CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Prima – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 26/2020 del 24 giugno 2020 – Pietro Nicolosi/Associazione Italiana Arbitri/Federazione Italiana Giuoco Calcio
Decisione n. 26
Anno 2020
IL COLLEGIO DI GARANZIA PRIMA SEZIONE
composta da
Mario Sanino - Presidente
Marcello de Luca Tamajo - Relatore
Giuseppe Andreotta
Guido Cecinelli
Angelo Maietta - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 6/2020, presentato, in data 5 febbraio 2020, dall’ing. Pietro Nicolosi, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gianluca Ciotti e Pierfrancesco Continella,
contro
l'Associazione Italiana Arbitri (AIA), rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli,
e nei confronti
della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), non costituita in giudizio,
avverso
la delibera n. 17 del 2 dicembre 2019, assunta dalla Commissione di Disciplina d'Appello dell'AIA, con la quale è stata irrogata, a carico del ricorrente, la sanzione del ritiro della tessera arbitrale, per la violazione dell'art. 40, n. 3, lett. a) e lett. d), del Regolamento Associativo, quale epilogo dell'iter di giustizia endoassociativa, avviato in seguito alla querela per diffamazione sporta dal ricorrente nei confronti di un altro tesserato AIA.
Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;
uditi, nell'udienza del 5 giugno 2020, celebrata in videoconferenza tramite la piattaforma Microsoft Teams, giusta il decreto del Presidente del Collegio di Garanzia dello Sport, Franco Frattini (prot. n. 00334 del 29 maggio 2020), i difensori della parte ricorrente - ing. Pietro Nicolosi avv.ti Gianluca Ciotti e Pierfrancesco Continella; gli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, per la resistente AIA, nonché il Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Antonio Marino, per la Procura Generale dello Sport c/o il CONI, intervenuta ai sensi dell'art. 59, comma 2, lett. b), e dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI;
udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, avv. Marcello de Luca Tamajo.
Ritenuto in fatto
L’ing. Pietro Nicolosi, con il suindicato ricorso, ha chiesto al Collegio di Garanzia l’annullamento della delibera n. 17 del 2 dicembre 2019, assunta dalla Commissione di Disciplina d’Appello dell’AIA, che aveva irrogato nei suoi confronti la sanzione del ritiro della tessera per la violazione dell’art. 40, n. 3, lettera d), del Regolamento Associativo.
Tale delibera è stata adottata in accoglimento dell’appello proposto dalla Procura Arbitrale avverso la delibera della Commissione di disciplina Nazionale dell’AIA, che aveva irrogato all’ing. Nicolosi il provvedimento della sospensione di anni due, dal 30 settembre 2019 al 30 settembre 2021.
Si è costituita in giudizio, l’AIA con memoria di costituzione del 14 febbraio 2020, mentre la resistente FIGC è stata contumace.
In punto di fatto va rilevato che la vicenda oggetto della delibera impugnata con il ricorso introduttivo del presente giudizio trae origine da alcune e-mail ricevute nel settembre 2016 dall’ing. Nicolosi dal contenuto chiaramente diffamatorio nei suoi confronti.
A seguito di ciò il ricorrente, in data 7 ottobre 2016, ha chiesto al Presidente dell’AIA l’autorizzazione ad adire le vie legali nei confronti del tesserato sig. Rosario D’Anna, ritenuto il responsabile dell’invio delle suindicate e-mail e della loro diffusione su tutto il territorio nazionale. Con lettera del 14 novembre 2016, il Presidente Nicchi non ha concesso la richiesta autorizzazione, motivando, peraltro, che sussistevano dubbi in ordine alla riferibilità al D’Anna dei suindicati scritti di contenuto diffamatorio.
A seguito di ciò il Nicolosi, preso atto della possibilità che non fosse il D’Anna l’autore delle e- mail, ha presentato, in data 13 dicembre 2016, una denuncia/querela contro ignoti presso la Questura di Catania.
