Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. – Sezione Prima: Decisione n. 54 del 24/06/2025
Decisione impugnata: Dispositivo n. 0155/CSA-2024-2025, procedimento n. 128/CSA/2024-2025, emesso dalla Corte Sportiva d’Appello FIGC, III Sezione, il 3 marzo 2025 e le relative motivazioni, notificate in data 18 marzo 2025, con le quali, in parziale accoglimento del reclamo del suddetto ricorrente avverso la decisione del Giudice Sportivo presso il Dipartimento Interregionale, di cui al C.U. n. 62 del 3 dicembre 2024 (che ha comminato, a carico del sig. [omissis], le sanzioni dell’inibizione fino al 30 giugno 2026 e del divieto di accedere ad impianti sportivi in cui si svolgono manifestazioni o gare calcistiche fino al 30 giugno 2025), sono state ridotte le sanzioni, a carico del predetto sig. [omissis], dell’inibizione fino al 28 febbraio 2026 e del divieto di accedere agli impianti sportivi in cui si svolgono manifestazioni o gare calcistiche, anche amichevoli, in ambito FIGC fino al 31 maggio 2025.
Impugnazione Istanza: omissis / FIGC / LND
Massima: Annullata con rinvio la decisione della CSA che per la condotta tenuta dall’ex dirigente accompagnatore della società in occasione della gara per la sua asserita posizione di controllo della società ex art. 2 comma 2 CGS, non essendo dimostrato il suo ruolo di amministratore all’interno del sodalizio. Accolto il ricorso con rinvio alla Corte Sportiva di Appello FIGC perché, rinnovi la valutazione applicando seguente principio di diritto descritto ai fini del proprio scrutinio sull’assetto sanzionatorio applicabile: “La qualificazione di amministratore di fatto di una società deve essere affermata in applicazione del dettato dell’art. 2639 c.c. alla presenza di oggettivi elementi sintomatici di gestione o cogestione della società - 1. il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell'attività di impresa; 2. la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria; 3. la costante assenza dell'amministratore di diritto; 4. la mancata conoscenza di quest'ultimo da parte dei dipendenti - risultanti dall'organico inserimento del soggetto in qualunque fase dell'iter gestionale, decisionale, organizzativo, amministrativo, produttivo e disciplinare dell’azienda”. Relativamente, invece, al dedotto ruolo di amministratore di fatto ascritto al sig. [omissis], ribadito che, in forza del vincolo di giustizia, sono soggetti alla amministrazione degli organi di giustizia sportiva, i tesserati e gli affiliati, affinché possa invocarsi il vincolo, laddove si invoca la sussistenza dell’amministrazione di fatto ex art. 2639 c.c., è necessario che il giudice del merito accerti in maniera incontrovertibile e non concettuale e deduttiva la sussistenza dei presupposti oggettivi. Orbene, sia la giurisprudenza di legittimità che di merito ha osservato che la qualifica di amministratore di fatto di una società si desume dal concreto esercizio, in modo continuativo e significativo, di poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Cassazione penale, sentenza n. 34381/2022), affermando il principio di diritto secondo cui, ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto di una società, deve essere valorizzato l'esercizio in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi. In tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati, come validamente individuabili in elementi sintomatici di gestione o cogestione della società - 1. il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell'attività di impresa; 2. la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria; 3. la costante assenza dell'amministratore di diritto; 4. la mancata conoscenza di quest'ultimo da parte dei dipendenti - risultanti dall'organico inserimento del soggetto in qualunque fase dell'iter gestionale, decisionale, organizzativo, amministrativo, produttivo e disciplinare dell’azienda. In pratica, il ruolo di amministratore di fatto si configura quando un soggetto partecipa attivamente alla gestione aziendale, ovvero assume decisioni rilevanti in materia di strategia o operazioni, ovvero controlla la contabilità e le finanze dell’impresa (Cass. Civ., n. 34381/2022, n. 1546/2022, n. 27163/2018, Trib. Venezia, 21 settembre 2024, Trib. Milano, 28 maggio 2017, n. 8336). Ciò posto, dall’esame delle motivazioni sviluppate dalla Corte Sportiva d’Appello nella decisione impugnata, emerge evidente che quest’ultima ha utilizzato argomentazioni, mai valorizzate dalla giurisprudenza di legittimità, che non possono ritenersi idonee per la qualificazione giuridica del sig. [omissis] come amministratore di fatto. Quanto ai profili processuali e di legittimità, la Suprema Corte, con un recente arresto (Cass. Pen., Sez. V, n. 16414 del 28 febbraio 2024), ha ribadito in modo inequivoco l’ambito dei requisiti per il riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto di una società, rilevando che “la prova della ritenuta funzione gestoria, esercitata in fatto da parte di un soggetto non formalmente investito di tale carica, si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico di tale soggetto in qualunque settore gestionale dell’attività economica, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare”; e tale accertamento risulta “insindacabile in sede di legittimità[…] solo se sostenuto da motivazione congrua e logica[…] in quanto oggetto di un apprezzamento di fatto riservato ai giudici di merito”. Dalle superiori argomentazioni emerge che il motivo di ricorso va accolto in parte qua, ma riqualificato, secondo il principio iura novit curia, nel senso che la Corte Sportiva d’Appello non ha correttamente applicato i principi di diritto utili alla configurazione dell’amministratore di fatto e che, come tale, non può essere ritenuto il presupposto delle sanzioni inflitte al ricorrente. Naturalmente tali considerazioni prescindono dal dato fattuale, che, come è noto, sfugge allo scrutinio dell’odierno Collegio, attesane la funzione di legittimità e non di merito, sicché, quale Giudice dell’atto e non del fatto, deve rilevarsi che la responsabilità ascritta al ricorrente per il suo comportamento non appare configurabile in quanto non correttamente profilato come amministratore di fatto.
