F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONE I – 2020/2021 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 058 CFA del 21 Dicembre 2020 (Sant’agnello Promotion-Procura Federale Interregionale) N. 055/2020-2021 REGISTRO RECLAMI N. 058/2020-2021 REGISTRO DECISIONI
N. 055/2020-2021 REGISTRO RECLAMI
N. 058/2020-2021 REGISTRO DECISIONI
LA CORTE FEDERALE D’APPELLO
I SEZIONE
La Corte Federale d’Appello (Prima Sezione), composta da:
Mario Luigi Torsello Presidente
Silvia Coppari Componente
Maurizio Fumo Componente (relatore)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul reclamo numero RG 055/CFA/2020-2021, proposto dalla società ASD Sant’Agnello Promotion in data 23.11.2020
contro
la Procura Federale interregionale della FIGC
per la riforma
della decisione del Tribunale Federale Territoriale, Sez. Disciplinare, presso il Comitato Regionale della Campania, pubblicata con il Comunicato Ufficiale n. 18 del 23.10.2020
Visti il reclamo e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 Dicembre 2020 il dott. Maurizio Fumo e uditi l’avv. Danilo D’Alessio per la società reclamante e l’avv Nicola Monaco per la Procura Federale Interregionale
RITENUTO IN FATTO
1. La Procura federale ha deferito Davide Masturzo, calciatore della ASD S. Agnello Promotion, per violazione dell’art. 4, comma 1, e dell’art. 28 CGS, per avere, nel corso della gara contro la ASD Picciola, tenutasi in Sarno in data 10.2.2020, apostrofato il giocatore Dampha Musa, appartenente alla squadra avversaria, con l’epiteto “negro di merda!”. La S. Agnello è stata deferita a titolo di responsabilità oggettiva.
2. Innanzi al TFT della Campania, il Musa non ha riconosciuto il Masturzo come colui che lo aveva insultato, ma ha ribadito che la frase oltraggiosa era comunque stata pronunziata, nel corso della partita, da un calciatore avversario. Ciò ha determinato il giudice di primo grado a prosciogliere il Masturzo, ma ad applicare l’ammenda di euro 1000 a carico della S. Agnello Promotion, in quanto oggettivamente responsabile della condotta gravemente scorretta tenuta da uno dei suoi tesserati presente in campo.
3. Propone reclamo, con il ministero del suo difensore, la società predetta, con un’unica - ma “cumulativa” - censura, deducendo insussistenza della responsabilità oggettiva, genericità della motivazione, errata valutazione delle risultanze istruttorie, inattendibilità del dichiarante Dampha Musa, nonché violazione del diritto di difesa.
Argomenta come segue.
3.1 Il giudice di primo grado è giunto ad affermare la responsabilità oggettiva della S. Agnello a seguito dell’accertamento di un “fatto nuovo”, emerso solo nella fase dibattimentale ed esplicitato solo con la decisione finale. Invero, non essendo stata addebitata - all’esito del giudizio - la condotta ingiuriosa al Masturzo, ma ad altro calciatore della medesima squadra, è risultata mutata la struttura stessa del fatto in cui si sarebbe concretizzato l’illecito disciplinare; conseguenza di ciò è stata l’impossibilità per la difesa della società di articolare validamente la sua strategia difensiva, tutta evidentemente centrata sul contrasto all’ipotesi di accusa, vale a dire essere stato il Masturzo (e non altri) colui il quale aveva formulato l’insulto a sfondo razzistico.
3.2 Per altro, la stessa esistenza del fatto storico alla base dell’ipotesi di accusa è stata smentita dagli accertamenti compiuti. Invero gli appartenenti alla ASD Picciola hanno reso dichiarazioni palesemente mendaci e comunque contraddittorie [il reclamante riporta interi brani di tali dichiarazioni]. False e calunniose, infatti, devono ritenersi le accuse provenienti dal Musa e dalle altre persone appartenenti alla ASD Picciolo, atteso che viene indicato come autore dell’illecito il giocatore avversario che indossava la maglia n. 11, laddove l’atleta contrassegnato da tale numero, al momento in cui si sarebbero svolti i fatti, certamente non era in campo. Le dichiarazioni degli appartenenti alla società S. Agnello Promotion, viceversa, non sono state nemmeno prese in considerazione dal primo giudicante, così come sono state del tutto ignorate le articolate argomentazioni della difesa della società.
