T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 8844/2011

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. (…), proposto dal sig. OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. Franco Gaetano Scoca presso il cui studio in Roma, via Paisiello n. 55 è elettivamente domiciliato,

contro

la Federazione Italiana Pallacanestro, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Valori e M.A. Vaccaro e con questi elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Milizie n. 106, nonché il CONI, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Lucio Ghia presso il cui studio in Roma, via delle Quattro Fontane n. 10 è elettivamente domiciliato,

per l'annullamento , previa sospensiva,

della delibera del Presidente Federale FIP n. 83 del 6 dicembre 2010, con la quale sono state approvate modifiche al Regolamento di giustizia della Federazione Italiana Pallacanestro; della delibera della Giunta nazionale del CONI n. 5480 del 16 dicembre 2010 di approvazione della citata delibera presidenziale FIP; nonché di ogni altro atto anteriore e conseguente, connesso e collegato, del procedimento seguito.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Pallacanestro;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del CONI;

Visto l’atto di motivi aggiunti, notificato dal ricorrente il 5 luglio 2011 e depositato il successivo 20 luglio;

Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 9 novembre 2011 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

FATTO

1. Con ricorso notificato in data 1 aprile 2011 e depositato il successivo 13 aprile il sig. OMISSIS ha impugnato la delibera del Presidente Federale FIP n. 83 del 6 dicembre 2010, con la quale sono state approvate modifiche al Regolamento di giustizia della Federazione Italiana Pallacanestro e la delibera della Giunta nazionale del CONI n. 5480 del 16 dicembre 2010 di approvazione della citata delibera presidenziale FIP.

2. Avverso i predetti provvedimenti il ricorrente è insorto deducendo:

a) Violazione e falsa applicazione art. 30 dello Statuto FIP - Violazione e falsa applicazione dei principi che regolano il funzionamento degli organi collegiali - Eccesso di potere - Carenza di motivazione - Sviamento di potere sotto l’aspetto della congruità dei tempi per la regolare approvazione dei provvedimenti impugnati - Violazione e falsa applicazione dei principi generali che governano l’approvazione di Statuti, regolamenti e loro modifiche – Manifesta ingiustizia, irragionevolezza e illogicità.

Il procedimento seguito per l’approvazione dell’impugnato regolamento è viziato. E’ stato deliberato dal Presidente federale il 6 dicembre 2010 ed approvato dalla Giunta nazionale del CONI il successivo 16 dicembre 2010, senza che sia stata motivata l’urgenza che ha indotto il Presidente Federale ad adottarlo e a sottoporlo all’approvazione della Giunta senza la previa ratifica del Consiglio federale.

b) Violazione e falsa applicazione dei principi generali che regolano l’arbitrato irrituale con riferimento agli artt. da 804 a 860 c.p.c. – Eccesso di potere per erronea ed insufficiente valutazione dei presupposti di fatto e di diritto per l’emanazione dei provvedimenti impugnati - Manifesta ingiustizia, irragionevolezza ed illogicità – Violazione del principio costituzionale che vieta l’approvazione di norme retroattive.

L’art. 105, comma 2, lett. c) del regolamento di giustizia, nel testo emendato, introduce illegittime restrizioni all’esercizio della funzione arbitrale.

Con atto di motivi aggiunti, notificato il 5 luglio 2011 e depositato il successivo 20 luglio, il ricorrente contesta la legittimità di altri provvedimenti afferenti al medesimo procedimento di revisione del regolamento di giustizia e depositati nel corso del giudizio dalla resistente Federazione, e ne deduce l’illegittimità, in parte riproponendo censure già dedotte nell’atto introduttivo del giudizio.

4. Si è costituita in giudizio la Federazione Italiana Pallacanestro, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso e dei successivi motivi aggiunti, mentre nel merito ne ha sostenuto l'infondatezza.

5. Si è costituito in giudizio il CONI, che ha sostenuto l’inammissibilità e, in via gradata, l'infondatezza nel merito sia del ricorso che dei motivi aggiunti.

6. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive.

7. Con ordinanza n. 1732 del 12 maggio 2011 è stata accolta l’istanza cautelare di sospensiva.

8. All’udienza del 9 novembre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Visti gli atti di causa il Collegio ritiene di confermare le conclusioni alle quali è già pervenuto in sede cautelare, non ravvisando negli scritti difensivi delle parti in causa, ancorchè ampiamente argomentati, elementi idonei ad indurlo a conclusioni diverse da quelle già assunte.

2. Ciò è a dirsi innanzi tutto per l’eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dalle Amministrazioni resistenti atteso che gli atti alle quali queste fanno riferimento a supporto della loro tesi costituiscono momenti autonomi del procedimento preordinato alla modifica in parte qua del Regolamento di giustizia, procedimento che si è concluso con la delibera di Giunta del CONI 16 dicembre 2010 n. 480, tempestivamente impugnata.

Priva di pregio è anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dai resistenti sotto il profilo della carenza di legittimazione attiva da parte del soggetto che l’ha proposto. La tesi dagli stessi svolta è che detta legittimazione deve ritenersi limitata agli associati alla Federazione in quanto unici destinatari delle prescrizioni dettate nell’impugnato Regolamento di giustizia e, quindi, i soli che potrebbero eventualmente dolersi dei limiti apposti alla libera scelta dell’arbitro, in conseguenza dell’obbligo introdotto di effettuare detta scelta nell’ambito di un elenco predisposto dalla Federazione ed approvato dal CONI.

Osserva il Collegio che il limite che detto Regolamento pone agli associati si riflette, con identici effetti preclusivi, sull’interesse del libero professionista ad essere liberamente scelto dagli stessi. Nel caso in esame il ricorrente è infatti un avvocato del libero foro, da tempo componente di collegi arbitrali su libera designazione della parte interessata, che ha un ovvio interesse a dolersi dei limiti che l’impugnato provvedimento pone all’esercizio dell’attività finora esplicata. Né potrebbe sostenersi che detto interesse sarebbe tutelabile solo se il ricorrente fosse escluso dall’elenco, che allo stato non è stato adottato, atteso che egli contesta l’istituzione dell’elenco nella parte afferente ai limiti (in particolare quelli di cui all’art. 105, commi 2 lett. c), e 3) che all’esercizio dell’attività arbitrale sono posti ai liberi professionisti che in esso chiedono di essere iscritti.

3. Deve essere confermato anche il ravvisato fondamento dell’eccezione di inammissibilità della censura con la quale si contesta, sotto vari profili, la prescrizione regolamentare che esclude la possibilità di ottenere l’iscrizione nell’elenco per coloro che abbiano riportato sanzioni disciplinari o espulsive nell’ambito delle Federazioni sportive. Il ricorrente, che non ha dichiarato di trovarsi in detta situazione, non ha allo stato e a questo riguardo un interesse personale da tutelare né è legittimato a proporsi a tutore di una non definita collettività di aspiranti all’iscrizione.

4. Venendo al merito del ricorso, è priva di pregio la censura volta a contestare l’istituzione dell’elenco (o lista) dei potenziali arbitri. Ed invero, a prescindere dal fatto che l’iscrizione nell’elenco è aperta a tutti coloro che sono in possesso dei requisiti professionali e morali indispensabili per un corretto esercizio della funzione arbitrale e che si tratta di istituto ampiamente diffuso sia all’interno delle Federazioni sportive che all’esterno (si pensi alla camera arbitrale), è assorbente la considerazione che rientra nell’autonomia dell’intimata Federazione disciplinare le modalità di esercizio della funzione arbitrale al suo interno, affinchè agli utenti siano garantite imparzialità, trasparenza, correttezza e indipendenza di giudizio.

