F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2020/2021 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 103/CFA pubblicata il 7 Maggio 2021 (motivazioni) – Procura Federale/Sigg.ri Lotito Claudio – Pulcini Ivo – Rodia Fabio – società S.S. Lazio S.p.A. Reclamo numero RG.134/CFA/2020-2021- PST 0015/CFA/2020-2021 Reclamo numero RG. 140/CFA/2020-2021-PST 0021/CFA/2020-2021 N. 103/CFA/2020-2021 REGISTRO DECISIONI

 

Reclamo numero RG.134/CFA/2020-2021- PST 0015/CFA/2020-2021

Reclamo numero RG. 140/CFA/2020-2021-PST 0021/CFA/2020-2021

N. 103/CFA/2020-2021 REGISTRO DECISIONI

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

SEZIONI UNITE

 

La Corte Federale d’Appello, composta dai sigg.ri:

Mario Luigi Torsello Presidente

Salvatore Mezzacapo Componente

Mauro Mazzoni Componente

Carlo Sica Componente

Maurizio Fumo Componente (relatore)

 

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

 sui reclami n. RG 134/CFA/2020-2021-PST 0015/CFA/2020-2021 proposto dalla Procura Federale in data 12.04.2021 e n. RG 140/CFA/2020-2021-PST 0021/CFA/2020-2021 proposto dalla S.S. Lazio S.p.A. e dai Sigg.ri Lotito Claudio, Pulcini Ivo e Rodia Fabio in data 13-04.2021;

Visti i reclami e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza tenutasi in videoconferenza il 30 aprile 2021 il relatore Pres. Maurizio Fumo e uditi l’avv.to Gian Michele Gentile per la S.S. Lazio S.p.A., Lotito Claudio, Pulcini Ivo e Rodia Fabio e il Cons. Giuseppe Chinè, avv. Giorgio Ricciardi  e il Dott. Luca Scarpa per la Procura Federale,

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione di cui in epigrafe il Tribunale Federale Nazionale, sezione disciplinare: a) ha affermato la responsabilità disciplinare di Rodia Fabio e Pulcini Ivo in relazione a tutti gli addebiti loro ascritti, tranne quello di cui al capo F); b) ha affermato la responsabilità di Lotito Claudio in relazione ai soli capi D) ed E) e la sua “non imputabilità” in relazione allo specifico obbligo di procedere a comunicare tempestivamente all’ASL competente i nominativi dei soggetti risultati positivi al covid19, e di concordare con le predette i provvedimenti consequenziali da adottare (cfr. le condotte sub lettere A), B), C) del deferimento; c) ha affermato la responsabilità della SS Lazio spa in relazione alle condotte accertate in capo al suo presidente ed ai suoi sanitari, 4) ha applicato le seguenti sanzioni: mesi 7 di inibizione per Lotito, mesi 12 di inibizione per Rodia e Pulcini, euro 150.000 di ammenda per la SS Lazio s.p.a.

2. La Difesa di Lotito Claudio, Rodia Fabio, Pulcini Ivo e della SS. Lazio s.p.a., nel suo “corposo” scritto, deduce undici doglianze e precisamente:

2.1. I) Nullità assoluta della sentenza (e comunque invalidità della medesima) in conseguenza della violazione (per quanto riguarda la composizione dell’Organo giudicante) dei principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale in materia di indipendenza; II) nullità assoluta (e comunque invalidità) della sentenza per essere stata resa da un organo i cui componenti risultavano scaduti giusta art. 34, comma 17, Statuto FIGC, nonché illegittimità del CU n. 12/A, nullità assoluta (e comunque invalidità) del deferimento per identiche ragioni; III) nullità della sentenza per mancanza della cd. norma “incriminatrice” in conseguenza della mancata approvazione, ad opera del CONI, del CU FIGC n. 78/A del 2021 e contestuale violazione dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché violazione dell’art. 1 della legge n. 689/81 e violazione del combinato disposto degli artt. 27, comma 2, dello Statuto FIGC e 7, comma 5, lett. l), dello Statuto CONI; IV) mancato recepimento della norma integratrice nella fattispecie sanzionatoria alla data del 28 Ottobre  2020; V) violazione del principio secondo il quale la responsabilità disciplinare è personale e conseguente violazione dei principi in tema di illecito omissivo, nonché illogicità ed incongruenza della motivazione, con conseguente erroneità della condanna di Lotito, Pulcini e Rodia; VI) violazione e falsa applicazione dei protocolli sanitari finalizzati al contenimento dell’emergenza epidemiologica da covid-19 emanati dalla FIGC; VII) violazione e falsa applicazione delle circolari del Ministero della salute nn. 21463/2020 e 32850/2020 e conseguente violazione e falsa applicazione dei corrispondenti protocolli FIGC ed erroneità della sentenza sotto tale profilo; VIII) violazione e falsa applicazione del protocollo di aggiornamento del 30 Ottobre  2010, unitamente a violazione e falsa applicazione dei ridetti protocolli FIGC; IX) ancora violazione e falsa applicazione dei protocolli FIGC; X) violazione del principio dell’affidamento ingenerato dalla condotta della ASL 1 e violazione dell’art. 3, secondo comma, della legge 689/81; XI) violazione dei principi di gradualità e proporzionalità della sanzione.

2.2. In relazione alle prime due censure, il reclamante osserva che la Corte costituzionale, con le sentenze nn. 49 del 1968 e 25 del 1976, ha ritenuto fondate due questioni di legittimità costituzionale, concernenti l’indipendenza del giudice nel caso in cui la sua nomina non abbia carattere stabile e sia invece prevista la possibilità di un reincarico”. “La sola prospettiva del reincarico” - ha precisato in quell’occasione la Corte - “basta ad escludere l’indipendenza”. In sintesi: ne sarebbe dubbia la terzietà. Nel caso di specie, inoltre, la decisione è stata resa dal Tribunale in una composizione tutt’altro che regolare, atteso che i componenti di tale organo giudicante (come, d’altronde quelli della Corte di appello federale e della Procura) rimangono in carica per quattro anni: la relativa nomina, nel presente caso, è scaduta il 31 agosto 2020, e quindi tanto il deferimento, quanto la sentenza impugnata sono stati adottati da “funzionari di fatto”, il cui operato è tollerabile, per la dottrina amministrativistica, solo se i provvedimenti assunti sono in vantaggio, e non in danno, dei terzi. Dunque: tanto il deferimento, quanto la decisione presentano radicale profilo di invalidità. È pur vero che il C.U. 12/2020 ha prorogato in carica giudici e procuratori, ma esso è da considerarsi illegittimo per contrasto con l’art. 34 comma 17 dello statuto federale, che prevede che la proroga possa essere concessa per non più di un anno; né può parlarsi di automatica prorogatio poiché, come ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza 208/1992, essa, ai sensi della legge 444 del 1994, non può superare il termine di 45 giorni.

2.3. In relazione alla terza e alla quarta censura, si sostiene che, poiché in materia di sanzioni disciplinari si applicano tutti i principi del diritto punitivo, deve avere vigore in modo precipuo il principio sancito dall’art. 7 CEDU, in base al quale nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Orbene i fatti per i quali si è proceduto sono del 6.11.2020 e dunque appare inapplicabile quanto disposto con C.U. 78/A del 2021. In sintesi, manca la norma in base alla quale è prevista e punita la condotta addebitata ai reclamanti. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto che il predetto C.U. non abbia modificato il CGS e altrettanto erroneamente ritiene che esso non doveva essere trasmesso al CONI per l’approvazione perché non avrebbe natura di regolamento. È vero il contrario: se il C.U. non avesse natura e contenuto normativi, esso sarebbe un atto inutile; viceversa esso contiene una “disciplina speciale” (e dunque è atto certamente normativo), che disegna una nuova e specifica fattispecie disciplinare. La condotta addebitata ai reclamanti, invero, non era punibile ai sensi del vigente CGS e del NOIF (rispettivamente artt. 4 e 44), altrimenti non si vede per qual motivo avrebbe dovuto essere emanato il predetto C.U. A ciò si deve aggiungere che, come ha specificato il Collegio di Garanzia (sez. 1 in data 3.3.2021), la sanzione deve avere contenuti e contorni precisi e deve conseguire ad una condotta altrettanto precisamente descritta dalla norma disciplinare. Ebbene gran parte della motivazione sulla quale si è fondata la affermazione di responsabilità muove dal presupposto che i test effettuati in vista delle competizioni UEFA (che sono svolti da centri dedicati e che rispondono ad un distinto ed apposito protocollo approvato, appunto, dalla UEFA) avrebbero efficacia diretta nel campionato di Serie A (che, viceversa, è disciplinato da distinto protocollo approvato dalla FIGC). A ben vedere tale assunto risulta escluso proprio dalla semplice lettura dei testi normativi FIGC che si sono succeduti nel tempo. In merito, si argomenta testualmente nel reclamo: “nessuna delle prescrizioni FIGC destinate a regolare l’emergenza covid richiama o traspone nell’ordinamento del campionato il protocollo UEFA: si tratta di una precisa scelta della FIGC, dal momento che, a differenza dei protocolli e delle integrazioni via via emanati in relazione al campionato, quando si è trattato di disciplinare l’attività delle Nazionali, la FIGC non ha mancato di richiamare il protocollo UEFA”; conseguentemente, si sostiene da parte dei reclamanti che il protocollo UEFA e i relativi test non fanno “parte della disciplina speciale che la FIGC ha approntato per il campionato 2020/2021”. Essi invero disciplinano “esclusivamente la distinta attività delle rappresentazioni nazionali. La conseguenza è” - concludono i reclamati – “che, a livello sanzionatorio, l’ipotetica violazione del protocollo UEFA non è punibile in base al C.U. 78/A, che punisce esclusivamente la violazione dei protocolli sanitari emanati dalla FIGC, i quali, a loro volta, non richiamano (salvo il protocollo dedicato alle attività delle Nazionali) il protocollo UEFA” (così, appunto, testualmente). E invero, continua la reclamante Difesa, il primo atto federale in tema di emergenza da pandemia è del 22.5.2020. In esso non si fa riferimento alcuno alla UEFA, ma si recepiscono le indicazioni dei DPCM 26.4.2020 e del 15.5.2020, oltre alle linee guida dell’Ufficio per lo Sport e quelle per lo svolgimento degli allenamenti (DPCM 17.5.2020, oltre alle indicazioni del CTS, della Protezione Civile e le linee guida per la serie A per la ripresa del campionato). Il recepimento del protocollo UEFA avverrà solo il 18.11.2020, ma esso fa riferimento ad altri provvedimenti normativi statali. Peraltro, va rilevato, conclude sul punto l’impugnazione, che le circolari ministeriali, se non sono esplicitamente recepite nell’ordinamento sportivo, vincolano solo la P.A..

