CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Prima – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 38 del 18/05/2021 – Moreno Buso/Federazione Ciclistica Italiana
Decisione n. 38
Anno 2021
IL COLLEGIO DI GARANZIA PRIMA SEZIONE
composta da
Mario Sanino - Presidente
Pier Giorgio Maffezzoli - Relatore
Giuseppe Andreotta
Guido Cecinelli
Cesare San Mauro - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 11/2021, presentato, in data 2 febbraio 2021, dal sig. Moreno Buso, residente in Polverara (PD), ai fini del presente procedimento assistito, difeso, rappresentato e domiciliato dall’avv. Stefano Malfatti del Foro di Padova, giusta procura in calce al ricorso introduttivo,
contro
la Federazione Ciclistica Italiana (FCI), sedente in Roma, in persona del Presidente e legale rapp.te p.t., assistita, difesa, rappresentata e domiciliata dall’avv. Nuri Venturelli del Foro di Roma, giusta procura in calce alla memoria di costituzione,
avverso
la decisione n. 6/2020 della Corte Federale d’Appello della FCI - II^ Sezione, pubblicata col Comunicato n. 6 del 4 gennaio 2021, con la quale, nel respingere il reclamo proposto, è stata confermata la pronuncia del Tribunale Federale della FCI - II^ Sezione, pubblicata sul sito federale col Comunicato n. 7 del 30 ottobre 2020, che aveva respinto a sua volta il ricorso del sig. Buso per l’annullamento della “Determina” del Segretario Generale in data 2 luglio 2020, e/o la disapplicazione dell’art. 5 del Regolamento Tecnico Amatoriale e dell’art. 1-1.3 delle Norme Attuative del Settore Amatoriale Nazionale (d’ora in poi NA – SAN).
Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;
uditi, nell’udienza del 28 aprile 2021, celebrata in videoconferenza, tramite la piattaforma Microsoft Teams, il difensore della parte ricorrente - sig. Moreno Buso - avv. Stefano Malfatti;, l'avv. Nuri Venturelli, per la resistente FCI, presente presso i locali del CONI; udito, infine, in collegamento da remoto, mediante la medesima piattaforma, il Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Gianpaolo Sonaglia, per la Procura Generale dello Sport c/o il CONI, intervenuta ai sensi dell’art. 59, comma 2, lett. b), e dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI;
udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, avv. Pier Giorgio Maffezzoli.
Ritenuto in fatto
Con ricorso in data 1° settembre 2020, Moreno Buso impugnava, dinanzi al Tribunale Federale FCI, la “Determina” di cui sopra, adottata il 2 luglio 2020, con la quale veniva disposto, con decorrenza immediata, l’annullamento del tesseramento, in precedenza erroneamente concesso, dietro sua richiesta, “per accertata carenza dei requisiti per il rilascio”.
Era accaduto che, dopo essere stato sanzionato dal TNA con una squalifica dal 3 settembre 2014 al 2 settembre 2016, per essere risultato positivo ad un controllo antidoping, a tre anni di distanza dalla scadenza della suddetta squalifica, nel settembre 2019, tramite l’AD Team Lenox (di cui era V. Presidente), in perfetta buona fede il Buso aveva richiesto un nuovo tesseramento, facendo correttamente menzione della squalifica patita, così come previsto dalle norme regolamentari in materia.
Secondo il ricorrente, la “Determina” impugnata risultava adottata in carenza di potere, essendo stata applicata una diversa fattispecie, come prevista dagli artt. 5 R.T.A. e 1-1.3 NA-SAN, in forza delle quali norme, gli Organi federali hanno sì la facoltà di deliberare l’immediato annullamento del tesseramento, ma solo allorquando manchi l’”autocertificazione etica amatoriale” o questa sia falsa: nel caso di specie, invece, ipotesi entrambe da escludersi, atteso che il Buso aveva correttamente dato atto della sussistenza della precedente squalifica nella sua domanda di tesseramento.
Il Tribunale Federale veniva investito dal ricorrente anche in ordine alla presunta illegittimità delle norme contenute negli artt. 5 del R.T.A. e 1-1.3 delle NA-SAN, nella parte in cui non consentono il tesseramento nella Categoria Master ai soggetti sanzionati dalla Giustizia Sportiva e/o Ordinaria con una squalifica superiore a mesi sei, per motivi di doping.
