TRIBUNALE DI SULMONA – SEZIONE CIVILE – SENTENZA N. 51/2018 DEL 27/02/2018
Il Tribunale di Sulmona,
nella persona del giudice, dr. Giuseppe Ferruccio, all’esito dell’udienza del 25 ottobre 2017, previo scambio tra le parti di comparse conclusionali e memorie di replica, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile iscritto al n. 164 del ruolo generale dell’anno 2015, avente ad oggetto: responsabilità ex artt. 2043 e 2049 c.c.;
promosso da
(...) (C.F. …), (...) (C.F. …) e (...) (C.F. …), tutte rappr.te e difese dall’avv. Berardino Terra per procura separata allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore;
-attrici-
contro
Associazione Sportiva Dilettantistica (A.S.D.) (...) (C.F. 90033650665), in persona del l.r.p.t.;
-convenuta contumace-
nonché contro
Federazione Italiana Giuoco Calcio (C.F. 05114040586), in persona del Presidente e l.r.p.t., rappr.ta e difesa dagli avv.ti Giancarlo Gentile e Teresa Nannarone per procura in calce all’atto di citazione notificato;
-convenuta-
Lega Nazionale Dilettanti (C.F. 08272960587), in persona del l.r.p.t., rappr.ta e difesa dall’avv. Alfredo Chiantini per procura in calce alla comparsa di risposta;
-convenuta-
Generali Italia spa (P.I. 00885351007), in persona del l.r.p.t., rappr.ta e difesa dall’avv. Valentino Venta per procura notarile separatamente rilasciata e allegata alla comparsa di risposta;
-terza chiamata da FIGC-
Generali Italia spa (P.I. 00885351007), in persona del l.r.p.t., rappr.ta e difesa dall’avv. Francesco Bafile per procura notarile separatamente rilasciata e allegata alla comparsa di costituzione e risposta;
-terza chiamata da LND-
Conclusioni
Le parti hanno precisato le conclusioni come da verbale d’udienza del 25.10.2017, da intendersi qui integralmente trascritte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con atto di citazione regolarmente notificato (...),(...) e (...) hanno convenuto in giudizio l’A.S.D. (...), la Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito, per brevità, anche FIGC) e la Lega Nazionale Dilettanti (LND) per ivi sentirne accertare la concorrente e solidale responsabilità rispetto al decesso di (...) – rispettivamente, coniuge della prima e genitore delle seconde – intervenuto in occasione dell’incontro di calcio disputatosi in data 16.2.2013 presso il campo sportivo di (...) tra l’A.S.D. (...) squadra nella quale quegli militava, e la (...), nonché per la condanna di tutti i convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti per effetto dell’evento lesivo anzidetto.
1.1. A sostegno delle proprie ragioni, hanno esposto, le attrici:
- che il loro congiunto fece il proprio ingresso sul campo di gioco intorno alle ore 17:00, allorquando era in corso il 35° minuto del secondo tempo;
- che intorno al 48° minuto, e quindi sul finire dell’incontro, il (...) si accasciò a terra privo di sensi e decedette di lì a poco, come constatato nell’immediatezza dal medico del 118, “per verosimile morte cardiaca improvvisa in corso di infarto del miocardio”;
- che identica diagnosi fu formulata successivamente dalla dr.ssa Ferrone con verbale di descrizione e ricognizione di cadavere del 19.2.2013;
- che l’evento descritto è da imputarsi, in primo luogo, a responsabilità colposa del presidente e dei dirigenti dell’A.S.D. (...), squadra nelle cui fila militava il (...), per avere costoro provocato (o, comunque, non evitato) il decesso del calciatore per effetto dell’omessa acquisizione di idonea certificazione di idoneità all’esercizio di quel tipo di attività agonistica (ad onta di una specifica prescrizione in tal senso in applicazione del d.m. 18.2.1982, n. 63) o, in subordine, anche non agonistica (ai sensi del d.m.18.2.1983), con ciò non avvedendosi dell’esistenza di specifiche controindicazioni rispetto al suo impiego in ragione dell’ipertensione arteriosa della quale l’atleta soffriva da circa 2 anni;
- che, infatti, una diagnosi di ipertensione arteriosa da parte del medico del Dipartimento di Prevenzione Medicina dello Sport sarebbe stata certamente di ostacolo al rilascio della certificazione di idoneità all’attività sportiva per la stagione 2012/2013 o, quantomeno, avrebbe indotto il sanitario a formulare specifiche prescrizioni in relazione alle condizioni del suo impiego;
- che le indagini espletate in sede penale hanno invece consentito di accertare che i dirigenti dell’A.S.D. non acquisirono detta certificazione, ma si munirono – verosimilmente, solo in epoca successiva ai fatti – di una certificazione in copia fotostatica, in parte illeggibile, la quale costituiva l’evidente risultato di un’attività di falsificazione ed era stata in ogni caso formata e consegnata da soggetti diversi dal (...) o dal sanitario effettivamente preposto al suo rilascio;
- che, in ogni caso, la responsabilità dell’A.S.D. (...)potrebbe in astratto essere affermata anche ai sensi dell’art. 2050 c.c., per essersi la stessa determinata a schierare in campo un soggetto affetto da ipertensione arteriosa, nonché privo di idonea certificazione, così costringendolo ad un rilevante sforzo fisico all’aperto, con temperatura vicina a 0° e con indosso la sola divisa di gioco;
- che analoga responsabilità, ai sensi dell’art. 2049 o dell’art. 1218 c.c., deve essere affermata nei confronti della FIGC e della LND, per essersi tali enti avvalsi – quali organizzatori del campionato di calcio (...)– dell’opera dell’A.S.D. (...) Aielli in funzione del perseguimento delle loro finalità, tra le quali la tutela della salute degli atleti (ai sensi dell’art. 3 dello Statuto della FIGC e dell’art. 43 delle Norme di Organizzazione Interna della Federazione – NOIF);
- che il dovere di tutelare gli atleti dal punto di vista medico-sportivo (anche – ma non solo – attraverso l’acquisizione della certificazione di idoneità più volte richiamata) costituisce per i due enti convenuti anche l’oggetto di una obbligazione di fonte negoziale, a sua volta derivante dal fatto del tesseramento (nella specie, peraltro, regolarmente intervenuto, essendo stato rilasciato dalla Federazione, nei confronti di Giuseppe (...), il cartellino n. 001009, valido per la stagione sportiva 2012/2013);
- che, inoltre, la responsabilità della FIGC e della LND rinverrebbe comunque il proprio fondamento nel divieto generale di neminem laedere (art. 2043 c.c.), potendosi a tale esito interpretativo pervenire sul rilievo che i due enti omisero non solo ogni controllo di carattere sostanziale sulla salute dell’atleta (ben oltre la prassi della mera omologazione della certificazione di idoneità rilasciata da strutture pubbliche o private convenzionate), ma anche il preliminare e doveroso controllo di carattere formale, non vigilando sull’omessa acquisizione, da parte dell’associazione sportiva di appartenenza dell’atleta, di idonea e valida certificazione;
- che, infine, il fondamento della responsabilità degli enti convenuti può essere rintracciato nell’esercizio di un’attività pericolosa per tutte le ragioni già esposte;
- che per effetto della condotta illecita serbata da tutti i convenuti esse attrici hanno sofferto: a)
pregiudizi di carattere non patrimoniale (sub specie di danno da perdita del rapporto parentale, di danno morale soggettivo e di danno esistenziale) e patrimoniale (tra i quali quelli legati alle spese funerarie e quelli ricollegabili al venir meno di contributi, sovvenzioni o altre utilità in precedenza erogate dal familiare deceduto); b) in via subordinata, e per il solo caso in cui sia accertato che il (...) sarebbe “ugualmente deceduto” anche se non avesse disputato la partita in cui perse la vita, i pregiudizi di carattere non patrimoniale ricollegabili alla “perdita di chance di sopravvivenza e/o di guarigione a causa delle illecite condotte così come sopra descritte dei convenuti”.
- Costituendosi in giudizio, la Federazione Italiana Giuoco Calcio ha invocato il rigetto di ogni domanda esponendo, in sintesi:
- che è un dato pacifico che il (...) non si fosse sottoposto ad alcuna visita medica a partire dal mese di novembre del 2011 (con scadenza a novembre del 2012) e che, pertanto, fosse privo di certificazione di idoneità alla data dell’evento, essendo quella esibita dall’A.S.D. (...) (...) in sede di indagini preliminari affetta da falsità;
- che deve ritenersi accertato, altresì, che il (...) soffrisse, al momento del fatto, di ipertensione arteriosa, onde la sua pluriennale esperienza nel mondo del calcio (prima quale calciatore, quindi quale esperto allenatore per effetto della acquisizione della relativa licenza fin dal 1985) avrebbe dovuto certamente dissuaderlo dallo svolgere attività sportiva e dal prendere parte, come invece pacificamente aveva fatto fino al tragico evento, al campionato provinciale (...);
- che in tale condotta si annida la causa unica e assorbente del decesso, che deve pertanto restare ascritto alla responsabilità esclusiva della vittima, con ogni intuibile riflesso per le pretese risarcitorie in questa sede avanzate dalla moglie e dalle figlie;
- che, in subordine, può al più ipotizzarsi una responsabilità concorrente dell’A.S.D. (...) (...), la quale, violando la legge, il decreto del Ministero della Salute e le prescrizioni contenute nelle norme organizzative interne della federazione, consentì al (...) di scendere in campo pur sapendolo privo di idonea certificazione, invece indispensabile, ai sensi dell’art. 5 d.m. 18.2.1982,
n. 63, per l’esercizio di attività sportiva agonistica;
- che la responsabilità dell’anzidetta associazione non può in alcun modo essere estesa, a nessun titolo, nei confronti della FIGC, dal momento che: a) ai sensi dell’art. 5 poc’anzi richiamato, la certificazione di idoneità deve essere acquisita e custodita a cura dell’associazione o società sportiva di appartenenza; b) ai sensi dell’art. 43 delle NOIF, “le certificazioni di idoneità sono tenute agli atti delle società…”, le quali “sono responsabili dell’utilizzo del calciatore dal momento della dichiarazione di inidoneità, nonché dell’utilizzo di calciatori privi di valida certificazione di idoneità all’attività sportiva”;
- che, del resto, la posizione dell’associazione di appartenenza dell’atleta risulta ulteriormente aggravata dalla circostanza che, all’atto del tesseramento del (...) per la stagione 2012/2013, il suo presidente avesse espressamente dichiarato l’esistenza di valida certificazione di idoneità all’attività sportiva;
- che l’esonero da responsabilità della FIGC (e della stessa LND) discende, inoltre, dalla circostanza che, non avendo la stessa federazione alcuna competenza in materia sanitaria (essendo il rilascio della certificazione di idoneità per legge e per regolamento demandata alle strutture pubbliche o private convenzionate), neppure avrebbe potuto affidarla, come erroneamente sostenuto dalle attrici, all’associazione sportiva di appartenenza dell’atleta, con ciò venendo meno gli stessi presupposti per l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 2049 c.c., restando invece ogni addebito ai sensi dell’art. 2050 c.c. escluso dalla pacifica riconduzione dello sport del calcio nell’ambito delle attività normalmente innocue;
- che, in ogni caso, eccessiva e non provata è la quantificazione dei danni così come operata dalle attrici.