2.4. Sicuramente errata, poi, secondo il Difensore, e dunque meritevole di riforma, è quella parte della decisione nella quale, con un percorso tortuoso e contraddittorio, si giunge alla affermazione di responsabilità del Lotito. A livello teorico, gli addebiti mossi al predetto, nella sua qualità di presidente del comitato di gestione della S.S. Lazio s.p.a. (visto che questi non è né il responsabile sanitario di tale società, né il suo M.L.O., né il responsabile della sicurezza) vanno inquadrati nello schema del cd. illecito omissivo: infatti, l’unico rimprovero che (a livello teorico) può essergli mosso, in relazione al proprio ruolo ed alle proprie funzioni, sarebbe quello di non aver compiuto quelle azioni (di gestione e/o di migliore organizzazione e di controllo) che egli avrebbe potuto e dovuto compiere per adempiere ai suoi doveri. La ”condanna” del Lotito invero è stata pronunziata per non avere il presidente disposto l’isolamento dei pretesi contagiati. È invero pacifico che esistesse delega in capo ai responsabili sanitari della società (delega per altro implicita nello stesso testo dell’art. 44 NOIF); conseguentemente la competenza in merito era attribuita solo agli stessi. Compito del presidente era solo quello di accertarsi che fossero state adottate procedure, ai sensi della legge 231 del 2001, in base alle quali gli incarichi, le responsabilità e i controlli erano adeguatamente attribuiti. Ebbene la SS Lazio, nel periodo di tempo in osservazione, dispose l’effettuazione di circa 3.000 tamponi con una spesa complessiva che si è aggirata intorno ai 3 milioni di euro. D’altronde il Tribunale ha ritenuto correttamente di escludere qualsiasi responsabilità del Lotito in ordine agli addebiti di cui ai capi A), B), e C) in considerazione della “specificità” della materia, della competenza tecnica necessaria per le valutazioni del caso. È poi appena il caso di ricordare che le responsabilità (tanto penali, quanto disciplinari) scaturiscono da una precisa norma impositiva di una certa condotta; dunque incriminazioni o incolpazioni non possono essere formulate solo sulla base di opinabili regole di “buon senso”. Il Tribunale sembra non dare peso alcuno alla circostanza consistente nel fatto che la struttura sanitaria pubblica sia rimasta, per lungo tempo, inerte. Nonostante ciò lo staff sanitario della SS. Lazio comunicò per tempo i risultati dei tamponi al Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (SISP). Invero il Pulcini in data 29.10.2020 osservò tale incombenza ma il SISP non si attivò. Inoltre, in ordine alla correttezza dell’operato della compagine sanitaria della società, sono stati prodotti i pareri pro veritate di illustri clinici, pareri dei quali il primo giudicante non ha tenuto conto alcuno.

2.5. La sentenza impugnata è poi certamente errata nella parte in cui ricostruisce l’assetto delle competenze in materia di gestione dei casi di accertata positività al covid (per così dire: “chi fa cosa e quando” in relazione ad un caso di accertata positività). È sufficiente passare in rassegna le prescrizioni via via rese applicabili dalla Federazione al campionato di serie A, per giungere ad un risultato univoco e completamente opposto a quello risultante dalla ricostruzione che il Tribunale compie alle pagine da 8 a 11: tutto il sistema ruota intorno alla competenza esclusiva dell’operatore di sanità pubblica del Dipartimento di Prevenzione territorialmente competente. Ebbene, le prescrizioni fanno riferimento a varie circolari del Ministero della salute; esse stabiliscono che il Dipartimento per la Prevenzione deve fornire indicazioni per l’adozione di misure precauzionali. In merito, tutte le attività spettano al Servizio di igiene e sanità pubblica (SISP). È evidente allora che tanto l’isolamento dei soggetti positivi, quanto la quarantena non sono certamente di competenza del medico della società sportiva. È poi da aggiungere che nessuna norma federale impone a tali ultimi soggetti l’obbligo di comunicare al SISP i casi di positività. Dunque è da chiedersi quali norme avrebbero violato i reclamanti. A ben vedere, il Tribunale ha affermato la responsabilità degli stessi sulla base di una mera supposizione logica, consistente nel ritenere che, poiché il SISP è tenuto a intervenire, allora è necessario che esso sia avvisato dei sospetti casi di positività. Ma da nessuna norma positiva risulta che tale incombenza spetti alla società sportiva. Aver ritenuto il contrario è una palese violazione del principio del nullum crime sine lege. In sintesi: sulla Lazio non gravava alcun obbligo giuridico di dare avviso alle autorità sanitarie.

2.6. In merito poi alla sussistenza dei presupposti in base ai quali si possa dire accertata la positività di un soggetto, è da rilevare che la normativa in materia di covid non fa mai conseguire l’accertamento alla mera effettuazione di un test (così la circolare 21463/2020, anche perché, a partire dal protocollo del 30 Ottobre  2020, è stata autorizzato l’uso del test antigenico rapido). Non a caso, la stessa circolare sopra richiamata distingue i casi probabili da quelli confermati. Invero i test non sono infallibili e la possibilità di falsi positivi è elevata. Dunque, se pure il calciatore Immobile, in un primo tempo, risultò positivo, i successivi accertamenti dettero esito contrario. Solo per questo allo stesso fu consentito di scendere in campo.

2.7. La sentenza inoltre confonde (per quanto riguarda la relativa operatività nell’ordinamento federale) tra circolari e protocolli, dimenticando, oltretutto, che la circolare non è fonte secondaria dell’ordinamento e che opera nell’ordinamento federale se e quando essa sia stata recepita mediante apposito protocollo. Ebbene, il Tribunale inserisce fra le possibili prescrizioni violate anche casi nei quali la disciplina non era ancora in vigore; infatti la circolare 12.10.2020 è stata recepita nell’ordinamento sportivo solo in data 30.10.2020, ma sta di fatto che Immobile, dal 26 al 30 Ottobre  risultò negativo.

2.8. In relazione alla nona censura, la Difesa osserva che, con riferimento alla gara UEFA Bruges-Lazio, Immobile, una prima volta risultò negativo; successivamente risultò positivo; ripetuto il test mezz’ora dopo, risultò nuovamente negativo. I relativi tamponi furono inviati alla struttura sanitaria della Regione Toscana, che non assunse alcuna iniziativa. È da notare, per altro, che, per iniziativa dello staff medico della Lazio, Immobile fu posto in isolamento, ma poi, riscontrata la negatività, fu convocato per la partita del giorno 1.11.2020. Gli atleti Vavro, Escalante e Anderson anche furono posti in isolamento fiduciario. Dunque è da chiedersi in quale condotta il primo giudicante ha riscontrato le violazioni per le quali ha considerato responsabili i reclamanti. È certamente vero che Immobile non fu più “isolato” dopo il tampone (negativo) del 26.10.2020, ma quale sarebbe, a tal punto, la violazione? In realtà l’iter dovrebbe essere il seguente: il laboratorio, in caso di positività, avverte l’ASL e quest’ultima dispone le iniziative del caso. Non essendo stata attivata tale procedura, l’atleta è stato fatto scendere in campo una volta che il tampone praticatogli è risultato negativo.

2.9. Quanto al principio del legittimo affidamento (censura sub 10), esso è riconosciuto come principio generale dell’ordinamento comunitario e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE. Si tratta di principio applicabile nell’ordinamento italiano in virtù del disposto degli artt. 11 e 117 Cost., quando la condotta della Pubblica amministrazione finisce per creare nel cittadino la convinzione della liceità del suo operato, che, viceversa, è oggettivamente violativo di una norma di legge. Ebbene il dott. Pulcini, dopo aver disposto di sua iniziativa misure precauzionali nei confronti dei casi di sospetta positività, si pose in contatto telefonico con la competente ASL e dunque la investì formalmente in data 29.10.2020, ma l’ASL intervenne con notevole ritardo, vale a dire solo il 7.11.2020.

2.10. Infine, con l’ultima censura, avanzata in via subordinata, ci si duole della sproporzione delle sanzioni applicate ai soggetti fisici e alla SS Lazio, giudicate eccessive se parametrate alla effettiva condotta addebitata ai reclamanti.

3. Con la sua impugnazione, la Procura federale deduce le seguenti quattro censure: a) violazione ed errata applicazione degli artt. 85 CGS FIGC, 44 NOIF, 2 CGS CONI, 111 Cost. e dei principi del contraddittorio e del diritto di difesa nel quadro della logica del giusto processo; illogicità ed erroneità della motivazione; b) Illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà della motivazione in ordine alla “non imputabilità” a Lotito Claudio, presidente del consiglio di gestione della società Lazio s.p.a., delle prime tre condotte del deferimento; c) omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, nonché erronea valutazione delle risultanze di indagine e degli elementi probatori acquisiti; conseguente erronea qualificazione della condotta sub D dell’atto di deferimento; d) erroneità, omissione, illogicità della motivazione per incongruità e inadeguatezza delle sanzioni applicate ai deferiti per disparità di trattamento e mancanza del carattere afflittivo, in concreto, delle sanzioni effettivamente irrogate.

