F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione IV – 2021/2022 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0037/CFA pubblicata il 16 Novembre 2021 (motivazioni) – società Benevento Calcio s.r.l. e Sig. Thiam Pape Samba

Decisione/0037/CFA-2021-2022

Registro procedimenti n. 0041/CFA/2021-2022

Registro procedimenti n. 0042/CFA/2021-2022

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

IV SEZIONE

 

composta dai Sigg.ri:

Marco Lipari – Presidente

Enrico Crocetti Bernardi  - Componente

Raffaele Tuccillo - Componente (relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sui reclami numeri 0041/CFA/2021-2022, proposto dalla società Benevento Calcio s.r.l. e del Sig. Thiam Pape Samba, rappresentati e difesi dall’Avv. Flavia Tortorella;

e 0042/CFA/2021-2022, proposto dalla società Delfino Pescara 1936 S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Nicola Lotti ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Pescara, alla via Nicola Fabrizi n. 61

contro

la Lega Italiana Calcio Professionistico,

nonché

la Federazione Italiana Giuoco Calcio; per la riforma della decisione del Tribunale Federale Nazionale, sezione tesseramenti, n. 0016/TFN-ST/2020-2021 del 13.09.2021; visti i reclami e i relativi allegati; visti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza, tenutasi in videoconferenza il 10 novembre 2021, il dott. Raffaele Tuccillo;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

Con provvedimento del 2 settembre 2021, l’Ufficio Tesseramenti della Lega Pro, in riscontro alla richiesta formulata da parte della Delfino Pescara 1936 spa ha respinto la richiesta di tesseramento in favore del Benevento s.r.l. del calciatore Thiam Pape Samba per “violazione del combinato disposto delle norme di cui alle lettere E) ed F) del Comunicato Ufficiale Figc n. 268/A del 10 giugno 2021, previste per le Società che disputeranno nella stagione sportiva 2021/2022 il campionato di Serie C”.

Con ricorsi, rispettivamente del 9 settembre 2021 e del 20 settembre 2021, proposti dinanzi al Tribunale Federale Nazionale, riuniti d’ufficio dal medesimo tribunale, le Società Benevento Calcio S.r.l. e Thiam Pape Samba, con il primo ricorso, e la Delfino Pescara 1936 Spa, con il secondo, hanno chiesto l’annullamento del provvedimento di rigetto della variazioni di tesseramento, adottato dalla Lega Italiana Calcio Professionistico – Lega Pro e, conseguentemente, la variazione di tesseramento riguardante il calciatore Thiam Pape Samba, in favore della società Delfino Pescara 1936 Spa.

Con la decisione impugnata il Tribunale respingeva i ricorsi, ritenendo la decisione dell’ufficio tesseramenti adeguatamente motivata e coerente con la normativa applicabile.

Con autonomi reclami le due società e il calciatore impugnavano la decisione resa dal Tribunale Federale Nazionale, contestando, in particolare: la violazione dell’obbligo di motivazione e del divieto di motivazione postuma; la violazione e falsa applicazione del comunicato n. 268/A del 10 giugno 2021 e della normativa CONI e statale sulla limitazione all’ingresso di sportivi extracomunitari.

Si costituiva la FIGC chiedendo il rigetto dei reclami.

All’esito della discussione orale, i reclami erano trattenuti in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente disposta la riunione dei reclami, proposti separatamente avverso la medesima decisione adottata dal Tribunale Federale Nazionale, ai sensi dell’articolo 103, comma 3, del codice di giustizia sportiva.

2. I reclami proposti non possono trovare accoglimento.

Il calciatore Thiam Pape Samba è stato tesserato per la società sportiva Tor di Quinto, in qualità di calciatore extracomunitario dilettante, sin dalla stagione 2017/2018. Nella successiva stagione sportiva 2019/2020, il calciatore si è tesserato presso il Benevento calcio s.r.l. e in data 16.7.2021 con la medesima società stipulava il proprio primo contratto di lavoro sportivo assumendo la qualifica di calciatore professionista.

In data 31.8.2021 veniva inoltrata presso la Lega Italiana Calcio Professionistico una richiesta di variazione di tesseramento del calciatore finalizzata al suo trasferimento per la stagione sportiva 2021/2022 dal Benevento calcio s.r.l., iscritta al campionato di Serie B, alla Delfino Pescara 1936 S.p.A., iscritta al campionato di serie C.

