F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2022/2023 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0098/CFA pubblicata il 08 Maggio 2023 (motivazioni) – Procuratore Federale/E.M., S.C., G.M., G.S.V. e D.O.

Decisione/0098/CFA-2022-2023

Registro procedimenti n. 0114/CFA/2022-2023

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

SEZIONI UNITE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Salvatore Lombardo – Componente

Mauro Mazzoni – Componente

Marco Lipari – Componente

Antonio Maria Marzocco - Componente (Relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul reclamo numero 0114/CFA/2022-2023 proposto dal Procuratore Federale in data 30.03.2023

contro

E.M., S.C., G.M., G.S.V. e D.O.

per la riforma della decisione del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare n. 0140/TFNSD-2022-2023 (registro proc. 0076/TFNSD/2022-2023) del 27/03/2023;

Visto il reclamo e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza del giorno 26.04.2023, tenutasi in videoconferenza, il cons. Antonio Maria Marzocco e uditi l’avv. Enrico Liberati per la Procura Federale, l’avv. Luca Bronzato per sig.ri S.C., G.M., G.S.V., D.O. e l’avv. Roberto Canevaro per il sig. E.M.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto prot. n. 10601/116pf22-23/GC/blp del 26 ottobre 2022 la Procura Federale, a partire dalla segnalazione in atti della Procura Generale dello Sport datata 14 luglio 2022 e sulla base delle risultanze probatorie acquisite a seguito della trasmissione di copia degli atti dell’indagine penale condotta dalla Procura della Repubblica di Verona, deferiva – dopo un originario intendimento di archiviazione avanzato in data 19 agosto 2022 e aderendo in seguito all’invito della Procura Generale dello Sport, datato 12 settembre 2022, a notificare, in ragione della “gravità dei fatti di cui parrebbero essersi resi protagonisti i tesserati”, l’avviso di conclusione delle indagini con intendimento di deferimento – dinanzi al Tribunale Federale Nazionale Sezione Disciplinare i sig.ri E.M., S.C., G.M., G.S.V., D.O., tesserati, all’epoca dei fatti, per la società “Omissis”, per rispondere «della violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3, comma 1, del C.G.S. (“Il Codice è adottato in conformità a quanto disposto ... dallo Statuto del CONI e … dal Codice CONI”), con l’art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo CONI che impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti». Ciò  in quanto era emerso, sulla base degli atti indicati, che nella notte tra il 18 e il 19 gennaio 2020 i suddetti tesserati, in concorso tra loro e ciascuno con un proprio autonomo apporto causale, dopo aver condotto una giovane donna in un’abitazione sita in “Omissis” che la Società “Omissis” aveva locato in uso a taluni propri tesserati, si intrattenevano con la stessa in un gioco che comportava la ripetuta assunzione di alcolici e ne abusavano sessualmente inducendola a compiere e/o subire rapporti sessuali sia alternandosi l’uno dopo l’altro, che contemporaneamente.

1.1. Le condotte, si legge nell’atto di deferimento, sono «tali da atteggiarsi come manifestamente contrarie e violative del dettato normativo di cui all’art. 4, comma 1, del C.G.S. così come integrato, nel caso di specie, dal disposto di cui all’art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo CONI. E ciò atteso che le stesse si appalesano particolarmente gravi e riprovevoli non soltanto, evidentemente, in quanto idonee a configurare autonome fattispecie di rilievo penale (…) ma vieppiù, anche per aver determinato una evidente compromissione di quei valori e doveri di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale cui si ispira l’ordinamento sportivo, codificati nel sopra citato art. 4 co. 1 del C.G.S. e dei quali il giudice sportivo è tenuto sempre a verificare il rispetto ad opera di tutti i soggetti parte dell’ordinamento federale. (…)».