3.1. Sostiene l’impugnante che male ha fatto il Tribunale a ritenere infondata l’eccezione di tardività proposta dall’ Ufficio dell’accusa in relazione alla memoria difensiva depositata il 23.2.2021. E’ pur vero che, all’esito della precedente riunione, il Tribunale operò rinvio preliminare al 26.3.2021; tuttavia non specificò che entro il termine di tre giorni antecedenti alla nuova udienza avrebbero potuto essere versate in atti nuove memorie e dunque non poteva ritenersi che i termini fossero stati “riaperti”. La decisione del primo giudice sulla questione si pone in contrasto con il dettato dell’art. 85 CGS, che indica il termine tassativo per il deposito di ulteriori memorie (appunto non oltre il terzo giorno anteriore alla data della riunione). Non avendo dunque il Tribunale assegnato nuovo termine per il deposito, il rinvio per la mera trattazione non può essere equiparato ad un rinvio “a nuovo ruolo”.

3.2. Con riferimento alla seconda censura, osserva la Procura che, in considerazione del rapporto di immedesimazione tra la società e il suo legale rappresentante, gli obblighi in capo alla prima devono essere intesi come estesi al secondo. Nello specifico, il Lotito era comunque gravato da un preciso obbligo di vigilanza in relazione alla concreta applicazione dei protocolli sanitari. Lo stesso dunque deve essere chiamato a rispondere a titolo di culpa in eligendo. Invero il datore di lavoro è il primo garante della salute dei lavoratori, né il fatto di aver delegato allo staff medico la vigilanza su uno specifico aspetto (ovviamente quello sanitario) della gestione della squadra solleva il presidente dalle sue concorrenti responsabilità. Non è poi credibile che il Lotito fosse all’oscuro dei problemi sanitari di alcuni calciatori della Lazio, dal momento che è rimasto provato che lo stesso aveva avuto contatti – proprio in merito alle problematiche per le quali pende procedimento – con la ASL di Civitavecchia, così come risulta che lo stesso aveva interloquito con personale del laboratorio di analisi Synlab in relazione ai tamponi eseguiti il 26.10.2020 e poi con la d.ssa Lapucci (“in forza” al predetto laboratorio) in relazione alla situazione dell’atleta Strakosha.

3.3. In relazione alla condotta rubricata sub D), si osserva che, per quel che riguarda la seduta di allenamento del 3.11.2020, la programmazione UEFA aveva indicato l’inizio per le ore 10 (dunque non per le 9.30). Come risulta dal filmato versato in atti, tutti i calciatori della Lazio, tranne sette, hanno svolto l’allenamento e, tra costoro, Strakosha, Immobile e Leiva, tutti risultati “positivi” il giorno precedente. Il dott. Rodia ha sostenuto di avere appreso tale notizia tra le ore 10 e le ore 11 e di averla quindi comunicata al solo dott. Pulcini, il quale, a sua volta, ha riferito di essere stato informato dopo le ore 11,30; tuttavia Pulcini non ha mai chiarito a che ora abbia intimato ai tre suddetti atleti di abbandonare la seduta di allenamento. La decisione del Tribunale sul punto, poi, presenta un intrinseco profilo di illogicità perché contrasta insanabilmente con quanto statuito a proposito della incolpazione di cui al capo E), con la quale si è addebitato il fatto che l’Immobile non fosse stato posto in isolamento.

3.4. Quanto al trattamento sanzionatorio, osserva la Procura che esso manca di reale afflittività. Invero le sanzioni devono essere calibrate in ragione della gravità della infrazione. Ebbene, nel caso in esame, elevato è stato il grado di colpa. E tutt’altro che corretto è stato il contegno processuale dei deferiti. Oltretutto, il Lotito, all’epoca, era anche consigliere federale e quindi era certamente consapevole degli obblighi su di lui gravanti in quanto presidente di una società calcistica. Quanto ai sanitari Rodia e Pulcini, essi certamente, a seguito degli incontri con i vertici della FMSI (dott. Nanni), erano più che “istruiti” sulle procedure da seguire e le precauzioni da assumere in presenza di positività da covid-19. Infine, con riferimento alla società, l’ammenda di euro 150.000 deve ritenersi del tutto incongrua.

4. In data 26.4.21 la Procura ha depositato “controdeduzioni” all’atto di reclamo proposto dal Difensore, sostenendo: quanto alla prima e alla seconda censura che esse sono inammissibili in quanto dedotte solo in appello, con conseguente violazione del principio del doppio grado di giudizio. La seconda censura è anche manifestamente infondata in quanto la decisione di prorogare gli organi di giustizia fu assunta con C.U.12/A, mai impugnato dal reclamante. Parimenti inammissibile sarebbe la terza censura, relativa al C.U. 78/A in quanto non fu a suo tempo impugnato (né lo è stato successivamente) il presupposto logico e cronologico, vale a dire il C.U. 210/A. La quarta censura è infondata in quanto, quale che sia il rilievo che si voglia attribuire al protocollo UEFA, le condotte contestate sono di per sé punibili. La quinta censura è infondata, sia sulla base delle acquisizioni della giurisprudenza di legittimità, che affermano che l’obbligo di sorveglianza e la titolarità della posizione di garanzia permangono (anche) in capo al delegante, sia in ragione della circolare ministeriale del 18.6.2020 che pone in capo alle società calcistiche l’onere di comunicazione. Detta circolare richiama il verbale del CTS che accoglie proprio una proposta FIGC, la quale prevede la quarantena per i positivi e la collaborazione del medico sociale con l’autorità sanitaria. Per la medesima ragione è infondata la sesta censura, atteso che la predetta circolare è indirizzata proprio alle società calcistiche. La settima censura non ha fondamento in quanto l’obbligo di segnalazione scatta in presenza di probabile (e non solo di accertata) positività. Infondata è anche l’ottava censura atteso che la circolare 12.10.2020 è iterativa della circolare 18.6.2020; l’unica innovazione consiste nel fatto che il periodo di quarantena viene portato da 14 a 10 giorni. Quanto alla nona censura, essa non ha pregio perché la comunicazione effettuata dalla SS Lazio alla ASL, non solo fu tardiva, ma anche generica, in quanto non soddisfaceva i requisiti normativamente previsti; ciò comporta anche la infondatezza della decima censura (per altro, anche inammissibile perché costituente “domanda nuova”), atteso che nessun affidamento può aver fatto la SS Lazio sulla inerzia delle autorità sanitarie, che non avrebbero potuto prendere (come di fatto non hanno preso) alcuna iniziativa sulla base di una segnalazione callidamente generica e lacunosa. Infondata infine – secondo la Procura – è anche l’undicesima censura in tema di trattamento sanzionatorio.

5. La Difesa dei reclamanti, a sua volta, ha depositato, in data 27.4.2021, due memorie.

5.1. Con la prima memoria, formula osservazioni e difese in relazione alle quattro censure proposte dalla Procura federale. Innanzitutto contesta in radice la possibilità di tale impugnazione in quanto i rappresentanti dell’Ufficio dell’accusa, in quanto destinatari di un irregolare provvedimento di proroga, non sono, allo stato, legittimati ad agire nel procedimento sportivo. Nel merito, poi, si sostiene – conformemente alla decisione adottata sul punto dal Tribunale – la possibilità di deposito di nuovi atti e documenti nella ipotesi di rinvio a udienza fissa prima della apertura del dibattimento. Si contesta poi la tesi della Procura in base alla quale il Lotito, in virtù di un preteso rapporto di immedesimazione, avrebbe dovuto, pur in presenza di una specifica delega rilasciata allo staff sanitario della società, vigilare sulla trasmissione dei dati alla ASL da parte dei laboratori. Né dal fatto che il presidente, episodicamente, abbia avuto contatti con Synlab e con ASL Civitavecchia, si può ritenere che lo stesso sia, di fatto, intervenuto nello sviluppo della vicenda de qua. Quanto all’allenamento del giorno 3.11.2020, non vi è prova alcuna che i calciatori Strakosha, Immobile e Leiva abbiano partecipato all’intera seduta. Né ciò si può dedurre dal fatto che non risulti l’orario in cui gli stessi hanno abbandonato il campo. Inammissibili e comunque infondate sono le considerazioni della Procura in tema di trattamento sanzionatorio.

5.2. Con la seconda memoria, ribadisce le censure già mosse alla motivazione della decisione di primo grado, sostenendo: a) che il C.U. 78/A, che innova e specifica la disciplina sanzionatoria, si deve ritenere, in realtà, inoperante in quanto, ai sensi dell’art. 27, comma 2, statuto FIGC e 7, comma 5, statuto CONI, i corpora normativi entrano in vigore solo dopo l’approvazione del CONI, cosa che non è avvenuta. Né è corretto ritenere che la condotta addebitata ai reclamanti costituisse comunque illecito disciplinare ai sensi dell’art. 44 NOIF; invero esso prescrive l’obbligo di rispettare le leggi, ma le circolari certamente non hanno forza e/o natura di legge; b) che incombe ai laboratori, e non alle singole società, effettuare le comunicazioni al SISP. Per altro, essendo risultati negativi i tamponi dei giorni 26, 30 e 31, non vi era nulla da comunicare. D’altra parte la comunicazione che il dott. Pulcini, pur non essendo a tanto tenuto, operò in data 29.10.2020 non era per nulla “inadeguata”; essa era tale da provocare l’intervento della autorità sanitaria che, viceversa, rimase inerte. Tale inerzia (del SISP), in ogni caso, non è sindacabile dal giudice sportivo; c) erra la Procura nel ritenere che gli addebiti siano molteplici. Invero la (pretesa) mancata comunicazione al SISP costituisce condotta unica, mentre il mancato isolamento di alcuni giocatori sarebbe la conseguenza della omissione di cui sopra. Diversamente opinando, si contesta più volte lo stesso episodio.

