T.A.R. LAZIO – SENTENZA N. 3264 DEL 2020 Pubblicato il 16/03/2020

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10155 del 2019, proposto da Media Partners & OMISSIS Limited (In Liquidation) e Mp OMISSIS S.r.l. in Liquidazione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Emilio De Giorgi, Luca Amicarelli e Stefania Casini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio (Studio Legale Associato “Allen & Overy”) in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, 284;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Lega Nazionale Professionisti Serie A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Libertini, Alberto Toffoletto, Luca Toffoletti, Giuliano Berruti e Alessandro De Stefano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo “Studio Legale Nctm” in Roma, via delle Quattro Fontane, 161;

e con l'intervento di

Torino F.C. S.p.A. e ACF OMISSIS S.p.A. - ad opponendum - in persona dei legali rappresentanti pro tempore, entrambe rappresentate e difese dagli avvocati Francesco Anglani, Angelo Raffaele Cassano e Giorgio Bitonto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio (“Bonelli – Erede”) in Roma, via Vittoria Colonna, 39; IMG Media Limited e IMG Worldwide LLC, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Andrea Cicala, Francesco Goisis, Riccardo Pennisi, Luca Pescatore e Serena Patuzzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale di Villa Massimo, 57;

per l'annullamento

previa sospensione dell’efficacia del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) 24 aprile 2019, n. 27656, nel procedimento I-814 Diritti Internazionali, notificato in data 31 maggio 2019, recante accertamento di intesa restrittiva della concorrenza e irrogazione della sanzione pecuniaria di Euro 63.997.849,00 nei confronti di Media Partners & OMISSIS Limited e MP OMISSIS S.r.l. in liquidazione, nonché di MP & OMISSIS Holding S.A., e di ogni altro atto preordinato, conseguente e comunque connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e della Lega Nazionale Professionisti Serie A, con la relativa documentazione;

Visti gli atti di intervento “ad opponendum” di Torino F.C. S.p.A., ACF OMISSIS S.p.A., IMG Media Limited e IMG Worldwide LLC, con la relativa documentazione;

Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 5842/2019 del 12 settembre 2019;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 12 febbraio 2020 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con rituale ricorso a questo Tribunale, Media Partners & OMISSIS Limited “in Liquidation” (Media Partners”) e Mp OMISSIS S.r.l. in Liquidazione (“Mp OMISSIS”) chiedevano l’annullamento, previa sospensiva, della determinazione in epigrafe con la quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Agcm” o “Autorità”), a conclusione del relativo procedimento istruttorio svolto in contraddittorio con le parti, aveva ritenuto che Media Partners, MP OMISSIS, MP & OMISSIS Holding S.A., società del “gruppo MP OMISSIS”, B4 Italia/BE4, unitamente alle società B4 Capital SA (“B4 Capital”), IMG Media UK Limited, IMG Worldwide LLC, società del “gruppo IMG” (in avanti “IMG”), avevano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 101 del TFUE, avente per oggetto il coordinamento alla partecipazione alle gare, determinando il contenuto delle offerte economiche nelle procedure indette dalla Lega Professionisti Serie A (“Lega Calcio” o “LPA”), per l’assegnazione dei diritti televisivi per la visione, fuori dall’Italia, delle competizioni calcistiche professionistiche del Campionato di Serie A, della Coppa Italia e della “Supercoppa italiana”, nell’arco temporale dal 2008 al 2018.

In sintesi, il procedimento - inizialmente avviato dopo la trasmissione di documentazione da parte della Procura della Repubblica di Milano, in data 19 luglio 2017, nei confronti di B4 Capital, B4 Italia, MP OMISSIS e IMG – vedeva la presentazione da parte di IMG di una domanda di non imposizione delle sanzioni (cd. “domanda di clemenza” o “leniency”), ai sensi dell’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287.

Dopo una prima notifica alle parti della Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (“CRI”), il 3 ottobre 2018, l’Autorità deliberava che, alla luce delle obiezioni sollevate da tali parti nelle proprie memorie e in sede di audizione finale, fosse necessario chiarire le posizioni di B4 Capital e B4 Italia, anche rispetto ai rapporti con BE4 (non inizialmente parte del procedimento) e ciò, eventualmente, anche al fine di verificare e accertare la sussistenza di elementi per pervenire ad una diversa configurazione della fattispecie contestata.

Il procedimento era quindi esteso nei confronti di BE4 e il termine di chiusura del procedimento prorogato al 30 aprile 2019.

In data 22 febbraio 2019, era quindi notificata alle parti una Nuova Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (“NCRI”), a cui seguiva, in data 24 aprile 2019, il provvedimento impugnato, con il quale l’Agcm accertava la sussistenza della surriferita intesa tra tutte le indicate parti del procedimento e provvedeva a determinare e irrogare le relative sanzioni, infliggendo, per quel che rileva in questa sede, a Media Partners, MP OMISSIS e MP & OMISSIS Holding S.A. la sanzione totale di Euro 63.997.849,00.

Avverso tale provvedimento, le ricorrenti lamentavano, in sintesi, quanto segue.

1. Radicale e ingiustificata modifica della fattispecie contestata con la NCRI: violazione e falsa applicazione del DPR 217/2018; violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa; eccesso di potere per illogicità manifesta”.

Nella NCRI, prima, e nel Provvedimento finale, poi, era stato confermato come B4 Capital e B4 Italia (e la sua controllante BE4) dovevano essere considerate un’unica impresa, per cui gli accertamenti svolti non avrebbero dovuto però incidere sulla configurazione sostanziale della fattispecie, come già contestata nella CRI, non coincidente.

La NCRI aveva invece modificato in modo sostanziale la fattispecie, contestando un’unica intesa avente ad oggetto dieci procedure competitive, anziché due intese diverse aventi ad oggetto rispettivamente tre (la c.d. “Prima Intesa”) e sette procedure competitive (la c.d. “Seconda Intesa”).

Nè era condivisibile l’assunto dell’Agcm per il quale, solo successivamente alla delibera con cui era stato disposto l’approfondimento sui rapporti tra le società del “gruppo B4”, gli Uffici sarebbero entrati in possesso degli accordi di sublicenza stipulati tra le parti del procedimento che avrebbero condotto “ad una diversa lettura del quadro fattuale”, dato che la sussistenza di tali accordi di sublicenza tra le parti era nota all’Autorità già a partire dalla data del 20 febbraio 2018.

Ne conseguiva una grave violazione del diritto di difesa delle ricorrenti, con particolare riguardo alla regolarità del contraddittorio e al principio della “par condicio” procedimentale.

2. Diniego di accesso ai documenti: violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 24 della l. 241/1990, dell’art. 13 del DPR 217/1998 nonché dei diritti di accesso e di difesa e del principio di parità delle armi; eccesso di potere per travisamento dei fatti, irragionevolezza e difetto di motivazione.”

Ricordando che MP OMISSIS aveva proposto distinto ricorso ex art. 116 c.p.a. avverso il diniego di accesso a documenti ritenuti essenziali per l’esercizio di difesa, le ricorrenti evidenziavano che il diniego era stato opposto relativamente, tra l’altro, a larga parte delle dichiarazioni orali confessorie di IMG su cui era basata la sua “domanda di clemenza”, illegittimamente ritenute dall’Agcm non utili all’esercizio di difesa, pur non disponendo l’Autorità del potere di selezionare essa stessa gli elementi in tal senso, aggiungendo le ricorrenti che MP OMISSIS era già stata destinataria di azioni di danno da parte di tre “club” di calcio di Serie A per centinaia di milioni di euro.

3. Insussistenza di un’intesa unica e continuata: violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE e art. 3, L. 241/1990; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, contraddittorietà e difetto di motivazione, eccesso di potere illogicità manifesta.”

“a) Contraddittorietà tra il Provvedimento e la Domanda di Clemenza”.

Le ricorrenti ricordavano che la nozione di “intesa unica e complessa” deve essere interamente basata sulla consapevolezza di ciascuno dei partecipanti dei suoi elementi costitutivi, mentre nel caso di specie IMG stessa, nella propria “domanda di clemenza”, aveva escluso l’esistenza di una intesa, mai dichiarando l’esistenza di un piano comune tra IMG, MPS e il Gruppo B4 avente ad oggetto le dieci gare prese in considerazione e su tale fondamento, quindi, era stato ammesso il beneficio della riduzione della sanzione.

Non vi era stata, quindi, un’interpretazione giuridica rimessa alla discrezionalità dell’Agcm, come invocata da quest’ultima, ma una diversa valutazione di elementi di fatto, non consentita e comunque contraddittoria.

b) Assenza di indizi relativi all’esistenza dell’Intesa”.

In concreto, mancavano indizi dai quali ricavare la sussistenza di un piano comune di natura collusiva nell’ambito del quale le Parti, essendone a conoscenza, intendevano collaborare vicendevolmente per alterare il risultato delle dieci gare né vi erano indizi sulla conoscenza, da parte di MP OMISSIS, degli accordi e dei relativi contatti tra IMG e il Gruppo B4 relativamente alle Gare di “Coppa Italia”.

Su tali carenze, le ricorrenti richiamavano le pagine 34-53 della memoria finale, ritenute ignorate dal provvedimento impugnato.

Le ricorrenti, pertanto, si soffermavano sulle vicende relative alle gare per l’assegnazione dei diritti per la Coppa Italia 2010, la Supercoppa Italiana 2010, la Coppa Italia 2012, la Coppa Italia 2015, evidenziando la carenza di istruttoria e l’erronea e/o omessa valutazione di elementi esogeni ed endogeni considerati (o non) nel provvedimento finale.

