F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione I – 2021/2022 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0076/CFA pubblicata il 19 Aprile 2022 (motivazioni) Procura Federale/Sig. Marco Rocchi e SSD Montefano Calcio

Decisione/0076/CFA-2021-2022

Registro procedimenti n. 0095/CFA/2021-2022

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

I SEZIONE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Angelo De Zotti – Componente

Giuseppe Castiglia - Componente (relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul reclamo numero 0095/CFA/2021-2022 proposto dal Procuratore Federale avverso la reiezione del deferimento e la conseguente chiusura dello stesso nei confronti del calciatore Rocchi Marco per violazione degli artt. 4, comma 1, e 28 comma 1, C.G.S. e della società S.S.D. Montefano Calcio deferita per la violazione dell’art. 6, comma 2, C.G.S. seguito proprio deferimento n. 005626/176 pfi 21-22 PM/ps del 3 febbraio 2022

contro

Rocchi Marco e S.S.D. Montefano Calcio,

per la riforma della decisione del Tribunale Federale Territoriale presso il Comitato Regionale Marche, di cui al Com. Uff. n. 181, pubblicato il 14.03.2022;

Visto il reclamo e i relativi allegati;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza, tenutasi in videoconferenza il giorno 13 aprile 2022, il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi, per la Procura Federale reclamante, l’Avv. Lorenzo Giua e, per il calc. Rocchi Marco e la società S.S.D. Montefano Calcio, l’Avv. Martina Perticarari in sostituzione dell’Avv. Renzo Merlini.

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

1. Secondo notizie diffuse da organi di stampa, nel corso della gara svoltasi il 12 settembre 2021 fra le squadre della LMV Urbino Calcio 2021 e della SSD Montefano Calcio, un calciatore di quest’ultima società avrebbe rivolto espressioni ingiuriose nei confronti del signor Salif Pape Cissè Dakar, militante nella formazione avversa.

1.1. A seguito di ciò, il successivo 7 ottobre la Procura federale ha avviato gli accertamenti del caso.

1.2. Nel corso dell’istruttoria, è stata acquisita varia documentazione e sono stati ascoltati i giocatori interessati nonché alcuni dirigenti delle rispettive società.

1.3. All’esito degli accertamenti svolti, la Procura federale - con atto del 22 dicembre 2021 - ha contestato:

- al signor Marco Rocchi, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società Montefano s.r.l., la violazione di cui agli artt. 4, comma 1, e 28, comma 1, CGS FIGC (d’ora in poi, per brevità, CGS tout court), per avere in due occasioni, e in particolare all’inizio del secondo tempo nonché al termine della gara fra la LMV Urbino Calcio 2021 e la SSD Montefano Calcio del 12 settembre 2021, insultato per motivi di colore della pelle il signor Pape Salif Cissè, calciatore di quest’ultima società, apostrofandolo con l’es essione “mangia banane delcazzo”;

- alla SSD Montefano Calcio a r.l., per la quale il signor Rocchi era tesserato al momento della commissione dei fatti, la responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, CGS, per la condotta descritta nel precedente capo di incolpazione.

1.4. Con provvedimento del 3 febbraio 2022, la Procura federale ha disposto il deferimento al Tribunale federale del signor Marco Rocchi e della società SSD Montefano Calcio a r.l. per rispondere degli addebiti sopra riferiti.

2. Con decisione n. 5/TFT 2021/2022, adottata nella riunione dell’8 marzo 2022, il Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Marche, dopo avere disposto istruttoria per ascoltare l’arbitro della gara e i due assistenti, ha respinto il deferimento.