Massima: Non si applica ai dirigenti, ma solo agli atleti il principio generale di ultrattività temporale dei vincoli e delle regole del diritto sportivo di cui al F.I.F.A. Regulationes on the Status and Transfers of Players che, al paragrafo 4 – “Termination of activity”, prevede: “1. Professionals who end their careers upon expiry of their contracts and amateurs who terminate their activity shall remain registered at the association of their last club for a period of 30 months”.…Quanto all’applicazione o meno ai dirigenti del paragrafo 4 del Regulations on the Status and Transfers of Players, tale disposizione, come sottolineato dal ricorrente, è riferita esclusivamente agli atleti ed è stata introdotta dalla F.I.F.A. a tutela degli atleti stessi ovvero per favorire la ripresa dell’attività agonistica sia in ambito professionistico che amatoriale. Estendere i suoi effetti anche ai dirigenti, per un verso, contrasta con il dato letterale della disposizione e, per altro verso, significherebbe, paradossalmente, penalizzare piuttosto che favorire la categoria dei dirigenti, i quali rimarrebbero assoggettati alla giustizia sportiva pur in assenza di tesseramento. Quindi, considerata la specialità della norma in commento, la stessa, anche in ragione della sua natura sostanzialmente afflittiva perché, appunto, estenderebbe il regime sanzionatorio, non è suscettibile di applicazione analogica e tanto in ossequio al principio di tassatività nelle norme incriminatrici codificato nell’art. 14 delle Disposizioni sulla Legge in generale.
Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. – Sezione Prima: Decisione n. 25 del 14/04/2025
Decisione impugnata: Dispositivo n. 0156/CSA-2024-2025, Registro procedimenti n. 129/CSA/2024-2025, emesso dalla Corte Sportiva d’Appello FIGC, III Sezione, il 3 marzo 2025, e le relative motivazioni, notificate in data 18 marzo 2025, con le quali, in parziale accoglimento del reclamo della suddetta ricorrente avverso la decisione del Giudice Sportivo presso il Dipartimento Interregionale, di cui al C.U. n. 62 del 3 dicembre 2024 (che aveva irrogato, a carico della odierna ricorrente, la squalifica del campo di gioco per due giornate, con obbligo di disputare le partite in campo neutro ed a porte chiuse, nonché l’ammenda di € 4.000,00), è stata rideterminata la sanzione a carico della Folgore Caratese A.S.D. nell'obbligo di disputare una gara a porte chiuse e nell'ammenda di € 5.000,00.