Per le ricorrenti, quindi, l’intesa non era mai esistita perchè non vi era alcuna prova della consapevolezza di MP OMISSIS delle interlocuzioni/accordi tra IMG e il Gruppo B4 relativamente alle Gare Coppa Italia e non vi era alcuna prova della partecipazione di MP OMISSIS a qualsivoglia disegno collusivo relativo a tali procedure competitive. L’intera accusa si basava sulla mera sussistenza di accordi di sublicenza che il Gruppo B4, in qualità di concedente, aveva stipulato con MP OMISSIS - così come con altre agenzie rimaste estranee all’istruttoria - e che, come tali, erano perfettamente tanto leciti quanto irrilevanti.

4. Dell’intervenuta prescrizione: violazione e falsa applicazione dell’art. 28, L. 689/81, errore dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria.”

L’integrale modifica della fattispecie operata con la NCRI avevo il solo scopo di aggirare il termine prescrizionale di cinque anni, di cui all’art. 28, l. n. 689/81 applicabile alla fattispecie.

In realtà, l’intesa relativa alle gare di Coppa Italia, i cui partecipanti erano solo IMG e il Gruppo B4, era cessata al più tardi al tempo dell’aggiudicazione della gara Coppa Italia 2012 intervenuta in data 4 luglio 2012, mentre il primo atto interruttivo della prescrizione, il Provvedimento con cui è stata aperta l'istruttoria, risaliva al 17 luglio 2017.

Per quanto riguardava la “Serie A”, per quelle sul 2011 e sul 2014 era palese l’estraneità del Gruppo B4; riguardo all’asserita intesa unica e continuata tra IMG e MP OMISSIS riferita alle ulteriori tre gare Serie A, la fattispecie non era configurabile in quanto non sussisteva la prima condizione richiesta dalla nozione di intesa unica e continuata, quale il “piano generale”, dato che la condotta in esame era infatti costituita da accordi separati, negoziati e sottoscritti ad anni di distanza l’uno dall’altro, privi di alcun vincolo di interdipendenza tra di loro.

Doveva semmai considerarsi che queste costituivano tre separate intese, quindi, in coerenza con la natura dell’asserito illecito, qualificabile come “illecito istantaneo con effetti permanenti”.

L’illecito si era compiuto ed esaurito al momento della stipulazione degli accordi o, al più tardi, al momento della proposizione degli accordi/aggiudicazione della singola gara, secondo le conclusioni della giurisprudenza eurounitaria che erano richiamate.

L’unico tratto comune, pertanto era costituito dal fatto che le tre gare per la Serie A, a cui gli accordi in contestazione erano riferiti, avevano ad oggetto la medesima tipologia di diritti, ma ciò, di per sé, non era sufficiente a configurare un’intesa unica e continuata come contestata.

In definitiva, ne conseguiva che, in riferimento agli accordi e alle condotte attuative relativi alla gara “Serie A 2009” e alla gara “Serie A 2011”, il termine quinquennale di prescrizione era ampiamente decorso nel 2017.

5. Liceità degli accordi relativi alla Gara Serie A 2014.Violazione dell’art. 101 TFUE, errore dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e motivazione, illogicità manifesta”.

Diversamente da quanto asserito nel provvedimento finale, gli accordi tra IMG e MP OMISSIS relativi alla gara “Serie A 2014” non contenevano alcun “meccanismo economico tale da scoraggiare IMG a fare un’offerta superiore a un determinato importo”. In particolare, mancava l’elemento potenzialmente anticoncorrenziale, dato che gli accordi in questione consentivano a ciascuna parte di ottenere un supporto nella commercializzazione dei diritti, ma non alteravano in alcun modo gli incentivi ad offrire, come si evinceva anche esaminandone il relativo contenuto.

In realtà, essi erano accordi di cooperazione aventi un oggetto perfettamente lecito, come la generalità degli “output deal”, di per sé inidonei a produrre alcun effetto restrittivo, trattandosi di meri contratti di “preacquisto”, condizionati all’effettiva futura disponibilità dei diritti in capo al cedente.

La dichiarazione di IMG su cui era basata la contestazione si palesava generica, implausibile e illogica, era contraddetta da una dichiarazione scritta resa dal sig. Riccardo OMISSIS e non era supportata da riscontri documentali, come illustrato in dettaglio dalle ricorrenti.

Mancavano ulteriori riscontri di prova a sostegno della dichiarazione di IMG e vi era stata una carenza di istruttoria, non avendo l’Agcm approfondito sulle controdichiarazione del Sig. OMISSIS ma limitandosi a dare per assodata quella di IMG.

6. Inidoneità degli accordi tra MP OMISSIS e IMG ad alterare la concorrenza: violazione dell’art. 101, TFUE, errore nei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di motivazione”.

L’Autorità non si era affatto soffermata sul funzionamento del settore dell’intermediazione dei diritti sportivi, sul contesto concorrenziale in cui si sono svolte le gare per la Serie A e sulle loro regole, elementi però imprescindibili per verificare se gli accordi tra MPS e IMG fossero in astratto idonei ad alterare la concorrenza.

In sostanza, nel caso di specie risultava che: la quota di mercato di IMG e MP OMISSIS era ben inferiore al 25%; sul mercato vi erano molteplici agenzie che avevano una forza commerciale a loro ben superiore; le regole delle gare permettevano di presentare offerte in “joint venture”, e tali aggregazioni, affatto comuni nel settore, avrebbero ulteriormente potuto aumentare la forza commerciale dei partecipanti; ai sensi delle regole di gara (offerta in busta chiusa senza fase di prequalifica), l’unica strategia possibile per i partecipanti era presentare l’offerta più elevata possibile non avendo la possibilità di prevedere, né di identificare in anticipo quante e quali altre agenzie avrebbero partecipato.

Che su dieci gare, in quattro le parti coinvolte erano state le uniche partecipanti non provava nulla, dato che le regole di gara prevedevano offerte in busta chiusa che non consentivano di avere alcuna certezza sul numero e/o identità dei partecipanti.

Inoltre, al tempo della gara per la Serie A del 2009, altri soggetti operavano in “joint venture” nella commercializzazione dei diritti internazionali di importanti squadre di Serie A ed avevano ampia conoscenza dei mercati relativi ai potenziali mercati riferiti ai relativi diritti televisivi, tant’è che una di queste avrebbe poi proseguito a commercializzare i diritti relativi alle gare in veste di “sublicenziataria”, fermo restando che vi erano ulteriori agenzie di dimensioni multinazionali, che non soltanto avevano partecipato alle varie gare, ma avevano anch’esse agito come “sublicenziatarie” per i diritti messi a gara.

7. Assenza di effetti restrittivi: violazione dell’art. 101, TFUE, errore nei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di motivazione”.

Gli effetti restrittivi individuati nel decremento del valore dei diritti internazionali che aveva determinato un danno per l’intero movimento calcistico erano contestati dalle ricorrenti, secondo il relativo studio economico di soggetto indipendente, depositato nel corso del procedimento ma ignorato dall’Autorità, coincidente peraltro con le conclusioni in sede penale riguardanti la fattispecie e gli introiti di cui la LPA aveva beneficiato, superiori anche alle sue aspettative.

Le ricorrenti evidenziavano che l’Agcm aveva dato rilievo sul punto a una mera comunicazione interna tra soci del “gruppo MP OMISSIS” e all’incremento del valore per la gara sulla Serie A, dato però dalla situazione generale di “trend” di incremento costante già in atto nelle gare precedenti.

8. Esorbitante ammontare della sanzione: violazione dell’art. 15 della L. 287/1990, dell’art. 11 della legge n. 689/1981 e della Delibera AGCM 22 ottobre 2014, n. 25152 (Linee Guida sul calcolo delle sanzioni); violazione delle norme e principi in materia di sanzioni amministrative; errore sui presupposti di fatto e di diritto; illogicità ed irragionevolezza manifesta; contraddittorietà e perplessità della motivazione.”

In via subordinata, le ricorrenti contestavano comunque l’entità della sanzione.

L’importo di base è stato erroneamente calcolato, considerando una percentuale del valore delle vendite pari al 20% e qualificando l’infrazione “molto grave” in ragione dei suoi asseriti effetti restrittivi, laddove tali effetti non erano riscontrabili.

Inoltre, quella delineatasi poteva essere un’intesa unica e ripetuta e non unica e continuata, perché con la presentazione delle offerte e l’aggiudicazione dei diritti le asserite intese si erano compiute ed esaurite, senza che fossero enucleabili elementi probatori relativi a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, idonei a fare ragionevolmente presumere che l’infrazione sia durata ininterrottamente tra due date precise, secondo le conclusioni giurisprudenziali richiamate.

In più, il provvedimento aveva erroneamente applicato l’“entry fee”, da escludere in ragione della natura “monoprodotto” di MP OMISSIS in presenza della quale l’effetto di deterrenza ben può essere individuato nella sanzione stessa, come affermato da giurisprudenza che si riportava.

Era stato calcolato il massimo edittale, ai sensi dell’art. 15, comma primo, l. n. 287/1990 sulla base dei bilanci delle società del “gruppo MP OMISSIS” relativi all’esercizio al 30 giugno 2016 - quasi di tre anni anteriore rispetto alla data del provvedimento sanzionatorio - ultimo chiuso dato il susseguente stato di dissesto nel frattempo intervenuto.

L’Agcm non motivava il coinvolgimento di MP & OMISSIS Holding S.A., evidentemente dovuto ad un mero errore materiale ma con impatto sull’applicazione del massimo edittale, calcolato sul fatturato dell’intero “gruppo MP OMISSIS” anziché sul fatturato della sola Media Partners.

Infine, il provvedimento impugnato non aveva neppure considerato l’effettiva capacità contributiva di MP OMISSIS, determinando in tal modo una violazione del principio di proporzionalità, fermo restando che lo stato di dissesto del “gruppo MP OMISSIS” era ben noto anche all’Agcm, a cui erano state fornite numerose lettere di risoluzione dei contratti di licenza dei titolari dei diritti che contestavano il mancato pagamento delle “royalties”, così come la documentazione comprovante la messa in liquidazione delle varie società del gruppo.