5.3. In calce alla predetta memoria, il Difensore dei reclamanti, poi, articola una (ulteriore) replica alle considerazioni avanzate dalla Procura federale. Quanto alla ipotizzata tardività delle dedotte nullità, osserva che, ai sensi dell’art. 158 cpc, la nullità relativa alla irregolare costituzione del giudice è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado. Per quel che riguarda la mancata impugnazione del C.U. 12/A, trattandosi di un atto di portata generale, esso non è ex se impugnabile, ma sono impugnabili i singoli provvedimenti che in esso hanno fondamento. Il C.U. 78/A, poi, non è inapplicabile in quanto illegittimo, ma in quanto non più vigente all’epoca dei fatti, né è esatto sostenere che il C.U. 210/A sia atto presupposto del 78/A. Si è poi concretizzata violazione del diritto di difesa, in quanto la Procura, pur avendo “costruito” la responsabilità del Lotito a titolo di culpa in eligendo, ritiene che egli sia meritevole di sanzione per culpa in vigilando. Infine, nessun rilievo può avere il parere del CTS n. 88 del 12.6.2020, trattandosi di un mero atto endoprocedimentale che non spiega effetti verso l’esterno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Appare opportuno, innanzitutto, sintetizzare, nei limiti utili per la decisione delle impugnazioni proposte, gli addebiti originariamente attribuiti ai ricorrenti Lotito, Rodia e Pulcini.

1.1. Essi, invero, sono stati tratti a giudizio del Tribunale: a) per non aver tempestivamente comunicato alle ASL competenti la positività al covid-19 di alcuni tesserati, riscontrata nelle seguenti date: 27 Ottobre  e 3 Novembre 2020, dal laboratorio Synlab, con sede a Calenzano (a seguito dell’effettuazione dei tamponi cd. “UEFA”, rispettivamente del 26 Ottobre  2020, in vista dell’incontro di Champions League Brugge-Lazio e del 2 Novembre 2020, in vista dell’incontro di Champions League ZenitLazio), b) per non aver comunicato alle ASL locali competenti i nominativi dei “contatti stretti” dei tesserati positivi, e per non aver “concordato” con le ASL locali competenti le modalità dell’isolamento fiduciario dei tesserati del gruppo squadra “positivi” e la quarantena dei tesserati del gruppo squadra “negativi”, ovvero dei cd. “contatti stretti” dei tesserati “positivi” e, pertanto, c) per non aver attivato alcuna misura di prevenzione sanitaria con riferimento ai cd. “contatti stretti” dei tesserati risultati positivi al covid19. Inoltre: d) per non aver tempestivamente comunicato alle ASL locali competenti la positività al covid-19 di tre tesserati (Vavro, Escalante, Djavan Anderson), riscontrata, in data 30 Ottobre  2020, dal laboratorio Futura Diagnostica di Avellino, utilizzato dalla S.S. Lazio spa per i tamponi, in vista dell’incontro di campionato Torino – Lazio del 1 Novembre 2020, e e) per non aver comunicato alle ASL competenti i nominativi dei “contatti stretti” dei tesserati “positivi”, e ancora g) per non aver “concordato” con le ASL locali competenti le modalità dell’isolamento fiduciario dei tesserati del gruppo squadra “positivi” e la quarantena dei tesserati del gruppo squadra “negativi” e, pertanto, h) per non aver attivato alcuna misura di prevenzione sanitaria con riferimento ai cd. “contatti stretti” dei tesserati risultati positivi al covid-19. Ed ancora: i) per aver consentito o, comunque, non aver impedito, ai calciatori Strakosha, Pezzini Leiva e Immobile di svolgere, con il restante gruppo squadra, l’intero allenamento della mattinata del 3 Novembre 2020, sino al termine dello stesso, nonostante che la positività dei citati calciatori ai tamponi cd. “UEFA”, effettuati dal Laboratorio Synlab, fosse nota al “Medical Laison Officer” (MLO) della SS Lazio, dott. Rodia, sin dalle ore 10,34/10,49 del 3 Novembre 2020, in quanto contattato dal “Point of Contact” della Synlab in quella fascia oraria”; ed infine j) per non avere sottoposto all'obbligatorio periodo di isolamento, in caso di asintomaticità, di almeno 10 giorni, a far data dal risultato del tampone del 26 Ottobre  2020, come previsto dalla circolare del Ministero della salute del 12 Ottobre  2020, il calciatore Ciro Immobile, il quale fu utilizzato nell'incontro Torino - Lazio del giorno 1 Novembre 2020, entrando al minuto 56 del secondo tempo e k) per non avere sottoposto al predetto periodo di isolamento, in caso di asintomaticità, il calciatore Djavan Anderson, e, conseguentemente, per averlo inserito nella distinta di gara dell'incontro Lazio-Juventus dell'8 Novembre 2020.

1.2. Quanto alla società Lazio, va precisata che essa è stata chiamata a rispondere a titolo di responsabilità diretta, oggettiva e propria per il comportamento posto in essere dal presidente Lotito, per il comportamento posto in essere dai medici Rodia e Pulcini (rispettivamente medico sociale e responsabile sanitario), e per la complessiva inosservanza dei protocolli sanitari, finalizzati al contenimento dell'emergenza epidemiologica da covid-19, emanati dalla FIGC e validati dalle autorità sanitarie e governative competenti.

2. Tanto premesso, si deve procedere, innanzitutto, all’esame delle censure di natura procedurale proposte dalle parti impugnanti.

2.1. Ebbene va detto, in via preliminare, che le prime due censure - unitariamente considerate - sono inammissibili per due ordini di ragioni.

2.2. Innanzitutto esse, se accolte, condurrebbero a un non superabile cortocircuito logico. Invero, si chiede a un organo giudicante (questa Corte federale), che si ritiene, per espressa dichiarazione del difensore, non più in possesso di legittimazione ad operare, di emettere un provvedimento (inevitabilmente nullo, se non addirittura inesistente) volto ad annullare/riformare altro provvedimento (la decisione di primo grado), ritenuto a sua volta affetto da nullità (ovvero inesistente) perché emesso da un organo giudicante, parimenti privo - si sostiene - di legittimazione a jus dicere. Ciò, da un lato, produrrebbe evidentemente, la paralisi del sistema giustiziale, dall’altro, priverebbe gli interessati di qualsiasi mezzo di impugnazione; ma è evidente che un ordinamento di giustizia non può essere costruito (e nemmeno pensato) perché sia predisposto al suo non funzionamento. Ulteriore ragione (logica) quest’ultima perché debba ritenersi ipotizzabile (ad anzi indispensabile) l’eventualità della proroga degli organi giudicanti in attesa del loro previsto “rinnovamento”.

2.3. In secondo luogo, proponendo tali censure, il difensore - che non le ha proposte in primo grado, riconoscendo, in tal modo, la piena legittimazione del Tribunale federale - appare effettuare un esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere discrezionale di scegliere le più convenienti strategie di difesa, quasi ai limiti dell’abuso del processo (Cass. civ., sez. prima, sent. 10634 del 2010).

2.4. Peraltro, la prima censura è comunque infondata nel merito. Con la stessa – come si è detto – i ricorrenti ritengono che, ai sensi delle sentenze nn. 49 del 1968 e 25 del 1976 della Corte costituzionale, la sola prospettiva del reincarico dei componenti dell’organo giudicante basterebbe ad escludere l’indipendenza dello stesso. Secondo la prospettazione dei reclamanti, poiché il Collegio che ha adottato la decisione impugnata risulta composto da membri (nominati e) in scadenza ed ha deciso la questione mentre pendevano i termini per il reincarico, tale organo non sarebbe indipendente. Dunque: non sarebbe indipendente un giudice per il quale è possibile il reincarico ad opera di chi lo ha nominato.

2.5. Tale argomento, tuttavia, non è condivisibile e, anzi, esso si configura come un vero e proprio paralogismo.

In primo luogo, difatti, tale censura, fa discendere l’invalidità della decisione reclamata dalla circostanza che essa è stata adottata da un giudice (sportivo) ad tempus. Orbene appare evidente che tale impostazione minerebbe alla base, non solo la giustizia sportiva della FIGC, ma quella dell’intero sistema di giustizia dell’ordinamento sportivo.

Difatti, è appena il caso di rammentare che, ai sensi dell’art. 26, comma 3, del CGS, approvato dal Consiglio nazionale del CONI il 9 Novembre 2015 e con decreto della Presidenza Consiglio dei Ministri del 16 Dicembre 2015, “i componenti del Tribunale federale e della Corte federale di appello durano in carica quattro anni e il loro mandato non può essere rinnovato per più di due volte.”

La temporaneità dell’incarico giustiziale è, pertanto, una caratteristica connaturata – e invero mai finora discussa – del giudice sportivo; essa comunque è sancita formalmente dalle disposizioni sopra dette.

2.6. Quanto poi alla deduzione secondo cui la decisione è stata pronunciata in pendenza dei termini per il reincarico, essa è del tutto irrilevante se solo si considera - come accennato - che risponde ad elementari principi di buona amministrazione evitare il blocco della relativa attività a scadenza intervenuta.

È poi del tutto inconferente il richiamo alla sentenza n. 49 del 1968 della Corte costituzionale; con essa infatti si è ritenuto che la nomina governativa (di un collegio giudicante in tema di contenzioso elettorale) non sarebbe stata, di per sé, ragione di illegittimità costituzionale, se “i funzionari” così nominati, avessero acquisito effettiva indipendenza rispetto al Governo e alla P.A.; viceversa, così non fu nel caso allora in esame, in quanto - come osserva la Corte - benché gli interessati fossero stati collocati fuori ruolo, essi continuavano ad essere organicamente inseriti nelle amministrazioni che li avevano “espressi” ed a beneficiare dei miglioramenti o avanzamenti di carriera, ritornando nei ruoli allo scadere del termine previsto (o, addirittura, su richiesta o col proprio consenso, anche prima). Invero, ebbe ad osservare allora la Corte, “solo la definitiva rottura del rapporto di servizio e l'assunzione dello status professionale di giudici renderebbe indipendenti i funzionari nominati dal Governo”.

Al riguardo si osserva, innanzi tutto, che è metodologicamente improprio trasporre toutcourt all’interno dell’ordinamento sportivo principi propri dell’ordinamento generale (fermo restando che il primo non può certo entrare in contrasto col secondo); ne consegue che “eventuali collegamenti con l’ordinamento statale, allorché i due ordinamenti entrino reciprocamente in contatto per intervento del legislatore statale, devono essere disciplinati tenendo conto dell’autonomia di quello sportivo e delle previsioni costituzionali in cui essa trova radice” (cfr. Corte cost. sent. 160 del 2019).