In data 2.9.2021 l’ufficio preposto negava il trasferimento del calciatore.

2.1. Con un primo motivo, formulato in entrambi i reclami, viene contestata la violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, nonché motivazione apparente, violazione del diritto di difesa e del divieto di motivazione postuma.

Il provvedimento impugnato nega il trasferimento per “violazione del combinato disposto delle norme di cui alle lettere E) ed F) del Comunicato Ufficiale Figc n. 268/A del 10 giugno 2021, previste per le Società che disputeranno nella stagione sportiva 2021/2022 il campionato di Serie C”.

La citata lett. e) prevede che “Le società che disputeranno nella stagione sportiva 2021/2022 il Campionato Serie C non potranno tesserare calciatori professionisti cittadini di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E. provenienti dall’estero, né tesserare con lo status di professionista calciatori di detti paesi già tesserati in Italia con status diverso da quello di professionista, fatta eccezione per le società neo promosse in Serie C che potranno stipulare contratto da professionista con i calciatori dilettanti di detti paesi, già per esse tesserati nella stagione sportiva 2020/2021”; ai sensi della lett. f) “Le limitazioni numeriche di tesseramento per società professionistiche non riguardano i calciatori cittadini di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E. già tesserati alla data del 30 giugno 2021 in Italia per società professionistiche, fatta salva l’applicazione della normativa in materia di visti e permessi di soggiorno e quanto successivamente previsto per coloro che intendano assumere per la prima volta lo status di Giovane di Serie. In tal caso, il tesseramento senza limitazioni numeriche, come Giovane di Serie, di calciatori cittadini di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E. è consentito: - per i maggiorenni, a condizione che siano legalmente residenti in Italia in quanto trasferiti da minorenni al seguito della famiglia e per ragioni non legate alla attività sportiva o che si siano tesserati da minorenni, avvalendosi dell’art. 1 della Legge n. 12/2016 o dell’art. 1, comma 369, della Legge n. 205/2017 o che siano stati tesserati, per almeno una stagione sportiva, per una società dilettantistica o che svolga attività di settore per l’attività giovanile e scolastica; - per i minorenni, a condizione che siano rispettate le disposizioni della FIFA e quelle previste dalla legislazione vigente”.

Seppur in senso riassuntivo, l’ufficio ha descritto le ragioni che lo hanno spinto a negare il trasferimento facendo espresso riferimento a una specifica violazione delle norme in tema di tesseramento di giocatori extracomunitari. La motivazione, pertanto, anche se in modo succinto descrive in senso compiuto l’iter logico giuridico seguito dall’amministrazione, tanto più che le parti reclamanti hanno articolato in modo completo le proprie difese, inquadrando puntualmente la fattispecie sottesa e argomentando in modo analitico sui motivi di diniego della variazione.

 Per quanto concerne il divieto di motivazione postuma (si veda tra gli altri, di recente Cons. Stato 27 aprile 2021 n. 3385) si può rilevare che il problema dell’integrazione della motivazione dell’atto amministrativo in corso di giudizio, può essere tematizzato in relazione alle seguenti diverse fattispecie: la motivazione postuma fornita dall’amministrazione resistente attraverso gli scritti difensivi; la statuizione del giudice di non annullabilità dell’atto viziato da carente motivazione, qualora «sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato» (in applicazione, dunque, dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990); la possibilità di sanare la motivazione carente o insufficiente con un provvedimento di convalida.

Con riguardo alla prima ipotesi (dell’integrazione della motivazione tramite atto difensivo), l’orientamento della giurisprudenza è stato sempre di segno negativo.

Gli argomenti tradizionalmente addotti possono essere così sintetizzati: senza una motivazione anteriore al giudizio, verrebbero frustrati gli apporti (oppositivi o collaborativi) del partecipante al procedimento, essendo la motivazione della decisione strettamente legata alle «risultanze dell’istruttoria»; non si potrebbe consentire all’amministrazione di modificare unilateralmente l’oggetto del giudizio rappresentato dall’atto originariamente adottato; si imporrebbe al privato di attivare la tutela giurisdizionale praticamente “al buio”, potendo questi conoscere le ragioni alla base della decisione soltanto nel corso del processo; ulteriore conferma, nel segno della inammissibilità, si traeva poi dall’art. 6, della legge 18 marzo 1968, n. 249, il quale non ammetteva la convalida nelle more del giudizio se non con riguardo ai vizi di incompetenza. Il dibattito sulla motivazione postuma si è riproposto quando il legislatore, al fine di alleggerire il peso dei vincoli formali e procedimentali di una pubblica amministrazione che si sarebbe voluta informata ad una logica di “risultato” più che alla legalità “formale” dei singoli atti, ha introdotto la regola della non applicabilità della misura caducatoria in presenza di difformità dallo schema legale che non abbiano influenzato la composizione degli interessi prefigurata nel dispositivo della decisione (art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, inserito dall’articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15).