MP OMISSIS era inattiva dal 2014 e la terza società del “gruppo MP OMISSIS” coinvolta nell’istruttoria, MP & OMISSIS Holding S.A. con sede in Lussemburgo, svolgeva unicamente la funzione di “holding” e il suo consiglio di amministrazione era da tempo inattivo, tanto che l’assenza di un liquidatore le aveva precluso la possibilità di conferire i poteri per l’impugnazione del provvedimento finale.

MP OMISSIS era poi stata destinataria di una sanzione più di 100 volte superiore a IMG, gruppo di più ampie dimensioni a livello internazionale.

Si costituiva in giudizio l’intimata Autorità, affidando a memoria per la camera di consiglio l’illustrazione delle tesi orientate a rilevare l’infondatezza del ricorso.

Con rituali atti di intervento “ad opponendum”, le società di calcio professionistico “Torino” e “OMISSIS”, nonché IMG, si costituivano in giudizio proponendo anch’esse tesi orientate alla reiezione del gravame.

Si costituiva in giudizio anche la Lega Nazionale Professionisti Seria A, per resistere al ricorso.

Con l’ordinanza in epigrafe, la Sezione fissava ex art. 55, comma 10, la trattazione di merito.

In prossimità della relativa data, tutte le parti costituite depositavano ulteriori memorie illustrative.

Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2020, la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. Il Collegio, passando all’esame del gravame, rileva l’infondatezza del primo motivo di ricorso, ove è lamentato che, in seguito all’adozione di una seconda CRI (NCRI), gli uffici avrebbero diversamente configurato la fattispecie contestata, ritenendo che le condotte delle parti costituivano una singola intesa unica e complessa e non due intese distinte, come invece prospettato nella prima CRI, con conseguente lesione del diritto di difesa delle ricorrenti.

Si osserva, in proposito, come la delibera adottata il 3 ottobre 2018 dall’Autorità statuisse che, in seguito alle obiezioni sollevate dalle “Parti” nella partecipazione procedimentale, era necessario chiarire “le posizioni delle società B4 Capital SA e B4 Italia S.r.l. in liquidazione, anche rispetto ai rapporti con BE4 Sarl Luxembourg che, alla data del 3 ottobre 2018, non era presente nel procedimento, eventualmente anche al fine di verificare e accertare la sussistenza di elementi per pervenire “a una diversa configurazione della fattispecie contestata”.

E’ evidente, pertanto, che la possibilità di modificare la fattispecie era già contemplata dall’Agcm e non è rinvenibile alcun “autovincolo” a mutare l’impianto accusatorio solo laddove fosse emersa una diversa relazione intersoggettiva tra B4 Capital e B4 Italia/BE4 riguardo l’individuazione di un unico centro di imputazione, come prefigurato nella prima CRI.

Inoltre, era prevista la trasmissione a tutte le parti coinvolte di una nuova CRI, proprio al fine di consentire alle stesse il pieno esercizio del diritto di difesa.

Né le parti ricorrenti sono condivisibili quando affermano che non sarebbero stati acquisiti elementi di prova nuovi, idonei a modificare la contestazione come avvenuto nella NCRI.

In primo luogo, non vi è alcun impedimento a che una diversa configurazione della fattispecie possa essere correlata al mutato apprezzamento delle evidenze già acquisite, anche in ragione delle informazioni successivamente chieste dalle parti del procedimento, informazioni peraltro ampiamente fornite, come indicato nei parr. 53 e ss. del provvedimento finale, da IMG e della Lega e non solo da B4 Capital, tanto da considerare ampliato il dato fattuale definitivo che ha fatto optare l’Autorità per l’individuazione di un’intesa unica in luogo di due intese, avendo riscontrato, essenzialmente, una sistematicità di condotte protrattesi nel tempo coinvolgenti le tre tipologie di gare coinvolte (Serie A, Coppa Italia, Supercoppa) e tutto ciò non solo in base agli accordi di sublicenza ma in relazione all’insieme del materiale probatorio acquisito e (ri)valutato

In secondo luogo, le ricorrenti non chiariscono quale nocumento abbiano conseguito nello specifico dall’individuazione suddetta, subendo altrimenti, se confermata la prima CRI, una doppia sanzione in luogo di una sola.

Risulta, infatti, che comunque la posizione delle ricorrenti era sempre quella di essere accusata di un’intesa anticoncorrenziale, i cui fondamenti sostanziali per MP OMISSIS non erano mutati nella loro rappresentazione nella NCRI, per cui nel caso di specie può riconoscersi che l’Autorità abbia esercitato nei confronti delle ricorrenti il suo legittimo potere di reinterpretare i fatti emersi dall’approfondimento istruttorio e non abbia dato luogo, nello specifico, a un mutamento in radice della qualificazione dell’illecito in quanto tale (in tal senso, di questa Sezione, la decisione n. 8945/17, richiamata anche dalle ricorrenti).

Deve, inoltre, escludersi una possibile portata invalidante del vizio procedimentale prospettato, non risultando alcuna compressione in concreto dei diritti di difesa delle ricorrenti, che hanno potuto ampiamente esercitare le proprie prerogative anche – e più integralmente - nel corso del subprocedimento avviato a seguito della NCRI relativamente alla sussistenza di un’intesa unica in luogo di due.

II. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, legato al diniego di acceso documentale.

Le stesse ricorrenti, per apprezzabili motivi di economia processuale, hanno fatto richiamo al ricorso presentato da MP OMISSIS sul punto ai sensi dell’art. 116 c.p.a. avanti a questa Sezione.

Ugualmente, quindi, per altrettante esigenze di sintesi, il Collegio richiama la sentenza n. 10985/19 del 16.9.19, ove tale ricorso è stato in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto.

Si riporta, pertanto, la relativa motivazione, non avendo fornito in questa sede le ricorrenti ulteriori e diverse argomentazioni, tali da far recedere questo giudice dalla precedente statuizione.

“…Più precisamente, quello che la ricorrente non spiega è il motivo per cui la documentazione afferente la domanda di clemenza presentata dall’altra impresa non fosse così necessaria, a fini difensivi, da presentare ricorso avverso i precedenti dinieghi di accesso, e lo sia, invece, ai fini di difendersi nei confronti della intesa come ricostruita nella seconda CRI. Per tale ragione si deve presumere che le dichiarazioni confessorie di tale impresa non abbiano di per sé influito sulla modifica del capo d’accusa, conseguendo da tale constatazione la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, nella parte in cui ha ad oggetto la citata documentazione, stante che sul punto l’atto impugnato ha natura meramente confermativa di precedenti dinieghi di accesso non tempestivamente impugnati.

17.6. Infine non risulta che MPS abbia dedotto di aver necessità di accedere nuovamente ai documenti afferenti la domanda di clemenza ritenendo di non essere riuscita, nel corso della lettura degli stessi, ad annotare tutte le circostanze necessarie alla propria difesa, sicché la reiterazione della istanza, a distanza di tempo tanto ravvicinata dalle precedenti, non pare avere una giustificazione plausibile.

18. Nel merito, poi, si deve considerare che le dichiarazioni confessorie rese da una impresa nell’ambito di un c.d. programma “di clemenza”, regolato dalla Comunicazione della Commissione europea relativa all'immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese nonché dalla Comunicazione dell’Autorità sulla non imposizione o riduzione delle sanzioni ai senti dell’art. 15 della legge n. 287/90, sono soggette ad una particolare tutela, precisamente allo scopo di evitarne la divulgazione e l’utilizzazione fuori dal procedimento per il quale sono rese: la buona riuscita dei c.d. programmi di clemenza è infatti strettamente connessa alla aspettativa delle imprese di non essere esposte, collaborando con l’Autorità, a conseguenze più gravi rispetto a quelle derivanti dalla applicazione della sanzione, e proprio per tale ragione la normativa citata prevede che le dichiarazioni confessorie rese dal leniency applicant siano rese ostensibili “purché si impegnino a non copiare con qualsiasi mezzo meccanico od elettronico nessuna informazione ivi contenuta e ad utilizzare le informazioni contenute nella dichiarazione confessoria unicamente ai fini di procedimenti giudiziari o amministrativi per l’applicazione delle norme di concorrenza sulle quali verte il relativo procedimento amministrativo” (punto 10 bis della Comunicazione AGCM ex art. 15, comma 2 bis, L. 287/90).

18.1. Nella specie l’Autorità ha consentito alla ricorrente l’accesso alle dichiarazioni confessorie rese, ed alla documentazione allegata, precisamente dandogliene lettura, salvo che in alcune parti, delle quali a MPS è stata fornita solo una descrizione riassuntiva in quanto contenenti informazioni “estranee al perimetro dell’indagine”. La ricorrente, tuttavia, sostiene che la asserita estraneità al procedimento, delle informazioni contenute nelle parti omissate, non costituirebbe ragione sufficiente a giustificare l’intervento “ortopedico” operato dalla Autorità sulle dichiarazioni confessorie e sui documenti presentanti dal leniency applicant, dei quali la normativa comunitaria ed italiana di settore consente solo il differimento o la segretazione per riservatezza, laddove vengano in considerazione dati sensibili o segreti commerciali.

Il Collegio non condivide l’assunto della ricorrente.