Impugnazione Istanza: Folgore Caratese A.S.D. / FIGC / LND
Massima: Accolto il ricorso della società avverso la sanzione dell'obbligo di disputare una gara a porte chiuse e dell'ammenda di € 5.000,00 per i fatti occorsi in occasione della gara: «Per tutta la durata della gara, nel gabbiotto sopra gli spogliatoi, dirigenti riconducibili alla società di casa Folgore Caratese proferivano offese razziste nei miei confronti come: sei un marocchino di merda, viscido, devi tornare al paese tuo a mangiare le banane. Insultavano anche l'assistente numero 1 proferendo offese di ogni tipo, su di lui e la sua famiglia. Un soggetto non identificato che si presentava come [omissis] entrava nel TDG a fine primo tempo dicendo: sei un negro di merda, sono in grado di farti scomparire dalla faccia della terra a te e tua madre, accorrevano in campo tutta una serie di dirigenti non identificati, lo stesso mi seguiva fin davanti gli spogliatoi, provando a farmi uno sgambetto. I dirigenti della società di casa assistevano alla scena senza intervenire in alcun modo. Lo stesso, dava tre cazzotti alla porta dicendo: se non vi comportate bene io vi sparo alle gambe. Durante il 2’ tempo proferiva offese razziste verso di me, e verso i calciatori ospiti n. 7 [omissis] e n. 9 [omissis]. A fine gara, rimaneva nel gabbiotto al di sopra degli spogliatoi ed insieme ad altri colleghi, sputando ai calciatori che sotto si accingevano negli spogliatoi, colpendo calciatori avversari. A fine gara, derideva i giocatori di colore, facendo così scoppiare una lite violenta di poco fuori dallo spogliatoio, ma comunque fuori dal recinto di gioco. Nella confusione, i Carabinieri accorrevano, lo stesso [omissis] portava il pollice al collo facendo a gesto intimidatorio di tagliarmi la gola. Noi ci chiudevamo nello spogliatoio dopo aver visto dirigenti di casa colpire ospiti, senza identificare chi. Lo stesso si avvicinava a noi a fine gara, minacciandoci e continuandomi a dare del negro e del figlio di puttana e proferire che: sono libero di fare quello che voglio perché con il patrimonio che ho sono riuscito a comprare anche la coscienza di chi giudicherà il tuo referto». Inoltre, l’arbitro e l’assistente n. 2 riferivano che, subito dopo l’espulsione, il calciatore n. 7 del Club Milano, [omissis], sarebbe stato offeso da circa un centinaio di tifosi della Folgore Caratese, con frasi razziste e con il verso della scimmia. Per l’effetto, annullata la decisione con rinvio alla Corte Sportiva d’Appello affinché la medesima inquadri l’assetto sanzionatorio a carico della Folgore Caratese alla stregua dei seguenti principi di diritto a cui la Corte dovrà uniformarsi per arrivare alla corretta individuazione della sanzione e della sua misura:
1) La qualificazione di amministratore di fatto di una società deve essere affermata in applicazione del dettato dell’art. 2639 c.c. alla presenza di oggettivi elementi sintomatici di gestione o cogestione della società - 1. il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell'attività di impresa; 2. la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria; 3. la costante assenza dell'amministratore di diritto; 4. la mancata conoscenza di quest'ultimo da parte dei dipendenti - risultanti dall'organico inserimento del soggetto in qualunque fase dell'iter gestionale, decisionale, organizzativo, amministrativo, produttivo e disciplinare dell’azienda.
2) il giudizio di colpevolezza nell’ordinamento sportivo non deve raggiungere il grado di certezza previsto dal noto principio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma deve essere comunque assistito da indizi che abbiano le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza nel senso sopra descritto, che conducano ad un univoco contesto dimostrativo, intendendosi per gravità la consistenza, la resistenza alle obiezioni, la capacità dimostrativa ossia la pertinenza del dato rispetto al thema probandum; per precisione la specificità, l'univocità e la insuscettibilità di diversa interpretazione, altrettanto o più verosimile; per concordanza i plurimi indizi devono muoversi nella stessa direzione, essere logicamente dello stesso segno e non porsi in contraddizione tra loro.