2.1. Il Tribunale territoriale ha ritenuto che dagli atti del procedimento, e in particolare dal referto arbitrale e dai chiarimenti forniti dai due assistenti di gara, che costituirebbero “prova legale assistita da fede privilegiata”), non risulterebbero provati gli addebiti rimproverati ai deferiti. La precisa scansione temporale indicata dalla Procura (inizio del secondo tempo e fine dell’incontro) non lascerebbe dubbi sulla circostanza che il fatto contestato sarebbe avvenuto sotto il pieno controllo della terna arbitrale, mentre la frase non risulta essere stata udita né dall’arbitro né dagli assistenti di gara. Rimarrebbero smentite le affermazioni in senso contrario rese dai dirigenti e dall’allenatore dell’Urbino Calcio che avrebbero dichiarato di avere percepito l’espressione ingiuriosa dalla tribuna e dalla panchina perché, se corrispondessero al vero, tale espressione sarebbe stata pronunciata dal Rocchi a voce molto alta e dunque non avrebbe potuto non essere sentita dall’arbitro e dagli assistenti, che si trovavano a una distanza molto inferiore dai due calciatori. In definitiva, non risulterebbe alcuna prova - proveniente da fonte imparziale e suscettibile di essere valutata in conformità o in antitesi con le dichiarazioni dei direttori di gara - che il signor Rocchi abbia rivolto al signor Cissè la frase discriminatoria per cui è stato deferito.

3. La Procura federale ha proposto reclamo avverso la decisione di primo grado, alla quale rimprovera una erronea valutazione delle emergenze probatorie in ordine alla insussistenza degli illeciti disciplinari contestati.

3.1. La pronuncia della frase razzista troverebbe conferma nelle dichiarazioni rilasciate alla Procura federale da molti tesserati dell’Urbino Calcio e dagli atti del procedimento non emergerebbero motivi di risentimento di questi nei confronti del calciatore deferito.

3.2. Diversamente da quanto affermato dal Tribunale territoriale, le dichiarazioni della terna arbitrale non avrebbero valenza probatoria “con riguardo al non accadimento dei fatti oggetto dei capi di incolpazione”. Non tutto quello che viene detto fra i giocatori nel corso della gara può essere percepito dalla terna arbitrale, che infatti non avrebbe dato atto, ad esempio, degli screzi verbali intercorsi fra il signor Rocchi e il signor Cissè, attestati anche dai tesserati della Montefano Calcio. Ne segue che il fatto di non avere sentito il signor Rocchi pronunziare l’espressione ingiuriosa non equivarrebbe alla prova della circostanza che questi non l’abbia effettivamente pronunziata, tanto più che proprio dalle dichiarazioni del secondo assistente di gara risulterebbe una protesta del signor Cissè a seguito di una azione di gioco, all’inizio del secondo tempo, sintetizzata nella domanda: “Non ha sentito cosa mi ha detto?”, e questo costituirebbe un riscontro esterno all’effettiva pronunzia della frase contestata.

3.3. In definitiva, sulla scorta dei consolidati principi della giustizia sportiva, e in assenza di una prova positiva di segno contrario da parte degli incolpati, gli addebiti contestati risulterebbero assistiti secondo una ragionevole certezza.

3.4. In conclusione, la Procura federale chiede la riforma della decisione di primo grado, con declaratoria della responsabilità disciplinare degli incolpati e irrogazione al signor Rocchi della sanzione disciplinare della squalifica per dieci gare e alla società Montefano Calcio dell’ammenda di euro 1.000,00, a titolo di responsabilità oggettiva, ovvero, in subordine, delle sanzioni ritenute di giustizia da questa Corte.

4. La società Montefano Calcio e il signor Marco Rocchi si sono costituiti in giudizio per resistere al reclamo sostenendone l’inammissibilità per tardività e l’infondatezza nel merito. In subordine, chiedono una integrazione istruttoria perché vengano ascoltati altri tesserati della società.

5. All’udienza del 13 aprile 2022, svoltasi in modalità telematica, le parti hanno discusso dell’eccezione di inammissibilità del reclamo e, nel merito, hanno ribadito le rispettive posizioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. È preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità di rito formulata dalle parti reclamate.

6.1. Queste assumono che il reclamo della Procura federale sarebbe inammissibile in quanto notificato il 24 marzo scorso oltre il termine di sette giorni dalla pubblicazione della decisione impugnata (con comunicato n. 181 del 14 marzo precedente). La notifica sarebbe perciò tardiva e ché non rispettosa dell’art. 101, comma 2, CGS, a detta del quale “[i]l reclamo deve eseredepositato, unitamente al contributo, a mezzo di posta elettronica certificata, presso la segreteria della Corte federale di appello e trasmesso alla controparte, entro sette giorni dalla pubblicazione o dalla comunicazione della decisione che si intende impugnare”. Da ciò, dunque, l’eccezione di inammissibilità.