2.1. Ha concluso, la FIGC, per il rigetto di ogni domanda, quantomeno nei suoi confronti, svolgendo, per il caso di sua condanna, domanda di garanzia nei confronti della sua assicuratrice per la responsabilità civile, Generali Italia spa, di cui, conseguentemente, ha chiesto autorizzarsi la chiamata in causa.
3. Nel costituirsi in giudizio, anche la Lega Nazionale Dilettanti ha concluso come l’altra convenuta, eccependo, nell’ordine:
- il proprio difetto di legittimazione passiva, giacché, essendo tutti gli atleti assicurati per il rischio di eventi lesivi riguardanti la loro persona, le attrici ben avrebbero potuto rivolgersi direttamente alla Generali Italia spa, ricorrendo, nella specie, lo schema del contratto di assicurazione a favore di terzo;
- nel merito, l’infondatezza dell’iniziativa promossa dalle attrici, ora per il carattere volontario dello sforzo fisico al quale, partecipando al campionato dilettanti, si sottopose il (...), ora per la consapevolezza, da parte sua, di aver giocato soffrendo di ipertensione arteriosa ed essendo privo di idonea certificazione di idoneità, in un contesto, cioè, nel quale il suo tesseramento sarebbe stato certamente posto nel nulla ai sensi dell’art. 43 delle NOIF se solo atleta e associazione di appartenenza avessero comunicato ai competenti organi della Federazione e della Lega l’inidoneità del primo a svolgere quel tipo di attività sportiva;
- la non pertinenza di ogni richiamo alle fattispecie di responsabilità previste dagli artt. 2049 e 2050 c.c..
3.1. Ha concluso, quindi, per il rigetto di ogni domanda, ovvero, per il caso di riconoscimento della sua responsabilità, per la condanna di Generali Italia spa – in qualità di assicuratrice della responsabilità civile – a manlevarla dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla sentenza.
4. Autorizzata la chiamata in causa di Generali Italia spa nella duplice veste di assicuratrice della R.C. della FIGC e della LND, la compagnia si è costituita con distinte comparse, svolgendo separate difese.
5. Nella qualità di assicuratrice della responsabilità civile della FIGC, l’anzidetta compagnia ha eccepito, in sintesi, l’infondatezza delle domande attoree, quantomeno nei confronti della sua chiamante, sul duplice rilievo della insussistenza di un rapporto di preposizione tra la Federazione, l’Associazione sportiva di appartenenza del (...) e i medici sportivi esterni (gli unici, secondo il suo assunto, a poter rilasciare la nota certificazione di idoneità), nonché della carenza dei presupposti per una affermazione di responsabilità della FIGC ai sensi dell’art. 2050 c.c., per il resto contestando anche nel quantum la pretesa azionata e concludendo, quindi, per il rigetto di ogni domanda.
6. Nella qualità di assicuratrice della responsabilità civile della LND, invece, Generali Italia spa, oltre ad eccepire l’infondatezza delle domande attoree, ha invocato anche il rigetto, nei propri confronti, di quella di garanzia svolta dalla Lega, all’uopo rimarcando l’evidente inconciliabilità fra la prospettazione, da parte di quest’ultima, della propria carenza di legittimazione passiva, motivata dalla particolare natura del rischio coperto dal contratto, e l’assunto del diritto, di cui sarebbe titolare la medesima chiamante, di essere tenuta indenne dalle conseguenze eventualmente sfavorevoli di un’eventuale condanna, implicitamente motivata dalla copertura del rischio del depauperamento del proprio patrimonio in caso di affermazione della sua responsabilità civile verso i terzi. Eccepita, inoltre, anche l’esistenza di un massimale di € 80.000,00 per il caso di morte dell’assicurato, ha concluso, infine, per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto di ogni domanda proposta nei suoi confronti, con la conseguente condanna delle attrici, ed eventualmente anche della sua chiamante, alla rifusione delle spese di lite.
7. Così instaurato il contraddittorio e concessi i termini di cui all’art. 183, 6° co. c.p.c., la causa, istruita a mezzo di prova per testi e interpello, è stata assegnata a sentenza all’udienza del 25.10.2017, per essere decisa, infine, nei termini di cui appresso.
******
8. Breve ricostruzione dei fatti di causa.
8.1. Per una migliore comprensione della vicenda e delle fattispecie giuridiche involte, appare opportuna una sintetica ricostruzione dei fatti sulla scorta delle allegazioni delle parti e del compendio probatorio disponibile.
8.2. Ebbene, devono ritenersi pacifiche (e comunque provate, anche per tabulas) le seguenti circostanze: a) Giuseppe (...), all’epoca dei fatti di anni 53, soffriva di ipertensione arteriosa, a lui nota, per la quale si sottoponeva a visite periodiche e assumeva farmaci da almeno un paio d’anni circa: quanto precede, per quanto di interesse in questa sede, è stato confermato, tra gli altri, dal coniuge e dalle figlie in sede di interrogatorio formale (cfr. verb. ud. 2.3.2017), nonché dal medico di fiducia del medesimo sig. (...), dr. Olimpio Nebbioso (cfr. verb. ud. 12.4.2017); b) la stessa vittima ottenne il tesseramento FIGC/LND per la stagione sportiva 2012/2013 in data 12.10.2012, allorquando era ancora in corso di validità la certificazione di idoneità all’attività sportiva rilasciatagli in data 13.12.2011 dal medico sportivo dr. Giuseppe Cerone (cfr. pag. 68 del fasc. del P.M. prodotto dalle attrici); c) il (...), viceversa, era sprovvisto di idonea certificazione di idoneità per l’anno di interesse e, dunque, ne risultava privo alla data del decesso, verificatosi per infarto del miocardio da pregressa ipertensione arteriosa: ciò è quanto è pacifico tra tutte le parti costituite e può evincersi, in ogni caso, dalle dichiarazioni rese dal dr. Giuseppe Cerone, il quale, ascoltato quale teste all’udienza del 12.4.2017, ha negato di avere sottoposto a visita la vittima nell’anno e mezzo anteriore al decesso e di avergli rilasciato il certificato versato, nell’unico esemplare disponibile (in copia fotostatica illeggibile nel campo relativo alla data e alla sottoscrizione), agli atti del processo; d) il medesimo dr. Cerone, nella qualità di medico sportivo, aveva rilasciato almeno 18 certificati di idoneità, in corso di validità al momento dei fatti, in favore di altrettanti atleti tesserati per l’A.S.D. (...) (...), avendo egli riconosciuto l’autenticità degli originali durante le indagini svolte in sede penale (cfr. pag. 72 del fasc. del P.M. prodotto in copia dalle attrici).
8.3. Di contro, permane incertezza – anche all’esito dell’espletata istruttoria, la quale, peraltro, non ha riguardato questo specifico aspetto della vicenda – in ordine all’identità di chi formò il certificato di idoneità con data di scadenza 20.9.2013 (cfr. pag. 58 fasc. P.M. ib.) e successivamente lo pose nella disponibilità dei dirigenti dell’A.S.D. (...) (...): sotto tale profilo, infatti, il giudicante non può che registrare la contraddittorietà delle circostanze evincibili dagli atti d’indagine prodotti in copia, giacché: a) (...), all’epoca dei fatti dirigente della squadra, dapprima affermò di avere avuto contezza della consegna del certificato, da parte del (...), in epoca anteriore al tesseramento del 12.10.2012 (cfr. verbale di sit del 18.2.2013, a pag. 61 del fasc. del P.M.), nel contempo ammettendo di non averlo “esaminato con pignoleria”, e, successivamente, negò con forza di avere mai avuto notizia del rilascio del certificato, dal momento che, non essendo egli un dirigente, non competeva a lui tale incombenza (cfr. verb. di interrogatorio a seguito di notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., a pag. 12 del fasc. del P.M.); b) (...), a sua volta presidente della squadra dal 2011 al 2014, negò di avere personalmente ricevuto quel certificato e di averlo esaminato prima della data del decesso.