Il problema potrebbe porsi ove l’impugnato provvedimento introducesse, senza il supporto di un’adeguata motivazione e in carenza dei necessari presupposti, il numero chiuso ovvero richiedesse per l’iscrizione requisiti specifici in possesso di un limitatissimo numero di aspiranti, in violazione del principio di par condicio e di massima partecipazione, ma non anche quando la Federazione si preoccupa, nell’adempimento di un dovere istituzionale, di regolamentare l’attività arbitrale affinchè risulti funzionale ai compiti che essa è chiamata svolgere, e la sua iniziativa è stata sollecitata e pienamente approvata dal CONI, nella qualità di organo di controllo sull’attività di tutte le Federazioni sportive.

5. Di ancora minor pregio, perchè infondata in fatto, è la censura volta a contestare il modus procedendi seguito dall’intimata Federazione e condiviso dal CONI nel procedere alla revisione del vigente Regolamento di giustizia. Essa risulta, infatti, in palese contrasto con i dati desumibili da documenti ufficiali, tutti pubblicizzati nelle forme prescritte e quindi conoscibili dagli interessati, come meglio si chiarirà in sede di definizione delle censure dedotte nella via dei motivi aggiunti.

6. Una precisazione appare peraltro necessaria, affinchè sia sufficientemente chiaro il quadro generale entro il quale deve trovare corretta collocazione la materia del contendere.

L’impugnato provvedimento e il connesso procedimento non hanno dato vita ad un nuovo Regolamento di giustizia, ma hanno introdotto solo alcuni emendamenti alla normativa regolamentare vigente che, per quanto riguarda l’attuale contenzioso, hanno riguardato in particolare l’impugnato art. 105.

Contrariamente all’assunto del ricorrente, secondo cui il procedimento sarebbe caratterizzato da un’ingiustificata urgenza, il suo inizio risale al lontano aprile 2010, epoca in cui il Consiglio federale adottò le norme che aveva ritenuto di emendare e le rimise al CONI per la dovuta approvazione. Il testo fu portato all’esame dell’Ufficio studi del CONI, che suggerì alla Federazione alcune modifiche da apportare allo stesso, prima che fosse sottoposto all’approvazione della Giunta. All’introduzione dei correttivi richiesti dall’Ufficio studi provvide il Presidente federale con deliberazione dell’ottobre 2010; il 14 ottobre 2010 la Giunta approvò il testo deliberato dal Consiglio federale, contenente i correttivi suggeriti dal suo Ufficio studi. Nel novembre 2010 lo stesso Consiglio federale approvò il provvedimento con il quale il Presidente aveva integrato e modificato il testo originale sulla base dei suddetti correttivi e contestualmente gli conferì “delega” all’adozione degli atti di attuazione delle già approvate regole sull’arbitrato. Sulla base e nel rispetto del mandato ricevuto il Presidente provvide agli adempimenti che gli erano stati affidati dall’organo collegiale e trasmise il testo alla Giunta, che lo approvò con delibera del 16 dicembre 2010.

Tale essendo la situazione in fatto, non contestabile perché risultante dalla documentazione depositata in giudizio e già resa conoscibile perché pubblicizzata con le modalità prescritte, non è condivisibile la tesi del ricorrente secondo cui arbitrariamente il Presidente federale avrebbe sottoposto all’approvazione della Giunta del CONI il suo deliberato prima che lo stesso fosse ratificato dal Consiglio federale. Ed invero, fermo restando quanto già detto innanzi con riguardo ai soggetti legittimati a difendere nelle sedi competenti le prerogative del suddetto Consiglio, è assorbente la considerazione che il Presidente agiva sulla base di una precisa delega rilasciatagli dall’organo collegiale, che gli aveva conferito pieni poteri, e che la cd. ratifica, successivamente intervenuta, era unicamente finalizzata alla verifica che detti poteri fossero stati esercitati nei limiti e nel rispetto del mandato ricevuto e quindi, trattandosi di atto di controllo di legittimità, poteva essere esercitato senza limiti di tempo.