6.1.1. Condurrebbe a tale conclusione anche la lettura dell’art. 11, comma 4, secondo periodo, del CGS CONI, il quale dispone che “[i]l termine per l’impugnazione decorre dal giorno seguente alla pubblicazione, della decisione o delle motivazioni se non contestuali alla decisione”.

6.2. L’eccezione non ha pregio alla luce della giurisprudenza di questa Corte federale, cui il Collegio ritiene di dover dare continuità, nel senso che:

a) se è vero che l’art. 101, comma 2, C.G.S., prevede - come detto - che il reclamo sia depositato, presso la segreteria della Corte federale di appello e trasmesso alla controparte entro sette giorni dalla pubblicazione o dalla comunicazione della decisione che si intende impugnare, tale disposizione deve essere letta in correlazione con quella di cui all’art. 51, comma 4, del medesimo Codice, secondo il quale “[i] dispositivi e le decisioni degli organi di giustizia sportiva emessi a seguito di deferimento devono essere direttamente comunicati all’organo che ha adottato il deferimento nonché alle altre parti ai sensi dell’art. 53.”. Dal combinato normativo delle disposizioni richiamate discende che è il momento della comunicazione alle parti quello da cui decorre il termine processuale di cui all’art. 101 cit., riguardando la “pubblicazione” la mera conoscenza e diffusione a terzi della pronuncia (CFA, Sez. IV, n. 44/2020-2021);

b) il citato art. 101, comma 2, CGS, indica come termine a quo per la notifica del reclamo due momenti (la pubblicazione o la comunicazione alle parti) alternativi tra di loro, come risulta dall’utilizzo della disgiunzione “o”. Ed essendo i due momenti alternativi, non può, ovviamente, prevalere il primo di essi (quale che esso sia), il che renderebbe inutile la previsione del secondo (CFA, Sez. IV, n. 50/2020-2021);

c) non porta a conclusioni diverse la disposizione dell’art. 11, comma 4, secondo periodo del CGS CONI, del pari ricordato, perché a norma dell’art. 3, comma 2, CGS, “[p]er tutto quanto non previsto dal Codice, si applicano le disposizioni del Codice CONI”. L’applicazione del Codice CONI ha carattere sussidiario e suppletivo rispetto a quello del Codice FIGC e dunque non può essere invocata nella presente controversia poiché il compendio normativo della FIGC disciplina in maniera completa ed esaustiva - al Capo II del Titolo IV - l’appello avverso le decisioni di primo grado. Esso perciò, sotto il profilo in questione, non richiede né consente alcuna integrazione ad opera di una fonte esterna;

d) nel caso di specie, risulta dal fascicolo processuale (documento caricato l’8 aprile scorso alle ore 13:02) che la decisione impugnata è stata comunicata alla Procura federale in data 18 marzo 2002, di modo che il reclamo notificato il successivo giorno 24 - secondo la normativa ricostruita nei termini di cui si è detto - appare proposto in termini.

6.3. In definitiva, l’eccezione di inammissibilità del reclamo per tardività si rivela infondata e va perciò respinta.

7. Nel merito della vicenda, viene rimproverata agli incolpati - direttamente al signor Rocchi, a titolo di responsabilità oggettiva alla società Montefano Calcio - una condotta tenuta in violazione dell’art. 28 CGS, nella specie un comportamento discriminatorio posto in essere mediante una frase ingiuriosa riconducibile alle fattispecie descritte dal comma 1 dell’articolo citato.

7.1. Questo dispone:

“1. Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”.

7.2. Si tratta di un illecito di particolare disvalore nell’ambito dell’ordinamento sportivo (e non solo di quello). Infatti, esso viola uno dei principi fondamentali previsti dall’art. 2 dello Statuto della FIGC, ove al comma 5 è appunto declinato il principio di non discriminazione, con una disposizione di principio, avente finalità di ordine programmatico, che trova compiuta realizzazione del più volte ricordato art. 28 CGS. Il quadro normativo, anche internazionale, è stato più volte ricostruito da questa Corte, sicché alle numerose decisioni in materia è sufficiente rinviare (per tutte: CFA, SS.UU., n. 114/2020-2021; CFA, Sez. I, n. 105/2020-2021).

