o interpretazione della disciplina regolamentare in materia di accesso alle competizioni a livello europeo.
- Con memoria ex art. 60, comma 4, CGS, del 7 dicembre 2017, la A.C.F. Fiorentina, contestando i rilievi di controparte, insiste per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate nella memoria di costituzione.
Considerato in diritto
- In ordine all’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso (o di una parte di esso), sollevata dalla A.C.F. Fiorentina con i motivi rubricati sub 1 e 3 dell’atto introduttivo, si deve osservare che, secondo il consolidato orientamento interpretativo di questo Collegio di Garanzia (sia a Sezioni Semplici che a Sezioni Unite), mentre l’art. 360, n. 5, c.p.c., consente il ricorso per Cassazione per “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”, l’art. 54, comma 1, CGS consente il ricorso al Collegio di Garanzia (oltre che per “violazione di norme di diritto”) anche “per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”.
Come espressamente statuito dalle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia (dec. n. 44/2017), “La più ampia formulazione adottata dal legislatore sportivo, che espressamente si riferisce alla motivazione ed espressamente consente un sindacato sulla sua sufficienza, non può certamente reputarsi casuale, tanto più se si considera che la stesura del Codice di Giustizia sportiva è successiva alla riforma del testo dell’art. 360 del Codice di rito, intervenuta nel 2012, ed è pertanto consapevole del dibattito sulla sua evoluzione. Se il testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c. consente alla Cassazione uno scrutinio – sia pure assai limitato – della motivazione, si deve ritenere che, a maggior ragione, tale sindacato sia permesso al Collegio di Garanzia, il quale, oltre a verificare che di nessun fatto decisivo sia stato omesso l’esame, ben può estendere la sua indagine alla sufficienza della motivazione, ancorché rimanendo sul piano logico e formale e senza rinnovare valutazioni di merito. Quanto al requisito della sufficienza, occorre considerare che esso non può essere vagliato su un piano puramente quantitativo, come se dipendesse soltanto dal numero degli argomenti portati a sostegno di una decisione, ma deve necessariamente apprezzarsi anche su un piano qualitativo. Il che fatalmente comporta una verifica della sufficienza, intesa come congruità ed adeguatezza, sia pure – si ribadisce – su un piano logico e formale, dello svolgimento motivazionale. In questa prospettiva la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, vale a dire l’incompatibilità logica tra gli argomenti portati dal giudice di merito a sostegno delle sue conclusioni, può denotare una insufficienza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 54 del CGS; beninteso, ove la denunciata contraddittorietà non riguardi profili di semplice dettaglio, ma sia ravvisabile tra argomenti muniti di pari rilevanza. Se gli argomenti forniti nella motivazione della decisione, quelli che dovrebbero integrare la ratio decidendi del provvedimento, sono tra loro contrastanti, se ne deve concludere che le conclusioni espresse nella sentenza sono prive di una motivazione adeguata. Onde essa risulta censurabile per insufficienza”.
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- 1. La Sezione ritiene, facendo applicazione di tali principi, che i motivi di ricorso formulati dalla A.S. Roma rientrino nel perimetro di competenza delineato dall’art. 54, comma 1, CGS, con la conseguenza che l’eccezione preliminare di inammissibilità formulata dalla resistente è da respingere.
- Nel merito, i motivi di ricorso formulati dalla A.S. Roma attengono sostanzialmente all’interpretazione della clausola di cui alla lett. a) del Modulo 146/A, allegato alla cessione di contratto, sotto il duplice profilo attinente alla previsione di un premio di rendimento disgiunto dalla permanenza del giocatore nella rosa della squadra (quanto ai primi due motivi di ricorso) ed al riferimento dell’avveramento della condizione al posizionamento in classifica o piuttosto all’effettiva partecipazione alla competizione Europa League, Fase a gironi, quanto al terzo motivo.
- Occorre, sul punto, premettere che, come è noto, ai sensi del canone di interpretazione soggettiva del contratto, sancito all’art. 1362 c.c., “Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”. Si deve poi richiamare anche il principio di conservazione del contratto, sancito dall’art. 1367 c.c., secondo cui “Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”.
- Ciò premesso, quanto al primo profilo, attinente alla previsione di un premio di rendimento disgiunto dalla permanenza del giocatore nella rosa della squadra, contenuta nell’ultima frase della clausola de qua, il tenore letterale di essa conduce ad un unico significato assolutamente chiaro, che risulta peraltro confermato dall’aggiunta in coda dell’inciso “ovvero anche se ceduto in precedenza”.
- 1. Né ad un diverso significato può condurre l’esame dell’intenzione delle parti risultante dal loro comportamento, anche successivo, alla conclusione del contratto, se non, quanto alla ricorrente, a quello con effetto esclusivamente abrogante della citata disposizione.