Il Tribunale Federale - II^ Sezione, in contraddittorio tra le parti, con Comunicato n. 7 del 30 ottobre 2020, rigettava il ricorso, compensando le spese.
Parte ricorrente introduceva, quindi, il gravame endofederale, all’esito del quale la Corte Federale d’Appello confermava la decisione di primo grado, motivando tra l’altro anche in ordine alle censure avanzate dal Buso, a proposito delle illegittimità regolamentari, laddove in quelle poteva riscontrarsi l’equiparazione del c.d. “requisito etico” ad una vera e propria sanzione. Dinanzi a questo Collegio di Garanzia, Moreno Buso ripropone le medesime doglianze già avanzate innanzi alla Corte Federale d’Appello, censurando anche più vizi motivazionali nella decisione adottata da quest’ultima e formulando, di conseguenza, alcuni motivi di gravame. Avverso il ricorso che ci impegna, ha formulato le proprie difese la Federazione Ciclistica Italiana, concludendo per la declaratoria di inammissibilità e/o infondatezza del ricorso medesimo.
Anche la Procura Generale dello Sport, ritualmente intervenuta, ha concluso per il rigetto del ricorso, stante la sua inammissibilità e/o infondatezza.
Considerato in diritto
Preliminarmente, va dato atto che la presente controversia è già pendente tra le parti, esattamente nei termini oggi proposti a questo Collegio, avendo il ricorrente introdotto apposita impugnazione dinanzi al TAR Lazio (R.G. 4368/2020), avverso la precedente pronuncia di questo Collegio: sussiste, pertanto, una situazione di litispendenza che, già di per sé, rende inammissibile il presente ricorso.
Il Buso basa il suo ricorso, tra l’altro, sul concetto di “giudicato esterno”, facendo riferimento ad una pronuncia del TAS, avendo questa affrontato, ma, si badi bene, soltanto “obiter dictum”, la questione della ipotizzabilità della invalidità di norme interne, ma è evidente che non possa ritenersi “Giudicato” quanto deciso in un procedimento fra tutte altre parti, cui il ricorrente è rimasto estraneo e che non abbia stessa causa petendi e stesso petitum (cfr., fra le altre: Cass. Civ. - Sez. III, n. 26704/2018; Cass. Civ. - Sez. VI, Ord. n. 2766/2020 e Cass. Civ. - Sez. V, Ord. 15026/2020): tutto questo anche perché, contrariamente ai sistemi di “Common law”, nel nostro Ordinamento non esiste il principio dello “stare decisis”.
Ciò nonostante, il Collegio di Garanzia dello Sport, preso atto di quanto il Buso sostiene anche in punto di illegittimità delle norme applicate e considerando di essersi sempre fatto carico, ai fini del rispetto dei principi fondanti l’Ordinamento sportivo, di orientare in termini nomofilattici l’applicazione delle norme di giustizia e, altresì, di quelle endofederali, ritiene di dar conto anche dell’infondatezza dei dedotti motivi di ricorso.
Il ricorrente aveva chiesto nel ricorso introduttivo che il Tribunale Federale volesse annullare la “Determina” di “annullamento della tessera n. IDA165369, erroneamente emessa a nome del Sig. Moreno Buso”.
La FCI si costituiva in giudizio, contestando l’ammissibilità dell’avversa domanda, in quanto la delibera in questione non ha una propria autonoma valenza, ma è l’ultimo adempimento amministrativo conseguente alla definitività della decisione n. 7/2019 del Tribunale Federale, che, sanzionando il Buso, ha rimesso gli atti agli Organi competenti della FCI, affinché provvedessero al ritiro “della tessera n. IDA165369 erroneamente emessa”.
Si tratta, pertanto, di un semplice atto di esecuzione di una sentenza, in data 1° agosto 2019, e non più soggetta ad impugnazione: quindi, successiva alla Delibera presidenziale n. 46 del 2 aprile 2019, ratificata con Delibera consiliare in data 19 aprile 2019, oggetto di precedente giudizio tra le parti e, del pari, non più impugnabile: ne consegue, anche qui, l’inammissibilità del ricorso.