Inoltre, si legge ancora nell’atto di deferimento, «le condotte in parola si manifestano, altresì, censurabili anche per le evidenti conseguenze pregiudizievoli occorse all’immagine della FIGC a seguito dell’eco mediatica avuta dalle stesse. (…). Con l’ulteriore effetto di far per ciò stesso ritenere anche sotto tale profilo violato il dettato di cui al ricordato art. 4, comma 1, del CGS così come integrato dal disposto di cui al menzionato art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo CONI avuto riguardo, in particolare, a quel dovere di correttezza, rettitudine morale e rifiuto di adottare comportamenti violenti che completa ed esaurisce il tipo di diligenza che le persone e gli organismi tutti soggetti all’osservanza delle norme federali e dei doveri previsti e sanzionati dal Codice di Comportamento Sportivo CONI devono mantenere in ogni rapporto anche di natura sociale».

Infine, per quando attiene alla posizione della Società “Omissis”, nell’atto di deferimento si legge che «per quanto tutti i sopra citati soggetti versassero al momento dei fatti in costanza di tesseramento con la Società Omissis (…) alcun tipo di responsabilità disciplinare è configurabile a carico di quest’ultima per i fatti illeciti contestati ai propri al tempo tesserati. E ciò in ragione del fatto che i censurati comportamenti debbono essere ricompresi esclusivamente nell’ambito della sfera soggettiva e personale propria dei tesserati, esclusi e posti al di fuori, quindi, dall’attività connessa al rapporto organico, all’epoca, in essere con la Società».

2. Con decisione n. 0140/TFNSD/2022-2023 del 27 marzo 2023, il Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, accogliendo l’eccezione formulata dai deferiti.

Il difetto di giurisdizione è stato fondato, in particolare, sull’affermazione che l’art. 4, comma 1, C.G.S., la cui violazione è stata contestata dalla Procura Federale, «prevede sì l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ma lo fa con specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”».

Su tale premessa, il Tribunale Federale Nazionale ha affermato che «I fatti oggetto del deferimento trovano compiuta descrizione negli atti del processo penale, ove è stata contestata la conduzione, da parte dei deferiti, di una giovane donna – estranea all’ordinamento sportivo – presso una abitazione e nella induzione della stessa a rapporti sessuali. Emerge, dunque, la commissione dei fatti nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi di sorta.

Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata degli odierni deferiti.

Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale».

3. Avverso la decisione del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare, il Procuratore Federale ha proposto, con atto del 30 marzo 2023, reclamo a questa Corte Federale d’Appello, per i motivi che saranno in seguito analiticamente indicati ed esaminati (v. “Considerato in diritto”), chiedendo l’annullamento della decisione e, previa affermazione della sussistenza della giurisdizione sportiva, il rinvio al Tribunale Federale Nazionale ai sensi dell’art. 106, comma 2 C.G.S.

3.1.Per la discussione del reclamo è stata fissata l’udienza in videoconferenza del giorno 26.04.2023, attribuendo, ai sensi dell’art. 103, comma 1 secondo periodo, C.G.S., termine fino a tre giorni prima dell’udienza per l’eventuale deposito di memorie, l’indicazione di mezzi di prova e la produzione di documenti. Tutte le controparti, come sopra rappresentate, si sono costituite e hanno depositato memorie in vista dell’udienza.

3.2. Con la memoria depositata, l’avv. Roberto Canevaro, in rappresentanza del sig. E.M., ha chiesto «la declaratoria di inammissibilità del reclamo e/o il rigetto con conferma del provvedimento impugnato». Più precisamente, in via pregiudiziale ha chiesto la dichiarazione dell’inammissibilità del reclamo per difetto di specificità dei motivi e/o per difetto di interesse ad impugnare e/o per violazione dell’art. 25 Cost.; e, in subordine, la dichiarazione, per i motivi che saranno in seguito precisati (v. “Considerato in diritto”), del difetto di giurisdizione con il conseguente rigetto del reclamo e la conferma della decisione di primo grado.