La Procura della Repubblica di Catania, in data 21 febbraio 2018, all’esito delle indagini preliminari, ha disposto il rinvio a giudizio di Rosario D’Anna, ritenendolo responsabile del reato di cui art. 595 c.p. relativo alla diffamazione.
A seguito di ciò il Nicolosi ha chiesto, in data 20 ottobre 2018, al Presidente dell’AIA l’autorizzazione a costituirsi parte civile nell’instaurando procedimento penale a carico del D’Anna.
Con comunicazione del 30 ottobre 2018, il Presidente Nicchi non ha concesso tale autorizzazione ed il Nicolosi, in ossequio a ciò, non si è costituito parte civile né ha proposto alcuna azione giudiziaria nei confronti del sig. D’Anna.
Il 3 luglio 2019 l’ing. Nicolosi è stato deferito alla Commissione Disciplinare Nazionale per la violazione dell’art. 4, lettera d), del Regolamento AIA.
Come innanzi rilevato, tale Commissione ha sanzionato il Nicolosi con la sospensione di due anni.
A seguito dei reclami proposti avverso tale pronuncia, sia dal Nicolosi che dalla Procura Arbitrale, la Commissione di Disciplina, con l’impugnato provvedimento, ha irrogato la sanzione del ritiro della tessera.
Considerato in diritto
1) Come innanzi rilevato, l’ing. Nicolosi è stato sanzionato, sia pure in misura diversa, sia dalla Commissione di Disciplina Nazionale dell’AIA (due anni di sospensione) sia dalla Commissione di Disciplina di Appello (ritiro della tessera), per la violazione dell’art. 40, n. 3, lettera a) e lettera d), del Regolamento Associativo.
Ciò per aver presentato denuncia/querela contro ignoti nel dicembre 2016, nonostante il diniego ricevuto dal Presidente dell’AIA all’autorizzazione ad adire le vie legali nei confronti di altro associato.
Il citato art. 40 del Regolamento, in particolare alla lettera d) del punto 3, prevede che gli arbitri sono obbligati a non adire le vie legali nei confronti di altri tesserati o associati per fatti inerenti con l’attività tecnica sportiva senza averne fatto preventiva richiesta scritta al presidente dell’AIA e senza averne poi ottenuto l’autorizzazione scritta.
Punto nodale della controversia è, quindi, la valutazione in ordine alla legittimità o meno della subordinazione alla autorizzazione del Presidente AIA del diritto a proporre azione penale.
In altre parole, occorre esaminare se il cd. “vincolo di giustizia”, di cui al suddetto art. 40 del Regolamento ed anche dall’art. 30 dello Statuto FIGC, sussiste anche nell’ipotesi in cui l’azione giudiziaria è promossa per fattispecie avente rilevanza penale.
Al riguardo questo Collegio ritiene di dover aderire alla tesi prospettata da parte ricorrente e di accogliere, pertanto, il ricorso, con il conseguente annullamento delle sanzioni inflitte all’ing. Nicolosi e ciò alla stregua delle seguenti osservazioni.
La legge n. 280 del 17 ottobre 2003, all’art. 1, comma 1, prevede che “la Repubblica favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo” ed all’art. 1, comma 2, prevede che: “i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvo i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
È stata, quindi, prevista una riserva di giurisdizione statale nelle ipotesi in cui le sanzioni e gli atti di natura sportiva siano produttivi di conseguenze lesive nell’ambito dei rapporti sociali, e quindi assumono rilevanza per l’ordinamento generale.
Pertanto, la Giustizia Sportiva è preposta al soddisfacimento di esigenze proprie dell’ordinamento settoriale di riferimento, mentre la Giustizia ordinaria tutela situazioni giuridiche soggettive che hanno anche rilevanza esterna, che si riflette in seno all’ordinamento statale.