Infatti, sembra che il ricorrente abbia cercato di impugnare, in maniera surrettizia, un provvedimento di Giustizia Sportiva non più impugnabile e definitivo, così da far sospettare che l’impugnazione della “Determina” sia un atto strumentale ai fini dell’impugnazione della decisione disciplinare del Tribunale Federale n. 9/2019 o delle Delibere oggetto del procedimento come sopra citato.
A nulla vale che il ricorrente dichiari di voler impugnare e/o annullare “...ogni atto connesso per presupposizione e/o consequenzialità”, con riferimento alle Delibere presidenziale n. 46/2019 e consiliare n. 47/2019, perché allora il ricorso si appalesa una volta di più inammissibile, in quanto proposto oltre il termine di giorni dieci, previsto per l’impugnazione in appello di delibere e/o atti consiliari.
Da tutto quanto sopra consegue anche l’assorbimento degli altri motivi di impugnazione ed in particolare di quelli avanzati in relazione alla motivazione della decisione gravata.
A tal fine, corre l’obbligo di ricordare che non qualsiasi vizio della motivazione è valutabile da parte del Collegio di Garanzia, ma è richiesto, anzi, che:
A) il vizio, ove sussistente, possa condurre alla riforma della decisione impugnata (cfr., Cass. Civ. - Sez. V, n. 21296/2016);
B) si tratti di un vizio atto ad inficiare l’esistenza stessa della motivazione, quale, ad esempio, la c.d. “motivazione apparente”, o il contrasto irrimediabile tra affermazioni inconciliabili, oppure ancora la motivazione contraddittoria ed obiettivamente incomprensibile (cfr., ex plurimis, Cass. Civ., n. 21739/2019);
C) si tratti di un vizio che non si risolva in una semplice critica della motivazione, cioè in una pretesa revisione del “ragionamento decisorio” adottato dal Giudice di merito (cfr., Cass. Civ., n. 896/2020).
Pertanto, nel caso che ci impegna, risulta evidente che l’esatta applicazione dell’art. 18 dello Statuto, così come operata dal Giudice di merito, e qui confermato, nega qualsiasi interesse tutelabile all’istanza di esame di ogni motivazione aggiuntiva addotta da quel Giudice, a conferma dell’esattezza della soluzione assunta in punto di diritto.
In particolare, quanto al secondo ed al terzo motivo, non è dato in effetti comprendere quale rilievo possa avere se, una volta accertata la legittimità del provvedimento presidenziale in virtù dell’art. 18 dello Statuto, la Corte Federale d’Appello si sia indotta a motivare anche in ordine alla natura del requisito etico, attingendo la sua valutazione da precedenti di Giustizia amministrativa.
Ancor di meno, il ricorrente si fa carico di illustrare in che maniera potrebbe incidere sulla decisione adottata dalla giustizia endo-federale una diversa valutazione in ordine alla natura sanzionatoria eventualmente riscontrabile nel requisito etico.
Del tutto analogo è il ragionamento per quanto riguarda il quarto, quinto e sesto motivo di gravame, e per ciò che in tali motivi si deduce anche ai fini di una possibile violazione di legge.
A tal proposito, è del tutto incerto lo scopo di tali censure: cioè, non è chiaro se le stesse tendano a sindacare la legittimità del presupposto normativo del provvedimento impugnato (id est le disposizioni di cui agli artt. 5 R.T.A. e 1-1.3 NA-SAN), dato che, come espressamente sostenuto, si invoca sempre la sola legittimità del provvedimento in sé.
D’altra parte, nell’ipotesi che con dette censure si voglia sindacare la legittimità delle norme suddette (e non del provvedimento impugnato), si pone, anche in questo caso, una preliminare delibazione di ammissibilità.
In realtà, secondo il disposto dell’art. 366 c.p.c., il ricorrente è tenuto ad illustrare i motivi di impugnazione e, dunque, a specificare in che maniera i motivi stessi possano condurre alla riforma della decisione gravata e, cioè, all’invalidazione della normativa interna sottoposta alla valutazione del Collegio di Garanzia dello Sport.