2.7. Orbene, è noto che i componenti dei collegi giudicanti facenti capo alla FIGC, pur essendo nominati dai competenti organi della medesima federazione, non appartengono alla stessa, ma sono giuristi di diversa provenienza e con diversificate esperienze professionali. Essi non hanno alcuna prospettiva di “carriera”, non ricevono compenso economico (cfr. statuto federale art. 34 commi 17 e 18), né possono aspirare – per il solo fatto di aver svolto un ruolo giudicante – ad un successivo inquadramento professionale in ambito federale. Agli stessi poi è fatto “divieto di avere rapporti di qualsiasi natura con le società affiliate o comunque di avere rapporti con tesserati che possano apparire in conflitto di interessi con la loro funzione; tale divieto permane per un anno dopo la cessazione dell’incarico”. I predetti inoltre non devono essere in rapporti di coniugio, di parentela o affinità fino al terzo grado con alcun componente del Consiglio federale. Il loro status, dunque, nulla ha a che fare con quello dei “funzionari” di cui alla ricordata pronunzia della Corte costituzionale. Non vi è pertanto ragione alcuna di dubitare – aprioristicamente – della loro indipendenza e terzietà.

2.8. Quanto alla possibilità di reincarico degli stessi, neanche risulta in termini la sentenza n. 25 del 1976 della Corte costituzionale. Invero la pronuncia in questione era relativa ai componenti cc.dd. laici della Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, componenti designati da un organo politico quale, appunto, la Giunta Regionale. Costoro erano adeguatamente retribuiti ed avevano un obiettivo interesse ad ottenere il reincarico.

Situazione del tutto differente, per quel che si è premesso, è viceversa quella dei componenti degli organi giudicanti della FIGC, che non hanno alcuna ragione e alcuna inclinazione a voler “compiacere” la struttura federale.

2.9. Tutto ciò a tacere del fatto che l’adesione dei singoli e delle società alla predetta Federazione (adesione che – ovviamente – avviene su base volontaria e in conseguenza di una libera decisione), comporta l’accettazione delle norme e delle prassi che ne disciplinano e ne scandiscono la vita e, tra queste, le regole sulla istituzione e il funzionamento dei relativi organi di giustizia. Invero anche su questo piano rileva la differenza tra una giustizia eteronoma, quale è quella penale o quella amministrativa, e una giustizia consensuale, quale, senza dubbio, è quella sportiva (atteso che gli appartenenti al settore - come appena anticipato - spontaneamente accettano di sottoporsi alle sue regole: cfr. CFA, decisione n. 92/2020-2021).

2.10. In terzo luogo sul tema dell’indipendenza del giudice sportivo vale la pena di richiamare quanto efficacemente ritenuto dal Collegio di garanzia dello sport con il parere n. 6/2016 secondo cui, il tema dell’autonomia ed indipendenza degli organi di giustizia, come arricchiti dal paradigma della imparzialità (art. 2, comma 3, Codice Giustizia Sportiva CONI), percorre tutto l’ordito normativo e si ricava dalla preoccupazione di un “legislatore” che non perde occasione di farvi menzione, per un verso, specificando le coordinate che devono ispirare l’azione degli organi di giustizia (art. 3, comma 3 CGS), per l’altro, delineando un articolato sistema di incompatibilità che riguarda giudici e Procura, volto, appunto, ad evitare confusioni di ruoli e pericolosi conflitti di interessi (cfr., art. 3, comma 5; art. 5, comma 1; art. 17, comma 4; art. 26, comma 5; art. 55, comma 2, CGS CONI); per altro, l’imposizione di un duty of disclosure dalla portata piuttosto ampia null’altro esprime che la presa d’atto della possibile esistenza di rapporti che “compromettano l’indipendenza con la Federazione o con i tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti sottoposti alla sua giurisdizione”, siano essi di lavoro o di parentela/affinità (art. 3, comma 3 CGS CONI). Il ricco spettro di incompatibilità si erge, in altri termini, a baluardo dell’indipendenza e imparzialità dei giudici sportivi e mira ad escludere ogni suggestione derivante dal fatto che il giudice – proprio in ragione della propria competenza e professionalità – possa conservare il fondamentale requisito di soggetto super partes ed equidistante dagli interessi contrapposti (cfr. Corte cost. 240/2003).

Secondo il Collegio di garanzia non può trascurarsi che l’esigenza di salvaguardare il corretto operare degli organi di giustizia è assicurata, oltre che dalla verifica del possesso nei “potenziali giudici” di requisiti soggettivi di professionalità e competenza (cfr., per le Federazioni, art. 16, comma 1 CGS, ovvero l’art. 26, comma 2 CGS CONI), dal rispetto di una articolata procedura di selezione in cui regole di trasparenza e di pubblicità si combinano fra loro. Ne esce delineato un modello di governance del settore in cui principi di responsabilità e regole di reclutamento intendono evitare un effetto di “cattura” dei giudici da parte dei “controllati”, attraverso pressioni di potere o altri condizionamenti. L’indipendenza deve, in questo senso, intendersi sia come un valore che come uno status che vuole assicurare l’esercizio di una funzione aliena da qualsivoglia influenza, diretta o indiretta, sì da approdare ad un’azione obiettiva ed imparziale;

Si può dunque concludere – sempre secondo il Collegio di garanzia dello sport - che, riferita alla giustizia sportiva, l’autonomia – non diversamente da quanto accade per l’ordinamento statale – assume il significato di potestà di autodeterminazione relativamente all’esercizio di quell’attività necessaria per dare attuazione al dettato normativo, legandosi allora inscindibilmente alla presenza di un organo, la Commissione di Garanzia, preposto a tutelare “ l’autonomia e l’indipendenza degli organi di giustizia presso la Federazione e della procura Federale” (art. 5, comma 1, CGS). In tale quadro, la previsione di un organo come la Commissione di Garanzia giunge a completare un sistema il quale, nell’assicurare il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, intende creare le condizioni per assicurare l’effettiva indipendenza ed imparzialità degli organi giudicanti. In questo senso, la Commissione si presenta come organo dotato di attribuzioni che sono preordinate all’inveramento del disegno tracciato nel Titolo I, Capo II, del Codice Giustizia Sportiva CONI, attraverso la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici sportivi.

3. Anche la seconda censura - oltre ad essere inammissibile per quanto sopra detto - è palesemente infondata nel merito.

3.1. Con la stessa si ritiene che, essendo scaduta la nomina dei componenti del Tribunale e della Procura, tanto il deferimento, quanto la sentenza impugnata sarebbero stati adottati da “funzionari di fatto” e il C.U. n.12/2020 – con il quale tali cariche sono state prorogate fino al 30 giugno 2021- sarebbe illegittimo per contrasto con l’art. 34, comma 17, dello statuto, secondo cui non è prevista alcuna possibilità di proroga.

3.2. Orbene, il già ricordato comma 17 dell’art. 34 dello statuto federale prevede la durata in carica per quattro anni e nulla dice circa la possibilità di (temporanea) proroga (“Il mandato dei componenti degli Organi della giustizia sportiva … ha durata quadriennale ed è rinnovabile per due volte”).

Quindi il sistema non esclude affatto la possibilità di proroga.

Del resto, un conto è il rinnovo (oltre il secondo mandato) che è statutariamente vietato e un conto è la mera proroga. E’ noto, difatti, che mentre la proroga determina solo il prolungamento del rapporto - che, pertanto, prosegue dopo la scadenza originariamente prevista, mantenendo intatta la propria natura - con il rinnovo, invece, non si ha prolungamento dell'originario rapporto ma creazione di uno nuovo.

Cosa certa è che proprio in virtù della previsione del sopra indicato termine temporale, appare evidente che la nomina dei “nuovi” giudici o il reincarico dei “vecchi”, pur non essendo certa nel quando, è indubbiamente certa nell’an. Non si tratta dunque di una prorogatio sine die (questo, viceversa, è il caso preso in considerazione dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 1992).

3.3. D’altronde, la possibilità/necessità di proroga – nel caso in cui il rinnovo non sia avvenuto per tempo – risponde ad elementari esigenze di funzionalità e dunque, in ultima analisi, di razionalità del sistema. E per tale motivo è invalsa, opportunamente, nella prassi di molte federazioni e dello stesso CONI.

4. Quanto alla pretesa carenza di giurisdizione del Tribunale (e, conseguentemente, di questa Corte) in relazione alle addebitate violazioni dei protocolli UEFA, va subito chiarito un equivoco, anzi, più d’uno.

4.1. Innanzitutto il C.U. 78/A non è affatto del 2021, ma fu emanato il giorno 1.9.2020. Esso, poi, ha un contenuto meramente ricognitivo, anzi quasi di memento della vigente normativa. E invero il Consiglio federale, nella riunione del giorno precedente (31.8.2020), aveva richiamato l’attenzione sulla necessità di osservare scrupolosamente i protocolli sanitari già individuati per la stagione sportiva 2019/2020 con il C.U. 210/A del giorno 8.6.2020, chiarendo che, in caso di violazione, dovevano trovare applicazione a carico delle società le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lett. b), c) e g), del C.G.S. della FIGC. Se poi - si aggiunge nel predetto C.U. - dalla violazione scaturisce la positività al covid-19 di un componente del gruppo squadra, il fatto è punito con la sanzione di cui all’art. 8, comma 1, lett. h), del C.G.S. della FIGC.

Ebbene il C.U cui si fa riferimento (210/A) ha contenuto sostanzialmente coincidente con quello che si è appena illustrato. Dunque, come è evidente, non vi è alcun novum normativo e gli addebiti disciplinari a carico delle persone fisiche devono essere formulati (e sono stati formulati) ai sensi degli artt. 4, comma 1, CGS e 44, comma 1, NOIF, vale a dire per la violazione degli onnicomprensivi principi di lealtà, correttezza e probità “in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva” e per il mancato rispetto dell’obbligo di sottoporre – in maniera tempestiva ed efficace – gli atleti “agli accertamenti sanitari previsti dalle leggi, dai regolamenti”, oltre che dalle altre disposizioni vigenti in ambito sportivo.