Ciò premesso, deve rilevarsi che la materia penale esula dalla giurisdizione sportiva non essendo quest’ultima in grado di garantire i diritti e le posizioni di diritto soggettivo del soggetto leso.
Si vuole, cioè, dire che, se il “vincolo di giustizia” è pacificamente applicabile in relazione all’ordinamento sportivo, lo stesso incontra un limite invalicabile con riferimento alla materia penale e, quindi, a reati che devono necessariamente richiedere l’intervento esclusivo del Giudice ordinario.
In tal senso si sono già espresse due decisioni, e cioè il lodo del 16 marzo 2009 della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport presso il CONI (in causa Setten c. FIGC) ed il lodo del 4 ottobre 2010 del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo sport presso il CONI (in causa Guerra c. FIGC).
La prima di tali decisioni ha così affermato:
“Si conferma così la tesi che nello sport operano due giustizie: da un lato la giustizia sportiva, fatta di organi federali e di collegi arbitrali, che risponde a esigenze tipiche dell’ordinamento sportivo quali la necessità di affidare la risoluzione delle controversie a organi a competenza specifica e di ottenere decisioni in tempi rapidi; e, dall’altro, la giustizia statale, indispensabile garanzia delle situazioni giuridiche soggettive, se e laddove l’attività sportiva abbia rilevanza “esterna”, nell’ordinamento statale. Sarebbero pertanto impugnabili innanzi al giudice statale tutti i provvedimenti che presentino una rilevanza anche esterna all’ordinamento sportivo, determinino la lesione non solo di interessi esclusivamente sportivi, ma anche di interessi giuridicamente rilevanti, anche solo connessi con quelli sportivi, cioè la lesione di posizioni giuridico-soggettive riconoscibili come diritti soggettivi o come interessi legittimi.
Un siffatto ragionamento viene ora fatto proprio dalla giustizia amministrativa (v. da ultimo Tar Lazio n. 2472 del 2008), per quanto attiene alla sindacabilità degli atti amministrativi emanati dagli organi di giustizia sportiva; a fortiori, questo ragionare non può non applicarsi anche e soprattutto per quanto attiene gli atti ed eventi di carattere penalistico, sulla cui giustiziabilità è competente solo il giudice ordinario (art. 102 Cost.). La materia penale, infatti, è da ritenersi certamente sottratta alla giurisdizione domestica del diritto sportivo, che è priva di potestas iudicandi; e pertanto non ha nessun strumento coercitivo per offrire e garantire una tutela.
E’ questo il punto centrale della questione.
E allora, se la materia penale è sottratta alla cognizione degli organi federali non si spiega l’esigenza, o addirittura l’obbligo, di richiedere a essi l’autorizzazione a rivolgersi al giudice ordinario: subordinare l’esercizio dell’azione penale all’autorizzazione del Consiglio federale vorrebbe dire porsi in contrasto con i principi di uno Stato costituzionale, come chiaramente esplicitati agli artt. 24 e 25 Cost.
L’art. 30 comma 2°, dello Statuto Figc, che disciplina il “vincolo di giustizia”, mantiene intatta tutta la sua portata e validità nell’ambito dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, riconosciuto e favorito dalla Repubblica, ma si infrange laddove impatta con la materia penale, e quindi con reati che, a prescindere dalla loro azionabilità per querela di parte o di ufficio, impongono l’intervento esclusivo del giudice ordinario.”
La seconda di tali decisioni, nel condividere in pieno le affermazioni del suddetto lodo della Camera di Conciliazione ed Arbitrato, ha altresì affermato:
“Porre tale obbligatorio adempimento procedimentale a carico di colui che ha subito gli effetti di condotte ascrivibili a ipotesi di reato per poter adire gli organi della giustizia ordinaria, infatti, non solo renderebbe meno efficace la tutela che l'ordinamento generale assicura alla persona offesa da un reato, ma finirebbe anche per affievolire lo stesso effetto di deterrenza delle norme penali nell'ambito sportivo.