7.3. Gli incolpati non contestano che la fattispecie astratta sia riconducibile al novero dei comportamenti discriminatori e razzisti. Negano invece che la condotta ascritta possa essere in concreto loro riferita.

7.4. Nel presente giudizio, dunque, viene in gioco di una questione di puro fatto, per risolvere la quale occorre fare applicazione del consolidato principio, proprio dei procedimenti della giustizia sportiva, secondo cui il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare si deve attestare ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (come invece è previsto nel processo penale), nel senso che è necessario e sufficiente acquisire - sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti - una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (quanto meno a partire da Collegio di garanzia CONI, SS.UU., n. 13/2016; per tutte, da ultimo, CFA, Sez. III, n. 68/2021-2022; CFA, SS.UU., n. 35/2021-2022; dettagliatamente, CFA, SS. UU., n. 105/2020-2021, § 3).

8. Diversamente da quanto sostengono le parti reclamate, che pure condividono le ricordate coordinate ermeneutiche, il Collegio è dell’avviso che, proprio alla luce di queste, il reclamo della Procura Federale si mostri fondato.

9. In via preliminare, il Collegio esclude di poter accogliere la tesi fatta propria dal Tribunale territoriale, secondo cui la responsabilità degli incolpati sarebbe esclusa da ciò, che né il referto arbitrale, né le dichiarazioni rese in giudizio dai due assistenti di gara - che costituirebbero “prova legale assistita da fede privilegiata” - darebbero conto dell’espressione razzista.

9.1. Vero è che - a norma dell’art. 61, comma 1, CGS - il referto arbitrale è da considerarsi fornito di una speciale forza probatoria sino al punto di fare “piena prova” di quanto attesta essere avvenuto, cosicché - salvo intrinseche contraddizioni o manifesta irragionevolezza - gli episodi descritti nei referti arbitrali sono da intendersi come effettivamente verificati (CFA, Sez. IV, n. 7/2019-2020).

9.2. Lo stesso però non è possibile dire per quanto il referto non attesti.

9.3. Per logica impossibilità, il referto non può assurgere a prova legale anche del quod non, posto che, come osserva correttamente la Procura federale reclamante, l’attenzione del direttore di gara e degli assistenti può essere assorbita dallo svolgimento dell’incontro e non essere in grado di percepire ogni fatto verificatosi sul terreno di gioco. Ne consegue che il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica di necessità che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale che il secondo periodo del citato comma 1 dell’art. 61 espressamente contempla (CFA, Sez. I, n. 58/2020-2021; CFA, SS.UU., n. 51/2019-2020).

9.4. Gli stessi documenti di gara, peraltro, recano una indicazione di segno opposto.

9.5. Nel supplemento al proprio referto, infatti, l’arbitro attesta che, una volta concluso l’incontro, l’allenatore dell’Urbino Calcio lo avrebbe apostrofato con numerosi (e non certo lodevoli) insulti, il primo dei quali (“sei un razzista”) suggerisce che nel corso della partita si siano verificati eventi riferibili a contegni discriminatori fondati, appunto, sulla razza.

9.6. Quello che è il nucleo centrale della motivazione della decisione reclamata, pertanto, si svela privo di pregio.

10. In senso contrario, invece, il Collegio ritiene si debbano valorizzare alcune evidenze che emergono dagli atti del procedimento:

a) l’avere il signor Rocchi formulato la frase razzista è confermato dalle dichiarazioni della persona offesa, del presidente, dell’allenatore e di alcuni dirigenti dell’Urbino Calcio;

b) non è emersa né le parti reclamate adducono alcuna ragione di un particolare risentimento o malanimo nei riguardi del giocatore incolpato e della società cui questi appartiene, tale da tradursi nel rilascio di dichiarazioni concertate e obiettivamente coincidenti;

c) le dichiarazioni di segno contrario del signor Rocchi e dei dirigenti della sua società hanno una (comprensibile) funzione difensiva e auto-assolutoria;