Massima: Orbene, l’accertamento circa l’assoggettabilità o meno di un soggetto alla giurisdizione disciplinare sportiva implica un’analisi del rapporto sussistente tra il medesimo e il sodalizio ricorrente. Orbene, fermo restando che non è argomento di scrutinio la responsabilità del [omissis] in quanto il medesimo non è parte processuale ed opinando diversamente si opererebbe la violazione del principio del contraddittorio che presidia il processo civile cui questo procedimento e, più in generale, l’ordinamento sportivo si conforma in forza dell’art. 2, comma 6, del CGS CONI, deve comunque affermarsi un principio generale dell’ordinamento sportivo medesimo e cioè che, in forza del vincolo di giustizia, sono soggetti alla amministrazione degli organi di giustizia sportiva, i tesserati e gli affiliati laddove, in relazione al [omissis], viene individuata solo la asserita qualifica di amministratore di fatto. Questa considerazione, giova precisarlo, prescinde dal dato fattuale, che, come è noto, sfugge allo scrutinio dell’odierno Collegio attesane la funzione di legittimità e non di merito, sicché, quale Giudice dell’atto e non del fatto, deve rilevarsi che la responsabilità oggettiva ascritta alla ricorrente per il comportamento del sig. [omissis], nei termini di cui sopra e non del “tesserato” [omissis], non appare configurabile. Ad avviso dell’odierno decidente, la Corte Sportiva di Appello fa mal governo di un principio di diritto che il Collegio ha l’onere di (ri)affermare, secondo cui (cfr., decisione n. 19/2018, Prima Sezione) il Codice di Giustizia Sportiva della FIGC fornisce sanzione precisa a condotta precisa ed individuata. Il solco tracciato dalla norma non consente di poter allargare o restringere la portata e il novero delle sanzioni, che, peraltro, possono incidere sui campionati, i cui esiti, è bene ricordarlo, devono essere il frutto del merito sportivo. Di conseguenza, nell’approcciare le condotte violative delle regole, non è possibile discostarsi dalle specifiche previsioni normative, in corretta applicazione del principio generale penalistico del nullum crimen, nulla poena sine lege. In assenza di previsione normativa, non è pertanto possibile adottare una sanzione per una condotta non prevista, né tanto meno si può ricorrere all’analogia, che, come è noto, sconta un divieto applicativo in ambito penalistico (e la sanzione disciplinare in ambito sportivo ne è l’equivalente), in forza del principio c.d. di legalità formale, nonché per quanto previsto dall’art. 14 delle disp. preliminari al c.c., per il quale “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”, né, vieppiù, ci si può sostituire al legislatore creando fattispecie ad hoc basate, peraltro, su ipotesi non assistite da certezza. E la certezza, laddove si invoca la sussistenza dell’amministrazione di fatto ai sensi dell’art. 2639 c.c., proprio per le caratteristiche estrinseche della fattispecie, non può essere obliata né creata sulla base di indizi di tipo congetturale. Sul punto è utile ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha osservato che la qualifica di amministratore di fatto di una società si desume dal concreto esercizio, in modo continuativo e significativo, di poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (Cassazione penale, sentenza n. 34381/2022), affermando il principio di diritto secondo cui ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto di una società, deve essere valorizzato l'esercizio in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi. In tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati, come validamente individuabili in elementi sintomatici di gestione o cogestione della società - 1. il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell'attività di impresa; 2. la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria; 3. la costante assenza dell'amministratore di diritto; 4. la mancata conoscenza di quest'ultimo da parte dei dipendenti - risultanti dall'organico inserimento del soggetto in qualunque fase dell'iter gestionale, decisionale, organizzativo, amministrativo, produttivo e disciplinare dell’azienda. Orbene, esaminando le motivazioni che conducono il Giudice del gravame alla comminatoria della sanzione nei confronti della ricorrente per responsabilità oggettiva per i fatti ascritti al [omissis] (individuato appunto come amministratore di fatto), non si rinvengono tali argomentazioni, ma altre che la giurisprudenza di legittimità mai ha menzionato e che, pertanto, non risultano idonee alla qualificazione giuridica del citato soggetto come amministratore di fatto. Sovviene al riguardo, anche, il recente intervento della Suprema Corte (Cass. Pen., Sez. V, n. 16414 del 28 febbraio 2024), che ha ribadito in modo netto l’ambito dei requisiti per il riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto di una società, rilevando che “la prova della ritenuta funzione gestoria, esercitata in fatto da parte di un soggetto non formalmente investito di tale carica, si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico di tale soggetto in qualunque settore gestionale dell’attività economica, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare”; e tale accertamento risulta “insindacabile in sede di legittimità[…] solo se sostenuto da motivazione congrua e logica[…] in quanto oggetto di un apprezzamento di fatto riservato ai giudici di merito”. Dalle superiori argomentazioni emerge che il motivo di ricorso va accolto in parte qua, ma riqualificato, secondo il principio iura novit curia, nel senso che la Corte di Appello non ha correttamente applicato i principi di diritto utili alla configurazione dell’amministratore di fatto e che, come tale, non può essere ritenuto il presupposto della sanzione inflitta alla società ricorrente per responsabilità oggettiva. Quanto ai comportamenti del [omissis], per contro, il motivo è inammissibile perché il Collegio non ha alcun potere di riesame dei fatti che attengono a profili di merito sottratti ex lege al proprio scrutinio. Per quanto attiene alla prima parte del secondo motivo di gravame, la stessa è, del pari, meritevole di accoglimento. La responsabilità delle società per manifestazioni contrarie ai principi di non discriminazione è prevista dall’art. 28, c. 4, CGS FIGC, a mente del quale: “Le società sono responsabili per l’introduzione o l’esibizione negli impianti sportivi da parte dei propri sostenitori di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni di discriminazione. Esse sono responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione che siano, per dimensione e percezione reale del fenomeno, espressione di discriminazione”. Il conseguente regime sanzionatorio è così strutturato:
- In caso di prima violazione, si applica la sanzione minima di cui all’art. 8, comma 1, lettera d) [i.e. “obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori”].