3.4. È ancora da aggiungere che il referto arbitrale non reca traccia alcuna dell’episodio per il quale è stata promossa l’azione disciplinare ed è intervenuta la pronunzia di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il reclamo è infondato e merita di essere respinto.
2. Non è dubbio che, nel corso del giudizio di primo grado, si sia verificato, come il reclamante lamenta, un parziale “mutamento del fatto” oggetto di contestazione. Il TFT ha ritenuto – come anticipato – che l’espressione “negro di merda!” non è stata pronunziata dal Masturzo, ma da un diverso soggetto, compagno di squadra di quest’ultimo, rimasto, per altro, sconosciuto.
Ciò ha indubbiamente comportato la non piena coincidenza tra la contestazione e la decisione, ma non ha alterato, nei suoi elementi fondamentali, il “fatto storico” indicato nell’atto di deferimento: essere stato il Musa pesantemente insultato con espressioni dal chiaro stampo razzistico.
La persona offesa, come si apprende dalla decisione di primo grado, non ha riconosciuto nel Masturzo colui che lo aveva insultato, ma ha ribadito che l’insulto fu comunque pronunziato da un componente della squadra avversaria.
Tali dichiarazioni sono apparse al primo giudicante, evidentemente, come connotate da sincerità, anche perché scevre da evidenti intenti persecutori, tanto che, come si è appena ricordato, il Musa è stato in grado di tenere distinto il fatto dal suo autore, confermando di essere stato offeso, ma negando che l’autore dell’offesa fosse il deferito.
2.1 Al proposito è noto l’insegnamento delle Sezioni unite penali in tema di correlazione tra imputazione e sentenza. Ha infatti ritenuto il giudice di legittimità nella sua più autorevole composizione che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione (cfr. Cass. pen. SS.UU., sentenza n. 35551 del 15.7.2010, dep. 13.10.2010).
Ciò non è certo riscontrabile nel caso in scrutinio, atteso che, come si è premesso, il fatto è rimasto immutato, rimanendo incerto solo il suo autore.
3. L’assunto ovviamente può essere sostenuto solo se si dà credito alla versione del Musa, dei suoi compagni di squadra e dei dirigenti della ASD Picciola.
Ebbene, si è già detto come non vi sia motivo di dubitare della “onestà” dell’atleta della predetta società, che ha dimostrato di non essere mosso da intenti calunniatori.
Va poi anche considerato il comportamento tenuto dal Musa, il quale, a detta di tutte le persone ascoltate dalla Procura federale, scoppiò addirittura in lacrime e piangendo abbandonò il terreno di gioco.
Orbene, per i compagni di squadra del Musa e per i dirigenti della ASD Picciola (oltre che per lo steso Musa), il grave turbamento emotivo del giocatore fu conseguenza dell’offesa ricevuta; per i dirigenti della società S. Agnello, viceversa, esso fu dovuto all’espulsione del Musa, a seguito di una condotta di gioco, ritenuta fallosa dall’arbitro.
4. Nel contrasto delle due versioni, il TFT ha dato credito alla prima.
La medesima conclusione ha raggiunto questa Corte di appello a seguito di una rivisitazione degli atti di causa, della lettura della memoria difensiva redatta dall’avv. D’Alessio e di quanto oralmente argomentato dal rappresentante dell’Accusa e dal predetto Difensore nel corso della odierna riunione.
4.1 Invero gli atti di indagine messi a disposizione della Procura dimostrano come, in realtà, gli atleti appartenenti alla S. Agnello Promotion nei cui confronti si svolsero gli accertamenti dell’inquirente furono due: Davide Masturzo e Salvatore Davide, entrambi raggiunti da significativi indizi in relazione all’addebito per il quale si procede.
L’atto di incolpazione fu poi formalizzato a carico del primo, che, come anticipato, non fu, in seguito, riconosciuto dal Musa come colui il quale lo aveva insultato. In realtà il Musa (dichiarazioni del 28.5.2020) non ha mai indicato nominatim il Masturzo. Né ha fornito elementi tali (oltre alla incerta indicazione del numero della maglia indossata dall’avversario) da consentire di focalizzare solo su costui gli sforzi degli inquirenti. Egli invero ha riferito che, verso la fine del secondo tempo, il calciatore della squadra avversaria che aveva battuto la punizione concessa dall’arbitro a seguito di un suo (del Musa) fallo, lo apostrofò con la frase offensiva e razzistica più volte citata; ha anche aggiunto che l’allenatore della società S. Agnello aveva chiaramente percepito la frase ingiuriosa e, pur sostenendo che si era trattato di “cosa da poco”, aveva comunque chiesto scusa.
