TRIBUNALE DI CASSINO SEZIONE LAVORO- SENTENZA N. 892/2017 DEL 28/11/2017
TRIBUNALE DI CASSINO
Sezione Lavoro
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Cassino, Dott. Amalia Savignano, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al Ruolo Generale delle Controversie di Lavoro e Previdenza per l’anno 2010 al n. (...), decisa alla pubblica udienza del 15.11.2017, e vertente
TRA
(...), rappresentato e difeso, in virtù di procura a margine del ricorso, dall’Avv. Marco Mattia, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Cassino, Via degli Eroi 12
RICORRENTE
CONTRO
S.S. (...) Srl, in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine della memoria di costituzione, dall’Avv. Massimo Galasso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del proprio difensore, sito in Cassino, Via Cimarosa 26
RESISTENTE
OGGETTO: riconoscimento natura subordinata del rapporto; spettanze retributive. CONCLUSIONI: quelle riportate nei rispettivi atti difensivi, da intendersi qui
integralmente riportate.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 14.6.2010, (...) si rivolgeva al Giudice del Lavoro – Tribunale di Cassino, esponendo quanto segue: di aver “lavorato alle dipendenze della Società S.S. (...) Srl dal 1° luglio 2007 al 31 dicembre 2008, con l’incarico di responsabile tecnico del settore giovanile”, “seguendo le direttive generali impartite dal presidente della Società Sportiva” e svolgendo “con carattere continuativo le funzioni direttive” dettagliate in ricorso, “attribuitegli dalla dirigenza della Soc. S.S. (...) Calcio, nell’ambito delle strategie e degli obiettivi aziendali, organizzando la propria attività con discrezionalità decisionale e responsabilità gestionale, conducendo e coordinando al meglio le risorse umane e strumentali del settore calcistico giovanile con competenza e professionalità”; di non aver mai percepito alcun compenso per l’attività svolta. Tanto premesso, chiedeva la condanna della S.S. (...) al pagamento – come da conteggio allegato – della complessiva somma di euro 32.348,00, a titolo di retribuzione per lavoro ordinario, tredicesima, indennità di ferie non godute e TFR, oltre rivalutazione ed interessi come per legge. Il tutto con vittoria di spese; importo questo conteggiato applicando i minimi tabellari di cui al CCNL Impianti sportivi, palestre, sport.
Si costituiva in giudizio la società sportiva convenuta, eccependo, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice adito, in favore degli organi interni all’ordinamento sportivo. Nel merito, contestava la fondatezza del ricorso e ne chiedeva il rigetto. Evidenziava in particolare che la S.S. (...) Srl è una società calcistica professionistica che, tra l’altro, “svolge attività giovanile sportiva”, con l’obiettivo di “garantire lo sviluppo delle attività ludico-sportive territoriali, senza alcuno scopo di lucro”; sicché “tutti coloro che prestano la loro opera in favore della società .. lo fanno gratuitamente collaborando volontariamente”. Contestando poi che il ricorrente avesse mai osservato un orario di lavoro, fosse stato mai tenuto a giustificare assenze, malattie o a richiedere permessi e in generale che fosse stato soggetto al potere direttivo e di vigilanza da parte degli amministratori della società o di personale da questi delegati, chiedeva in conclusione il rigetto del ricorso.
Escussi i testi addotti dalla parti, all’udienza del 15.11.2017 il Giudice, udita la discussione orale, decideva come da dispositivo in calce, di cui dava letture in aula.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Decidendo innanzi tutto sull’eccezione pregiudiziale sollevata dalla difesa della società resistente, deve premettersi che, se nel modulo di censimento dei collaboratori inviato alla FGC è, tra l’altro, scritto che i “collaboratori organizzativi ed amministrativi”, con la sottoscrizione del predetto modulo, prendono atto che, “ai sensi del terzo comma dell’art. 30 [dello Statuto FGC], ogni controversia – ad eccezione di quelle espressamente escluse in tale norma – può essere devoluta, su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione arbitrale della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo sport, istituita presso il CONI”, il ricorrente ha però disconosciuto la sigla apposta accanto al suo nominativo sul predetto modulo, negando di aver mai sottoscritto alcunché; disconoscimento, questo, al quale non è seguito alcun accertamento peritale sulla genuinità della suddetta sigla, nonostante l’istanza di verificazione formulata dal difensore della resistente, ritenuto che una consulenza grafologica non sarebbe potuta pervenire a conclusioni certe in ordine alla sicura attribuibilità della sigla in questione al ricorrente.