A questo controllo il Consiglio federale provvide con delibera 22 gennaio 2011, n. 287 senza sollevare alcuna obiezione sul modo in cui il Presidente aveva utilizzato il mandato ricevuto.

7. Priva di pregio, in fatto e in diritto, è la censura dedotta dal ricorrente in ordine ai tempi estremamente ridotti entro i quali si sarebbe proceduto alla revisione del regolamento di giustizia, con conseguente inevitabile approssimazione nella disamina delle relative problematiche.

In punto di fatto può osservarsi che un procedimento di revisione limitato a pochi articoli del regolamento e che ha impegnato i diversi organi competenti per dieci mesi non può essere sospettato, anche sotto il profilo del comune buon senso, di frettolosità.

In punto di diritto può invece rilevarsi che i tempi tecnici utilizzati per l’adozione di un provvedimento non sono sindacabili in sede giurisdizionale se non nel caso in cui sia dimostrato che la loro estensione o riduzione sia palesemente ingiustificata in ragione dell’iter procedimentale da seguire, che è situazione non sussistente nel caso in esame, tenuto anche conto dell’impostazione che il ricorrente ha dato alla censura da lui dedotta (inadeguatezza del tempo impiegato per un completo ed attento esame delle problematiche la riforma programmata ingenerava).

8. A diversa conclusione deve invece pervenirsi, come già anticipato nell’ordinanza collegiale n. 1732 del 2 maggio 2011, riguardo alla censura che denuncia l’illegittimità dell’art. 105, comma 2, lett. c), nella parte in cui esclude dall’iscrizione nell’elenco degli arbitri – sia pure per la durata di un anno – coloro che abbiano in corso o abbiano svolto nell’anno precedente l’iscrizione un mandato di assistenza o difesa di un tesserato o di un affiliato in una procedura giudiziale o arbitrale anche dinanzi agli organi istituiti a tale scopo presso il CONI. Si tratta infatti di una limitazione priva di una giustificazione che possa ritenersi condivisibile sul piano del diritto e della logica e che danneggia sia l’associato, al quale è preclusa la libera scelta dell’arbitro nell’ambito della lista per un fatto a lui non imputabile, sia chi, come il ricorrente, esercita la professione forense ed al quale sono imposti limiti “quantitativi” e “temporali” nell’esercizio della relativa attività, che non trovano riscontro nella normativa che regola l’esercizio delle libere professioni.

9. La censura è parimenti fondata nella parte in cui si contesta l’iscrizione alla lista, sia pure nel ridotto arco temporale innanzi indicato, per coloro che intrattengono nell’anno in corso o abbiano intrattenuto, nell’anno precedente l’iscrizione, rapporti negoziali in ambito sportivo con un’affiliata o con tesserati.

In effetti nell’ordinanza collegiale più volte richiamata e a conclusione della sommaria delibazione propria della fase cautelare il Collegio aveva dichiarato di dubitare dell’ammissibilità della censura “per genericità”, ma una più matura riflessione sui fatti di causa e sulla impostazione generale data dal ricorrente alla difesa delle proprie ragioni lo induce a superare detto dubbio e a ritenere la censura non solo ammissibile, ma anche fondata.

La ragione è da rinvenirsi nel fatto che non è dato comprendere, né lo chiariscono adeguatamente gli scritti difensivi dei resistenti, quali sarebbero le ragioni di incompatibilità fra l’attività arbitrale, necessariamente svolta su designazione di un determinato soggetto, e l’attività negoziale espletata in favore di soggetti indeterminati, non coinvolti nel singolo giudizio arbitrale al quale partecipa l’iscritto, ma comportanti l’esclusione solo perché appartenenti a due categorie, le affiliate e i tesserati.

Detta esclusione potrebbe avere giustificazione, peraltro sempre nella sussistenza dei presupposti richiesti perché sia configurabile un’ipotesi d’incompatibilità, ove il rapporto negoziale fosse intervenuto fra l’arbitro e il soggetto cointeressato; diventa arbitraria quando l’impedimento è ravvisato nell’appartenenza dei soggetti destinatari della menzionata attività negoziale ad una determinata categoria.