18.2.1. Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6481 del 30 luglio 2010, ha chiarito, in via generale, che la disciplina dell’accesso alle dichiarazioni ed ai documenti presentati dal richiedente una misura c.d. “di clemenza”, è retta non solo dalle norme che direttamente si riferiscono a tali documenti (e quindi: la Comunicazione della Commissione n. 2006/C 298/11; la Comunicazione AGCM adottata ex art. 15, comma 2 bis, L. 287/90) ma anche dalle disposizioni che in generale regolano i procedimenti istruttori di competenza della AGCM e l’accesso ai relativi documenti, venendo in considerazione, in particolare, l’art. 13 del d.P.R. n. 217/1998, a mente del quale i documenti formati o stabilmente detenuti dall'Autorità nei procedimenti concernenti intese, abusi di posizione dominante ed operazioni di concentrazione possono essere, in tutto o in parte, sottratti all’accesso nel caso in cui contengano “informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario, relative a persone ed imprese coinvolte nei procedimenti”, mentre sono totalmente sottratti all’accesso qualora contengano segreti commerciali; anche in tale ultimo caso, tuttavia, qualora i documenti contengano “…elementi di prova di un'infrazione o elementi essenziali per la difesa di un'impresa, gli uffici ne consentono l'accesso, limitatamente a tali elementi”.

18.2.2. La sentenza del Consiglio di Stato in esame ha tratto da tale disciplina argomento per affermare che nei procedimenti “antitrust” deve comunque essere assicurato il bilanciamento tra l’esigenza di assicurare il contraddittorio e la c.d. “parità delle armi” e quella di evitare che risulti compromessa la riservatezza di informazioni di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario, relative a persone ed imprese coinvolte nei procedimenti stessi: dunque “il principio di parità delle armi non comporta che in ogni caso il diritto di accesso prevalga sulle esigenze di riservatezza, ma implica che sia consentito alle imprese di conoscere il contenuto dell'intero fascicolo, con indicazione degli atti secretati e del relativo contenuto e che, in relazioni ai documenti costituenti elementi di prova a carico o comunque richiesti dalle imprese per l'utilizzo difensivo a discarico, la secretazione sia strettamente limitata alla c.d. parti sensibili del documento (C.d.S. VI, 12 febbraio 2001 n. 652)” (C.d.S, VI, 29 settembre 2009 n. 5864; C.d.S., VI, 20 luglio 2010 n. 6481).

18.2.3. Va sottolineato, inoltre, che nel caso deciso dalla sentenza in esame (C.d.S., VI, n. 6481 del 20 luglio 2010), il Consiglio di Stato ha esaminato e ritenuto “ragionevole” l’esclusione dall’accesso di alcuni documenti motivata dal solo riferimento alla “sostanziale estraneità delle informazioni ivi contenute all’oggetto del procedimento principale, nel quale dunque non sono e non saranno utilizzate, ovvero più in generale alla irrilevanza delle stesse ai fini della corretta instaurazione di un pieno contraddittorio procedimentale e di una adeguata elaborazione della strategia difensiva”, giustificando altresì, nel successivo passaggio della motivazione, il diniego di accesso ad altri e distinti documenti determinato da “ragioni individuate non solo nella afferenza delle stesse a dati sensibili o a segreti commerciali, ma anche nella irrilevanza delle informazioni non ostese ai fini dell’instaurazione del contraddittorio o del pieno esercizio del diritto di difesa, ovvero nella parziale coincidenza delle stesse con altri dati contenuti in altri documenti per i quali l’accesso è stato consentito”. Il pronunciamento di che trattasi, dunque, ben evidenzia che il Consiglio di Stato ha ritenuto di per sé sufficiente, ad escludere l’accesso, l’estraneità delle informazioni alla procedura, indipendentemente dalla necessità di garantire la riservatezza o segretezza di alcuni dati.

18.3. Che il diniego di accesso - ai documenti formati o stabilmente detenuti dall'AGCM nei procedimenti concernenti intese, abusi di posizione dominante ed operazioni di concentrazione - possa giustificarsi sulla base della mera estraneità al procedimento delle informazioni in essi contenute costituisce, peraltro, corollario di un altro principio generale che ispira la disciplina dell’accesso procedimentale, e cioè il principio secondo cui l’accesso è strumentale alla tutela di una situazione di interesse rilevante “collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”, ( art. 2, lett. b, della L. 241/90), di modo che deve escludersi con riferimento a documenti rispetto ai quali il collegamento con l’interesse da tutelare non sia apprezzabile: sul punto si rammenta che anche il Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sentenza n. 1585 del 25 marzo 2015, ha avuto modo di affermare che “(…) il nesso tra esigenza di accesso ai documenti ed effettività del diritto di difesa deve emergere in modo chiaro dagli atti di causa, come avviene nel caso in cui, nell’ambito di una procedura sanzionatoria, l’autorità amministrativa pone a base della pretesa sanzionatoria fatti o informazioni desunte da specifici documenti. Fuori da tali ipotesi di connessione evidente tra «diritto» all’accesso ad una certa documentazione ed esercizio proficuo del diritto di difesa, incombe sul richiedente l’accesso dimostrare - in base al contenuto proprio degli atti della procedura in relazione alla quale deve svolgersi l’esercizio della difesa - la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi (…). Occorre cioè che tale dimostrazione sia fornita deducendo fatti ed elementi di valutazione che, allo stato della procedura da cui scaturisca l’astratta esigenza difensiva, e quindi in relazione all’effettiva formulazione degli addebiti ed agli elementi giuridico-fattuali che li sorreggono, appaiano oggettivamente connessi ai documenti da ostendere (essendo peraltro pacifico che un documento irrilevante nella prospettiva “accusatoria” potrebbe non esserlo in quella defensionale)”. Tale principio non risulta chiaramente derogato da alcuna previsione concernente i procedimenti che si svolgono innanzi la AGCM, nei procedimenti concernenti intese, abusi di posizione dominante ed operazioni di concentrazione ed è idoneo a determinare, ex se, l’infondatezza della pretesa della ricorrente ad ottenere l’accesso a quei documenti, o parti di documenti, dei quali l’Autorità ha affermato l’estraneità e la non utilizzazione nel corso del procedimento.

18.4. Ciò chiarito, l’accesso a documentazione che l’AGCM affermi chiaramente essere estranea ad un procedimento istruttorio e, come tale, non utilizzata e non utilizzabile, potrebbe allora giustificarsi solo sul presupposto che l’Autorità, nell’affermare l’irrilevanza e inutilizzabilità della documentazione, commetta un improbabile mendacio o un grossolano errore di valutazione: a prescindere dal fatto che una tale circostanza dovrebbe essere chiaramente dedotta dalla parte interessata, e dimostrata quantomeno con il ricorso ad elementi indiziari - ciò che la ricorrente non ha fatto - non si può non rilevare che la motivazione del provvedimento conclusivo dell’Autorità non potrebbe fondarsi, a meno di non incorrere in patente illegittimità, su documenti di cui sia stata in precedenza esplicitamente esclusa la rilevanza e la utilizzabilità; per tale ragione la preoccupazione della ricorrente, circa il fatto che il provvedimento conclusivo possa essere determinato anche da quelle dichiarazioni e documenti ai quali non è stato dato accesso per motivi di irrilevanza, risulta inconsistente, trattandosi di evenienza rispetto alla quale MPS avrebbe mezzi di tutela.

18.5. La ricorrente sostiene, ancora, di non essere in grado, in mancanza di accesso integrale alla documentazione afferente la domanda di clemenza, di sconfessare la veridicità e genuinità delle dichiarazioni del leniency applicant; sostiene, inoltre, che la mancata conoscenza delle parti omissate potrebbe precluderle il diritto alla difesa in un parallelo procedimento promosso dalla Commissione europea.

18.5.1. Entrambi i rilievi sono infondati e volutamente confusivi: il primo perché la ricorrente è stata messa in grado di conoscere le dichiarazioni confessorie concretamente utilizzate nel procedimento, e quindi di replicarvi, all’occorrenza deducendone la non rispondenza a verità, come in effetti MPS ha fatto; il secondo per la ragione che nel corso dell’eventuale procedimento promosso dalla Commissione, la ricorrente potrà chiedere l’accesso agli atti di quel procedimento, ed in quella sede la Commissione potrà dare accesso alle dichiarazioni confessorie, rese dall’impresa coinvolta alla Autorità italiana, nella misura in cui tali dichiarazioni confluiscano nel fascicolo del procedimento di competenza della Commissione e siano da essa ritenute rilevanti.

19. Conclusivamente, oltre che inammissibile, il ricorso è anche infondato nel merito, nella parte in cui contesta la legittimità del diniego di accesso che la AGCM ha opposto ad MPS relativamente alle dichiarazioni confessorie rese nel procedimento “di clemenza”.

20. Passando alla disamina del ricorso per la parte che ha ad oggetto il diniego di accesso agli atti prodotti dalla LNPA dopo il 3 ottobre 2018, su richiesta della Autorità, esso può essere respinto sulla base di considerazioni analoghe.

20.1. Va preliminarmente precisato che si tratta dell’accesso agli allegati 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 11 al doc. istr. 279, che hanno ad oggetto: (i) le offerte dell’impresa ricordata e il successivo accordo di licenza da essa stipulato con LNPA quale conseguenza dell’aggiudicazione della Gara Serie A 2017; (ii) gli elementi essenziali degli accordi di sublicenza stipulati da tale impresa nell’attività di rivendita dei diritti relativi alla Gara Serie A 2017; (iii) le presentazioni effettuate da questa alla LNPA relative alla commercializzazione di tali diritti e (iv) gli scambi di comunicazioni con LNP aventi ad oggetto talune violazioni dei diritti di licenza acquistati da da parte di operatori terzi. La descrizione di tali documenti è stata fornita appunto nel doc. istr. 283, ma i relativi allegati sono stati qualificati come integralmente riservati dall’AGCM.