8.4. Sennonché, ritiene il Tribunale che la situazione di incertezza di cui si è poc’anzi dato atto non collida in alcun modo con la tesi della falsità della certificazione di idoneità, la quale, al contrario, finisce per essere ulteriormente confermata e, come si è visto, è provata anche per presunzioni: una volta accertato, infatti, che il (...) si era sempre in passato rivolto al dr. Cerone, peraltro suo amico, per il conseguimento delle necessarie certificazioni (ivi comprese quelle per l’esercizio dell’attività di allenatore, sulla base di quanto riferito dal sanitario in sede di sit: cfr. pag. 56 fasc. del P.M.) e considerato, altresì, che quel medico sportivo aveva regolarmente rilasciato certificazioni per la stagione in corso in favore di altri 18 atleti della stessa squadra, appare ragionevolmente da escludere che la certificazione di interesse potesse essere stata rilasciata da altro sanitario, né la circostanza risulta essere mai stata dedotta dalle parti costituite ovvero emersa nel corso delle indagini espletate in sede penale.
9. La responsabilità dell’A.S.D. (...) (...).
9.1. Tanto premesso in punto di fatto, ritiene il Tribunale che ricorrano gli estremi per l’affermazione della responsabilità dell’A.S.D. (...) (...) per il fatto colposo dei suoi dirigenti (in ragione del rapporto organico che li legava all’associazione di appartenenza, ove occorra anche ai sensi dell’art. 38 c.c., dal momento che, pur non essendo stata approfondita dalle parti la sua natura giuridica, può fondatamente supporsi che si trattasse di associazione non riconosciuta: cfr. Cass., Sez. 3, Sent. 26.7.2001, n. 10213).
9.2. Ora, viene nella specie in rilievo una fattispecie colposa di tipo solo apparentemente omissivo: si assume, infatti, che se l’associazione avesse acquisito, come era suo dovere, idonea certificazione (nella quale è ragionevole ritenere che il sanitario avrebbe dato conto dell’afflizione del (...) da ipertensione arteriosa), l’A.S.D. (...) (...) non avrebbe schierato sul campo di gioco – e probabilmente neanche tesserato – il calciatore Giuseppe (...), il quale, pertanto, non msarebbe stato colpito, come invece accadde, da infarto del miocardio.
9.3. Il tema della causalità, quindi, viene qui in rilievo sotto due profili affatto distinti e da esaminare, quindi, separatamente: da una parte, infatti, sta il nesso di causalità tra la condotta (tipicamente commissiva) consistita nel far scendere il (...) sul terreno di gioco, con ciò consentendogli di prendere parte alla partita e di sottoporsi, quindi, ad un rilevante sforzo fisico; dall’altra, invece, stanno l’inadempimento di un obbligo giuridico (l’acquisizione di un certificato di idoneità) e la contestuale violazione di una specifica regola di cautela posta a tutela della salute dell’atleta, cioè diretta proprio a prevenire eventi del tipo di quello in concreto verificatosi.
9.4. Sicché, muovendo, per ragioni di ordine logico, dall’esame di tale ultimo aspetto, deve constatarsi come la normativa di settore rendesse effettivamente doverosa la sottoposizione del (...) a visita medica strumentale al conseguimento della certificazione di idoneità all’esercizio di quella particolare attività sportiva. Prima di passare all’esame del fondamento normativo dell’obbligo giuridico qui scrutinato, occorre tuttavia svolgere una breve premessa sulla natura essenzialmente agonistica dell’anzidetta attività.
9.5. Benché, infatti, la questione non abbia neppure costituito oggetto di discussione tra le parti, non appare superfluo ricordare che: a) ai sensi dell’art. 1 del d.m. 18.2.1982, n. 63, “la qualificazione agonistica a chi svolge attività sportiva è demandata alle federazioni sportive nazionali o agli enti sportivi riconosciuti”, sicché, nel caso di specie, l’omessa contestazione della connotazione agonistica dell’attività da parte della FIGC e della LND assume un significato persino più pregnante di quello generalmente previsto dall’art. 115 c.p.c., equivalendo, in definitiva, ad implicita ammissione della stessa: se è vero, infatti, che spetta proprio a quegli enti la qualificazione dell’attività, ben si comprende come il silenzio dagli stessi serbato in un giudizio nel quale si discute, tra l’altro, proprio di tale aspetto postula che la circostanza debba considerarsi pacifica, senza necessità di ulteriori approfondimenti; b) in ogni caso, deve ritenersi – sulla base di un condivisibile indirizzo della giurisprudenza di legittimità – che un torneo sportivo fondato sulla gara e la competizione tra i partecipanti (quale era il campionato provinciale (...) al quale prese parte l’A.S.D. (...) (...), squadra nella quale militava il (...)) possa essere senz’altro ricondotto nell’ambito delle attività propriamente agonistiche, basandosi sull’impiego di un maggiore impegno psico-fisico in funzione del prevalere di una squadra sull’altra (Cass., Sez. 3, Sent. 13.7.2011, n. 15394); c) la qualificazione come agonistica dell’attività era inoltre prevista dal regolamento del campionato provinciale (...) 2012/2013 (sub all. 7 in fasc. FIGC).
9.6. Ciò chiarito, deve anzitutto rimarcarsi che, “Ai fini della tutela della salute, coloro che praticano attività sportiva agonistica devono sottoporsi previamente e periodicamente al controllo dell'idoneità specifica allo sport che intendono svolgere o svolgono” (art. 1 d.m. 18.2.1982, n. 63). Il relativo accertamento – che è demandato ai soggetti di cui all’art. 2 dello stesso decreto – culmina, quindi, nel rilascio della certificazione di idoneità, la cui presentazione da parte dell’interessato è “condizione indispensabile per la partecipazione ad attività agonistiche”, sussistendo pertanto l’onere, per la società sportiva di appartenenza, di conservarla presso di sé (art. 5).
9.7. Le disposizioni che precedono, quindi, determinano il sorgere di uno specifico obbligo giuridico – che ha fonte nel richiamato decreto, emanato sulla base di quanto previsto dalla legge 26.10.1971, n. 1099, a sua volta posta a presidio della tutela sanitaria delle attività sportive –, al cui adempimento sono tenuti, in modo speculare, sia l’interessato, sia la società sportiva, come può evincersi dal dovere, per quest’ultima, di custodire la certificazione e, prima ancora, di esigerne la presentazione da parte del primo.
9.8. Nel caso di specie, è provato che l’associazione avesse nella sua disponibilità una copia della certificazione di idoneità all’attività sportiva in relazione all’atleta (...). Tuttavia, non è certo – e, per vero, può fondatamente dubitarsene – che la stessa l’avesse acquisita fin da epoca anteriore al tesseramento o, quantomeno, al decesso. In questa situazione di obiettiva incertezza, appare quindi opportuno esaminare la situazione astrattamente più favorevole per l’A.S.D. (...) (...), supponendo che quest’ultima avesse ricevuto la certificazione di idoneità direttamente dal (...) in epoca anteriore al tesseramento. Ebbene, anche in tal caso risulterebbe evidente la violazione, da parte della prima, dell’obbligo giuridico sulla stessa gravante.
9.9. Ed invero, una volta accertato che il certificato era disponibile solo in copia fotostatica e si presentava illeggibile sia nel campo relativo alla data di emissione, sia in quello relativo alla sottoscrizione del sanitario, ben può evidenziarsi come l’A.S.D. (...) (...) si trovasse in una situazione sostanzialmente identica a quella ricorrente in caso di omessa presentazione del certificato e fosse, quindi, nella condizione di dover esigere dal (...) la produzione di una valida certificazione (in originale e leggibile in ogni sua parte), al fine di poter valutare correttamente il suo stato di salute e di avviare, quindi, la pratica per il suo tesseramento. Ed invero, in un contesto nel quale la tutela della salute degli sportivi costituisce una regola aurea per chiunque intenda prendere parte a competizioni agonistiche, in forma individuale oppure associata, deve ritenersi che l’acquisizione della suddetta documentazione in forma leggibile e in originale costituisca davvero lo sforzo minimo esigibile per il responsabile, perché diversamente opinando si dovrebbe concludere nel senso che neppure un adempimento di carattere schiettamente formale possa essere preteso, con evidente vulnus di ogni aspettativa di tutela e in aperta violazione, peraltro, del dettato dell’art. 32 cost..
9.10. Appare evidente, infatti, come la regola di cautela in questione fosse posta proprio a presidio della tutela della salute dell’atleta, con la precipua finalità di impedire il verificarsi di eventi pregiudizievoli in danno di quest’ultimo nell’esercizio dell’attività sportiva, potendosi ffermare, pertanto, che la morte del (...) costituì proprio la concretizzazione del rischio che le norme citate miravano a prevenire.
9.11. Ed invero, si è già sinteticamente detto sopra che l’inosservanza della regola cautelare anzidetta impedì all’A.S.D. (...) (...) di apprendere dello stato di salute dell’atleta e la indusse, quindi, dapprima a certificare la sua idoneità all’attività sportiva in funzione del tesseramento (si veda, di nuovo, il cartellino prodotto sub all. 6 in fasc. FIGC), quindi a schierarlo nell’incontro di calcio in cui il (...) perse la vita a causa di un infarto del miocardio che non si sarebbe verificato – secondo un criterio di regolarità causale, in applicazione della regola probatoria del “più probabile che non” – se il calciatore non si fosse sottoposto ad una pesante sollecitazione fisica, incidendo su uno stato pregresso già preoccupante.