Ne consegue che le suddette violazioni rilevando, come si è appena scritto, in ogni rapporto riferibile alla attività sportiva, comportano l’applicazione di sanzioni sia che “le irregolarità” siano emerse in ambito UEFA, sia che siano emerse in ambito campionato nazionale. E dunque il Tribunale e la Corte sono pienamente legittimate a giudicare.

4.2. Le considerazioni appena svolte, per altro, neutralizzano anche le censure difensive (la terza e la quarta), in base alle quali ai deferiti sarebbero state addebitate condotte all’epoca non previste da alcuna prescrizione disciplinare.

Così non è, sia perché – come si è appena premesso – il C.U. 78/A non ha alcuna valenza innovativa (anzi esso non ha contenuto normativo, non potendosi nemmeno qualificare come una norma interpretativa), sia per il generale principio (logico, ancor prima che giuridico), in base al quale, quando da una fattispecie generale che comprende più condotte, ne viene separata una, per essere inquadrata in una nuova e distinta fattispecie, non per questo le condotte tenute prima della “separazione” divengono irrilevanti, dovendo comunque essere represse in applicazione della norma vigente ratione temporis, cioè, per quel che si è detto, da quella di carattere più generale. Così, ad esempio, prima che il legislatore “creasse” il reato di omicidio stradale (art. 589 bis cp), certamente non rimanevano impuniti gli omicidi colposi derivanti dalla disaccorta condotta di guida degli automobilisti.

In sintesi: tra la norma “progenitrice” e la norma derivata esiste una evidente (e ineliminabile) continuità, conseguente, appunto, proprio a tale rapporto di derivazione.

5. Vi è dunque più di un motivo per ritenere infondate (al limite della inammissibilità per manifesta infondatezza) le prime censure formulate dal Difensore dei deferiti.

6. L’impugnante Procura, a sua volta, si duole del fatto che il Tribunale non abbia accolto la eccezione sollevata in ordine alla pretesa tardività del deposito della memoria difensiva in data 23.2.2021. Ebbene, a parte la genericità della censura (atteso che la Procura non chiarisce se e come il contenuto dello scritto in questione abbia influito o possa avere influito sulla decisione dei primi giudici), resta il fatto che è del tutto condivisibile l’affermazione del primo giudicante, il quale, fondandosi sull’orientamento del giudice penale di legittimità, ha equiparato il rinvio preliminare a udienza fissa al rinvio a nuovo ruolo, con la conseguenza della sostanziale riammissione in termini delle parti per quel che riguarda deposito della lista testi e presentazione di memorie e documenti. Si tratta di un orientamento che, se pure non univoco, è certamente maggioritario (da ultimo vedasi Cass. pen. Sez. 6, sent. n. 26048 del 2016, ric. Gandini che, a condizione che la posizione dell'imputato non sia stata trattata alla prima udienza, considera il rinvio a udienza fissa prima dell’apertura del dibattimento condizione necessaria e sufficiente per rimettere in termini le parti in relazione alle incombenze che, appunto, tale apertura precedono).

Per altro, la natura semplificata e informale del procedimento sportivo rende naturale (e dunque obbligato) tale orientamento.

7. Tanto esplicitato, in via preliminare, per quel che riguarda le censure di natura  procedimentale, appare utile, innanzitutto, chiarire che sui medici, dottori Rodia e Pulcini, incombeva – proprio in quanto esercenti una professione sanitaria, ancor prima che come componenti dello staff sanitario della SS Lazio spa – l’obbligo di immediata segnalazione alla competente autorità dei casi di sospetto contagio da covid 19.

Invero, tanto la legislazione statale, quanto il codice deontologico dell’ordine dei medici e degli odontoiatri impone tale condotta. E infatti: l’art. 257 del testo unico delle leggi sanitarie (T.U.LL.SS., ovvero il R.D 27.7.1934 n. 1265) prevede che qualsiasi medico chirurgo, legalmente abilitato all'esercizio della professione, è tenuto a prestare la sua opera per prevenire o combattere la diffusione di malattie infettive; il seguente art. 260 (aggiornato con il D.L. 25.3.2020 n. 19, emanato quindi, ormai, in piena epoca “pandemica”) stabilisce in maniera chiara e inequivocabile che chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo è punito con l’arresto da 3 a 18 mesi e con l'ammenda da euro 500 a 5.000. Come se non bastasse, va tenuto in conto anche l’art. 650 cp, nota “norma penale in bianco”, per il quale chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragione di igiene (oltre che di giustizia, di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico) è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi e con l'ammenda, fino a euro 206.

7.1. A sua volta l’art. 8 del codice deontologico prescrive che il medico, in caso di epidemia, deve “mettersi a disposizione” dell'autorità competente. Naturalmente, poiché, come si suol dire, il più contiene il meno, certamente sussiste in capo ai sanitari l’obbligo (anche deontologico) di segnalare i casi di sospetto contagio, quale che sia il ruolo, la funzione o lo status che li riguarda.

7.2. Non è dunque in base a considerazioni di grossolano buonsenso, come sostiene la Difesa dei deferiti, che il primo giudicante ha affermato l’esistenza di tale obbligo in capo a Rodia e Pulcini, ma in base alla complessiva logica del sistema e, come si è appena visto, anche sulla base di specifiche disposizioni di legge, oltre che di norme deontologiche, cui è da aggiungere anche il dettato dell’art. 3, in base al quale rientra tra i doveri del medico la tutela della vita, della salute - fisica e psichica - dell'uomo, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali il sanitario si trovi ad operare. Dunque l’obbligo di segnalazione, incombente su qualsiasi sanitario, riguarda certamente anche i medici delle società calcistiche, anzi, poiché in base all’art. 4 del CGS, l’appartenente al mondo sportivo deve indubbiamente conformarsi al modello del bonus civis (lealtà, correttezza, probità), non può esser dubbio che il suo dovere di collaborazione con le autorità sanitarie, sia, per così dire, rafforzato.

Invero l’autonomia del diritto sportivo non può certo significare separatezza e, meno che mai, esenzione dai doveri che incombono sui cittadini “comuni”.

7.3. In base alle considerazioni appena formulate, appare di tutta evidenza che il primo giudicante non ha affatto violato il principio della natura personale della responsabilità disciplinare (quinta censura). L’omessa segnalazione da parte dei medici Rodia e Pulcini (e, per quel che si dirà, anche da parte del presidente Lotito) è certamente condotta loro direttamente addebitabile, secondo lo schema penalistico del reato omissivo proprio. Vale a dire: l’illecito consiste nell’omissione in quanto tale e non nelle sue eventuali conseguenze.

8. Anche sulla scorta di quanto appena premesso, non può che condividersi l’assunto del primo giudice che ha ritenuto “destituita di fondamento” l’affermazione della Difesa in base alla quale la Lazio non aveva obbligo alcuno, né di dare avviso alle autorità competenti, né di attivarsi medio tempore per porre in atto quei protocolli di gestione sanitaria che la Federazione aveva approntato.

E va da sé che sia l’omissione, sia il ritardo dell’avviso alla autorità sanitaria da parte di altri soggetti (in ipotesi: i laboratori), quanto l’eventuale ritardo o inerzia di quest’ultima nell’assumere le necessarie misure non facultano affatto la società sportiva ad agire come se nulla fosse accaduto. Se è pur vero che i laboratori (Synlab e Futura) non hanno, per così dire, “fatto la loro parte”, ciò non autorizzava certamente la SS Lazio (e, per essa, il suo staff sanitario) a non prendere (e mantenere) le necessarie misure precauzionali ed addirittura a non sollecitare l’intervento della autorità pubblica.

8.1. D’altronde la giurisprudenza civile di legittimità ha avuto modo di chiarire che, nell'esercizio di attività sportiva a livello professionistico, le società sono tenute a tutelare la salute degli atleti, non solo attraverso la cura degli infortuni e delle malattie, ma anche attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psico-fisica, potendo essere chiamate a rispondere in base all'art. 2049 cc dell'operato dei propri medici sportivi e del personale (cfr. Cass. civ. sez. 3, sent. 15394/2011).

Ed anzi, proprio nei confronti dei medici “in forza” ad una società calcistica, la Suprema corte ha affermato che gli stessi, ai fini della configurabilità di una eventuale responsabilità professionale e in ragione della loro peculiare specializzazione, sono destinatari di un valutazione di responsabilità improntata a maggiore rigore rispetto a quella del medico generico. Conseguentemente il monitoraggio sulle condizioni di salute degli atleti deve avere carattere di continuità, anche in sede di allenamenti (Cass. sez. Lavoro, sent. 85/2003).

8.2. Tali considerazioni tolgono qualsiasi rilevanza alle censure difensive nn. 6, 7, 8, 9 (con le quali ci si duole della violazione sia dei protocolli FIGC e UEFA, sia delle circolari ministeriali relative ai laboratori privati) in quanto è certamente assorbente il rilievo (chiaramente deducibile dalle indicazioni della Suprema corte) in base al quale è lo status di medico che rende doverosa la condotta cui Rodia e Pulcini si sono sottratti, con “l’aggravante” (lo si è appena visto) che essi per di più sono medici sportivi o, comunque, operanti nell’universo sportivo e che ad essi è affidata la salute di atleti e, in genere, dell’intero staff societario.

8.3. Peraltro, tali generali (ma non per questo meno vincolanti) incombenze gravanti sui “sanitari sociali” hanno ricevuto ulteriore conferma nell’attuale periodo di diffusione pandemica. Invero, come ha correttamente osservato il Tribunale, “il Comitato Tecnico Scientifico, nel verbale n. 88 del 12 giugno 2020, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, attenzionato al riguardo proprio dalla stessa FIGC, ha posto l’accento sulla necessità che venisse rispettato[l’obbligo NdR], nell’adempimento delle prescrizioni imposte dal protocollo, di procedere all’immediato isolamento in quarantena del soggetto risultato contagiato e provvedere all’immediata segnalazione all’Autorità sanitaria competente”.