3.3. Con la memoria depositata, l’avv. Luca Bronzato, in rappresentanza dei sig.ri S.C., G.M., G.S.V., D.O., ha dedotto in via pregiudiziale l’inammissibilità del reclamo per violazione dell’art. 101, 3° co. (primo periodo), C.G.S., in quanto il reclamo medesimo non conterrebbe specifiche censure contro il capo della decisione impugnato e, in ogni caso, esso risulterebbe contraddittorio nel contenuto.

Inoltre, ha sostenuto l’inammissibilità del reclamo per carenza di interesse ad impugnare (invocando la pretesa violazione dell’art. 49, comma 1, C.G.S.). In subordine, la difesa ha chiesto, per i motivi che saranno in seguito precisati (v. “Considerato in diritto”), che sia dichiarato il difetto di giurisdizione e, pertanto, confermata la decisione di primo grado; in ogni caso, ha richiesto «il proscioglimento (…) da tutti i capi di incolpazione».

3.2. All’udienza del giorno 26.04.2023, relatore il cons. Antonio Maria Marzocco, la Corte ha constatato la comparizione dell’avv. Enrico Liberati, rappresentante della Procura Federale, dell’avv. Luca Bronzato, per sig.ri S.C., G.M., G.S.V. e D.O., e dell’avv. Roberto Canevaro per il sig. E.M.

La Procura Federale ha concluso per l’accoglimento del reclamo, riportandosi al contenuto dell’atto stesso. L’avv. Luca Bronzato e l’avv. Roberto Carnevaro hanno chiesto, per le ragioni dagli stessi già esposte nei rispettivi atti difensivi a cui si sono richiamati, in via pregiudiziale la dichiarazione di inammissibilità del reclamo e in subordine la conferma della decisione di primo grado con la dichiarazione del difetto di giurisdizione degli organi di giustizia sportiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. In via pregiudiziale devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del reclamo sollevate dai difensori di tutte le parti deferite e, nel complesso, così sintetizzabili:

a) difetto di specificità (e pretesa contraddittorietà) delle censure sollevate contro il capo (unico) della decisione impugnato e, pertanto, violazione dell’art. 101, 3° co. (primo periodo), C.G.S., con la conseguente richiesta, in forza dell’art. 49, 4° co., C.G.S., di dichiarare la inammissibilità del reclamo perché redatto senza motivazione o in forma generica;

b) carenza di interesse ad impugnare, invocando la pretesa violazione dell’art. 49, comma 1, C.G.S.

4.1. Per quanto attiene al difetto di specificità dei motivi di reclamo, l’avv. Roberto Canevaro, difensore del sig. E.M., eccepisce che il reclamo della Procura «non contiene specifiche censure contro i capi della decisione impugnata, traducendosi in una sterile riproposizione dei motivi già illustrati, o peggio ancora in una richiesta esplorativa non di competenza di codesta CFDA SU»; ed inoltre la contraddittorietà del reclamo, perché «si ammette esplicitamente che i fatti de quibus siano maturati in contesto extrasportivo (pag. 5 reclamo), ciò nonostante si afferma la valenza dei precetti normativi dettati in materia sportiva, senza illustrare su quali basi ciò sia possibile».

In termini sostanzialmente conformi, la memoria difensiva dell’avv. Luca Bronzato, per sig.ri S.C., G.M., G.S.V., D.O., afferma che la Procura federale «nelle 6 pagine del gravame non evidenzia in modo chiaro quali siano le censure mosse alla decisione gravata, bensì, si sofferma, perlopiù, su asserzioni prive di fondamento e non suffragate da alcun valido elemento probatorio»; che «le argomentazioni appaiono del tutto generiche e financo contradditorie»; che sussiste «una “confusione totale” dalla quale non è facile comprendere l’intento e la volontà della reclamante»; e che il reclamo è «assolutamente generico, non circostanziato e soprattutto privo di capitoli dai quali sia concretamente possibile comprendere quali capi della decisione la Procura Federale intenda impugnare, posto che, come detto, parrebbe che nessun capo della decisione voglia essere impugnato dalla Procura Federale medesima».