20.1. L’Autorità ha, infatti, dedotto trattarsi di documentazione riservata, non attinente all’oggetto del procedimento, depositata dalla LNPA in risposta ad una richiesta di informazioni degli Uffici. I suddetti documenti sono stati inseriti e menzionati nel dettagliato indice del fascicolo procedimentale, e di essi, seppure riservati, è stata effettuata anche una sintetica descrizione, della quale la ricorrente ha potuto prendere visione, potendo in tal modo prendere piena cognizione dell’intero contenuto del fascicolo. L’Autorità ha inoltre rilevato che i dati occorrenti a MPS a fini difensivi, cioè i dati relativi alla offerta presentata dall’impresa terza per aggiudicarsi la gara Serie A 2017, in realtà sono contenuti anche in altri documenti già resi disponibili alla ricorrente, precisamente nel doc. istr. n. 280, consegnato a MPS il 22 febbraio 2019; il valore di aggiudicazione della gara Serie A 2017, comunque, non è stato utilizzato come prova della esistenza della intesa, ma solo per replicare alle parti, che sostenevano che l’intesa ipotizzata non avesse avuto effetti; questi ultimi, del resto, sono stati desunti dalla AGCM anche mediante confronto con i prezzi di aggiudicazione dei diritti audiovisivi afferenti i campionati di calcio di altri Paesi, sensibilmente superiori.

20.3. Secondo la LNPA, i documenti sarebbero inconferenti perché relativi alle stagioni 2018/2021, che non sono oggetto di intesa illecita; l’accesso completo a tali documenti, inoltre, renderebbe palesi alcuni particolari delle procedure di aggiudicazione, la cui conoscenza potrebbe influenzare e compromettere anche l’esito delle gare future. D’altro canto un simile accesso non sarebbe neppure essenziale a fini di difesa, dal momento che l’Autorità, contrariamente a quanto sostenuto da MPS, non ha desunto l’esistenza della intesa solo dai valori di aggiudicazione delle gare successive a quella del 2017, ma anche da ulteriore documentazione, e cioè sull’analisi di mails scambiate tra le imprese nonché degli atti relativi ad altre procedure. Si tratta, infine, di documenti che non contengono elementi utili ai fini di difesa, se si eccettua il prezzo offerto dall’impresa terza, che peraltro la ricorrente già conosce.

20.4. Richiamato quanto già esposto nei precedenti paragrafi, circa la necessità che anche nei procedimenti che si celebrano innanzi l’AGCM, in sede di accesso, siano contemperati i diritti di difesa dell’impresa soggetta ad un procedimento “antitrust” con la tutela della riservatezza dei soggetti terzi, e dato atto che la ricorrente non contesta che la documentazione di che trattasi si riferisca alla gara per l’aggiudicazione dei diritti audiovisivi relativi al triennio 2018/2021, il Collegio rileva che, effettivamente, la ricorrente non ha chiarito il meccanismo che le potrebbe consentire di dimostrare, per il tramite dei documenti in parola, l’inesistenza degli effetti, restrittivi della concorrenza, scaturenti dalla intesa contestatale, terminata, secondo la prospettazione della seconda CRI, nel 2015; né è chiaro il motivo per cui eventuali sconti concessi da LNPA alla ricordata impresa ad aggiudicazione avvenuta , come pure eventuali risarcimenti riconosciuti a quest’ultima da LNPA, potrebbero condurre a negare la sussistenza della intesa in concreto perseguita. Da ultimo risulta che l’Autorità ha reso parzialmente ostensibili le informazioni relative alla gara 2018/2021, aventi specifica attinenza all’oggetto del procedimento, informazioni che, su richiesta della Autorità, LNPA ha trasfuso nel doc. istr. n. 103.

20.5. Per le anzidette ragioni, va dunque respinto il ricorso anche nella parte che ha ad oggetto l’accesso ai documenti allegati al doc. istr. n. 279.

21. Infine, per quanto riguarda i documenti allegati alle Dichiarazioni Orali, il cui accesso è stato concesso, come sopra precisato, ma non in forma integrale, sul presupposto che conterrebbero informazioni irrilevanti, in quanto “diritti diversi da eventi LNPA” e quindi “estranei al perimetro dell’istruttoria”, si tratta di 143 dei 287 allegati alle Dichiarazioni Orali presentate dalla impresa terza.

23.1. Richiamato, anche in questo caso, quanto già rilevato a proposito della accessibilità alle Dichiarazioni Orali rese dal leniency applicant, il Collegio rileva che anche in questo caso la ricorrente non chiarisce, in modo specifico, le ragioni per cui questi 143 documenti, lungi dall’essere irrilevanti, conterrebbero informazioni cruciali a suo discarico: sul punto le affermazioni della ricorrente sono generiche, si traducono in una petizione di principio, e non considerano che, avendo l’Autorità già dato accesso a 144 dei 287 documenti depositati nel procedimento “di clemenza”, si deve presumere – si ribadisce, in mancanza di contrarie specifiche deduzioni – che effettivamente essi non siano rilevanti ai fini del procedimenti, perché aventi ad oggetto “diritti diversi da eventi LNPA” nonché accordi “estranei al perimetro dell’istruttoria”.

III. Passando all’esame del terzo motivo, se ne riscontra ugualmente l’infondatezza.

In esso le ricorrenti contestano, in radice, la sussistenza stessa di una fattispecie di intesa “unica e continuata” per le dieci procedure di affidamento dei diritti considerate, ritendo non dimostrati i relativi presupposti, quali il perseguimento di un obiettivo comune, il contributo intenzionale di ciascuna impresa e la conoscenza dei comportamenti delle rispettive imprese colluse e delle relative conseguenze.

Giova rammentare che l’art. 101 cit. (così come l’art. 2 della legge n. 287/1990) stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni d’imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno.

La funzione della disposizione è quella di tutelare la concorrenza nel mercato, al fine di garantire il benessere dei consumatori e un’allocazione efficiente delle risorse.

Ne deriva che, sulla base dei principi comunitari e nazionali in materia di concorrenza, ciascun operatore economico deve determinare in maniera autonoma il suo comportamento nel mercato di riferimento (Case C-49/92 Commission v. Anic Partecipazioni S.p.a. [1999] ECR I-4125).

Nel fare ciò, l’operatore terrà lecitamente conto delle scelte imprenditoriali note o presunte dei concorrenti, non essendogli, per contro, consentito instaurare con gli stessi contatti diretti o indiretti aventi per oggetto, o per effetto, di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti a quelle normali del mercato, vale a dire, di influenzare il comportamento di un concorrente o di mettere al corrente tale concorrente in ordine al comportamento che l’impresa stessa abbia deciso di porre in atto (Anic, cit.; Cases 40-48, 50, 54-56, 111, 113 e 114/73 Cooperatieve Verenigning ‘Suiker Unie’ UA v Commission [1975] ECR 1663 C- 40/73; Consiglio di Stato, sez. VI, 27 giugno 2014, n. 3252, I722 – Logistica Int. - ITK Zardini).

Tali contatti vietati possono rivestire la forma dell’”accordo” ovvero quella della “pratica concordata”.

La fattispecie dell'”accordo” ricorre quando le imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo, e ciò, anche senza fare ricorso ad un (formale o meno) “contratto” (Corte UE, Case 41, 44 e 45/69 ACF Chemiefarma NV v Commission [1970] ECR 661) o ad altro documento scritto (Polypropylene [1986] OJ L230/1, § 81).

La pratica concordata, invece, corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo formale ed esplicito, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse al rischio competitivo, influenzando ugualmente in tal modo le condizioni di piena concorrenza sul mercato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4.9.15, n. 4123; Corte UE, Cases 48-57 ICI v. Commission [Dyestuffs 1972] ECR 619, § 64; Suiker Unie, cit.).

L’esistenza di una pratica concordata, considerata la (estremamente) difficile acquisibilità della prova di essa in tal senso tra i concorrenti (c.d. “smoking gun”), viene ordinariamente desunta dalla ricorrenza di determinati indici probatori dai quali inferire la sussistenza di una sostanziale finalizzazione delle singole condotte ad un comune scopo di restrizione della concorrenza.

In materia è dunque ammesso il ricorso a prove indiziarie, purché le stesse, come più volte affermato in giurisprudenza, si fondino su indizi gravi, precisi e concordanti. Sempre in materia probatoria deve poi essere considerata la distinzione tra elementi di prova “endogeni”, afferenti l’anomalia della condotta delle imprese, non spiegabile secondo un fisiologico rapporto tra di loro, ed elementi “esogeni”, quali l'esistenza di contatti sistematici tra le imprese e scambi di informazioni. La collusione può essere provata anche “per inferenza”, dalle circostanze del mercato (Corte UE, Case 172/80 Zuechner v Bayerische Vereinsbank [1981] ECR2021).

La differenza tra le due fattispecie e le correlative tipologie di elementi probatori – “endogeni” ed “esogeni” - si riflette sul soggetto sul quale ricade l'onere della prova: nel primo caso, la prova dell'irrazionalità delle condotte grava sull'Autorità, mentre, nel secondo caso, l'onere probatorio contrario viene spostato in capo all'impresa.

In particolare, qualora, a fronte della semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti sul mercato, il ragionamento dell'Autorità sia fondato sulla supposizione che le condotte poste a base dell'ipotesi accusatoria oggetto di contestazione non possano essere spiegate altrimenti, se non con una concertazione tra le imprese, a queste ultime basta dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati dall'Autorità e che consentano, in tal modo, di dare una diversa spiegazione in chiave concorrenziale dei fatti rispetto a quella accolta nell'impugnato provvedimento.

Qualora, invece, la prova della concertazione non sia basata solo sulla semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti, ma dall'istruttoria emerga che le pratiche possano essere state frutto di una concertazione e di uno scambio di informazioni “in concreto” tra le imprese, in relazione alle quali vi siano ragionevoli indizi di una pratica concordata anticoncorrenziale, grava sulle imprese l'onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti (Cons. Stato, Sez. VI, 13.5.11, n. 2925).

A ciò si aggiunga che deve ricordarsi il principio in base al quale le singole condotte delle imprese devono essere valutate tenendo conto del quadro complessivo della fattispecie esaminata dall’Agcm e non in modo “atomistico”.