L’indirizzo maggioritario della giurisprudenza amministrativa si è orientato nel senso che «il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma […] e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti» (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione terza, 7 aprile 2014, n. 1629; sezione sesta, 22 settembre 2014, n. 4770; sezione terza, 30 aprile 2014, n. 2247; sezione quinta, 27 marzo 2013, n. 1808).

Sulla scorta di tale indirizzo giurisprudenziale, la Corte costituzionale ha dichiarato, con l’ordinanza 26 maggio 2015, n. 92, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-octies, comma 2, della n. 241 de 1990, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, da una sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti, motivando, tra l’altro, che la rimettente si era sottratta al doveroso tentativo di sperimentare l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, chiedendo un improprio avallo a una determinata interpretazione della norma censurata.

Nel caso di specie, la motivazione originaria, anche in considerazione della flessibilità del concetto ricavabile dall’art. 3 l. n. 241 del 1990, appare idonea a sorreggere il contenuto dispositivo del provvedimento. Le argomentazioni giuridiche sviluppate negli atti difensivi sono in sostanza tese a rafforzare e giustificare la scelta dell’amministrazione originariamente fatta con il provvedimento di diniego del trasferimento. La sinteticità che caratterizza l’atto non inficia la sostanza, che ben evidenzia tutti gli elementi necessari alle parti interessate per la loro più ampia argomentazione difensiva. In realtà, il provvedimento della Lega, individuando in modo specifico le disposizioni normative violate, soddisfa l’esigenza di motivazione che non è solo presente, ma anche idonea, congrua e coerente su quanto si sia effettivamente stabilito.

2.2. Con un secondo motivo, comune a entrambi i reclami, viene anzitutto contestata la violazione del C.U. n. 268/A del 10 giugno 2021. A giudizio dei reclamanti, la citata lett. e) del Comunicato prevede che le società che disputeranno il Campionato di Serie C non potranno tesserare calciatori di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E. esclusivamente se rientranti nelle seguenti categorie: provenienti dall’estero, ovvero che abbiano uno status diverso da quello di professionista. Poiché il calciatore Samba ha stipulato il suo contratto da professionista a luglio, doveva ritenersi coerente con la disposizione il suo trasferimento in una società di serie C, avvenuto nel successivo mese di agosto, conservando lo status di calciatore professionista.

La tesi dei reclamanti, pur ampiamente motivata, non è condivisibile.

Occorre procedere, infatti, a una sistematica lettura della lett. e), in applicazione dei criteri ermeneutici dell’interpretazione complessiva di essa, oltre che dei canoni letterale e funzionale, entrambi doverosamente applicabili ai sensi dell’art. 12 disp. legge in generale (anche in forza dell’utilizzo della congiunzione “e” da parte del legislatore del 1942).

La disposizione in esame risulta solo apparentemente polisemica. In particolare, ai sensi della già citata lett. e): “ Le società che disputeranno nella stagione sportiva 2021/2022 il Campionato Serie C non potranno tesserare calciatori professionisti cittadini di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E. provenienti dall’estero, né tesserare con lo status di professionista calciatori di detti paesi già tesserati in Italia con status diverso da quello di professionista, fatta eccezione per le società neo promosse in Serie C che potranno stipulare contratto da professionista con i calciatori dilettanti di detti paesi, già per esse tesserati nella stagione sportiva 2020/2021”.

Per quanto concerne il criterio dell’interpretazione letterale il divieto di tesseramento riguarda: i calciatori professionisti provenienti dall’estero; i calciatori non provenienti dall’estero, già tesserati in Italia con status diverso da professionista, fatta eccezione per le società neo promosse in serie C che potranno stipulare contratto da professionista con i calciatori dilettanti di detti paesi, già per esse tesserati nella stagione sportiva 2020/2021.