9.12. A tale esito, del resto, può pervenirsi non solo sulla base delle allegazioni delle parti costituite – le quali, sul punto, sono state tutte perfettamente concordi – ma anche sulla scorta del verbale di constatazione del decesso a firma del dr. Cristiano Fabrizio e, soprattutto, del verbale di descrizione e ricognizione di cadavere a firma della dr.ssa Anna Maria Ferrone, nel quale costei individuò proprio nel pregresso stato di ipertensione arteriosa del (...) una concausa della morte, che fu determinata, più probabilmente che non, dall’interazione fra la cennata patologia e la sottoposizione dell’atleta ad uno sforzo fisico intenso.
9.13. E così, sussistono, per tutte le ragioni esposte, le condizioni per affermare la responsabilità colposa dell’A.S.D. (...) (...) in relazione all’evento morte, come verificatosi in danno di (...).
10. La responsabilità della Federazione Italiana Giuoco Calcio e della Lega Nazionale Dilettanti.
-
- 1. Così ricostruiti i termini della responsabilità dell’A.S.D. (...) (...) rispetto al
decesso di (...), il Tribunale ritiene che della condotta della prima debbano essere chiamati a rispondere, ai sensi dell’art. 2049 c.c., anche gli altri due enti convenuti in giudizio.
-
- 2. Va premesso che, in base a tale disposizione, “I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”. Ebbene, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, si tratta di una fattispecie di responsabilità sostanzialmente oggettiva, come può desumersi dalla circostanza che non è prevista, a differenza di quanto accade per altre fattispecie, la possibilità per il responsabile di fornire alcuna prova liberatoria, essendo questi chiamato a rispondere del fatto del preposto alle seguenti condizioni: a) che sia accertata l’effettiva esistenza di un rapporto di preposizione, senza che occorra necessariamente la sussistenza di un formale vincolo di subordinazione o lo stabile inserimento dell’autore del fatto nella compagine del soggetto responsabile, reputandosi invece sufficiente che quest’ultimo sia inserito, anche solo temporaneamente od occasionalmente, nell'organizzazione del preponente, anche in funzione ausiliaria e in vista della realizzazione delle finalità di quest’ultimo (Cass., Sez. 3, Sent. 16.3.2010, n. 6325); b) che sia ravvisabile, in capo al padrone o al committente, l'astratta possibilità di esercitare una posizione di supremazia o di direzione, non essendo invece necessario l'esercizio effettivo del correlativo potere; c) che il fatto sia stato commesso dal dipendente o dal commesso nell’ambito delle mansioni e dei compiti a cui è adibito, reputandosi sufficiente in tal senso la mera sussistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra il fatto illecito e le anzidette incombenze (Cass., Sez. L., Sent. 25.3.2013, n. 7403; Cass., Sez. 6 - 3, Ord. 15.10.2015, n. 20924); d) che il
preposto abbia agito non di sua iniziativa, bensì su richiesta e per conto del preponente.
-
- 3. È del tutto irrilevante, invece, la circostanza che il preponente abbia scelto personalmente il responsabile, ovvero che la scelta sia stata effettuata liberamente dal primo, ben potendo essere la stessa imposta da leggi o regolamenti. Il che, peraltro, si spiega con la considerazione che il fondamento di tale criterio di imputazione della responsabilità non è costituito, come si è talvolta ritenuto, dalla ricorrenza di una forma di culpa in eligendo o in vigilando, bensì esclusivamente dalla necessità di una corretta allocazione del danno in capo al soggetto che, giovandosi della propria organizzazione, sia in grado di meglio controllare i rischi connessi all’attività esercitata, fra i quali, indubbiamente, devono farsi rientrare quelli relativi a possibili condotte illecite da parte dei propri preposti in danno di terzi. Ciò che rileva, in definitiva, è il dato puramente oggettivo dell’inserimento di questi ultimi, anche in funzione meramente ausiliaria e occasionale, nell’organizzazione dell’ente, e ciò in applicazione del principio scolpito nel brocardo cuius commoda eius et incommoda.
- 4. Ebbene, nella specie deve ritenersi che tutte le predette condizioni siano effettivamente sussistenti.
- 5. Muovendo dal rapporto fra l’A.S.D. (...) (...) e la FIGC [che, ai sensi dell’art. 1 del suo Statuto, assume la veste di “associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) avente lo scopo di promuovere e disciplinare l’attività del giuoco del calcio e gli aspetti ad essa connessi”], può osservarsi come il suo fondamento sia da rinvenirsi, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, nell’istituto dell’affiliazione. Come correttamente rilevato dalla parte Generali Italia spa, infatti, le società e le associazioni sportive diventano soggetti di quell’ordinamento proprio in virtù del meccanismo dell’affiliazione, che costituisce l’atto con cui esse vengono riconosciute quali esercenti una data attività sportiva e vengono conseguentemente ammesse a partecipare alle manifestazioni organizzate dalla Federazione o dalla Lega, con assunzione dell’impegno, da parte loro, di rispettare le norme dello Statuto e quelle federali di organizzazione, a pena di revoca dell’affiliazione stessa.
- 6. Su tale istituto, inoltre, si fonda il rapporto fra le società sportive e la Lega Nazionale Dilettanti, la quale, a tenore dell’art. 1 del suo Statuto, “associa in forma privatistica, senza fine di lucro, le società e le associazioni sportive affiliate alla Federazione Italiana Giuoco Calcio, di seguito chiamata F.I.G.C., che partecipano ai campionati di calcio dilettanti nazionali, regionali e provinciali avvalendosi esclusivamente delle prestazioni di calciatori non professionisti”.
- 7. Ora, deve ritenersi che ambedue le fattispecie (affiliazione e associazione) rilevino anche nell’ambito dell’ordinamento della Repubblica, oltre che in quello sportivo, nella misura in cui possono costituire il presupposto per una corretta allocazione del danno ai sensi dell’art. 2049
c.c. (con ciò risultando soddisfatta la pretesa di autonomia dell’ordinamento sportivo, la quale a sua volta si fonda sull’art. 1 del d.l. 220/2003, conv. in l. 280/2003, il cui comma 2 dispone che “I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”).
-
- 8. Ciò chiarito, è da chiedersi se la FIGC e la LND siano direttamente tenute, in relazione alle manifestazioni sportive organizzate, alla tutela della salute degli atleti che, previo tesseramento, vi prendano parte quali appartenenti ad una società o associazione sportiva affiliata. Al quesito non può che darsi risposta affermativa. Sebbene, infatti, la tutela sanitaria delle attività sportive sia in prima battuta affidata alle Regioni, come correttamente osservato dalla FIGC (e ciò in base all’art. 1 della legge quadro in materia, vale a dire la l. 1099/1971), ciò non toglie che gli enti organizzatori di manifestazioni sportive siano gravati dall’obbligo, peraltro costituzionalmente presidiato, di vigilare sull’esatta osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge e dai regolamenti (tra i quali spicca, evidentemente, proprio il richiamato d.m. 18.2.1982, n. 63), nonché di prevenire, ponendo in essere tutti gli accorgimenti necessari, tutti i prevedibili eventi pregiudizievoli che possono verificarsi in danno degli atleti in occasione degli incontri. Il principio, del tutto condivisibile, è stato ripetutamente affermato dalla Cassazione (cfr. Cass., Sez. L., Sent. 8.1.2003, n. 85) e costituisce immediata estrinsecazione, peraltro, delle stesse finalità statutarie di quegli enti, tra le quali, per l’appunto, rientra proprio la tutela medico-sportiva (si vedano, in proposito, l’art. 3, co. 1 lett. e) per la FIGC e l’art. 3, 2° co. – in base al quale “Le Leghe delle società affiliate alla FIGC svolgono, salvo quanto disposto dal precedente comma, le funzioni di interesse delle società ad esse appartenenti in condizioni di autonomia funzionale” – per la Lega Nazionale Dilettanti, che, peraltro, è tenuta ad adottare tutte le misure necessarie ad assicurare l’esatta osservanza degli obblighi statutari ai sensi dell’art. 9, co. 8 dello Statuto medesimo).
- 9. Del resto, come si è già visto, è l’art. 5 del d.m. 18.2.1982 a prevedere il conseguimento della certificazione di idoneità come “condizione indispensabile” per l’esercizio di attività agonistica, conseguendo da ciò che, indipendentemente dalla individuazione dei soggetti cui è demandato il compito di rilasciarla, gli organizzatori di manifestazioni sportive agonistiche (ma lo stesso potrebbe dirsi per quelle non agonistiche) sono tenuti a verificare il possesso, da parte dei tesserati, di tutti i requisiti, anche psico-fisici, per lo svolgimento dell’attività in condizioni di relativa sicurezza per la salute, avuto riguardo all’età, alla esatta natura dell’attività stessa e ad ogni altro aspetto suscettibile di assumere rilevanza in funzione della tutela dell’atleta.
- 10. Sennonché, per l’esercizio di tale controllo la FIGC e la LND devono
necessariamente avvalersi dell’ausilio della società e delle associazioni sportive affiliate, alle quali è demandato il compito di acquisire la certificazione di idoneità presso l’atleta che intenda avviare la pratica per il tesseramento. Non rileva, peraltro, che le società e le associazioni anzidette siano anche direttamente responsabili di quei controlli in base ad una specifica disposizione dell’art. 5 d.m. 18.2.1982, n. 63, nella parte in cui prevede che la certificazione sia custodita presso di esse. Ed invero, non può dubitarsi che il riconoscimento della Federazione – che si esprime attraverso l’istituto dell’affiliazione – determini l’inserimento di tali soggetti nell’organizzazione dell’ente per il perseguimento delle sue finalità istituzionali, tra le quali, non a caso, rientrano proprio la tutela medico-sportiva e la disciplina del tesseramento delle persone.