- Qualora alla prima violazione si verifichino fatti particolarmente gravi e rilevanti, possono essere inflitte, anche congiuntamente e disgiuntamente tra loro, la sanzione della perdita della gara e le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lettere e), f), g), i), m) [i.e. “e) obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse; f) squalifica del campo per una o più giornate di gara o a tempo determinato fino a due anni; g) penalizzazione di uno o più punti in classifica; se la penalizzazione sul punteggio è inefficace in termini di afflittività nella stagione sportiva in corso è fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente; … i) esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore; … m) non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni”].
- In caso di violazione successiva alla prima, oltre all’ammenda di almeno euro 50.000,00 per le società professionistiche e di almeno euro 1.000,00 per le società dilettantistiche, si applicano, congiuntamente o disgiuntamente tra loro, tenuto conto delle concrete circostanze dei fatti e della gravità e rilevanza degli stessi, la sanzione della perdita della gara e le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lettere d), e), f), g), i), m).
Ai sensi del comma 5 della medesima disposizione, “Le società sono responsabili delle dichiarazioni e dei comportamenti dei propri dirigenti, tesserati, soci e non soci di cui all'art. 2, comma 2 che in qualunque modo possono contribuire a determinare fatti di discriminazione o ne costituiscono apologia. La responsabilità della società concorre con quella del singolo dirigente, tesserato, socio e non socio di cui all'art. 2, comma 2. Per tali violazioni si applicano le sanzioni di cui al comma 4”.
Nel caso di specie, la società ricorrente è stata sanzionata con «la sanzione della squalifica del campo di giuoco per una gara effettiva a porte chiuse e dell’ammenda di € 5.000,00». La differenza tra la prima fattispecie, quella più lieve, della disputa di una o più gare con uno o più settori privi di spettatori, e quella più grave, della perdita della gara e l’applicazione congiunta o disgiunta delle sanzioni di cui all’art, 8 comma 1, lettere e), f), g), i), m), risiede nella classificazione dei fatti come “particolarmente gravi e rilevanti”, ovvero che si concretizzino in una condotta particolarmente deplorevole e vergognosa e che allo stesso tempo siano “rilevanti”. Nel caso che ci occupa i fatti imputabili ai sostenitori della ricorrente sono stati refertati dall’assistente n. 2, che ha parlato di cori che si sarebbero protratti per circa un minuto provenienti dalla tribuna alle sue spalle; tali espressioni non sono state refertate né dall’arbitro né dall’assistente n. 1, che stazionava sul lato opposto del campo in prossimità delle panchine, il quale, evidentemente, non ha udito le predette urla (Rapporto assistente arbitrale n. 2: “tifosi, quantificabili in un centinaio, della Folgore Caratese, riconducibili per via di sciarpe e bandiere della squadra di casa faceva cori razzisti verso il sostituto/espulso per un minuto circa riproducendo il verso scimmiesco U-U-U-U”). Condivisibile si appalesa la censura della Folgore Caratese laddove denuncia il vizio motivazionale della CFA, che si limita ad assumere i fatti occorsi come “particolarmente gravi e rilevanti”, senza tuttavia dare contezza di alcun percorso logico argomentativo che possa portare a suddetta conclusione.