E poiché "subordinare l'esercizio dell'azione penale all'autorizzazione del Consiglio Federale vorrebbe dire porsi in contrasto con i principi di uno Stato costituzionale, come chiaramente esplicitati agli artt. 24 e 25 Cost." (lodo Setten/Treviso contro FIGC, cit.), l'irrogazione di una sanzione disciplinare per non aver ottemperato alla richiesta di autorizzazione in parola, non può non confliggere con le citate norme costituzionali.”
Orbene, questo Collegio aderisce e fa proprie tutte le argomentazioni contenute nelle suddette decisioni.
Deve, quindi, concludersi che l’esercizio del diritto di querela non può essere limitato né subordinato ad alcuna autorizzazione da parte degli Organi federali.
Nel caso di specie deve, quindi, ritenersi insussistente la violazione da parte del Nicolosi della norma di cui all’art. 40, n. 3, del Regolamento Associativo, così come contestato da parte dell’AIA, con il conseguente annullamento delle sanzioni inflitte al ricorrente.
A prescindere dalle assorbenti considerazioni appena evidenziate, deve rilevarsi che, comunque, nella specifica fattispecie di cui si discute, l’ing. Nicolosi non ha violato la citata disposizione Regolamentare anche sotto il profilo del non aver adito le vie legali “nei confronti di altri tesserati o associati” come indicato all’art. 40, ma nei confronti di ignoti.
Così come appare del tutto priva di pregio l’ulteriore argomentazione addotta dalla Procura Arbitrale nella propria relazione istruttoria, e ripresa anche dall’impugnata decisione della Commissione di Disciplina di Appello, secondo cui la mera presenza del Nicolosi e del suo avvocato all’udienza penale nel giudizio a carico del sig. D’Anna sarebbe in qualche modo emblematica della volontà di costituirsi parte civile. Si tratta evidentemente di una arbitraria supposizione priva di qualsivoglia valore.
2) Per completezza di esposizione va rilevato che parte ricorrente, sia nei propri scritti difensivi e sia nell’ambito della discussione orale dinanzi a questo Collegio, ha formulato un’eccezione relativa ad una presunta mancanza di imparzialità ed indipendenza degli Organi di Giustizia domestica dell’AIA e ciò in contrasto con l’art. 6 della Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Una siffatta argomentazione è del tutto irrilevante ai fini della decisione della controversia in esame, alla luce delle assorbenti argomentazioni appena evidenziate.
In ogni caso, di certo non compete a questo Collegio entrare nel merito della organizzazione e del sistema di giustizia endofederale.
Deve ritenersi, altresì, infondata l’eccezione di inammissibilità formulata da parte resistente e di cui alle note di udienza del 5 giugno 2020, al punto 1, in quanto la decisione della controversia non richiede una diversa interpretazione dei fatti (assolutamente pacifici tra le parti), ma una corretta interpretazione delle norme di legge di Regolamento.
3) Le spese seguono la soccombenza e vengono quantificate nella misura di € 1.500,00 (millecinquecento) oltre accessori, e poste a carico dell’AIA.
P.Q.M.
Il Collegio di Garanzia dello Sport Prima Sezione
Accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla la sanzione di ritiro della tessera emessa a carico del ricorrente dalla Commissione di Disciplina d'Appello dell'AIA in data 2 dicembre 2019 nonché il provvedimento di sospensione dal 30 settembre 2019 al 30 settembre 2021 emesso dalla Commissione di Disciplina Nazionale dell'AIA in data 30 settembre 2019.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate nella misura di € 1.500,00, oltre accessori di legge, a carico della resistente AIA.
Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 5 giugno 2020.
Il Presidente Il Relatore
F.to Mario Sanino F.to Marcello de Luca Tamajo
Depositato in Roma, in data 24 giugno 2020.
Il Segretario
F.to Alvio La Face