Il calciatore Samba rientra nella seconda categoria, in quanto non è proveniente dall’estero ed è già tesserato in Italia con status diverso da professionista, nella precedente stagione sportiva. Il dubbio ermeneutico riguarda la possibilità o meno per la società di serie C di tesserare un calciatore extracomunitario con lo status di professionista, il quale abbia conseguito tale qualifica nel corso della stagione sportiva in corso, e, comunque, dopo l’entrata in vigore del C.U. n. 268/A del 10 giugno 2021.

La soluzione della polisemia del testo e, quindi, la selezione tra i vari significati ad esso attribuibili risulta dall’esame dell’insieme delle parole utilizzate nella disposizione, secondo la connessione di esse, in applicazione del canone dell’interpretazione complessiva, nonché del criterio teleologico, logico o funzionale.

In particolare, l’ultimo inciso della disposizione prevede una clausola di salvezza, idonea a determinare l’ambito di applicazione del divieto, in quanto prevede espressamente che le società neo promosse in Serie C potranno stipulare un contratto da professionista con i calciatori dilettanti con cittadinanza extracomunitaria, già per esse tesserati nella precedente stagione sportiva 2020/2021. L’unica eccezione pertanto al divieto di tesseramento di un calciatore che abbia uno status diverso da professionista, o lo abbia appena acquisito, è rappresentato dalla misura di carattere eccezionale prevista in favore delle società neo promosse e con esclusivo riferimento ai propri tesserati nella stagione sportiva 2020/2021. Consentire il tesseramento, quali professionisti, di calciatori che nella stagione sportiva rivestivano una diversa qualifica renderebbe priva di efficacia, e anzi discriminatoria, la regolamentazione prevista nell’ultimo inciso, in quanto consentirebbe alle società neo promosse di stipulare contratti da professionisti solo per i calciatori propri tesserati, mentre le altre società potrebbero stipularli con qualsiasi calciatore.

Ne discende, pertanto, che proprio il canone dell’interpretazione letterale, in relazione all’esigenza di interpretazione complessiva, conduce a dover intendere la disposizione come applicabile anche al Samba.

Sotto un profilo di coerenza logica e ragionevolezza, d’altra parte, la diversa opzione ermeneutica – e in particolare la differenza tra tesseramento e trasferimento, da intendersi come nuovo tesseramento o variazione dello stesso – consentirebbe una elusione fin troppo agevole della disposizione in esame, in quanto sarebbe sufficiente modificare anche il giorno prima o il giorno stesso del trasferimento la tipologia di contratto di lavoro stipulato tra il calciatore e la società cedente, per evitare l’applicazione del divieto. Sarebbe analogamente non logico o razionale statuire, prima, il divieto di tesseramento per chi non era stato tesserato nella stagione precedente da professionista, per poi (alla riga successiva), di fatto, consentirlo mediante un tesseramento da professionista nella stagione sportiva in corso, subito dopo la cessione, anche in prestito, del calciatore neo professionista ad una società militante nel campionato di serie C, che non avrebbe potuto direttamente tesserare in tale stagione, ex novo, lo stesso calciatore quale professionista. La diversa interpretazione proposta dai reclamanti avrebbe pertanto di fatto svuotato di contenuto ed efficacia il divieto introdotto dalle stesse disposizioni in questione, finendo, quindi, con il pregiudicare il perseguimento delle finalità ispiratrici di tali norme e, quindi, risulterebbe non coerente con il canone dell’interpretazione logica o funzionale.

2.3. In una differente – e più ampia - prospettiva, i reclamanti contestano la compatibilità di tale interpretazione con le norme europee in tema di discriminazione dei calciatori extracomunitari, chiedendo pertanto di svolgere un’interpretazione comunitariamente conforme, ovvero di disapplicare le disposizioni federali, ritenute non compatibili con quelle europee.

Secondo i reclamanti, il criterio dell’interpretazione comunitariamente conforme – ovvero in generale della interpretazione dell’atto in senso conforme alla fonte sovraordinata – implica l’esigenza di escludere qualsiasi risultato ermeneutico non compatibile con la regola posta dalla fonte sovraordinata.

Nel caso di specie, tuttavia, la disciplina federale, correttamente interpretata, non risulta in contrasto con il diritto europeo. Anzitutto, lo stesso art. 3, comma 4, d.lgs. n. 215 del 2003, in attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica stabilisce che, in ogni caso, non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari.