In difetto quindi della possibilità di accertare la sicura sottoscrizione del predetto modulo da parte del ricorrente, non può che escludersi l’operatività nel caso di specie della riserva di giustizia in favore degli organi interni all’ordinamento sportivo, operante peraltro nei confronti dei dipendenti o dei collaboratori, legati alle società sportive da contratti la cui stipulazione è comunicata in Lega.
Passando quindi all’esame nel merito delle domande attoree, deve premettersi che la giurisprudenza ha individuato i requisiti fondamentali della subordinazione nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall’emanazione di ordini specifici (e non di semplici direttive, compatibili anche con il lavoro autonomo), oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative (Cass. sez. lav. 02.08.2010 n. 17992; Cass sez. lav. 22.08.2003 n. 12364; Cass. sez. lav. 16.01.1996 n. 326).
I tratti qualificanti la subordinazione sono, dunque, costituiti principalmente: dall’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro; dalla conseguente limitazione dell’autonomia del lavoratore e dal suo inserimento nella organizzazione aziendale (Cass. sez. lav. 09.05.2003 n. 7139). Altri elementi, quali la collaborazione, l’assenza di rischio economico, la natura dell’oggetto della prestazione, la continuità di essa, la forma della retribuzione e l’osservanza di un orario, possono avere, invece, una portata soltanto sussidiaria, sicché non può qualificarsi come subordinato un rapporto lavorativo laddove, pur sussistendo tutti questi altri elementi, sia accertata la mancanza di quelli principali (Cass. sez. lav. 25.10.2004 n. 20669; Cass. 27.11.1986 n. 7015; Cass. 21.01.1987 n. 548). L’oggetto specifico dell’indagine circa la sussistenza della subordinazione deve consistere, dunque, nell’accertamento della “eterodirezione” delle modalità, anche di tempo e di luogo, della prestazione, nonché di uno specifico obbligo di presenza e di frequenza, con annessi obblighi di giustificazione dei ritardi e delle assenze, e della correlativa sottoposizione del prestatore d’opera ad un potere disciplinare e sanzionatorio del datore di lavoro. Costituiscono, al contrario, elementi sussidiari: a) l’inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione produttiva dell’impresa; b) l’utilizzo di locali, mezzi e strutture fornite dal datore di lavoro; c) l’assenza di rischio imprenditoriale; d) la continuità della collaborazione, quale tendenzialmente stabile messa a disposizione da parte del dipendente delle energie lavorative; e) la retribuzione predeterminata a cadenza fissa; f) l’esclusività della prestazione; g) l’infungibilità soggettiva della prestazione (Cass. sez. lav. 24.02.2006 n. 4171; Cass. sez. lav. 25.10.2004 n. 20669).
In applicazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., spetta all’attore che voglia far valere in giudizio diritti connessi all’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, a fronte delle contestazioni specifiche del convenuto in ordine alla natura del rapporto, provare la sussistenza della subordinazione, circostanza che integra un fatto costitutivo della pretesa.
Spetta, quindi, in caso di contestazione, alla parte che faccia valere diritti derivanti da tale rapporto l’obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione (Cass. sez. lav. 02.08.2010 n. 17992). Ed, ancora, si richiede che le istanze ed i mezzi istruttori chiesti da parte ricorrente debbano consentire l’accertamento dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre la sola allegazione e/o indicazione degli elementi sussidiari (quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione) non è di per sé circostanza decisiva. Ne deriva che ove, all’esito della prova, permangano dubbi circa l’inquadramento giuridico del rapporto stesso, deve necessariamente concludersi per il rigetto del ricorso, non essendo stato assolto l’onere della prova gravante sul ricorrente (Cass. sez. lav. 28/09/2006 n. 21028)”.
Ebbene, nel caso in esame, luce delle risultanze istruttorie, deve escludersi la possibilità di accogliere il ricorso, volto ad ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti.
I testi escussi, chiamati a riferire in ordine alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa del ricorrente, hanno, infatti, riferito quanto segue.
(...), direttore marketing dal 2007 al 2008 ed amministratore sino al settembre 2009, ha dichiarato: “Non mi risulta che [il ricorrente] avesse alcun incarico specifico. Le poche volte che l’ho visto si occupava del settore giovanile. Mi risulta che fosse un volontario. … Preciso che all’interno di una società calcistica il responsabile del settore giovanile è sempre legato alla società da un contratto scritto ed inoltre ha il potere di firma in lega, cioè è lui che firma al momento di un contratto con un giocatore; sicché la sua firma è depositata in lega. … Non so dire se il ricorrente seguisse quotidianamente gli allenamenti.”