Ciò perché, in materia di intese restrittive, i singoli comportamenti delle imprese, che presi isolatamente potrebbero apparire privi di specifica rilevanza “anticoncorrenziale”, qualora si rivelino elementi di una fattispecie complessa, come nel caso di specie, devono essere considerati quali “tasselli di un mosaico”, i cui elementi non sono significativi “in sé”, ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva della libertà di concorrenza.

In tale ipotesi, è sufficiente che l’Autorità tracci un quadro indiziario coerente ed univoco, a fronte del quale spetta ai soggetti interessati fornire spiegazioni alternative alle conclusioni tratte nel provvedimento accertativo della violazione “anticoncorrenziale” (Cons. Stato, Sez. VI, 2.7.18, n. 4010, 30.6.16, n. 2947 e 11.7.16, n.3047).

Sul piano della prova, non può inoltre trascurarsi come usualmente le attività derivanti da pratiche e/o accordi anticoncorrenziali si svolgano in modo non dichiarato, con contatti e riunioni con oggetto non esplicito in tal senso e che la documentazione ad esse relativa sia ridotta al minimo, sicché, anche qualora l’Autorità scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, essi saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela inevitabile e, spesso, necessario ricostruire taluni dettagli per via di deduzioni, con la conseguenza per la quale, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica e/o di un accordo “anticoncorrenziale” deve essere inferita da un certo numero di coincidenze e di indizi che, considerati “nel loro insieme”, possano costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova indiziaria di una violazione delle norme sulla concorrenza (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4010/18 cit.).

Tenuto conto della notorietà del divieto di partecipare ad accordi anticoncorrenziali e in conformità all’orientamento espresso dalla giurisprudenza comunitaria, non si può pretendere che l’Agcm riscontri, e quindi produca, documenti attestanti in modo esplicito un accordo o ancor più una pratica concordata tra gli operatori interessati, dovendo gli elementi frammentari e sporadici di cui l’Autorità dispone in ogni caso poter essere completati con deduzioni che permettano di ricostituire taluni dettagli, attraverso un certo numero di coincidenze e di indizi che, considerati nel loro insieme, possano rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza.

Per questo la giurisprudenza, consapevole della rarità dell’acquisizione della prova piena (la ricordata “smoking gun”), quali testo dell’intesa, documentazione inequivoca, confessione dei protagonisti, e della conseguente vanificazione pratica delle finalità perseguite dalla normativa “antitrust” che scaturirebbe da un atteggiamento troppo rigoroso, reputa necessaria ma sufficiente in questa materia l’emersione di indizi, con la precisazione che la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa abbia una “forza” attenuata (Cons. Stato, Sez. VI, n. 2947/16 cit. e 18.5.15, n. 2514).

I comportamenti lesivi della concorrenza ben possono desumersi anche sulla base di un uso di facoltà e/o di diritti riconosciuti dall'ordinamento, dei quale si faccia però un impiego strumentale e non coerente con il fine per il quale essi sono riconosciuti.

Ciò che rileva a fini “antitrust”, infatti, non è la legittimità o meno di una specifica condotta, ma la portata anticoncorrenziale di una serie di atti, anche, in tesi, in sé legittimi si colorano come elementi indicatori di un intento o effetto anticoncorrenziale; del resto, diversamente opinando si perverrebbe al risultato, inaccettabile, per cui l'illecito concorrenziale sarebbe pressoché inconfigurabile, grazie al semplice fatto che consiste il più delle volte in comportamenti analiticamente leciti se visti solo alla luce di settori dell'ordinamento diversi da quello della concorrenza. Molteplici istituti civilistici sono infatti “neutri” ai fini antitrust, dovendo essere verificato in concreto il loro utilizzo a fini anticoncorrenziali (Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2016, n. 2947).

Inoltre, in presenza di un illecito collusivo ripetuto da imprese diverse per un certo periodo di tempo, caratterizzato in parte da accordi e in parte da pratiche concertate, com’è nel caso all’odierno esame, la caratterizzazione della violazione come una singola collusione comporta la considerevole conseguenza, rilevante in tema di partecipazioni assuntivamente “minori” o “marginali” alla concertazione anticompetitiva, che un partecipante sia ritenuto responsabile per tutte le azioni del cartello, anche se non abbia preso personalmente parte alla totalità di esse, una volta che abbia deciso di assentire alla concertazione medesima.

Ciò, in quanto, il cartello è una collusione (“conspiracy”) dei suoi membri e, per l’effetto, anche coloro la cui partecipazione sia stata limitata, per non aver preso parte a tutti gli aspetti dell’accordo anticompetitivo o per avervi svolto un ruolo minore, contribuiscono alla cospirazione complessiva. E pertanto, anche un partecipante in possesso di una quota minore nel mercato di riferimento può contribuire alla collusione (Tar Lazio, Sez. I, 25 luglio 2016, nn. 8500 e 8502), purché, in una siffatta eventualità, si accerti che l’impresa che assuma di avere avuto una partecipazione limitata nella concertazione anticompetitiva intendesse contribuire agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che fosse consapevole della condotta pianificata o fosse almeno in grado di prevederla (Case Anic, cit., par. 87 e parr. 203-7; Joined Cases T-101/05 BASF AG and UCBSA v Commission [2007] ECR II-4949; Tar Lazio, Sez. I, 25 luglio 2016, nn. 8500 e 8502).

L’Agcm, nella presente fattispecie, ha accertato la sussistenza dell’accordo anticoncorrenziale nel rispetto delle surriferite coordinate interpretative.

L’Autorità ha accertato che le parti del procedimento avevano posto in essere un’intesa unica e complessa iniziata il 20 agosto 2008, data in cui si ha evidenza dei contatti fra un dirigente di IMG e BE4, e conclusasi il 22 giugno 2015, giorno in cui l’assemblea della Lega Calcio ha deliberato di voler accettare, con riferimento alla gara per i diritti televisivi della Coppa Italia e Supercoppa Italiana - Stagioni 2015/2016, 2016/2017 e 2017/2018, l’offerta più alta tra quelle ricevute, ossia quella presentata da B4 Capital. Ha ritenuto che “per tutte le gare a prescindere dall’effettiva partecipazione alla gara e/o della condotta tenuta nel corso della stessa, le condotte sono imputabili a MP OMISSIS, IMG, BE4 Sarl/B4 Italia e B4 Capital, posto che le Parti hanno posto in essere accordi precedenti alla formulazione delle offerte che hanno portato all’aggiudicazione secondo gli esiti concordati o comunque partecipato alle procedure di gara e alla successiva ripartizione degli utili derivanti dallo sfruttamento commerciale dei diritti internazionali” (par. 387).

Ebbene, sostengono le ricorrenti che già la “autodenunciante” IMG avrebbe escluso la sussistenza di un’intesa “trilaterale”.

In realtà, dalle numerose evidenze acquisite e secondo la completa ricostruzione dell’Autorità, le tre parti operavano attraverso un meccanismo ripartitorio, secondo cui, attraverso la stipula dei singoli accordi, MP OMISSIS acquisiva i diritti della Serie A, BE4 Sarl/B4 Italia e B4 Capital quelli della Coppa Italia e Supercoppa e, mediante le sub-licenze, i suddetti assegnatari scambiavano tra di essi e con IMG i diritti, suddividendone oneri e ricavi.

Proprio alla luce dell’unitarietà del centro di imputazione costituito da B4 Capital e B4 Italia/BE4, secondo quanto emerso a seguito degli approfondimenti istruttori seguenti il 3 ottobre 2018, sono stati individuati precisi elementi atti a corroborare la tesi dell’unicità del disegno collusivo, in ragione di accordi e contatti tra tali parti del procedimento e MP OMISSIS, che attestano l’interesse a ottenere, in via spartitoria, anche la sub-licenza di diritti televisivi relativi al segmento “Campionato”. Tali elementi, sintetizzati nella tabella 2 presente nel provvedimento impugnato, uniti alla sistematica acquisizione dei diritti per le Coppe, dimostrano la partecipazione anche delle ricorrenti al disegno collusivo generale, rendendo credibile l’affermazione dell’Autorità secondo cui tale partecipazione era funzionale alla “ricerca di un equilibrio collusivo per i diritti della serie A, altrimenti potenzialmente più instabile” (par. 311). E ciò, alla luce degli elementi probatori acquisiti, non può essere annullato dalla mera dichiarazione di IMG, intesa a salvaguardare la sua posizione ai fini dell’applicazione della sanzione ridotta.

Infatti, riguardo alla circostanza per la quale IMG, nella sua qualità di “leniency applicant”, non avesse confermato l’esistenza di una intesa trilaterale, è sufficiente richiamare quanto affermato da questa Sezione in argomento, secondo cui: “…le informazioni rese dall’”applicant”, onerato di fornire tutto quanto in proprio possesso che possa assumere rilevanza nell’indagine “antitrust”, così come la particolare lettura che egli dovesse proporre di taluni aspetti delle condotte esaminate, non limitano in alcun modo il potere dell’Autorità di libera valutazione giuridica dei fatti acquisiti; al contrario, come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza, è nelle cose che l’accertamento dell’illecito contenuto nel provvedimento finale dell’Autorità possa risultare diverso, anche solo in parte, rispetto al fatto rappresentato e ammesso dall’impresa collaborante in sede di ammissione al programma di clemenza (Cons. Stato, Sez.VI, 29.1.16, n. 362). In altri termini, acquisito il “set informativo” ed il corredo probatorio necessario e in concreto sufficiente, spetta esclusivamente ad AGCM valutare, in completa autonomia, la rilevanza a fini del diritto della concorrenza delle pratiche rilevate” (cfr. Tar Lazio, sez. I, 20 aprile 2018, nn. 4404, 4405, 4406).