E non vale sostenere – come fa la Difesa – che quello del CTS è un mero parere, privo di rilevanza esterna e quindi di natura non vincolante, perché esso è semplicemente esplicativo (o, se si vuole, rafforzativo) di norme, di legge e deontologiche (quelle sopra elencate) che, di per sé, radicavano un obbligo di facere in capo a (tutti) i medici. D’altronde che tale incombenza gravasse sulla società è provato per facta concludentia dalla comunicazione (per quanto reticente) operata dal Pulcini il 29.10.2020, comunicazione nella quale il sanitario “dimenticò” (come si legge nella decisione di primo grado e come non ha smentito il reclamante Difensore) di indicare i nomi dei positivi, operando per altro “una non legittima differenziazione fra tamponi UEFA e tamponi eseguiti secondo il protocollo FIGC”, quasi che esistesse un diverso grado di pericolosità a seconda del “circuito” in cui gli atleti erano chiamati a fornire le loro prestazioni.

9. Naturalmente il comportamento dei sanitari della Lazio va considerato nella sua globalità e, se, da un lato, non si può che criticare la lacunosità e, appunto, la reticenza della comunicazione del Pulcini, dall’altro, si devono prendere in esame le condotte omissive che l’hanno accompagnata.

Tra queste merita certamente rilievo quella che riguarda l’atleta Immobile, caso definito giustamente paradossale dal primo giudice, in quanto nell’alternanza di tamponi con esiti opposti, si decise, a un certo punto, di ignorare i tamponi (risultati) “positivi” e di ammetterlo agli allenamenti e, quindi, a farlo scendere in campo per gareggiare.

Se un così disinvolto comportamento sia stato frutto di mera superficialità, ovvero sia stato posto in essere nella piena consapevolezza di violare precise prescrizioni prudenziali imposte dalle autorità sanitarie e (necessariamente) accolte in sede federale, non è stato chiarito.

Cosa certa è che proprio chi rivestiva una indiscutibile posizione di garanzia ha consentito, quando non ha addirittura disposto, la suddetta violazione.

Certo non potevano sorgere equivoci sulla portata (e sulla vincolatività) delle prescrizioni riguardanti anche gli asintomatici, tenuti a subire un periodo di isolamento. Infatti, solo allo spirare di tale termine e dopo la negatività dell’accertamento finale, essi potevano (e possono) tornare in comunità. Si tratta di condotte la cui doverosità è stata ampiamente diffusa dai media, ma che i sanitari, prima di chiunque altro, non potevano certamente ignorare.

A fronte di tali considerazioni, non si vede davvero come due professionisti di lunga esperienza (come comprovato dai curricula diligentemente prodotti dalla Difesa) possano invocare il principio dell’affidamento (censura 10) sulla base della dedotta, temporanea inerzia della autorità sanitaria.

10. Per quel che riguarda il presidente Lotito, va innanzitutto affrontato il problema della validità (e dell’esistenza) della delega.

Posto che la struttura di una società quale la SS Lazio s.p.a. deve certamente qualificarsi “aziendale”, non può che farsi riferimento alla giurisprudenza penale di legittimità in tema di tutela della salute dei lavoratori (o, comunque, dei dipendenti della società).

E se una più lontana giurisprudenza (Cass. pen. sez. quarta, sent. 12800 del 2007) ha ritenuto che, pur non richiedendosi la forma scritta per la delega, sia comunque necessario che essa possa essere fatta risalire a un “atto certo ed in equivoco” che (appunto, anche se non scritto), deve poter essere provato in modo rigoroso quanto al contenuto e alla forma espressa, più recenti pronunzie (es. Cass. pen. sez. terza, sent. 6872 del 2011) hanno categoricamente affermato che la delega di funzioni esonera il titolare dalle sue responsabilità connesse alla correlata posizione di garanzia se è conferita per iscritto al delegato, essendo inidoneo il conferimento in forma orale.

Ebbene, dandosi per certo (per stessa ammissione dei reclamanti) che delega scritta non vi fu (essendosi limitato il Difensore alla astratta - e ormai erronea - considerazione in base alla quale detta delega può anche essere conferita oralmente), resta il fatto che neanche di tale delega “verbale” è stata fornita prova.

10.1. È pur vero che, nel corso della discussione innanzi a questa Corte, il Difensore ha sostenuto che la delega (dal presidente ai medici sociali) è, per così dire, normativamente prevista dall’art 44 NOIF che, come è noto, prescrive, al comma 2, che ”ogni società ha l'obbligo di tesserare un medico sociale responsabile sanitario, specialista in medicina dello sport […….]. Tale sanitario assume la responsabilità della tutela della salute dei professionisti di cui al comma 1, ed assicura l'assolvimento degli adempimenti sanitari previsti dalle leggi, dai regolamenti e dalla normativa federale”; tuttavia, da un lato, come si è già premesso, l’ordinamento sportivo deve essere interpretato in modo che non contrasti con quello statuale, dall’altro, non si deve dimenticare che il primo comma del medesimo articolo prevede che le società devono provvedere a sottoporre i calciatori, gli allenatori, i direttori tecnici ed i preparatori atletici professionisti agli accertamenti sanitari previsti dalle leggi, dai regolamenti e dalle presenti disposizioni.

Al proposito si deve osservare che, da un lato, si fa riferimento alle “società” e dunque necessariamente al vertice aziendale, dall’altro che si fa riferimento agli adempimenti previsti, non solo alle disposizioni interne, ma – come si legge testualmente – alle leggi (scil. statali e regionali).

La indicazione, per quanto superflua (tutti devono osservare le leggi), richiama l’attenzione sul fatto che l’osservanza delle norme endofederali deve connotarsi in modo tale da non contrastare con norme di legge ed – evidentemente – con l’interpretazione delle stesse che dà luogo al c.d. “diritto vivente”.

Il discorso quindi ritorna da dove aveva preso le mosse: a) l’eventuale delega deve essere conferita in forma scritta, b) il vertice aziendale, anche se ha delegato determinate funzioni, non per questo si è spogliato del potere/dovere di controllo, verifica e intervento. In sintesi: a prescindere da tale - per altro assorbente - problema di prova, deve comunque tenersi presente che, all'interno di una struttura aziendale, il mero rilascio di una delega di funzioni non è certo sufficiente per escludere la responsabilità del delegante, in mancanza di elementi che depongano per il positivo esercizio dei poteri conferiti ai delegati.

Ebbene, nel caso in esame, resta il fatto che il presidente Lotito (anche per la precedente condanna “patteggiata” della quale subito si dirà) fu certamente consapevole della allarmante situazione verificatasi tra gli atleti della società nella quale egli rivestiva la carica di vertice.

Invero, come giustamente rileva l’impugnante Procura, ciò è ampiamente provato dai contatti avuti con il laboratorio di Calenzano e con la ASL di Civitavecchia. Di talché egli certamente non ha potuto non rendersi conto della condotta omissiva tenuta dai dottori Pulcini e Rodia (recidivi anch’essi). E dunque, anche a voler ritenere provato (cosa che non è) che tale delega sia stata conferita e sia stata conferita validamente (cosa di cui esiste prova contraria, per stessa ammissione del Difensore), è evidente che il delegante, in presenza della inerzia dei delegati, avrebbe dovuto imporre agli stessi di effettuare le doverose comunicazioni, ovvero provvedere di persona, sostituendosi ad essi.

È inevitabile allora ritenere che, alla originaria culpa in eligendo si aggiunse una successiva culpa in vigilando e, infine, una responsabilità diretta in ragione della perdurante omissione.

E invero, come ha specificamente chiarito la giurisprudenza di legittimità tanto civile (es. Cass. sez. prima civile, sent. 18236 del 2015), quanto penale (es. Cass. sez. quarta penale, sentenza. 523 del 1997), la delega non esime il delegante dai poteri di controllo e di stimolo dell'attività del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio vale a rendere il delegante stesso corresponsabile del danno eventualmente cagionato.

Del resto, anche applicando principi del diritto amministrativo, gli esiti non sarebbero diversi.

Com’è noto, difatti, nella delega la titolarità della funzione delegata rimane in capo al delegante, mentre al delegato viene trasferito solo il potere di esercitare la funzione; con la conseguenza che il delegante, essendo la fonte del potere del delegato e mantenendo comunque la titolarità della funzione delegata, acquista penetranti poteri di controllo e verifica sul delegato e sulle modalità di esercizio della delega e, soprattutto, mantiene il potere di revocare la delega in ogni momento.

11. Né può dirsi che tale configurazione del profilo della responsabilità ascrivibile al presidente Lotito sia violativa del principio di corrispondenza tra contestazione e decisione, atteso che, come ha chiarito consolidata giurisprudenza penale di legittimità (per tutte, vedasi Cass. pen., SS.UU., sent. 36551 del 2010), tale divario rileva solo nel caso in cui si traduca in una lesione in concreto del diritto di difesa e tale lesione si verifica solo se il fatto in contestazione subisca una modifica tale da configurare incertezza sull'oggetto dell'addebito, da cui scaturisca - appunto - un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e decisione perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'incolpato, attraverso l'iter del procedimento, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi.

Orbene, nel caso in scrutinio, non è dubbio che il nucleo essenziale della contestazione mossa al Lotito sia consistito nell’addebito di non essersi attivato allo scopo di fornire, o perché altri fornissero, notizia della positività di alcuni atleti e per aver permesso, oltretutto, con tale condotta omissiva, che i predetti calciatori prendessero parte a gare ed allenamenti. Che poi si addebitino tali omissioni in ragione di una inadeguata scelta dei sanitari o di un’inesistente attività di verifica del loro operato, ciò non toglie che il Lotito sia stato messo nella piena condizione di difendersi (come, di fatti, si è difeso con estese ed articolate argomentazioni nel merito e in diritto).

12. In base a quanto si è appena premesso, appare illogica e non consequenziale la distinzione operata dal primo giudice in relazione alla condotta del Lotito, ritenuto ”non imputabile” (rectius: esente da responsabilità) per quel che riguarda le contestazioni dei primi tre capi e, viceversa, responsabile per le residue condotte.

Come giustamente ha affermato lo stesso Difensore in una delle due memorie depositate il 27 aprile, si tratta di fatti che vanno unitariamente considerati. La mancata vigilanza e il mancato intervento diretto del Lotito (ovvero “sostitutivo”, se si deve dare credito alla affermazione della effettiva esistenza di un irregolare e inefficace provvedimento – orale – di delega) hanno avuto un’evidente incidenza causale in relazione alla realizzazione di tutte le condotte addebitate nella decisione di primo grado (anche) ai sanitari della Lazio.