(...), allenatore degli allievi nazionali nel campionato 2007/2008, ha riferito: “Il ricorrente si occupava del settore giovanile di tutte le categoria della società. Coordinava anche gli incontri con i rappresentanti di altre società, al fine di individuare altri calciatori. Faceva degli stage per reclutare ragazzi. Il ricorrente svolgeva attività di intermediazione tra tutte le squadre del settore giovanile e la società stessa, occupandosi anche della programmazione delle trasferte. Il ricorrente aveva rapporti diretti con i rappresentanti della società, presumo il Presidente ed il Direttore Generale. Nulla so in ordine ai termini degli accordi intercorrenti tra il (...) e la società. Non ho mai partecipato a riunioni tra i vertici della società ed il (...). Io periodicamente, così come gli altri allenatori, partecipavo a riunioni con il (...), per parlare della squadra e pianificare l’attività. Noi ci allenavamo tre volte a settimana e in tutte le occasioni il ricorrente era presente. Egli inoltre era presente a tutte le partite, sia in casa, sia fuori casa. Il (...) gestiva anche la contrattualistica per l’ingaggio dei giocatori. Era lui che parlava con le società, conducendo la trattativa” (v. dichiarazioni rese all’udienza del 27.2.2017, in cui il teste è stato risentito dopo essere stato escusso dal Got).
Il teste (...), membro del collegio sindacale della società dal 2005 al 2008 e segretario del settore giovanile, ha dichiarato: “Il ricorrente fu nominato responsabile tecnico del settore giovanile. Sicuramente ci fu un incarico scritto, che poi fu depositato in Lega. Altrimenti non avrebbe potuto operare in rappresentanza della società nei confronti di terzi. Il ricorrente aveva un tesserino di riconoscimento rilasciato dalla Lega. A tutti gli effetti entrò a far parte dell’organigramma societario, così come comunicato alla Lega”. Sulle attività svolte dal ricorrente lo (...) ha poi confermato le dichiarazioni del (...), riferendo però di “non [essere] in grado di dire se fosse stato pattuito un compenso per l’attività da svolgere (v. dichiarazioni rese all’udienza del 27.2.2017, in cui il teste è stato risentito dopo essere stato escusso dal Got).
In conclusione, quindi, alla luce delle testimonianze sopra richiamate, non può ritenersi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti in causa.
Appare in particolare necessario sottolineare sul punto che nessuno dei testi escussi ha precisato e/o affermato se il ricorrente, oltre a ricevere indicazioni di carattere generale (come dedotto dallo stesso ricorrente nell’atto introduttivo), fosse sottoposto anche al potere direttivo, disciplinare ed organizzatorio del datore, attraverso gli organi a tanto delegati, atteso che le semplici “direttive generali impartite dal presidente della Società Sportiva” (v. p. 3 della premessa in fatto) o il necessario coordinamento con i vertici aziendali (v. dichiarazioni dei testi sul punto) non implicano il vincolo di subordinazione, ma sono compatibili anche con il rapporto di lavoro autonomo. Premesso, quindi, che le Società Sportive possono scegliere di avvalersi del contributo di tecnici, allenatori, istruttori, dirigenti e impiegati amministrativi, sia a titolo gratuito, sia a titolo oneroso ed, in questo secondo caso, sia avvalendosi del lavoro di personale legato dal vincolo della subordinazione, sia avvalendosi della prestazione professionale di personale legato da un contratto di collaborazione sportiva, la ricostruzione puntuale delle attività svolte dal ricorrente appare del tutto neutrale rispetto all’accertamento della natura del rapporto intercorrente tra le parti.
Sicché la mancanza di una prova precisa e rigorosa sugli elementi a fondamento della pretesa del ricorrente – e, in particolare, dei requisiti indefettibili della subordinazione, alla luce dei principi sopra richiamati ed in applicazione del disposto di cui all’art. 2697
-
- c. – implica, quindi, come conseguenza che non può ritenersi raggiunta la prova in ordine dalla sussistenza, tra lo stesso e la resistente, di un rapporto di lavoro di natura subordinata.
L’incertezza circa l’inquadramento giuridico del rapporto intercorso tra le parti, non dissipata dall’istruttoria svolta, non consente, infatti, di ritenere assolto l’onere probatorio incombente, come detto, sulla parte ricorrente.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato.
Ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, così provvede:
-
-
- Rigetta il ricorso;
- Compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Motivazione riservata.
-
Cassino, 15.11.2017.
Il Giudice del Lavoro
Dott. Amalia Savignano