Dalla documentazione acquisita si rileva che lungo tutto il periodo oggetto dell’istruttoria le ricorrenti avevano seguito uno schema collusivo, per il quale, proprio in prossimità della scadenza dei termini per l’offerta per le gare di “Serie A” si accordavano sul soggetto che si sarebbe dovuto aggiudicare i diritti TV Internazionali messi all’asta, individuando le modalità di ripartizione dei ricavi derivanti dalla successiva rivendita e predeterminando le offerte presentate al fine di fornire l’idea di un’effettiva concorrenza in gara.

Nel provvedimento impugnato, infatti, sono ampiamente richiamati, per tutti: un accordo tra MP OMISSIS e B4 anteriore alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte per le stagioni 2010/2011 e 2011/2012, ove MP OMISSIS avrebbe partecipato, direttamente o mediante società collegate o consociate, alla procedura competitiva indetta dalla Lega “…secondo i termini finanziari che saranno discussi e previamente concordati” con B4 e, dall’altro, che in caso di aggiudicazione dei diritti in favore di MP OMISSIS, le parti avrebbero gestito congiuntamente l’attività di rivendita “ripartendo tra di loro in misura paritaria relativi oneri e proventi”; altri accordi sottoscritti tra MP OMISSIS e IMG per la gara 2012/2013 e 2014/2015, ove IMG rinunciava ad offrire un prezzo competitivo ricevendo parte dei proventi ottenuti da MP OMISSIS per la commercializzazione di tali diritti ad esito dell’aggiudicazione della gara stessa; contratti conclusi tra MP OMISSIS e IMG in vista della gara per l’acquisto dei diritti sulla Serie A relativi alle successive stagioni 2015-2016 - 2017/2018, non immediatamente posti in essere per “evitare sospetti”; il comportamento di IMG che formulava offerte al ribasso, anche inferiori alla base d’asta, lasciando così ampia probabilità di aggiudicazione a B4 nel settore di interesse.

In sostanza, all’esito delle molteplici evidenze, quali “tasselli di un mosaico”, da valutare non atomisticamente ma nel loro insieme (Cons. Stato, Sez. VI, 23.6.14, n. 3167), correttamente l’Agcm ha ricostruito il quadro operativo, rilevando che una serie di comportamenti di più imprese aventi lo stesso oggetto anticoncorrenziale può essere considerato espressione di un’infrazione unica (CGUE, 7.1.04, in C-204/00 P. Aalborg).

Nel caso di specie, tutte le parti avevano posto in essere condotte aventi il fine comune e il chiaro obiettivo di coordinare le proprie offerte formulate in risposta agli inviti a offrire pubblicati dalla Lega Serie A, con l’intento di dare luogo a un successivo sfruttamento commerciale dei diritti, tale da eliminare il reciproco confronto competitivo e vanificando gli obiettivi sottesi alla procedura competitiva prevista per l’individuazione dell’intermediario unico stabilita dall’articolo 16 del Decreto Melandri (par. 310), secondo un meccanismo consolidato nel tempo, che portava alla sistematica aggiudicazione al medesimo soggetto, senza che rilevasse la presenza di altri operatori non partecipanti all’intesa o l’evento oggetto della gara (par. 311), dato che comunque le parti coinvolte ben conoscevano di essere gli operatori principali tra cui poteva manifestarsi una concreta possibilità di effettiva concorrenza, come rilevato in “mail” di MP OMISSIS, BE4 e IMG (par. 317 e 318 del p.i.).

Né vale in senso contrario la circostanza che B4 Capital fosse un operatore di dimensioni ridotte rispetto agli altri “players”, essendo quest’ultimo comunque operatore tuttavia partecipe e consapevole dell’unico disegno collusivo.

Le deduzioni delle ricorrenti orientate a contrastare le conclusioni dell’Agcm sul punto, inoltre, non si palesano risolutorie né forniscono una spiegazione alternativa convincente.

Si rammenta, infatti, che ciò che rileva a fini “antitrust” non è la legittimità o meno di una specifica condotta, ma la portata anticoncorrenziale di una serie di atti, anche, in tesi, in sé legittimi si colorano come elementi indicatori di un intento o effetto anticoncorrenziale; diversamente opinando si perverrebbe al risultato, inaccettabile, per cui l'illecito concorrenziale sarebbe pressoché inconfigurabile, grazie al semplice fatto che consiste il più delle volte in comportamenti analiticamente leciti se visti solo alla luce di settori dell'ordinamento diversi da quello della concorrenza. Molteplici istituti civilistici sono infatti “neutri” ai fini “antitrust”, dovendo essere verificato in concreto il loro utilizzo a fini anticoncorrenziali (Cons. Stato, Sez. VI, 30.6.16, n. 2947).

Inoltre, in presenza di un illecito collusivo ripetuto da imprese diverse per un certo periodo di tempo, caratterizzato in parte da accordi e in parte da pratiche concertate, com’è nel caso all’odierno esame, la caratterizzazione della violazione come una singola collusione comporta la considerevole conseguenza, rilevante in tema di partecipazioni assuntivamente “minori” o “marginali” alla concertazione anticompetitiva, che un partecipante sia ritenuto responsabile per tutte le azioni del cartello, anche se non abbia preso personalmente parte alla totalità di esse, una volta che abbia deciso di assentire alla concertazione medesima.

Ciò, in quanto, il cartello è una collusione (“conspiracy”) dei suoi membri e, per l’effetto, anche coloro la cui partecipazione sia stata limitata, per non aver preso parte a tutti gli aspetti dell’accordo anticompetitivo o per avervi svolto un ruolo minore, contribuiscono alla cospirazione complessiva. E pertanto, anche un partecipante in possesso di una quota minore nel mercato di riferimento può contribuire alla collusione (Tar Lazio, Sez. I, 25.7.16, nn. 8500 e 8502), purché, in una siffatta eventualità, si accerti che l’impresa che assuma di avere avuto una partecipazione limitata nella concertazione anticompetitiva intendesse contribuire agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che fosse consapevole della condotta pianificata o fosse almeno in grado di prevederla (Case Anic, cit., par. 87 e parr. 203-7; Joined Cases T-101/05 BASF AG and UCBSA v Commission [2007] ECR II-4949; Tar Lazio, Sez. I, 25.7.16, nn. 8500 e 8502).

Che, quindi, le ricorrenti richiamano singoli contratti di sublicenza, intervenuti anche tempo dopo la conclusione delle gare – ma pur sempre riferiti a quelle – non appare elemento decisivo, in quanto, come osservato anche dall’Autorità nelle sue difese in questa sede, tali accordi erano direttamente legati agli esiti delle gare di riferimento o erano comunque orientati a influenzarne il prezzo di aggiudicazione, spesso erano riconosciuti come adempimenti meramente formali, erano stipulati spesso precedentemente alle gare e non, come naturale, successivamente, consentendo così, anche solo astrattamente, alle parti coinvolte di parametrare l’offerta per la gara.

Il meccanismo era quindi sostanzialmente identico, anche se per più gare e per competizioni diverse, e per questo consolidava quel disegno strategico unitario sanzionato dall’Agcm e rivolto, nella sostanza a eliminare l’incertezza data da un libero confronto concorrenziale.

IV. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, che invoca la prescrizione quinquennale ex art. 28 l. n. 689/81.

La ricostruzione delle ricorrenti – come detto - presuppone un’inammissibile visione atomistica dei fatti oggetto di contestazione e non tiene conto che i comportamenti sanzionati erano tutti precostituiti alla realizzazione di un unico obiettivo diluito nel tempo, sicché, a fronte dell’unitarietà dell’infrazione accertata e della presenza di un illecito permanente, che non si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione non inizia a decorrere se non con la cessazione dell’infrazione complessivamente considerata (Cons. Stato, Sez. VI, 11.7.19, n. 4874), individuata correttamente nel 22 giugno 2015, ove l’assemblea della LPA ha deliberato di accettare l’offerta più alta tra quelle ricevute in riferimento alle stagioni 2015-2018 (par. 409 p.i.).

L’esistenza di un disegno strategico unitario, coordinato e continuato, vale infatti ad escludere ogni ipotesi di prescrizione o di decorso dei termini di attivazione del procedimento sanzionatorio rispetto ai singoli episodi anticoncorrenziali emersi in sede istruttoria (TAR Lazio, Sez. I, 16.11.15, n. 12931).

V. Passando all’esame del quinto motivo – sulla liceità degli accordi – se ne rileva la non condivisibilità.

Le ricorrenti fondano il loro assunto richiamando le dichiarazioni di parte del sig. OMISSIS in contrapposizione a quelle di IMG.

Ciò però non tiene conto che mentre queste ultime sono atti di chi ammette la sussistenza del disegno collusivo, sapendo di andare comunque incontro a una sanzione, le prime sono proprie di chi, nel suo interesse, tende a escludere la riconoscibilità di alcun coinvolgimento.

Nell’ambito dei suoi poteri, pertanto, l’Agcm ha svolto istruttoria per cercare riscontro alle dichiarazione confessorie; avendole trovate, ha legittimamente concluso nel senso generale sopra ricordato.

VI. Infondato è anche il sesto motivo, sugli effetti dell’intesa.

In primo luogo, per quanto riguarda il procedimento penale da parte della Procura della Repubblica di Milano, che aveva inizialmente segnalato all’Agcm l’esistenza di un possibile illecito concorrenziale, e che si era concluso con l’archiviazione, il Collegio rileva che la deduzione non è rilevante, in quanto vengono in considerazione due tipi di accertamento, quello penale e quello “antitrust”, che operano su piani differenti e che, nello specifico, hanno anche avuto riguardo a soggetti ed evidenze istruttorie diverse, essendo limitati a specifiche ipotesi di reato nei confronti di persone “fisiche”.