Nel caso di specie, la disposizione federale costituisce l’espressione di una complessiva scelta di politica sportiva, che non incide sullo status del calciatore professionista, ma individua i presupposti per il suo tesseramento nelle società iscritte in determinate categorie. La norma risulta pienamente coerente con le esigenze sottese alla promozione dello sport e allo sviluppo e alla formazione dei vivai delle società sportive.

La coerenza della disposizione con i principi generali sottesi ai valori sportivi appare d’altro canto argomentabile anche sulla base del differente regime previsto per la serie A, ove è al contrario attribuita tendenziale prevalenza alle esigenze economiche, e per la lega Pro, ove, al contrario, mantiene una specifica e centrale rilevanza l’aspetto formativo e l’esigenza di tutelare in modo adeguato la formazione dei giovani calciatori e, quindi, di sviluppare i vivai delle società. I flussi di ingresso e le limitazioni al tesseramento di sportivi stranieri sono finalizzati ad assicurare la tutela dei vivai giovanili per le squadre di serie minori e, nel contempo, a soddisfare l’esigenza di privilegiare l’acquisizione di calciatori, cittadini di paesi non aderenti all’UE o alla EEE, di alto livello tecnico, da destinare esclusivamente alla serie A.

In una prospettiva di carattere più generale si rileva che il testo unico n. 286 del 1998 prevede che l’ingresso nel territorio dello Stato per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale, e di lavoro autonomo avviene nell’ambito delle quote di ingresso stabilite nei decreti di cui all’art. 2, comma 4 (art. 21, comma 1). I decreti annuali devono tenere conto delle indicazioni fornite, in modo articolato per qualifiche o mansioni, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sull’andamento dell’occupazione e dei tassi di disoccupazione a livello nazionale e regionale, nonché sul numero dei cittadini stranieri non appartenenti all’UE iscritti nelle liste di collocamento. L’art. 27 che disciplina l’ingresso per lavoro in casi particolari modula i principi generali indicati in base alle peculiarità di alcune categorie di lavoratori e, per quanto riguarda gli stranieri destinati a svolgere attività sportiva professionistica, l’art. 27, comma 5-bis, prevede che, con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, su proposta del Coni sia determinato annualmente il limite massimo di ingresso degli sportivi stranieri e che questo numero sia ripartito dal Coni fra le federazioni sportive nazionali, fra cui la Figc. Nella sua delibera il Coni è anche chiamato a stabilire i criteri generali di assegnazione e tesseramento per ogni stagione agonistica, anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili. Pertanto, la legge primaria demanda al Coni l’elaborazione dei criteri alla luce dei quali valutare le richieste di ingresso degli sportivi professionisti stranieri. La scelta dei criteri deve rispondere a criteri di ragionevolezza e logicità e salvaguardare i vivai giovanili. Nel caso di specie e con specifico riferimento alla disposizione in esame, come già rilevato, non è in dubbio che la disposizione metta gli stranieri extracomunitari in posizione di svantaggio rispetto ai calciatori appartenenti all’UE. Si tratta però di uno svantaggio derivante in ultima analisi dal limite di ingresso definito all’origine dalla legge.

La scelta appare svolta in modo ragionevole e logico con il comunicato in esame, in quanto la differente regolamentazione dei giocatori di serie A e di lega Pro, come già evidenziato, è espressione della legittima finalità di dare maggior rilievo al massimo campionato italiano, non mettendo limiti o riducendo i limiti all’ingresso dei calciatori di massima qualità. La regola appare coerente con l’esigenza di e funzionalmente diretta a tutelare i vivai giovanili, poiché limitare l’accesso degli stranieri al campionato di serie C significa favorire l’accesso a questo campionato di atleti provenienti dai vivai e favorirne la crescita professionale. Si tratta inoltre di una scelta coerente con l’esigenza di crescita e formazione dei giovani sportivi stranieri inseriti nei vivai, poiché inserisce la citata e specifica clausola di salvezza a loro tutela.

Ne discende che la previsione non appare illogica o irragionevole, derivandone pertanto il rigetto dei reclami.

P.Q.M.

Preliminarmente riuniti i reclami n. 0041/CFA/2021-2022 e n. 0042/CFA/2021-2022, li respinge.

Dispone la comunicazione alle parti, presso i difensori con PEC.

 

L'ESTENSORE                                                           IL PRESIDENTE

Raffaele Tuccillo                                                                Marco Lipari

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

 

 

 

 

 

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