d) il signor Bonacci, presidente del Montefano Calcio, ha dichiarato di essere stato in panchina durante la partita e di avere notato screzi verbali fra i due giocatori senza ulteriori conseguenze. Ha aggiunto che fra i due c’è stato un contatto di gioco all’inizio del secondo tempo, a seguito del quale la panchina dell’Urbino Calcio ha iniziato a protestare in maniera forte chiedendo al direttore di gara di prendere provvedimenti nei confronti del signor Rocchi e contro la panchina del Montefano, il che egli afferma non sapersi spiegare;

e) il signor Rocchi ha riferito che, dopo molti screzi verbali in corso di gara, alla fine della partita avrebbe cercato di stringere la mano al signor Cissè ricevendo in cambio un rifiuto e un tentativo di aggressione, e ha ammesso di aver sentito l’allenatore dell’Urbino chiedere ripetutamente la sua sostituzione per insulti razziali, che peraltro nega recisamente, dolendosi anzi di essere stato lui stesso insultato. Questo episodio, apparentemente immotivato, può spiegarsi ragionevolmente solo ipotizzando che il signor Cissè si sia risentito in modo particolare per un’offesa che, per il suo carattere discriminatorio e razzista, eccedeva largamente la portata delle espressioni vivaci e anche insultanti che facilmente ma deprecabilmente vengono pron nciate nella foga agonistica e che, come da molti confermato, hanno caratterizzato anche la partita in questione;

f) il secondo assistente di gara, sentito a chiarimenti, ha riferito che, dopo un contatto fra i due giocatori avvenuto all’inizio del secondo tempo, il signor Cissè si sarebbe rivolto a lui con la frase: “Non hai sentito cosa mi ha detto?”.

11. In sintesi, il Collegio ritiene che dagli atti del procedimento emergano indizi logici e fattuali gravi, precisi e concordanti, idonei a fondare la ragionevole certezza che, quanto meno a seguito di un contatto di gioco verificatosi all’inizio del secondo tempo fra il signor Cissè e il signor Rocchi e nella schermaglia verbale che ne è seguita, quest’ultimo abbia rivolto all’altro calciatore l’espressione di stampo razzista che la Procura federale gli attribuisce.

12. Questi rilievi non sono suscettibili di essere messi in discussione dalle ulteriori audizioni che le parti reclamate sollecitano e che non potrebbero addurre altro che ripetute e generiche negazioni dell’accaduto. Tenuto conto delle esigenze di celerità del processo sportivo - che si svolge, ordinariamente, sulla base delle deduzioni difensive delle parti e delle evidenze documentali e delle prove precostituite, rispetto alle quali la prova testimoniale rimane, comunque, eccezione - e del criterio di informalità cui esso è improntato (CFA, SS. UU., n. 64/2021-2022), e poiché dal materiale acquisito non emerge la necessità di ampliare la platea dei testimoni (come invece occorrerebbe a norma dell’art. 60, comma 1, CGS), l’istanza istruttoria non può essere accolta.

13. È infine irrilevante che l’insulto razzista sia stata pronunziato una o più volte, poiché anche la commissione isolata del fatto sarebbe di per sé sufficiente a integrare l’illecito disciplinare contestato.

14. Le considerazioni che precedono portano ad affermare, in riforma della decisione reclamata, la responsabilità disciplinare degli incolpati per gli addebiti loro rispettivamente ascritti.

15. Tenuto conto del contesto in cui si sono svolti i fatti e in accoglimento delle richieste della Procura federale, le sanzioni da infliggere per l’accertata responsabilità disciplinare possono essere determinate nei termini che seguono:

- per il signor Rocchi - ai sensi dell’art. 28, comma 2, CGS - la squalifica di 10 (dieci) giornate di gara;

- per la SSD Montefano Calcio - ai sensi dell’art. 28, commi 4 e 5, CGS - l’ammenda di euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Accoglie il reclamo in epigrafe e, per l'effetto, in riforma della decisione impugnata, irroga al Sig. Marco Rocchi la sanzione della squalifica di 10 (dieci) giornate di gara e alla società S.S.D. Montefano Calcio l'ammenda di 1.000,00 (mille/00).

Dispone la comunicazione alle parti, presso i difensori con PEC.

 

L'ESTENSORE                                                                      IL PRESIDENTE

Giuseppe  Castiglia                                                                    Mario Luigi Torsello 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

 

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