4.1.1. L’eccezione di inammissibilità così sollevata dalle difese non è meritevole di accoglimento.

La specificità di un motivo di reclamo deve essere valutata sulla base dell’atto di reclamo complessivamente considerato; quindi non soltanto prendendo in esame la parte del reclamo formalmente dedicata alla enunciazione del motivo di impugnazione, ma anche il complessivo contenuto dell’atto di reclamo. Questa opera di valutazione complessiva del contenuto dell’atto, al fine di stabilire se il motivo di reclamo sia stato formulato in modo specifico e sufficiente a consentire alla controparte e all’organo giudicante di individuarne le ragioni, è necessaria ed imposta dalla struttura del giudizio di reclamo, dal momento che i motivi di reclamo concorrono ad individuare, in applicazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, l’oggetto stesso del giudizio di reclamo e ciò su cui l’organo di giustizia, di conseguenza, è chiamato a pronunciare. Un approccio meramente formalistico contrasterebbe con la garanzia dell’effettività del diritto di azione giustiziale, perché potrebbe condurre a frettolose dichiarazioni di inammissibilità. Del resto, questa Corte ha già chiarito che «è principio di carattere generale che i motivi di gravame, pur se non rubricati in modo puntuale né espressi con formulazione giuridica rigorosa, devono essere comunque esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale. Parte reclamante deve, in altri termini, offrire indizi dai quali ragionevolmente desumere vizi della decisione avversata, incombendo su di essa - anche nel giudizio sportivo - l’onere della formulazione e dell’individuazione dei vizi inficianti la decisione di cui si duole, adducendo concreti elementi idonei a dimostrare quantomeno la possibilità di sussistenza dei denunciati vizi» (CFA, Sez. I - decisione n. 078 CFA del 4 febbraio 2021).

La sufficiente specificazione dei motivi di reclamo sussiste nel caso di specie.

L’esame dell’atto di reclamo consente la chiara individuazione del motivo di impugnazione (in realtà unico) e delle specifiche ragioni su cui esso si fonda; così come non vi è – contrariamente a quanto prospettato dalla memoria difensiva dell’avv. Luca Bronzato per sig.ri S.C., G.M., G.S.V., D.O. – alcun dubbio circa il capo della decisione di primo grado impugnato, che peraltro risulta essere unico e relativo alla giurisdizione (o, se lo si preferisce, alla competenza) degli organi di giustizia sportiva.

Dall’esame dell’atto di reclamo emerge, infatti, che la Procura federale si duole, sin dall’incipit dell’atto, sia della dichiarazione del difetto di giurisdizione da parte della decisione di primo grado rispetto ai fatti oggetto dell’atto di deferimento, sia della circostanza che «tale decisione è stata assunta sulla scorta, tra l’altro, della seguente testuale motivazione: “difetta quel nesso con l’ordinamento domestico che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza solo per l’ordinamento statale”.

In tal modo il motivo di reclamo risulta individuato già nella parte introduttiva dell’atto.

La specificazione delle ragioni su cui esso si fonda emerge, invece, in modo sufficientemente dettagliato, nella parte del reclamo intenzionalmente dedicata all’enunciazione del motivo, così descritto: «Violazione ed erronea applicazione degli artt. 1, 2 e 4, comma 1, del C.G.S. Erronea motivazione.

Erronea valutazione dei presupposti relativi all’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo del Codice di Giustizia Sportiva e conseguente erronea declaratoria di difetto di giurisdizione».

Delle singole e specifiche ragioni su cui si fonda il motivo di impugnazione si tratterà in seguito, nei §§ 5 e ss. della decisione, e risulterà evidente, oltre alla sufficiente specificità delle stesse, l’insussistenza della lamentata contraddittorietà delle ragioni su cui si fonda il reclamo della Procura (contraddittorietà invocata dalle memorie difensive quale concorrente ragione della pretesa inammissibilità del reclamo per difetto di specificità dei motivi).