La ricorrente, infatti, non sostiene che la disposizione in esame vada interpretata in un significato diverso da quello risultante dal tenore letterale, ma, piuttosto, che essa non abbia (più) efficacia alcuna. Tale posizione non soltanto confligge con il principio di conservazione del contratto, sopra richiamato, ma, inoltre, è fondata su di una serie di argomentazioni che questo Collegio non condivide.
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- 2. Infatti, non può essere condivisa l’opinione secondo cui l’efficacia della clausola contenuta nel Modulo 146/A, nel senso che il premio di rendimento sia dovuto anche per l’evenienza della cessione del calciatore, sia esclusa dal fatto che “tale evenienza (…) è già stata espressamente prevista e disciplinata dalle stesse parti contraenti nel modulo 147/A”.
Si osserva, infatti, che l’evento dedotto in condizione nella clausola de qua, dal cui avveramento discende la sua efficacia e, dunque, la debenza del premio di rendimento, non consiste nella cessione del calciatore, bensì nel posizionamento in classifica utile ai fini, nella fattispecie, della partecipazione al campionato di Europa League.
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- 3. Né, parimenti, è fondata l’argomentazione della ricorrente, che poggia sul richiamo alla disciplina giuslavoristica per affermare che la maturazione dei premi di rendimento è in ogni caso subordinata all’apporto del lavoratore.
Nel caso di specie, infatti, il premio di rendimento non è pattuito in seno al contratto di lavoro sportivo intercorrente tra la società e l’atleta, bensì in seno alla cessione del contratto di lavoro, che intercorre tra le due società, cedente e cessionaria. Il rendimento, cui si correla il premio, è quindi riferito alla società cessionaria e non va rapportato necessariamente alla sola prestazione sportiva in campo del calciatore.
- La Corte Federale d’Appello, in punto di interpretazione dell’art. 102, comma 3 bis, NOIF, correlando la previsione di premi di rendimento “al conseguimento di obiettivi da parte del calciatore”, riferiti “alla concreta ed effettiva prestazione sportiva resa”, ha concluso nel senso che la fattispecie “portata all’esame nel presente giudizio” sia “affatto diversa (…) essendo pacifico che il calciatore Adem Ljajic nella stagione sportiva 2015/2016 non ha potuto in alcun modo contribuire al conseguimento della terza posizione in classifica”, stante l’avvenuto suo trasferimento ad altra società. La CFA esprime quindi “perplessità in ordine alla configurazione di un premio di rendimento del tutto sganciato dalla prestazione sportiva del calciatore cui la previsione del premio si riferisce”.
Ma, il premio di rendimento, nella clausola de qua, non è espressamente riferito alla prestazione sportiva del calciatore, bensì al posizionamento della squadra in classifica.
A questo risultato - giova ricordarlo - concorrono diversi elementi, sia tecnico-sportivi che organizzativo-manageriali e, quanto ai primi, non soltanto, come è evidente, la prestazione di un singolo giocatore, bensì di un’intera squadra in tutto il complesso delle sue componenti tecniche, sia in campo che fuori campo.
14.1. Peraltro, la CFA, dopo aver interpretato l’art. 102, comma 3 bis, NOIF, nel senso che “un premio di rendimento non riconnesso all’effettivo apporto del calciatore al conseguimento dell’obiettivo predeterminato appare quasi snaturamento dell’istituto piegato a fini non consentiti dall’ordinamento”, finisce con il legittimare comunque “la comune volontà manifestata in contratto dalle parti”, proprio sulla base “del sopra richiamato art. 102, comma 3 bis, NOIF”.
Ma detto articolo, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non prevede la possibilità di concordare esclusivamente premi di rendimento da intendersi come riferiti necessariamente all’apporto del calciatore.
- L’interesse, al cui soddisfacimento è diretta la pattuizione dei citati “premi di rendimento” nel caso in specie, è piuttosto la corresponsione di un’integrazione del prezzo della cessione in dipendenza dell’avveramento di determinati eventi che comportano benefici economici per la società cessionaria (come, per l’appunto, l’accesso ad una competizione europea).
La ragione per cui la manifestazione di tale interesse sia stata attuata mediante l’impiego del Modulo recante l’intestazione “Eventuali premi di rendimento da riconoscersi alla Società cedente” deve quindi ricondursi alla rigidità della forma prescritta dalla normativa federale per i contratti in oggetto.
- In proposito va, infatti, ricordato che l’art. 5, comma 2, della L. n. 91/1981, dopo avere stabilito che “è ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un’altra, purché vi consenta l’altra parte”, prescrive che “siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali”.