-
- 11. Entrambe le funzioni, ancorché esercitate con la collaborazione delle società e delle associazioni affiliate, restano peraltro costantemente sottoposte ad un potere di direzione e di vigilanza da parte degli enti sportivi nazionali. In tal senso, peraltro, dispone l’art. 17, co. 1 dello Statuto della Federazione, a tenore del quale “La FIGC detta norme per la regolare sottoposizione di tutti i calciatori a controlli medici specialistici. A tale fine emana le norme per la tutela sanitaria dei giovani calciatori, del calcio nella scuola, dei calciatori dilettanti, dei calciatori professionisti e dei tecnici”; norme, queste, alla cui rigida osservanza sono soggette, a pena di sanzioni, tutte le società e le associazioni affiliate, ove si consideri che, ai sensi dell’art. 30, co. 1 dello Statuto FIGC, “I tesserati, le società affiliate e tutti i soggetti, organismi e loro componenti, che svolgono attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per l’ordinamento federale, hanno l’obbligo di osservare il presente Statuto e ogni altra norma federale e degli organismi internazionali a cui la FIGC è affiliata”.
- 12. Ciò chiarito sul piano delle fonti, è proprio la lettura dell’art. 43 delle NOIF, più volte richiamato dalle stesse parti convenute, ad offrire un decisivo indice ora dei poteri di direzione e vigilanza degli enti organizzatori, ora dei compiti assegnati alle società e alle associazioni affiliate e da queste ultime svolti in funzione del perseguimento delle finalità degli enti federali e delle leghe. Tale disposizione, tra l’altro, prevede che “Le società hanno l'obbligo di informare immediatamente, a mezzo di lettera raccomandata, la Segreteria Federale, la Divisione, il Comitato o il Dipartimento di competenza, nonché la Sezione Medica del Settore Tecnico, della accertata inidoneità alla pratica agonistica di un loro calciatore tesserato, di qualsiasi categoria, ai fini della tempestiva revoca del tesseramento” (comma 4) e che “Le Società sono responsabili dell'utilizzo del calciatore dal momento della dichiarazione di inidoneità, nonché dell'utilizzo di calciatori privi di valida certificazione di idoneità all'attività sportiva” (comma 5).
- 13. E, del resto, è lo stesso tesseramento ad essere sottoposto alla condizione che l’atleta sia stato riconosciuto idoneo all’esercizio di quella pratica sportiva (come può evincersi, per tabulas, proprio dalla copia del cartellino relativo al calciatore (...) e prodotto sub all. 6 del fasc. FIGC, nella parte in cui reca la certificazione, da parte del presidente dell’A.S.D. (...) (...), del possesso della certificazione di idoneità da parte del calciatore).
- 14. Evidente, alla luce delle coordinate che precedono, è la circostanza che il rapporto di affiliazione sottintenda, per quel che concerne la tutela sanitaria, anche un rapporto di preposizione, il quale trova la sua principale giustificazione nel fatto che la indispensabilità del conseguimento della certificazione di idoneità (ai sensi dell’art. 5 d.m. 18.2.1982, n. 63) non può che vincolare, oltre che gli atleti e la società o associazioni di cui fanno parte, anche gli enti organizzatori dei tornei; di qui, pertanto, anche la previsione del regolamento per il campionato provinciale (...) 2012/2013, secondo cui tutte le società erano tenute a sottoporre i propri tesserati a visita medica per lo svolgimento dell’attività agonistica, a pena di esclusione dalle gare.
- 15. Non opponibili alle attrici danneggiate, invece, sono le clausole limitative della responsabilità poste a tutela degli enti affilianti e organizzatori, le quali operano, per quest’aspetto, solo sul piano dell’ordinamento sportivo ovvero, comunque, su quello dei rapporti interni fra enti affiliati e affilianti.
- 16. Per concludere, irrilevante – ai fini dell’affermazione della responsabilità della FIGC e della LND ai sensi dell’art. 2049 c.c. – è la circostanza che l’A.S.D. (...) (...) avesse dichiarato, al momento dell’inoltro della richiesta di tesseramento, che il calciatore (...) era in possesso dei requisiti di idoneità prescritti dalla normativa di settore: detta evenienza, infatti, potrebbe al più rilevare in presenza di una domanda di regresso che, invece, non è stata proposta da nessuno degli enti convenuti.
11. Il concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell’art. 1227, 1° co. c.c..
-
- 1. Venendo alla posizione della vittima primaria dell’illecito, è da rimarcare che tutti i convenuti e i terzi chiamati hanno eccepito come la condotta tenuta dallo stesso danneggiato abbia assunto efficacia assorbente o almeno concorrente nella serie causale culminata con l’evento morte.
- 2. L’assunto va parzialmente condiviso.
- 3. Va premesso che costituisce fatto pacifico, come si è visto in precedenza, che Giuseppe (...) fosse ben consapevole di soffrire di ipertensione arteriosa, tanto da assumere farmaci per la cura di tale patologia e da sottoporsi, ancorché saltuariamente, ai necessari controlli. Inoltre, deve ritenersi provata la sua pluridecennale esperienza nel modo del calcio: sebbene essa sia stata (falsamente) negata dalle attrici in sede di interrogatorio formale, è invero emersa in modo nitido nella fase delle indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso questo Tribunale (si vedano, su tutti, il verbale di sit di Gaetano (...) e l’informativa di PG, nei quali si legge che il (...) svolgeva contestualmente, e comunque da anni, l’attività di allenatore in altre società dilettantistiche e aveva militato, da giovane, anche nella vecchia serie C, quale calciatore semi- professionista). Deve ritenersi, pertanto, che il medesimo (...) fosse consapevole dei rischi ai quali andava incontro partecipando alla gara, tanto più che pacificamente non si era sottoposto alla visita medica prodromica al conseguimento della certificazione di idoneità per la stagione sportiva 2012/2013.
- 4. Deve escludersi, tuttavia, che il comportamento indubbiamente colposo tenuto dal danneggiato abbia assunto efficacia causale assorbente, per sé idonea ad elidere il nesso di causalità fra la condotta del preteso danneggiante e l’evento lesivo.
- 5. Malgrado la condotta gravemente imprudente tenuta dal (...), infatti, l’A.S.D. (...) (...) avrebbe avuto tutti gli strumenti per accertare l’effettivo stato di salute dell’atleta e per scegliere, conseguentemente, di non tesserarlo e successivamente schierarlo in campo nella partita in cui perse la vita; né può ritenersi, del resto, che fosse del tutto imprevedibile o inverosimile, per l’associazione sportiva, la circostanza che un aspirante calciatore dilettante, peraltro con importanti trascorsi nell’ambiente, fosse disposto a trascurare il proprio stato di salute o, comunque, a sottovalutare le conseguenze della sottoposizione allo stress derivante dalla pratica dell’attività agonistica pur di partecipare alla competizione sportiva, eventualmente anche sottacendo le proprie condizioni e producendo, in ultima analisi (ove pure si accedesse alla tesi della falsificazione ad opera dello stesso (...), rimasta comunque indimostrata), una certificazione non valida.
- 6. Deve concludersi, pertanto, che la sola imprudenza del (...) non fu decisiva e da sola sufficiente per il verificarsi dell’evento morte, giacché l’A.S.D. (...) (...), laddove avesse tenuto la condotta per essa doverosa, anche in virtù dei compiti istituzionali esercitati per conto degli enti organizzatori, avrebbe potuto evitare che il (...) fosse schierato in campo e che, successivamente, morisse; evento, questo, che non si sarebbe verificato, almeno con quelle caratteristiche e, soprattutto, con quelle tempistiche, se la vittima – che già assumeva farmaci per curare l’ipertensione – si fosse astenuta dal praticare attività agonistica, verosimilmente incompatibile con il suo stato di salute.
- 7. Sennonché, la qualificazione in termini di gravità dell’imprudenza del (...) e la effettiva incidenza concausale che la stessa ebbe nella serie causale induce a ritenere la misura del concorso almeno pari al 50%, con attribuzione del residuo 50% di responsabilità a tutti i convenuti, a loro volta solidalmente responsabili verso le attrici ai sensi dell’art. 2055 c.c..
12. La posizione di Generali Italia spa.
-
- 1. Prima di procedere all’esame degli aspetti relativi alla quantificazione del danno, appare opportuno chiarire, brevemente, che la parte Generali Italia spa è tenuta, quale assicuratrice della responsabilità civile della FIGC e della LND, a tenere indenni le assicurate dalle conseguenze pregiudizievoli che dovessero derivare dall’accoglimento della presente sentenza.
- 2. È infondata, peraltro, l’eccezione di carenza di legittimazione passiva come svolta dalla LND sull’assunto che la domanda risarcitoria dovesse essere direttamente rivolta nei confronti della anzidetta compagnia, quale assicuratrice del rischio di morte, invalidità o di altri eventi lesivi a carico degli atleti. È sufficiente osservare, sul punto, che l’esistenza della predetta polizza costituisce un dato del tutto irrilevante nel presente giudizio, che le attrici hanno legittimamente intrapreso direttamente nei confronti dei soggetti considerati responsabili della morte del congiunto e, tra questi, della LND. Ciò non toglie, tuttavia, che la Lega abbia inteso anche svolgere domanda di garanzia avente titolo nella (distinta) polizza stipulata per il rischio di depauperamento del proprio patrimonio collegato al riconoscimento della sua responsabilità civile, con la conseguenza che anche le difese approntate da Generali Italia spa, nella parte in cui fanno leva sulla particolare natura della polizza per il rischio di morte, non appaiono in definitiva pertinenti. Va respinta, quindi, anche l’eccezione relativa alla operatività di un massimale che non trova applicazione per il caso di responsabilità civile verso terzi (cfr. pag. 12 delle condizioni di polizza in fasc. LND).