4.2 Ebbene, Augusto Ercolano – appunto l’allenatore della predetta società – ascoltato il 3.6.2020, ha effettivamente ammesso di aver chiesto scusa “per quello che non era successo” (così testualmente si legge nel verbale della sua audizione), per poi negare, in chiusura delle sue dichiarazioni (cioè nel medesimo contesto), di aver chiesto scusa. Insomma: in un primo tempo, afferma di avere chiesto scusa, pur non essendovene ragione; in un secondo tempo, re melius perpensa, decide di negare.
4.3 Ma, in realtà, sul punto è smentito proprio da Masturzo. Costui, infatti, ascoltato anch’egli il 3.6.2020, ha, tra l’altro, dichiarato: “ho avuto modo di vedere che il nostro mister Ercolano aveva una interlocuzione, presumibilmente con i dirigenti del Picciola, tra cui ricordo una donna, per una frase razzista pronunciata presumibilmente all’indirizzo del calciatore n. 6 di colore del Picciola […….] Ricordo poi di aver visto il mio compagno di squadra, Salvatore Davide, presumibilmente individuato dagli avversari quale presunto autore delle frasi oltraggiose, essere accompagnato, se non erro, dall’allenatore dei portieri, Fioretti, del S. Agnello, verso il pullman”.
4.4 Rimane pertanto accertato sulla base di tali ultime dichiarazioni: a) che Ercolano parlò con i vertici della squadra avversaria (la donna era evidentemente Maria Adiletta, presidente della ASD Picciola, come si ricava dalle dichiarazioni della stessa), b) che il colloquio ebbe ad oggetto una frase ingiuriosa di stampo razzistico, c) che l’Ercolano sentì la necessità di scusarsi.
4.5 Ebbene, che Ercolano si sia scusato con la Adiletta, lo sostiene anche Antonio Fioretti, un altro appartenente alla compagine dirigenziale della S. Agnello, ma, a suo dire, ciò fece non per l’offesa razzistica, bensì perché il Musa era stato espulso e per questa ragione piangeva. La “spiegazione” è palesemente illogica in quanto non si vede perché l’allenatore del S. Agnello (Ercolano) avrebbe dovuto giustificarsi o, addirittura, chiedere scusa per una condotta tenuta da altri, vale a dire dall’arbitro cui, ovviamente, era addebitabile l’espulsione del Musa.
4.6 A loro volta, tanto la Adiletta, quanto Francesco Liguori, quest’ultimo dirigente ASD Picciola, hanno confermato che l’Ercolano porse le sue scuse e che esse erano attinenti agli insulti ricevuti dal Musa.
5. Non ha dunque errato il TFT nel ritenere che il fatto nella sua obiettività sia rimasto provato, anche se – per evidenti carenze degli accertamenti condotti dalla Procura federale, che non ha condotto approfondimenti sulla condotta di Salvatore Davide – non è stato con certezza individuato colui che ha pronunziato la odiosa frase razzistica.
6. È poi appena il caso di rilevare che le contraddizioni che, secondo la memoria difensiva, sarebbero riscontrabili nelle dichiarazioni degli appartenenti alla ASD Picciolo, sono presenti in misura e con valenza ben maggiore – nelle dichiarazioni degli appartenenti alla squadra avversaria, come appena illustrato.
7. Quanto infine al fatto che il referto arbitrale non rechi traccia “dell’incidente” – circostanza cui il reclamante sembra attribuire particolare valore – basterà ricordare che le Sezioni unite di questa Corte, con la decisione n. 51/2019-2020, hanno chiarito che l’ordinamento sportivo non prevede né un regime di prova legale, né alcuna gerarchia tra le fonti di prova, ma si basa sul principio del libero convincimento del giudicante, il quale deve poi dare, in sede di motivazione, adeguata giustificazione delle sue decisioni.
Pertanto, oltre ai rapporti dell’arbitro, degli assistenti, del quarto ufficiale e ai relativi eventuali supplementi, sono liberamente valutabili tutti gli atti di indagine compiuti dalla Procura federale.
Ne consegue che, per il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro e/o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori, ciò non sta affatto a significare che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde.
Il reclamo, pertanto, deve essere respinto.
PQM
La Corte federale d’appello respinge il reclamo.
Dispone la comunicazione alle parti, presso i difensori, con PEC.