L’art. 95 delle NOIF, intitolato “Norme generali sul trasferimento o sulle cessioni di contratto”, dispone che “L’accordo di trasferimento di un calciatore (ndr per i calciatori della LND) o la cessione del contratto di un calciatore professionista devono essere redatti per iscritto, a pena di nullità, mediante utilizzazione di moduli speciali all’uopo predisposti dalle Leghe”. Il comma 4 dello stesso art. 95 reitera la prescrizione sopra detta là dove, con riferimento alle cessioni di contratto (nonché agli accordi di trasferimento in cui cedente è una società della LND e cessionaria una società di Lega professionistica) specifica che “debbono utilizzarsi moduli adottati dalle Leghe professionistiche”.
L’ordinamento della Federcalcio adotta, dunque, un meccanismo piuttosto rigido nel dettare i percorsi da seguire per pattuire il trasferimento di un calciatore, rappresentando, peraltro, un caso unico nel panorama federale internazionale.
- Accertata quale sia l’interpretazione da dare alla clausola de qua, occorre a questo punto verificare la sua compatibilità con le norme imperative e l’ordine pubblico.
- 1. Sovviene, in proposito, il richiamo all’art. 95, comma 11, NOIF che prescrive la nullità ad ogni effetto delle “clausole comunque in contrasto con le norme federali relative ai trasferimenti dei calciatori ed alle cessioni di contratto”.
Va rilevato, al riguardo, come non sussista alcuna norma federale, né statutaria, né regolamentare, né alcuna norma CONI che vieti espressamente una clausola del tenore di quella in oggetto.
Neppure in sede di deliberazione annuale del Consiglio Federale, in ordine alle modalità ed ai limiti per la cessione dei contratti (deliberazione prevista ai sensi dell’art. 102, comma 4, NOIF), la FIGC si è mai espressa nel senso di vietare siffatte clausole, pur attestate da una diffusa e frequente prassi negoziale.
Da ciò può ricavarsi un implicito riconoscimento di tale prassi da parte della FIGC.
Sul punto va, per inciso, rammentato che, ai sensi dell’art. 13 bis dello Statuto CONI, le “prassi riconosciute nell’ordinamento delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite” rappresentano, unitamente ai “principi”, la base di riferimento per la definizione del comportamento dei soggetti dell’ordinamento sportivo in ossequio ai doveri di lealtà, correttezza e probità sportiva.
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- 2. Tale clausola, in secondo luogo, non risulta neppure in contrasto con l’ordine pubblico sportivo.
Al riguardo si deve osservare che l’ordinamento della Federcalcio legittima espressamente la possibilità di inserimento di una clausola siffatta nella cessione temporanea di contratto, che, sotto il profilo causale, rappresenta una fattispecie negoziale similare alla cessione definitiva. L’art. 103 NOIF, che disciplina le “cessioni temporanee di contratto”, al comma 6, dopo avere espressamente consentito la “cessione temporanea del contratto con il calciatore professionista, già oggetto di altra cessione temporanea (…) con l’espresso consenso della originaria società”, prevede che “Salvo espresso patto contrario tra le Società interessate, il premio di rendimento o di valorizzazione inserito nell’originale accordo di trasferimento temporaneo viene considerato come non apposto”.
L’esame della disposizione sopra richiamata non consente di individuare una ratio che giustifichi la previsione di un premio di rendimento disgiunto dalla permanenza del giocatore nella rosa della squadra esclusivamente per le cessioni temporanee e non anche, in via di interpretazione analogica, per quelle definitive; né è dato affermare la natura eccezionale della norma di cui al citato art. 103, comma 6, stante l’assenza, come sopra detto, di un precetto generale che faccia divieto di pattuire clausole del tenore di quella in oggetto.
D’altra parte, la conformità di una tale clausola con l’ordine pubblico sportivo è avvalorata dal fatto che la normativa della FIFA sugli accordi aventi ad oggetto il trasferimento di calciatori (Regulations on the Status and Transfer of Players, art. 4.2.) consente espressamente di pattuire dei corrispettivi variabili correlati al verificarsi di dati eventi, anche futuri e incerti (conditional transfer fee, including details of conditions), senza alcuna limitazione.
- Con riguardo, poi, all’interpretazione della clausola di cui alla lett. a) del Modulo 146/A, sotto il profilo del riferimento dell’avveramento della condizione al posizionamento in classifica o piuttosto all’effettiva partecipazione alla competizione Europa League, Fase a gironi, si osserva quanto segue.
La Corte Federale d’Appello correttamente ha rilevato che la clausola in esame “come si evince dal chiaro e, invero, inequivoco tenore letterale” prevede che “il diritto alla corresponsione del premio di cui trattasi è legato all’avverarsi di una sola e unica condizione: posizione di classifica nel campionato di serie A o tramite la coppa Italia che consenta la partecipazione alla competizione europea denominata Europa League. Non viene, dunque, in rilievo, come erroneamente ritenuto dalla A.C.F. Fiorentina ed affermato dal TFN il dato della effettiva partecipazione alla predetta competizione internazionale”.