- 3. Per le stesse ragioni, peraltro, va disattesa la domanda di condanna diretta che le attrici hanno svolto, con gli scritti successivi all’atto di citazione, nei confronti delle terze chiamate, considerate solidalmente responsabili coi convenuti. Quanto precede vale senz’altro per la chiamata della FIGC, dal momento che, in tal caso, la sua qualità di stipulante di una polizza a garanzia del rischio di morte dell’atleta neppure è stata dedotta da alcuna delle parti del giudizio.
- 4. Sennonché, si ritiene che analoga conclusione debba valere per la chiamata svolta dalla LND. Irrilevante, infatti, è la circostanza che quest’ultima abbia eccepito, nel proprio atto introduttivo, la propria carenza di legittimazione passiva in relazione alla domanda di pagamento dell’indennizzo dovuto in forza della polizza stipulata a copertura del rischio di infortunio dell’atleta, dal momento che le attrici non hanno affatto formulato tale domanda con l’atto di citazione, né l’hanno fatto successivamente. A conclusioni dissimili non può pervenirsi sulla base della volontà, manifestata dalle attrici con la prima memoria ex art. 183, 6° co. c.p.c., di invocare la condanna di Generali Italia spa, nella duplice veste di assicuratrice della FIGC e della LND. Fermo restando quanto già evidenziato per la posizione della compagnia nella qualità di terza chiamata dalla FIGC, deve ritenersi che le attrici non abbiano infatti chiarito a che titolo abbiano inteso estendere la domanda nei confronti della Generali quale terza chiamata dalla LND e, in particolare, se lo abbiano fatto sull’assunto della loro posizione di aventi causa dall’assicurato nell’ambito della polizza infortuni (restando le stesse, quanto alla diversa polizza per la responsabilità civile, del tutto carenti di legittimazione attiva). Al contrario, esse hanno dedotto, in ogni parte dei loro scritti difensivi, esclusivamente in ordine alla responsabilità delle parti convenute, senza mai neppure accennare al diverso titolo indennitario della propria pretesa nei confronti della compagnia. In tal senso, d’altra parte, vanno lette le stesse conclusioni rassegnate dalle attrici con la comparsa conclusionale, nella quale, non a caso, la condanna “in via solidale e/o non solidale” di Generali Italia spa è invocata sul rilievo della sua veste di “assicuratore di FIGC e LND” (cfr. pag. 53).
- 5. Ne consegue la reiezione della domanda di condanna da costoro proposta in via diretta nei confronti dell’anzidetta compagnia.
13. Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.
-
- 1. Passando quindi alla quantificazione delle somme spettanti alle attrici a titolo di risarcimento dei danni subiti, occorre anzitutto determinare gli importi da corrispondere loro per la riparazione del danno non patrimoniale.
- 2. Ebbene, è ormai consolidato il principio secondo cui “l'interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, per la definitiva perdita del rapporto parentale, si concreta nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost. Esso si colloca nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., in raccordo con le suindicate norme della Costituzione” (ex plurimis, Cass. Sez. 3, Sent. 19.8.2003, n. 12124).
- 3. Detta posta di danno, peraltro, copre un’area di pregiudizio che si pone al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi essa nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra prossimi congiunti, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti (cfr. Cass., sez. 3, sent. 9.5.2011, n. 10107).
- 4. In giurisprudenza, inoltre, si osserva che il danno parentale deve ritenersi presunto quando si riferisca agli stretti congiunti della vittima, specialmente quando costoro fossero con essa conviventi (Cass., Sez. 3, Sent. 16.3.2012, n. 4253), con la conseguenza che è onere del danneggiante, in tali casi, vincere tale presunzione attraverso la dimostrazione di fatti incompatibili con la sua effettiva sussistenza (Cass., Sez. 3, Sent. 17.4.2013, n. 9231).
- 5. Sennonché, nella determinazione del tipo di pregiudizio che si va a risarcire occorre anche tener conto, al fine di evitare inammissibili duplicazioni, dei principi recentemente emersi nella giurisprudenza di legittimità. Ebbene, la Corte di cassazione, dopo aver sancito la natura onnicomprensiva del danno non patrimoniale, ha chiarito come la sua liquidazione debba tenere conto di tutte le sue possibili manifestazioni, evitando, però, di incorrere nella artificiosa moltiplicazione di poste risarcitorie. Muovendo da tali premesse i giudici di legittimità hanno in particolare affermato che, nell’ipotesi di morte del congiunto, costituisce una inammissibile duplicazione la congiunta attribuzione sia del danno morale, sia di pregiudizi definiti esistenziali o da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato (Cass., Sez. Un., Sent. 11.11.2008, n. 26972; ma, sostanzialmente nello stesso senso, si vedano, più di recente, Cass., Sez. 3, Sent. 17.12.2015, n. 25351; Cass., Sez. 3, Sent. 13.1.2016, n. 336; Cass, Sez. 3, Sent. 19.10.2016, n. 21060).
- 6. Ne consegue che va decisamente respinta l’aspirazione delle attrici ad ottenere somme ulteriori a titolo di danno morale e in virtù dello sconvolgimento delle abitudini di vita (cd. danno esistenziale) – peraltro solo enunciato attraverso il ricorso a mere formule di stile e, quindi, nemmeno compiutamente allegato – posto che tali ulteriori voci, anche al netto della nota diatriba in merito al rapporto tra principio dell’integrale riparazione dei pregiudizi sofferti e natura eterogenea del danno non patrimoniale, non sarebbero in ogni caso sostenute dall’adempimento dei citati oneri sul crinale assertivo e probatorio (non senza considerare, inoltre, che il danno parentale deve già intendersi comprensivo della sofferenza morale conseguente, non solo in via precaria, al lutto subito: cfr. Cass., sez. 3, sent. 17.4.2013, n. 9231).
- 7. Va poi rilevato che nella determinazione delle somme da attribuire alle attrici per ristorarle del predetto pregiudizio il Tribunale ritiene di utilizzare le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale adottate dall’Osservatorio per la giustizia civile del Tribunale di Milano nella versione più recente, e ciò anche alla luce delle posizioni espresse nella giurisprudenza di legittimità (si allude, in particolare, al principio di diritto enunciato da Cass., Sez. 3, Sent. 7.6.2011, n. 12408).
- 8. Nella suddetta pronuncia, infatti, la Corte di Cassazione ha premesso di ritenere che, nella perdurante mancanza di riferimenti normativi per le invalidità dal 10 al 100% e considerato che il legislatore ha comunque già espresso, quanto meno per le lesioni da sinistri stradali, la chiara opzione per una tabella unica da applicare su tutto il territorio nazionale, è suo specifico compito, al fine di garantire l'uniforme interpretazione del diritto (che contempla anche l'art. 1226 c.c., relativo alla valutazione equitativa del danno), fornire ai giudici di merito l'indicazione di un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona, quale che sia la latitudine in cui si radica la controversia. Su tali premesse, la Suprema Corte ha precisato di ritenere inopportuno contrapporre una propria scelta a quella già effettuata dai giudici di merito di molti tribunali, che, al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali, hanno posto a base del calcolo medio i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale.
- 9. Muovendo da tali basi, i giudici di legittimità hanno dunque affermato che i predetti valori costituiranno d'ora innanzi, per la giurisprudenza della Corte, il valore da ritenersi equo, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento, da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l'entità.
- 10. I principi espressi nella predetta sentenza, peraltro, possono essere estesi anche alla liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto, in considerazione delle ragioni di equità ed omogeneità delle liquidazioni ad essi sottese.
- 11. Ebbene, gli importi previsti dalle predette tabelle a favore del figlio per la perdita del genitore ed a favore del coniuge sopravvissuto vanno da un minimo di € 163.990,00 ad un massimo di € 327.990,00.
- 12. Sicché, nel determinare la somma in concreto spettante per ogni singolo danneggiato si dovrà tener conto, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, dei seguenti parametri, che trovano fondamento in massime di esperienza:
- l'età del defunto, sul presupposto che quanto più sia avanzata, tanto meno intenso sarà il dolore per la perdita, perché quest'ultimo sarebbe stato comunque provato in un futuro prossimo;
- l'età e il sesso del superstite che domanda il risarcimento, sul presupposto che, secondo l’id quod plerumque accidit, persone mature e di sesso maschile fanno fronte alle emozioni con maggior compostezza e forza rispetto ai ragazzi e alle donne;
- la convivenza col defunto, sul presupposto che, dove vi fosse convivenza, la perdita della persona cara produce una maggiore sofferenza in considerazione dell'inevitabile mutamento dello stile di vita del superstite;
- la composizione del nucleo familiare, sul presupposto che la vicinanza di persone care nei momenti di dolore è un valido aiuto al superamento del lutto e che, per contro, la solitudine aggrava la sofferenza;
- le modalità di commissione dell'illecito, sul presupposto che quanto più queste siano state efferate, drammatiche o addirittura tragiche, tanto più acuto sarà il dolore provato dai familiari della vittima.
- 13. Nel caso di specie va considerato: a) che la vittima è deceduta all’età di cinquantatre anni; b) che le attrici avevano, al tempo del suo decesso, l’età di quarantotto, ventuno e sedici anni,
- che le stesse convivevano con la vittima; d) che l’illecito si è verificato in circostanze senz’altro
drammatiche ma non con modalità efferate, violente o particolarmente strazianti (come sarebbe stato in costanza di una lunga agonia), dal momento che, secondo quanto dedotto dalle stesse attrici, la morte intervenne in modo sostanzialmente istantaneo rispetto al malore.