È pacifico infatti che, se il presidente si fosse tempestivamente attivato, gli illeciti (omissivi e di pura condotta) contestati non si sarebbero verificati. Invero la verifica controfattuale - vera “cartina di tornasole” in tema di responsabilità omissiva – non consente di giungere a conclusioni diverse. Dunque: quanto scrive il giudice di primo grado in relazione alla omessa adozione di misure di quarantena (“la semplice conoscenza – come emerge dai fatti esposti, attesa la innegata ingerenza del Lotito nei fatti in questione – del mero dato storico avrebbe dovuto imporre anche in capo al soggetto dotato di potere di rappresentanza - unitamente ad altri soggetti qui non deferiti, compresi gli stessi calciatori - un comportamento idoneo a vietare categoricamente ai due calciatori positivi di poter rientrare nei ranghi della squadra ed imporre loro l’isolamento previsto, in siffatti casi, per tutti gli individui che si trovino in situazione analoga”) non può che valere anche per quel che attiene alla mancata segnalazione dei casi di positività all’autorità competente.

In altre parole: l’inerzia del Lotito si concretizzò in due (non scindibili) condotte omissive: la mancata segnalazione dei casi di positività e il mancato isolamento dei positivi.

12.1. Peraltro, è il caso di notare che, nel mese di Gennaio  del presente anno, i medesimi tesserati, assistiti dal medesimo difensore, hanno concordato, ai sensi dell’art. 126 CGS, le seguenti sanzioni: euro milleottocentosettantacinque di ammenda il Lotito, euro novecentotrentasetteecinquanta di ammenda Pulcini e Rodia, euro duemilacinquecento di ammenda la società S.S. Lazio s.p.a. (cfr. C.U. 241/AA pubblicato il 21.1.2021). Gli addebiti, anche allora, hanno riguardato la violazione della normativa anticovid. Si è trattato di infrazioni di minore gravità; anche esse tuttavia sono state contestate ai sensi degli artt. 4 CGS e 44 NOIF.

Ebbene, all’epoca, evidentemente, la Difesa del Lotito sembra non aver dubitato che il predetto avesse responsabilità in relazione al mancato controllo sulla attività del suo staff medico.

13. La decisione di primo grado, viceversa, va confermata, nella sua componente assolutoria, per quel che riguarda la contestazione di aver consentito (o comunque, non impedito) a Strakosha, Leiva e Immobile di svolgere, con gli altri componenti della squadra, l’allenamento della mattinata del 3.11.2020, nonostante la positività dei citati calciatori ai tamponi cd. “UEFA” fosse nota al dott. Rodia sin dalle ore 10,34/10,49 di quel giorno.

Invero, in merito, non può essere condiviso l’assunto della impugnante Procura, in base al quale, poiché non è stato provato il momento in cui tale situazione di promiscuità ebbe termine, allora si deve ritenere che essa sia durata per un periodo di tempo incompatibile con il dovere di intervenire prontamente. È fin troppo evidente che la prova della commissione dell’illecito incombe ei qui dicit, non certo ei qui negat. Sul punto è pienamente condivisibile quanto scrive il Tribunale: “il Collegio ritiene che la difesa della Lazio ha fornito elementi idonei – non confutati sul punto dalla Procura Federale - che inducono a ritenere non provata la circostanza contestata, anche in ragione del brevissimo lasso di tempo che può essere intercorso dall’intervenuta ricezione della comunicazione delle positività alla fine del programmato allenamento”.

14. In ragione della sopra esposte argomentazioni, mentre va respinto in toto il reclamo proposto nell’interesse di Lotito, Rodia, Pulcini e della SS Lazio, va accolta, nei limiti sopra indicati (vale a dire con esclusione della condotta appena illustrata al punto che precede e, per quanto subito si dirà, con rigetto della richiesta di aggravamento del trattamento sanzionatorio in danno di Rodia e Pulcini), la impugnazione della Procura. Ne consegue che il trattamento sanzionatorio va riformato in pejus, per il Lotito e per la SS. Lazio, con la precisazione che l’aggravamento deve trovare il suo fondamento, per quel che riguarda il Lotito, nell’ampliamento del perimetro della punibilità, mentre, per quel che riguarda la società, in ragione della scarsa afflittività della sanzione applicata in primo grado.

A ben vedere, le condotte del presidente della SS Lazio e dei sanitari devono essere poste sullo stesso piano, atteso che il dovere di attivarsi incombeva su tutti e tre. Esse sono dunque meritevoli della medesima sanzione.

Sia l’uno che gli altri, con le loro reiterate omissioni, si sono sottratti ai doverosi comportamenti cui erano tenuti, il primo in quanto vertice della struttura aziendale, i secondi in quanto medici (ancor prima che medici sociali).

La mancanza di una delega (o, il che è lo stesso, di una valida delega), come si è premesso, pur essendo una circostanza fortemente sintomatica, rileva, per così dire, solo “in seconda battuta”, in quanto, come si è sopra argomentato, il Lotito era anche personalmente tenuto a vigilare sull’opera dei presunti delegati e, ancor di più, era tenuto ad intervenire una volta venuto a conoscenza della inerzia di costoro.

In fin dei conti i destinatari delle norme dell’ordinamento sportivo hanno un carico di doverosità certamente superiore rispetto a quello che grava sul “comune” cittadino. L’impegno a comportarsi secondo criteri e parametri di lealtà, correttezza e probità (obbligo coessenziale alla funzione educativa dello sport) disegna un identikit personologico non lontano da quello che una volta si sarebbe definito “un perfetto gentiluomo”.

E allora anche sotto questo aspetto, si deve procedere a una riconsiderazione della gravità degli illeciti commessi. In tempo di dilagante pandemia, con un numero di decessi che, solo in Italia, ha superato - ad oggi - le 100.000 unità, con una campagna vaccinale che, all’epoca dei fatti, non era ancora avviata, la condotta del presidente e dei sanitari della SS Lazio presenta, sul piano oggettivo, carattere di inescusabile irresponsabilità.

Sul piano soggettivo, emerge, poi, tanto per quel che si desume dalle modalità stesse della condotta, quanto per il contegno tenuto dai reclamanti nel corso della fase procedimentale (innanzi alla Procura e al Tribunale), da un lato, il tentativo di addebitare (solo) ad altri la responsabilità delle significative omissioni poste in essere, dall’altro, una sorta di inammissibile pretesa di agire in pratica legibus soluti, quasi che la (pur legittima) finalità di assicurare un alto livello di performance atletica alla squadra potesse giustificare l’esposizione a rischio, innanzitutto, degli atleti stessi e, comunque, di tutti coloro che avrebbero potuto entrare in contatto (e, di fatto, entrarono in contatto) con i suddetti.

14.1. Né può essere trascurato il già menzionato C.U. 241/AA, del 21.1.2021, nell’ambito del procedimento 1144 pf 19/20, ignorato tanto dalla Procura federale, quanto dal giudice di primo grado, che avrebbe dovuto esser tenuto presente ai fini della contestazione della recidiva (sussistente anche nel caso in cui il “precedente” sia costituito da un “patteggiamento”, come esplicitamente chiarito da Cass. pen., sez. terza, sent. 7939 del 1998 e, implicitamente, da Cass. pen., sez. terza, sent. 23952 del 2015). Il ricordato C.U. documenta infatti che gli attuali reclamanti - pochi mesi addietro - hanno fatto richiesta di applicazione della sanzione, ai sensi dell’art. 126 CGS, per alcune condotte tenute nei mesi di maggio e di giugno 2020; precisamente Pulcini e Rodia per non aver sottoposto il gruppo squadra al test del tampone con la frequenza prevista dalle disposizioni federali; Lotito per non aver vigilato sul rispetto delle norme in materia di controlli sanitari e della indicazioni per la ripresa degli allenamenti.

Come si vede, si tratta di condotte quasi prodromiche rispetto a quelle, ben più gravi, oggetto del presente procedimento.

Per altro è il caso di ribadire che il presidente Lotito, avendo richiesto il “patteggiamento”, ha implicitamente accettato la costruzione accusatoria, in base alla quale la illiceità della sua condotta è consistita nella omessa vigilanza. Anche in quella occasione, si ripete, gli addebiti sono stati formulati con riferimento agli artt. 4 CGS e 44 NOIF.

14.2. La condotta dei medici Rodia e Pulcini, a parere di questa Corte, ha ricevuto adeguata sanzione disciplinare. Non meno grave, per tutte le ragioni sopra esposte, deve ritenersi la responsabilità del presidente Lotito: egli, per altro già attinto in passato, come si è appena visto, da sanzioni disciplinari, con il suo consapevole non facere, ha reso possibile la realizzazione di fatti rilevanti, con ogni probabilità, non solo sul versante disciplinare.

14.3. Si stima pertanto equo, in considerazione dell’ulteriore addebito che questa Corte ritiene gravare nei confronti del presidente Lotito, anche in considerazione della accertata recidiva specifica, rideterminare la sanzione a suo carico in mesi dodici di inibizione.

14.4. Consegue anche l’aggravamento della sanzione a carico della SS Lazio s.p.a., che si ridetermina in euro duecentomila di multa.

PQM

preliminarmente riuniti i reclami in epigrafe: - accoglie in parte il reclamo numero RG 134/CFA/2020-2021-PST 0015/CFA/2020- 2021 proposto dalla Procura Federale e, per l’effetto, ridetermina in mesi 12 la sanzione dell’inibizione al Sig. Lotito Claudio ed in € 200.000,00, (Euro duecentomila/00) l’ammenda a carico della società S.S. Lazio S.p.A.; conferma nel resto.

- respinge il reclamo numero RG 140/CFA/2020-2021-PST 0021/CFA/2020-2021 proposto dalla S.S. Lazio S.p.A. e dai sigg.ri Lotito Claudio, Pulcini Ivo e Rodia Fabio.

Dispone la comunicazione alle parti, presso i difensori con PEC.

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