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- 1. Tale condizione ha natura mista, posto che essa dipende, in parte, dalla volontà di una delle parti e, in parte, dalla regolamentazione della Uefa relativa all’accesso ai campionati europei.
La regolamentazione in materia (Regulations UEFA Champions League 2015/2018 Cycle, 2016/2017 Season), vigente al tempo dei fatti in causa, prevede che, considerata la posizione della FIGC al 4° posto nel ranking UEFA, il posizionamento al 1° ed al 2° posto nella classifica finale del campionato di Serie A consente l’accesso diretto alla Fase a gironi della Champions League; la squadra che consegue la terza posizione in classifica è ammessa a disputare il turno di qualificazione e successivamente, in caso di vittoria, entra nella Fase a gironi della Champions League, in caso di sconfitta, è ammessa alla Fase a gironi della Europa League.
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- 2. Ciò posto, questo Collegio di Garanzia non condivide l’interpretazione che alla citata regolamentazione UEFA è stata data dalla CFA là dove essa ha ritenuto che la gara disputata dalla A.S. Roma il 17 agosto 2016, ricadente nella fase preliminare di qualificazione alla Champions League, non può “collocarsi all’interno della predetta competizione Uefa Champions League, atteso che solo il superamento di detto turno di qualificazione avrebbe consentito di accedere a detto torneo”.
Come correttamente osservato dalla ricorrente, infatti, i turni di qualificazione rappresentano una fase (quella preliminare) che insieme all’altra fase (quella a gironi) concorrono a formare la competizione della Champions League.
Ciò nondimeno non può non essere dato rilievo alla circostanza che, per effetto della sconfitta della A.S. Roma nei preliminari della competizione Uefa Champions League, la ricorrente, nel rispetto della citata regolamentazione Uefa, ha poi partecipato di diritto alla Fase a gironi della Europa League.
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- 3. Contrasta, peraltro, con il principio “iura novit curia” l’eccezione della resistente in ordine al rilievo, operato dalla ricorrente, circa l’errata interpretazione da parte della Corte Federale d’Appello dei regolamenti UEFA, fondata sul presupposto che “la AS Roma non li ha mai prodotti nei due gradi di giudizio federale”.
- 4. Parimenti non corretta si deve ritenere l’argomentazione della A.C.F. Fiorentina, secondo cui “procedere su un percorso ermeneutico che porti a dover porre un limite temporale, fissato al momento della definizione della classifica finale del campionato, e a nulla rilevando l’effettiva partecipazione, porterebbe all’assurdo risultato di non riconoscere alcun premio ad ACF Fiorentina laddove la AS Roma fosse giunta terza in campionato”; ciò perché “detta posizione non dà accesso diretto (…) alla Fase a Gironi delle competizioni UEFA”, posto che “è solo dopo il play-off che si determina a quale delle due fasi a gironi parteciperà la terza classificata”.
- 5. Questo Collegio deve osservare che il posizionamento al terzo posto nella classifica del campionato di Serie A, per quel che concerne l’accesso alla Fase a gironi della Europa League, cui la clausola de qua fa espresso riferimento, comporta il verificarsi della condizione ivi contenuta, senza la necessità di ulteriori accertamenti.
Infatti, la condizione è stata espressa dalle parti facendo riferimento al posizionamento in classifica “tale da consentire di partecipare alla competizione europea Europa League Fase a Gironi” e non già all’immediata possibile partecipazione a tale competizione. Orbene, è indiscutibile che il posizionamento al terzo posto in classifica consentiva la possibilità di partecipare, come minimo certo, alla Fase a gironi della Europa League. Circostanza che si è poi concretamente verificata. E si è, in conseguenza, avverata la condizione prevista nella clausola che le parti avevano inserito in comune accordo nel contratto di trasferimento del calciatore.
- Questo Collegio, in conclusione, pur non condividendo in parte la motivazione della decisione impugnata, per le ragioni che si sono prima esposte, ritiene che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 384, ultimo comma, c.p.c, qui richiamato per effetto del rinvio operato dall’art. 2, comma 6, CGS “ai principi e alle norme generali del processo civile”, debba essere confermata la sentenza della Corte Federale d’Appello oggetto della presente impugnazione, perché recante un dispositivo comunque conforme al diritto e ne corregge la motivazione nei termini sopra esposti.
- La controvertibilità delle questioni esaminate consente una pronuncia di integrale compensazione delle spese tra tutte le parti costituite nel giudizio.
P.Q.M.
Il Collegio di Garanzia dello Sport Quarta Sezione
Respinge il ricorso. Spese compensate.
DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del Coni, in data 18 dicembre 2017.
Il Presidente La Relatrice
F.to Dante D’Alessio F.to Laura Santoro
Depositato in Roma, in data 12 gennaio 2018.
Il Segretario
F.to Alvio La Face