-
- 14. Alla luce delle predette circostanze questo Giudice ritiene equo determinare l’importo spettante alla (...) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in € 180.000,00 e l’importo spettante a (...) e a (...) al medesimo titolo in € 220.000,00, importi che devono essere ridotti ad € 90.000,00 ed € 110.000,00 in considerazione della percentuale di responsabilità, pari al 50 %, attribuita alla vittima. In proposito, infatti, non è dubbio che il concorso di colpa di quest’ultima si rifletta – pur se non necessariamente ai sensi dell’art. 1227, 1° co. c.c. – sulla quantificazione del danno, che non può essere addossato al danneggiante anche per la porzione di responsabilità che non gli è imputabile né in alcun modo riferibile (Cass., Sez. 3, Sent. 12.4.2017, n. 9349).
- 15. La ragione per la quale appare giusto differenziare l’importo spettante alla (...) da quello spettante alle figlie è invece da rinvenire nel fatto che può fondatamente presumersi, secondo massime di comune esperienza, che l’impatto emotivo patito da costoro per effetto della morte del padre – anche in relazione alla loro età al momento del fatto, essendo all’epoca appena ventunenne, laddove (…) era ancora minorenne – sia stato maggiore di quello prodotto nella madre, la cui maggiore maturità rendeva più agevole l’elaborazione del lutto, senza tralasciare di considerare che il coniuge può sempre lenire la sofferenza derivante dalla perdita del rapporto coniugale passando a nuove nozze, mentre la figura paterna non è in alcun modo sostituibile.
14. Segue. Il danno non patrimoniale da perdita di chance di sopravvivenza.
-
- 1. Le attrici hanno inoltre domandato il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita di chance di sopravvivenza (iure hereditatis, sebbene loro lo prospettino, in alternativa ma del tutto impropriamente, anche iure proprio), sulla scorta della deduzione che il (...), ove non sottoposto allo sforzo fisico di cui si è detto, avrebbe avuto “maggiori possibilità di guarigione e/o di sopravvivenza”.
- 2. La domanda va respinta sotto un duplice profilo. In primo luogo, ma in misura in realtà assorbente, va osservato che sono le stesse attrici, invero assai singolarmente, a prospettare tale posta risarcitoria solo “in via del tutto subordinata e nella denegata, non creduta e non provata ipotesi in cui il giudicante ritenga che il sig. (...) Giuseppe sarebbe ugualmente deceduto anche se non avesse disputato la partita di calcio per cui è causa” (cfr. pagg. 29 e ss. atto di citazione). Sicché, la domanda in questione non dovrebbe neppure essere delibata sulla base della stessa volontà espressa dalle attrici, non essendo stata neppure esaminata – in assenza di deduzione alcuna sul punto da parte loro, né da parte dei convenuti e dei terzi chiamati – l’eventualità che il (...) sarebbe “ugualmente deceduto anche se non avesse disputato la partita di calcio per cui è causa” (circostanza, questa, che deve essere considerata, in sé, del tutto ovvia, posto che la morte è certa nell’an, ancorché non lo sia nel quando).
- 3. In secondo luogo – e in ogni caso – tale posta di danno risulterebbe comunque insuscettibile di risarcimento, sulla scorta della considerazione che non è stato nemmeno dedotto che il (...) sia rimasto in vita, dopo l’evento, per un tempo sufficiente a determinare il sorgere, in suo favore, di un credito di natura risarcitoria (trasmissibile, per via ereditaria, alle attrici), con la conseguenza che la stessa finisce per coincidere con il cosiddetto danno da perdita della vita, per sua natura irrisarcibile (si veda, in tal senso, Cass., Sez. Un., Sent. 22.7.2015, n. 15350).
15. Il danno patrimoniale emergente. Le spese funerarie.
-
- 1. All’attrice (...) spetta senz’altro, invece, il danno patrimoniale emergente prodottosi per effetto del pagamento delle spese funerarie per il complessivo importo di € 4.501,81 (cfr. fattura n. 11/13 sub all. 13 in fasc. attrici), da ridurre in misura della metà, ancora una volta, in ragione del concorso colposo della vittima primaria dell’illecito, onde la risarcibilità della somma di
€ 2.250,90 per questo titolo.
16. Segue. Il danno patrimoniale da lucro cessante.
-
- 1. Quanto al danno patrimoniale da lucro cessante va in generale osservato che qualora il fatto illecito produca quale evento lesivo la morte del soggetto passivo il danno patrimoniale da lucro cessante astrattamente spettante ai suoi prossimi congiunti può consistere nella perdita di quei contributi, sovvenzioni od altre utilità economicamente apprezzabili che per legge (ad es., ex art. 230 bis, 315, 433 c.c.) o per solidarietà familiare, sarebbero state loro corrisposte dalla vittima (ex plurimis, Cass., Sez. 3, Sent. 25.3.2002, n. 4205).
- 2. E’ pertanto onere di costoro provare, anche sulla scorta di presunzioni, che il congiunto deceduto corrispondeva loro con regolarità delle sovvenzioni economiche (tra le altre, Cass., Sez. 3, Sent. 17.11.1999, n. 12756).
- 3. Ebbene, nel caso di specie il mero fatto della convivenza appare sufficiente a ritenere provato, per presunzioni: a) che il (...) contribuisse in maniera stabile al mantenimento delle figlie, tenuto anche conto della loro età; b) che, inoltre, partecipasse economicamente con la moglie al pagamento degli oneri collegati alla gestione della casa di abitazione e, più in generale, al mantenimento del nucleo familiare (onde sarebbe corretto parlare, sotto tale ultimo profilo, non già di contributi che il (...) riversava alla moglie per il suo mantenimento, ma di utilità che costei ricavava dalla convivenza con il coniuge in funzione delle spese collegate al menage familiare).
- 4. E, del resto, (...) non ha dimostrato in alcun modo, né tantomeno allegato, di non essere percettrice di propri redditi. Al contrario, la circostanza che ella lavorasse e producesse reddito (con conseguente tendenziale autosufficienza economica della stessa) può essere senz’altro desunta dalle dichiarazioni della teste Anna Del Roscio, la quale, dopo aver premesso di svolgere il lavoro di impiegata, ha precisato di essere una collega della moglie del (...) dal 2002 ad oggi. Ne discende che, essendo recisamente da escludere che la (...) fosse destinataria di regolari sovvenzioni economiche da parte del coniuge deceduto a titolo di mantenimento, deve ritenersi che alla stessa spetti una somma che vada a coprire la sola perdita delle utilità derivanti dal concorso del coniuge all’adempimento degli oneri economici tipici di ogni famiglia di classe media (in tal senso, del resto, vanno anche le dichiarazioni della teste Del Roscio, la quale ha riferito che “è capitato tante volte che lo stesso Giuseppe venisse nel luogo di lavoro della moglie e mio e raccontasse di avere pagato le tasse universitarie della primogenita o di avere pagato le rate del mutuo contratto per sistemare un terreno di proprietà e di cui io ero a conoscenza; così come bollette ed altri pagamenti”: cfr. verb. ud. 3.5.2017).
-
- 5. Per ciò che attiene alla quantificazione delle somme che vanno riconosciute alla (...) e alle altre due attrici ai titoli anzidetti, va innanzitutto rilevato che, stante l’impossibilità di determinarne con esattezza l’ammontare, il danno di cui trattasi va necessariamente liquidato con valutazione equitativa secondo i criteri appresso esposti.
- 6. Quanto al reddito sulla scorta del quale effettuare il relativo calcolo, si ritiene che vada preso in considerazione quello netto, vale a dire quello che residua detraendo dal reddito complessivo l’ammontare delle imposte, atteso che diversamente le danneggiate conseguirebbero un ingiustificato arricchimento, posto che esse non avrebbero mai potuto ricevere quanto dovuto al fisco dal loro congiunto (v. Cass., Sez. 3, Sent. 2.3.2004, n. 4186).
- 7. Ora, secondo quanto emerge dai cedolini relativi allo stipendio percepito dal (...) (impiegato del Ministero della Giustizia con la qualifica di assistente amministrativo), il reddito complessivo lordo maturato dallo stesso nell’anno 2012 ammontava ad € 13.400,00, mentre quello che avrebbe maturato nel corso dell’anno 2013, se non avesse cessato di vivere, sarebbe risultato di poco inferiore, e pari ad € 12.940,20. Facendo una media tra i due importi (€ 13.170,10) e detraendo dal risultato una percentuale corrispondente alla verosimile incidenza della pressione fiscale (che si stima equo indicare, tenuto conto, tra l’altro, delle detrazioni, nell’8%), si ottiene così il presumibile reddito del (...) al netto delle imposte, pari ad € 12.116,49, arrotondabile per eccesso ad € 12.120,00 annui.
- 8. Ciò premesso, per quantificare la somma spettante alle attrici a titolo di lucro cessante occorre tener conto delle presumibili variazioni che il predetto reddito avrebbe avuto nel tempo, determinare la c.d. quota sibi, cioè la percentuale del reddito percepito che la vittima presumibilmente destinava a se stessa, quantificare il danno già prodottosi, cioè le elargizioni perdute dalle medesime dalla data del sinistro fino alla data della liquidazione, ed, infine, determinare il danno futuro, cioè le sovvenzioni economiche che costoro avrebbero percepito nei prossimi anni se il (...) fosse rimasto in vita.