In altri termini, la decisione impugnata è lacunosa nella motivazione circa la “dimensione e percezione reale del fenomeno” e nella conseguente sanzione in concreto irrogata, giacché non è dato scorgere quale iter argomentativo abbia compiuto la CSA per giungere alla conclusione circa la particolare gravità e rilevanza dei fatti occorsi e, dunque, di ritenere “recessiva” l’ipotesi contemplata dal terzo capoverso dell’art. 28, c. 4 (“In caso di prima violazione, si applica la sanzione minima di cui all’art. 8, comma 1, lettera d)”). Chiarisce bene tale concetto la giurisprudenza di legittimità (già fatta propria da Questa Sezione, con decisione n. 23/2021) allorquando afferma: «secondo la previsione dell'art. 192 c.p.p., comma 2, ciascuna circostanza di fatto assumibile come indizio deve essere connotata, in primo luogo, dal requisito, non espressamente richiamato ma fondante, della "certezza", che implica la verifica processuale della sua sussistenza (Cass., sez. 4, n. 39882 del 01/10/2008). L'indicato requisito non può assumersi in termini di assolutezza e di verità in senso ontologico, partecipando, invece, di quella specie di certezza che si forma nel processo attraverso il procedimento probatorio (Cass., sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008); esso tuttavia conduce ad evitare che la prova critica (indiretta) possa fondarsi su di un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito, inammissibilmente valorizzando - contro indiscutibili postulati di civiltà giuridica - personali impressioni o immaginazioni del decidente o mere congetture (Cass., sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015). La caratterizzazione di ogni indizio passa, in secondo luogo, attraverso i requisiti di gravità, precisione e concordanza. Per gravità deve intendersi la consistenza, la resistenza alle obiezioni, la capacità dimostrativa vale a dire la pertinenza del dato rispetto al thema probandum; per precisione la specificità, l'univocità e la insuscettibilità di diversa interpretazione altrettanto o più verosimile; infine concordanza significa che i plurimi indizi devono muoversi nella stessa direzione, essere logicamente dello stesso segno, e non porsi in contraddizione tra loro. Il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio implica come operazione propedeutica quella di valutare ogni elemento indiziario singolarmente, ciascuno nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarlo, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo» (Cass. Pen., Sez. V, sent. 15 settembre - 28 ottobre 2020, n. 29877). Nella vicenda all’esame del Collegio, a fronte di un referto arbitrale in cui nulla si dice in merito ad eventi che, giova ricordarlo, sarebbero accaduti all’interno del rettangolo di gioco, con margini di assoluta incertezza, rectius non conoscenza, sugli autori delle condotte, la Corte perviene ad ipotesi di gravità e rilevanza in relazione al margine di certezza della commissione del fatto senza considerare il principio di diritto affermato da Questa Sezione (decisione 23/2021), secondo cui il giudizio di colpevolezza nell’ordinamento sportivo non deve raggiungere il grado di certezza previsto dal noto principio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma deve essere comunque assistito da indizi che abbiano le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza nel senso descritto innanzi, che conducano ad un univoco contesto dimostrativo.
Decisione C.S.A. – Sezione I: DECISIONE N. 301/CSA del 18 Maggio 2022 (Motivazioni) - www.figc.it
Decisione Impugnata: Decisione del giudice sportivo presso la Lega Nazionale Professionisti Serie B, di cui al Com. Uff. n. 177 del 19.04.2022, recante l’applicazione della sanzione dell’ammenda di 5.000,00 euro alla società Ternana Calcio s.p.a. in relazione alla gara Ternana/Frosinone del 18.04.2022
Impugnazione – istanza: - Ternana Calcio s.p.a.
Massima: L’art. 6 comma 1 del Codice di giustizia sportiva (di seguito anche Codice) nel perimetrare l’ambito operativo dell’istituto cd. della responsabilità diretta si limita, infatti, a prevedere che “la società risponde direttamente dell’operato di chi la rappresenta ai sensi delle norme federali”. La piana lettura della disposizione in argomento riflette con immediatezza la chiara attitudine della norma ad intercettare, a fini punitivi, rispetto al ventaglio degli illeciti previsti, qualsivoglia condotta sanzionata dall’ordinamento sportivo siccome in rapporto di distonia con i suoi precetti. L’unico profilo selettivo che filtra il meccanismo di diretta imputazione in capo alle società degli addebiti accertati involge, infatti, esclusivamente il versante soggettivo della qualità dell’autore dell’infrazione, occorrendo che la contestazione inerisca ad un comportamento posto in essere da chi, ai sensi delle norme federali, può fruire di una qualificata legittimazione rappresentativa idonea ad accreditare un rapporto di immedesimazione organica tra autore della condotta e il singolo sodalizio sportivo. Solo in siffatte evenienze l’illecito, siccome direttamente riferibile alla società, comporta una reazione punitiva a carico dell’Ente per fatto proprio. Nel caso che ci occupa, le violazioni ascritte al Presidente …., rappresentante legale della Società Ternana Calcio s.p.a., circostanza qui non in contestazione, valgono, dunque, ad integrare, di per se stesse, la responsabilità diretta (ex art. 6 comma 1 del Codice) della società.