Purtroppo, tutto ciò non si evince con chiarezza dai motivi di ricorso sottoposti al vaglio di questo Collegio (cfr,. Cass. Civ. - Sez. V, n. 11910/2016), soprattutto perché, come già osservato, sotto il profilo prettamente letterale, non ne viene mai richiesta l’invalidazione come conseguenza delle ragioni addotte.
Oltretutto, il motivo sub. 4) consiste nel porre in discussione il potere delle Federazioni Sportive di dare attuazione alle norme anti-doping, attese le esclusioni che il ricorrente ritiene di ravvisare sia nelle convenzioni internazionali che nelle disposizioni nazionali.
Fatto sta che, però, prevedere casi di esclusione dal tesseramento, da parte dell’Ordinamento federale, non ha alcuna incidenza sulle norme che disciplinano, in funzione anti-doping, le condizioni ed i presupposti a cui attenersi nell’esercizio dell’attività sportiva.
Si deve, infatti, ritenere che i requisiti per il tesseramento sono solo una conseguenza che l’Ordinamento interno attribuisce alla violazione della disciplina anti-doping e, dunque, rientrano nell’autonomia tanto del CONI, quanto delle singole Federazioni, quando armonizzate fra di loro. In questo senso, appare del tutto corretto quanto ritenuto dal Giudice Federale, quando afferma che il “requisito etico” è presupposto del tesseramento, estraneo alla materia giurisdizionale demandata agli Organi di Giustizia anti-doping.
Da quanto sopra, discende poi a cascata che non può neanche porsi il problema della
valutazione circa la proporzionalità della “sanzione” che, come abbiamo visto, sanzione non è, e della sua afflittività.
Con riferimento, poi, ai motivi di ricorso sub. 5) e sub. 6), di cui, giova ripeterlo, va pure dichiarata l’inammissibilità, per le molteplici ragioni come sopra esposte, non sembra neanche rilevante disquisire sul fatto se l’esclusione dalla partecipazione a competizioni di categoria amatoriale “Master” comporti o meno la radicale inibizione del soggetto a praticare l’attività sportiva.
Infatti, oltre a risultare espresse (cfr., in particolare, l’art. 5 RTA) le norme che regolano i rapporti con le altre Federazioni (ad es., straniere), ovvero il regime da applicarsi in caso di società non affiliate e, quindi, non precludendo l’esercizio dell’attività sportiva in modo alternativo al tesseramento con FCI, non appare legittimo dubitare che le norme federali possano addirittura prevedere l’esclusione del tesseramento in conseguenza di sanzioni per violazione di normativa anti-doping, integrando tali violazioni un grave conflitto con le finalità stesse dell’Ordinamento sportivo.
Da ultimo, il motivo sub. 7), che ancora una volta propone una questione del tutto irrilevante sulla motivazione della decisione di merito, sembra voler prospettare la sussistenza di una carenza ordinamentale per mancata previsione di un procedimento riabilitativo analogo a quello statale: anche qui, però, senza motivare l’incidenza di tale censura ai fini dell’eventuale disapplicazione degli artt. 5 RTA e 1-1.3 NA-SAN.
Così ragionando, però, si perviene, da parte del ricorrente, a richiedere a questo Collegio di Garanzia di interferire con la potestà normativa che, come più volte affermato, è prerogativa esclusiva degli appositi Organi deliberanti, a maggior ragione laddove si tratti di introdurre disposizioni che attengono a scelte di politica generale.
Detti Organi (del CONI o anche endo-federali) sono liberi di scegliere se dotarsi o meno di alcuni strumenti normativi, piuttosto che di altri, non potendo certo tali opzioni esser sindacate in sede giurisdizionale.
Pertanto, il ricorso proposto dal sig. Buso va respinto anche con riguardo al “motivo” testè analizzato.
PQM
Il Collegio di Garanzia dello Sport Prima Sezione
Respinge il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate in € 2.000,00, oltre accessori di legge, in favore della FCI.
Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 28 aprile 2021.
Il Presidente Il Relatore
F.to Mario Sanino F.to Pier Giorgio Maffezzoli
Depositato in Roma, in data 18 maggio 2021.
Il Segretario
F.to Alvio La Face