10. Si può quindi passare all’esame dei motivi aggiunti indirizzati contro atti afferenti al procedimento di revisione del Regolamento di giustizia, che il ricorrente assume di aver conosciuto solo dopo che erano stati depositati (non su sua richiesta, ma) su iniziativa dei resistenti.

Questi ultimi hanno dichiarato e documentato che tutti i singoli provvedimenti esibiti in giudizio erano stati pubblicizzati nelle forme e nei termini prescritti, per cui era stata assicurata la loro conoscibilità da parte degli interessati.

I motivi aggiunti devono pertanto essere dichiarati irricevibili per tardività, essendo irrilevante che non fossero conosciuti dal sig. OMISSIS, ma risultando sufficiente che fosse garantita la loro conoscibilità, non avendo il ricorrente titolo a una comunicazione personale.

11. Osserva peraltro il Collegio che, quand’anche fosse possibile prescindere dalla questione di ricevibilità dei suddetti motivi, si porrebbe una questione di ammissibilità degli stessi. Non è dato infatti evincere come il contenuto degli atti impugnati possa inficiare la legittimità delle delibere gravate con l’atto introduttivo del giudizio. Del resto, ove si ritenesse che l’illegittimità di queste ultime risentono dell’illegittimità delle delibere gravate nella via dei motivi aggiunti, l’atto introduttivo del giudizio sarebbe inammissibile per non essere stati tempestivamente impugnati gli atti presupposti.

12. Il Collegio ritiene invece di non dover accogliere la richiesta, contenuta nella memoria depositata dal CONI il 18 ottobre 2011, di cancellazione di alcune frasi utilizzate nella memoria di parte ricorrente del 7 ottobre 2011.

Ciò in quanto le frasi segnalate dalla ricorrente, se valutate nel contesto generale del discorso svolto dal controinteressato, non assumono un intento volutamente ingiurioso, ma sono solo espressione di una dialettica processuale condotta un poco sopra le righe. E’ noto che la richiesta di cancellazione dagli atti di causa di alcune frasi contenute negli scritti difensivi di una parte può essere accolta solo nel caso in cui si tratti di espressioni e considerazioni che eccedono gli ordinari limiti di un corretto espletamento dell'incarico professionale, presentando accenti e contenuti oggettivamente in grado di evidenziare un atteggiamento ostile, disdicevole ed irriguardoso nei confronti di controparte, in violazione del dovere di correttezza che la legge impone a tutte le parti presenti in giudizio (T.A.R. Lazio, sez. III ter, 25 ottobre 2010 n. 13230; id., sez. II, 16 marzo 2004 n. 2523).

Aggiungasi che in udienza l’avvocato del ricorrente ha formalmente dichiarato che con le frasi in questione non si voleva in alcun modo offendere il CONI, presentando le proprie scuse se il tono usato poteva aver dato adito a diversa conclusione.

13. Segue da quanto esposto che il ricorso principale deve essere accolto nella sola parte indicata sub prgg. 8 e 9 e per l’effetto deve essere annullato l’art. 105, comma 2, lett. c) nella parte in cui, seppure per la durata di un anno, inibisce l’iscrizione nella lista a chi abbia in corso o svolto nell’anno precedente un mandato di assistenza o difesa di un tesserato o affiliato e a chi, nello stesso arco temporale, intrattiene o abbia intrattenuto rapporti negoziali in ambito sportivo con affiliato o tesserati.

Le spese e gli onorari del giudizio sono compensati in ragione della reciproca parziale soccombenza delle parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla l’impugnato art. 107, comma 2, lett. c) nella parte innanzi indicata. Dichiara irricevibili i motivi aggiunti.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Italo Riggio, Presidente

Maria Luisa De Leoni, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

        Il 14/11/2011

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