In riferimento agli “effetti”, il Collegio rileva che le evidenze acquisite hanno condotto l’Autorità ad accertare l’esistenza di una intesa di carattere segreto, risultata restrittiva della concorrenza per oggetto, in violazione dell’articolo 101 del TFUE, in quanto posta in essere attraverso il coordinamento delle offerte economiche nelle procedure di vendita per l’assegnazione dei diritti internazionali di trasmissione e la precedente stipula di accordi ripartitori. Il meccanismo concertativo attraverso cui si realizzava il disegno collusivo si sviluppava attraverso le assegnazioni sistematiche al medesimo soggetto delle gare, secondo lo schema: MP OMISSIS-Serie A; BE4/B4 Italia/B4 Capital-Coppa Italia/Supercoppa, cui si accompagnavano contratti di sub-licenza a favore di IMG.

Tale essendo l'illecito collusivo accertato nel procedimento “de quo”, l’Autorità non era tenuta a svolgere ulteriori accertamenti volti a verificare se l'intesa avesse in concreto prodotto effetti anticoncorrenziali sul mercato, una volta stabilito il suo oggetto anti-competitivo.

Per consolidata giurisprudenza, infatti, “…alcune forme di coordinamento tra imprese rivelano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l'esame dei loro effetti non sia necessario. Secondo la medesima giurisprudenza, si tratta in particolare, delle forme di coordinamento tra imprese c.d. "per oggetto"- come la fissazione di prezzi o la spartizione del mercato, ed in particolare, come nel caso all’esame, il coordinamento nella partecipazione alle gare d'appalto (c.d. “bid rigging”) [o a procedure consimili, n.d.r.] — che possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, perché la probabilità di effetti negativi è talmente alta da rendere inutile la dimostrazione degli effetti concreti sul mercato, ai fini dell'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 1, CE” (Tar Lazio, Sez. I, 16.11.15, nn. 12931, 12932, 12933, 12934, 12935).

Si rammenta la natura dell’intesa restrittiva della concorrenza, che integra "una fattispecie di pericolo, nel senso che il “vulnus” al libero gioco della concorrenza può essere di natura soltanto potenziale e non deve necessariamente essersi già consumato" (Cons. Stato, Sez. VI, 13.6.14, n. 3032; id., 24 ottobre 2014, nn. 5274, 5275, 5276, 5277, 5278).

Pertanto l'illecito collusivo, così accertato, non imponeva all’Autorità ulteriori accertamenti volti a verificare se l'intesa avesse in concreto prodotto effetti anticoncorrenziali sul mercato, una volta stabilito il suo oggetto anti-competitivo (Cons. Stato, Sez. VI, 3.1.20, n. 53).

Non rilevano, quindi, le censure circa l’asserita carenza di effetti dell’intesa, trattandosi di circostanza che può al più rilevare, nell’ambito del presente giudizio, ai fini della valutazione circa la gravità dell’illecito e, quindi, della quantificazione della sanzione.

VII. Riguardo al settimo motivo, inerente l’entità della sanzione, il Collegio precisa quanto segue.

L’Autorità ha qualificato l’intesa come “molto grave” in quanto volta a coordinare le offerte presentate nell’ambito delle gare indette dalla “Serie A” e tenuto conto della “particolare rilevanza per le squadre di calcio degli introiti ricavati dalla commercializzazione di tali diritti e la circostanza che l’intesa ha avuto concreta attuazione posto che uno dei soggetti interessati si è sempre aggiudicato la gara, consentendo la successiva ripartizione degli utili tra le parti. Rileva altresì che la condotta in esame è stata posta in essere dalle principali imprese operanti nel mercato dell’intermediazione di diritti audiovisivi sportivi…” (par. 415 p.i.).

Applicando il “punto 12” delle “Linee guida sanzioni” che prevede che “la percentuale del valore delle vendite considerata sarà di regola non inferiore al 15%”, l’Autorità ha fissato la percentuale del valore della base di calcolo dell’infrazione nel 20% in quanto si tratta di un’intesa in violazione dell’articolo 101 del TFUE orizzontale, di ripartizione del mercato e di carattere segreto. La percentuale appare del tutto congrua, attesa la natura dell’intesa. In argomento, non può dubitarsi del carattere “segreto” dell’intesa, che si è sviluppata attraverso lo scambio di informazioni (per mezzo di e-mail e colloqui telefonici, in cui si faceva cenno all’opportunità di non diffondere la particolarità della condotta) condivise solo tra le parti, nonché tramite la conclusione di accordi non soggetti ad alcuna forma di pubblicazione o di comunicazione a terzi. Parimenti, corretta è la delimitazione della durata dell’intesa, che nei confronti è stata individuata nell’intervallo temporale che va dal 20 agosto 2008 al 22 giugno 2015.

La presunta “informalità” delle procedure di gara e la posizione di superiorità negoziale del “banditore” non sono, poi, elementi in grado di elidere la gravità delle condotte censurate.

La percentuale applicata risulta anche congrua in ragione del decremento del valore dei diritti internazionali, a fronte del documentato incremento successivamente all’intervento dell’Autorità (cfr. par. 340 e ss.) e ciò è sufficiente a smentire le tesi delle ricorrenti sulla mancanza di effetti concreti dell’intesa.

Parimenti non censurabile è l’applicazione dell’”entry fee” nei confronti delle ricorrenti, tenuto conto della loro dimensione economica ingente al momento della condotta come individuata temporalmente e del carattere di “effettiva deterrenza” richiamato nella motivazione del provvedimento impugnato relativamente all’ingente valore economico del “gruppo MP OMISSIS”.

Riguardo alla “natura” di MP OMISSIS, si ricorda che, nel caso di imprese “monoprodotto”, l’applicazione del minimo edittale del 15% implica l’applicazione sempre del massimo edittale del 10%, per cui nel caso di specie, comunque la sanzione è stata contenuto in tale massimo e ciò vale anche per quanto riguarda l’”entry fee”.

Riguardo alla censura relativa al coinvolgimento di MP & OMISSIS Holding S.A. – in disparte la mancata impugnazione di quest’ultima del provvedimento, di cui l’assenza di liquidatore non è elemento idoneo di giustificazione, dato che la situazione di liquidazione è riconducibile a dinamiche societarie – il Collegio osserva che il sistema di calcolo della sanzione è il frutto dei principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria in materia di sanzioni “antitrust” (CGUE, 19.3.15, in C-286/13P) che evidenziano come sia corretto utilizzare, per determinare il valore delle vendite di beni e servizi ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, l’importo delle vendite realizzate dalle società del gruppo anche se non risulti accertata la loro effettiva connessione con l'intesa stessa (Cons. Stato, Sez. VI, 14.10.19, n. 6973).

Riguardo alla censura relativa alla valutazione del solo ultimo bilancio chiuso al 30 giugno 2016, il Collegio rileva che tale metodo appare conforme ai criteri indicati dall’articolo 15, comma 1, della legge n. 287 del 1990, secondo cui la sanzione va calcolata in percentuale del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida (Cons. Stato, Sez. VI, 15.7.19, n. 4990).

Sulla incapacità contributiva di MP OMISSIS, il Collegio rileva che è stato già osservato dalla Sezione, con argomenti che si riportano e che si ritengono non confutati dalle ragioni difensive delle ricorrenti in questa sede, che “…in via generale considera il Collegio che, secondo costante giurisprudenza, l'Autorità di tutela della concorrenza non è tenuta, in sede di determinazione dell'importo delle sanzioni pecuniarie, a prendere in considerazione la situazione economica dell'impresa interessata, dal momento che il riconoscimento di un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare un vantaggio concorrenziale ingiustificato alle imprese meno efficienti e adattate alle condizioni del mercato (CGUE, 19 marzo 2015, causa C-286/13 P, Dole Food Company Inc.; CGUE, sentenza 26 novembre 2013, causa C-58/12 P, Groupe Gascogne SA), ed a maggior ragione un riconoscimento più esteso di riduzioni delle sanzioni finali nell’eccezionale caso di inabilily to pay si porrebbe in contrasto con l'obiettivo primario di ottenere un sufficiente effetto di deterrenza tramite l'irrogazione delle sanzioni e rischierebbe di riconoscere un ingiustificato vantaggio a imprese che si trovano in una situazione finanziaria precaria in ragione della loro inefficienza e che, in assenza del comportamento illecito imputato (es. un cartello di prezzo) sarebbero già uscite dal mercato” (TAR Lazio, Sez. I, 15.12.17, n. 12420).

Ciò premesso, a giudizio del Collegio non appare affatto illegittimo l’operato dell’Autorità, che, quanto alla incapacità contributiva (“inability to pay”), si è attenuta al punto 31 delle Linee Guida, in base al quale l'impresa che intende avanzare tale istanza deve produrre evidenze complete, attendibili e oggettive da cui risulti che l'imposizione di una sanzione, determinata secondo quanto delineato nelle Linee Guida, ne pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica, potendo pertanto determinarne l'uscita dal mercato, in conformità alla consolidata prassi UE secondo cui il riconoscimento di una riduzione della sanzione per la c.d. “inabilily to pay” ha carattere del tutto eccezionale, posto che la previsione di un tetto massimo alla sanzione irrogabile, pari al 10% del fatturato, già assicura che la sanzione di regola non sia eccessiva rispetto alla capacità contributiva dell'impresa, ritenendo che nessuna delle società richiedenti avesse titolo per ottenere una riduzione della sanzione finale.

La circostanza, poi, che la sanzione finale irrogata sia di gran lunga superiore a quella di IMG non presenta profili di irragionevolezza ma è conforme al particolare regime di benefici previsto normativamente in favore del “leniency applicant”.

Alla luce di quanto illustrato, pertanto, il ricorso non può trovare accoglimento.

L’estrema complessità della fattispecie consente di compensare eccezionalmente le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Ivo Correale, Presidente FF, Estensore

Roberta Cicchese, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere

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