- 9. Ebbene, quanto alle possibili variazioni reddituali future, può ritenersi nozione rientrante nella comune esperienza il fatto che il reddito di un impiegato pubblico sia destinato a non mutare sensibilmente con il passare degli anni; il che, peraltro, può a maggior ragione affermarsi per il (...), ove si consideri che: a) il suo reddito sarebbe addirittura lievemente diminuito nel passaggio dal 2012 al 2013, secondo quanto risultante per tabulas; b) esso, in ogni caso, sarebbe verosimilmente diminuito non appena egli non fosse stato più nella condizione di fruire delle detrazioni collegate al mantenimento delle figlie, comunque prossime, per quanto si dirà, sia pure in base a criteri inevitabilmente presuntivi, a distaccarsi dal nucleo familiare d’origine; c) il (...) era di età non più giovanissima e avrebbe avuto, ad oggi, 58 anni; d) le attrici, in ogni caso, non hanno allegato alcun elemento che potesse deporre per una variazione in melius del reddito del loro dante causa nel tempo, essendosi esse limitate a dedurre che lo stesso percepiva, al momento della morte, un reddito di circa 13.000 euro annui.
- 10. Per ciò che concerne, invece, la quota sibi, tenuto conto dell’ammontare del reddito, del numero dei componenti del nucleo familiare, della circostanza che entrambi i coniugi fossero percettori di reddito, può ritenersi che il (...) destinasse alla moglie (recte: al pagamento delle spese collegate al sostentamento del nucleo familiare) un importo pari ad 1/4 dei propri guadagni e alle figlie (le quali verosimilmente si giovavano anche dell’aiuto materno) una somma pari ad 1/2, da dividere in misura uguale tra le due (1/4 ciascuna), trattenendo per il soddisfacimento dei propri bisogni personali la residua quota di 1/4.
-
- 11. Traducendo in termini economici le quote di cui innanzi in relazione al tratto temporale intercorrente tra il 16.2.2013 (data della morte) e la data di pubblicazione della presente sentenza, ciascuna delle attrici avrebbe ricevuto – rispettivamente, a titolo di contributo o di mantenimento – l’importo, stimato equo, di € 3.030,00 annui. Tale importo va poi riattualizzato a seconda dell’anno in cui sarebbe stato percepito e, quindi, con decorrenze dal 16.2.2014 (trascorso un anno dalla morte) e dal corrispondente giorno degli anni successivi fino all’attualità. Si ottiene, così, la somma di € 12.292,71, la quale, previa riduzione del 50% in € 6.146,40, spetta ad ognuna delle attrici a titolo di lucro cessante per il periodo anteriore alla decisione.
- 12. Appare inoltre equo calcolare anche il danno futuro secondo lo stesso criterio, ancorché in tal caso vadano tenute distinte le posizioni di (…) e (...) da quella della madre, (...).
- 13. Mentre le prime due – attualmente di 26 e 21 anni – hanno diritto al risarcimento di tale posta di danno per il solo tempo intercorrente tra la data di pubblicazione della presente sentenza e il momento nel quale deve presumersi che conseguiranno l’autosufficienza economica (non essendo stata neppure allegata alcuna forma di ulteriore pregiudizio economico per le stesse), la seconda ne ha tendenzialmente diritto per un tempo almeno pari a quello in cui Giuseppe (...) sarebbe rimasto in vita senza l’evento lesivo più volte descritto.
- 14. E così, appare corretto presumere, sulla base di massime di comune esperienza e del notorio, che entrambe le figlie di Giuseppe (...) saranno nelle condizioni di rendersi economicamente indipendenti al compimento del trentesimo anno di età, a tale esito potendosi pervenire sulla scorta della considerazione che (...) è una studentessa universitaria (come si evince dalle dichiarazioni della teste (…) e che, con molta probabilità, anche (...) ha intrapreso gli studi universitari. Appare quindi probabile, avuto riguardo all’attuale contesto economico e alla notoria difficoltà per i giovani (non solo neo-laureati) di reperire un’occupazione con carattere di stabilità, che l’autosufficienza non possa verosimilmente essere raggiunta prima del compimento di quell’età.
- 15. Ne consegue la spettanza: a) in favore di Silvia (...), dell’ulteriore importo di € 6.090,30 (pari alla quota di ¼ del reddito annuo paterno, già riattualizzato, moltiplicata per 4 anni e successivamente diminuita del 50%); b) in favore di (...) (...), della somma di € 13.703,20 (considerati gli anni – complessivamente 9 – che la separano dal compimento dei trent’anni, oltre che la necessaria decurtazione, anche in tal caso, in misura della metà). Nessuno di tali importi è soggetto ad ulteriore rivalutazione o ad altri incrementi in ragione del fatto che la perdita del potere d’acquisto della moneta è ovviabile con l’effettuazione di efficaci forme d’investimento, tanto più che le attrici conseguiranno immediatamente, per effetto della presente sentenza, somme che avrebbero viceversa ricevuto solo nel tempo.
- 16. Quanto a (...), deve invece ritenersi che la stessa avrebbe continuato a beneficiare del contributo del (...) per l’intera durata della vita di costui, tenuto conto del fatto che di regola la vita media di una donna è superiore a quella di un uomo e che la stessa, quindi, gli sarebbe in ogni caso verosimilmente sopravvissuta. Sicché, considerato che l’aspettativa di vita media per un uomo risulta pari, in base alle ultime statistiche Istat, a 80,6 anni e che il (...) ad oggi ne avrebbe già 58, appare equo liquidare al coniuge l’ulteriore importo, a titolo di danno futuro, di € 34.258,00 (pari alla quota di ¼ del reddito annuo del coniuge, già riattualizzato, moltiplicata per 22 anni e 6 mesi e successivamente diminuita del 50%). Anche tale somma non può essere ulteriormente incrementata, ora per le argomentazioni già spese per le figlie, ora sulla base della circostanza che una stima per difetto è imposta dal fatto che il reddito da pensione del (...) sarebbe stato certamente inferiore, anche se di poco, rispetto a quello percepito quale lavoratore attivo. Irrilevante – nel senso di una eventuale diminuzione di tale somma – risulta invece la circostanza che la (...) possa essere riconosciuta titolare di una pensione di reversibilità (evenienza, questa, rimasta anche del tutto indimostrata), dal momento che una situazione siffatta non presenterebbe comunque alcun nesso con il fatto illecito, fondandosi su un titolo completamente differente (in tal senso, da ultimo, Cass., Sez. 3, Sent. 25.8.2006, n. 18490).
17. Quantificazione complessiva del danno al lordo di rivalutazione e interessi compensativi.
-
- 1. Sulle somme dovute alle attrici a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, di danno patrimoniale emergente e di danno patrimoniale da lucro cessante (nel solo tratto anteriore alla pubblicazione della presente sentenza) sono altresì dovuti, previa devalutazione delle stesse alla data dell’evento, gli interessi compensativi sulle somme rivalutate anno per anno, così potendo computarsi il cosiddetto danno da ritardo, vale a dire il danno derivante dalla mancata disponibilità delle somme nel tratto compreso tra il verificarsi dell’evento lesivo e il riconoscimento del risarcimento per equivalente (Cass., Sez. Un., Sent. 17.2.1995, n. 1712 ). Sicché, possono schematicamente riconoscersi:
-
- a (...) la somma di € 138.163,96, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza fino al saldo;
- a Silvia (...) la somma di € 128.780,57, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza fino al saldo;
- a (...) la somma di € 136.393,57, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza fino al saldo.
-
- 2. Somme, quelle sopra indicate, che le convenute A.S.D. (...) (...), FIGC e LND sono condannate, solidalmente tra loro, a pagare alle attrici, mentre Generali Italia spa va condannata a tenere indenne le ultime due di quanto dovranno pagare alle attrici in forza della presente sentenza.
18. Le spese del giudizio.
-
- 1. Le spese del giudizio, in ragione della parziale soccombenza reciproca, vanno compensate in misura della metà, con condanna di tutti i convenuti, in solido tra loro, a rifondere a (...),(...) e (...) la residua metà, precisandosi che, nel determinare la misura della compensazione, si è tenuto conto ora dell’incidenza causale del concorso di colpa della vittima primaria dell’illecito, ora del cospicuo divario fra le somme domandate dalle attrici e quelle loro effettivamente riconosciute con la sentenza.
- 2. Le spese vanno compensate per intero, invece, per quel che concerne i rapporti tra la FIGC, la LND e Generali Italia spa, nella duplice veste sopra esposta, giacché, una volta chiarito l’equivoco generato dalle difese svolte dalla Lega, ogni questione controversa è stata sostanzialmente risolta tra le parti citate.p.t.m.
Il Tribunale di Sulmona, definitivamente pronunciando nel proc. n. 164/15 R.G., ogni altra domanda, difesa ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede:
- accerta e dichiara la responsabilità di A.S.D. (...) (...), Federazione Italiana Giuoco Calcio e Lega Nazionale Dilettanti per la morte di (...) e, previo riconoscimento del concorso di colpa di costui in misura del 50%, condanna tutti i convenuti, in solido tra loro, a risarcire alle attrici i danni sofferti in conseguenza dell’evento lesivo come descritto in motivazione, danni che liquida:
quanto a (...), in complessivi € 138.163,96, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza fino al saldo;
quanto a (...), in complessivi € 128.780,57, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza fino al saldo;
quanto a (...), in complessivi € 136.393,57, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza fino al saldo;
- dichiara compensate in misura del 50% le spese tra le attrici e tutti i convenuti, con condanna di costoro, in via solidale tra loro, a rifondere alle prime la residua metà, che liquida per intero in complessivi € 735,06 per esborsi e in € 21.387,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario, Cassa avvocati e Iva come per legge;
- condanna Generali Italia spa a tenere indenni la FIGC e la LND di quanto costoro dovranno pagare alle attrici in forza dei capi a) e b) del presente dispositivo di sentenza;
- dichiara l’integrale compensazione delle spese tra le convenute FIGC e LND, da una parte, e la compagnia chiamata in causa, dall’altra
Giuseppe Ferruccio