Infine, in modo coerente con i motivi di reclamo sollevati, nelle conclusioni dell’atto di reclamo la Procura chiede l’annullamento della decisione del Tribunale Federale Nazionale Sezione Disciplinare ed il rinvio del giudizio a quest’ultimo ai sensi dell’art. 106, comma 2, C.G.S.

I complessivi elementi appena indicati consentono di ritenere almeno sufficientemente specificati i motivi di reclamo, il che vale già ad escludere il motivo di inammissibilità sollevato dalle difese dei soggetti deferiti.

4.2. Per quanto attiene al difetto di interesse ad impugnare, la struttura talvolta (apparentemente) non chiara dell’atto di reclamo, fermo il sufficiente grado di specificità delle censure sollevate, ha indotto le difese delle parti ad eccepire il difetto di interesse ad impugnare della Procura, invocando – in modo esplicito nella memora difensiva dell’avv. Luca Bronzato per sig.ri S.C., G.M., G.S.V., D.O. e in modo implicito nella memoria difensiva dell’avv. Roberto Canevaro per il sig. E.M. –  la pretesa violazione dell’art. 49, comma 1, C.G.S.

La percezione del difetto di interesse all’impugnazione, in particolare, è generata dalla dichiarazione della Procura – nel prologo (o premessa) al vero e proprio atto di reclamo (p. 3 del reclamo) – di aver, come risulta dagli atti, proposto nella fase delle indagini l’archiviazione, ma di essere stata “sollecitata” al deferimento dalla richiesta pervenuta dalla Procura Generale, contrariamente al consolidato indirizzo della Procura Federale di ritenere «insussistente la potestà disciplinare degli organi di giurisdizione domestica in tutti quei casi come quello in esame in cui difetti la riferibilità o riconducibilità delle condotte ad un’attività propriamente sportiva»; ed inoltre dall’affermazione della Procura che «il presente gravame non deve apparire come un improvviso revirement sul punto ma piuttosto, stante il diverso parere della Procura Generale dello Sport, come una richiesta di ulteriore autorevole arresto sul tema che possa fungere da linea guida e indirizzo ermeneutico capace di orientare le scelte dell’Ufficio per i futuri atti di esercizio o meno dell’azione disciplinare di propria competenza».

4.2.1. Anche l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse ad impugnare non è meritevole di accoglimento.

Pur osservando che le affermazioni poco sopra riportate non sono tipiche di un atto di reclamo e possono indurre, come hanno indotto, le difese delle parti deferite ad eccepire prima il difetto di specificità dei motivi e poi il difetto di interesse ad impugnare, bisogna correttamente collocare le affermazioni poco sopra riportate.

Esse in realtà, come lo stesso reclamo chiarisce, sono collocate in una vera e propria premessa al reclamo e costituiscono, come dichiara la Procura nel reclamo, soltanto un «prologo» volto a «ripercorrere sinteticamente il dipanarsi delle vicende processuali che hanno caratterizzato il procedimento disciplinare». Ferma la peculiarità della struttura del reclamo, l’interesse ad impugnare emerge però ben evidente dalle seguenti considerazioni.

Al fine di valutare l’interesse ad impugnare bisogna tener conto della posizione assunta dalla parte nel precedente grado di giudizio e dell’esito di tale giudizio. L’interesse ad impugnare, infatti, si fonda, da un lato, sulla soccombenza in ordine a domande (nella specie l’atto di deferimento) o eccezioni proposte nel precedente grado di giudizio e, dall’altro, sulla richiesta, attraverso il mezzo di impugnazione, di un risultato – in un processo civile e non disciplinare si discorrerebbe di “bene della vita”, ma qui è più adeguato il più generico termine “risultato” – non ottenuto nel precedente grado di giudizio. Alla luce della precisazione appena compiuta, risulta chiaro l’interesse ad impugnare della Procura se si considera:

a) che nel precedente grado di giudizio dinanzi al Tribunale Federale Nazionale Sezione Disciplinare la Procura aveva chiesto l’affermazione della responsabilità disciplinare dei soggetti deferiti in relazione ai fatti di cui all’atto di deferimento;

b) che il Tribunale Federale Nazionale ha disatteso la richiesta dichiarando il difetto di giurisdizione;

c) che la Procura ha impugnato la decisione di primo grado chiedendo, a questa Corte con l’atto di reclamo, di affermare la giurisdizione sportiva (o, se si preferisce, la competenza degli organi giustizia sportiva) e, di conseguenza, di annullare la decisione impugnata con rinvio al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 106, comma 2, C.G.S. (così da garantire il doppio grado di giudizio di merito).

Ricorre dunque, senza dubbio alcuno, lo schema soccombenza-interesse ad impugnare per ottenere quanto non riconosciuto dal giudice di primo grado. Ciò è reso palese sia dall’incipit del reclamo, poco sopra ricordato (supra § 4.1.1.); sia dall’enunciazione del motivo di reclamo, così individuato: Violazione ed erronea applicazione degli artt. 1, 2 e 4, comma 1, del C.G.S. Erronea motivazione.

Erronea valutazione dei presupposti relativi all’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo del Codice di Giustizia Sportiva e conseguente erronea declaratoria di difetto di giurisdizione»; sia, infine, dalle conclusioni formulate dalla Procura.

Né a sostegno della eccepita carenza di interesse ad impugnare possono essere invocate le decisioni del Collegio di Garanzia CONI richiamate dalla difesa del sig. E.M., che non si riferiscono all’interesse ad impugnare quanto, piuttosto, alla legittimazione a proporre ricorso o reclamo (cfr. le richiamate Collegio di Garanzia, Sez. I, 18 luglio 2018, n. 40, Collegio di Garanzia, Sez. I, 3 settembre 2018 n. 50) e talvolta, ma soltanto parzialmente, anche all’interesse al ricorso (peraltro affermando, conformemente alla posizione qui assunta da questa Corte, che nel configurare l’interesse ad impugnare rileva anche il profilo del vantaggio pratico e concreto – poco sopra indicato come il “risultato” – che può derivare dall’accoglimento dell’impugnazione, cfr. Collegio di Garanzia, Sez. I, 3 settembre 2018 n. 50). Allo stesso rilievo si espone la invocata violazione dell’art. 49, comma 1, C.G.S., che attiene, appunto, non già all’interesse ad impugnare ma alla legittimazione, che non è controversa ai fini dell’ammissibilità del presente giudizio di reclamo.

5. Ciò chiarito in ordine alle questioni pregiudiziali, si può ora passare all’esame del “merito” del reclamo, che coinvolge una questione qualificata – sia nella sentenza di primo grado, sia nel reclamo, sia negli atti difensivi – per lo più in termini di “giurisdizione” e di “difetto di giurisdizione” degli organi di giustizia sportiva.

Non mancano però, soprattutto negli atti difensivi, notazioni in ordine all’assenza di una norma disciplinare che consenta di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità anche in rapporti non riferibili all’attività sportiva. In concreto si prospetta un difetto di giustiziabilità della pretesa disciplinare, per insussistenza della fattispecie che consenta di attribuire rilevanza disciplinare ad indubbie violazioni dei principi cardine dell’ordinamento sportivo, ma accadute al di fuori di «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva» (cfr. art. 4, comma 1, C.G.S.). Tale prospettiva può far mutare la qualificazione della questione ora in esame, da questione di giurisdizione a questione di merito. È noto, infatti, che secondo la Corte di Cassazione il difetto di giustiziabilità della pretesa non configura una questione di giurisdizione ma di merito (cfr., rispetto al rapporto con la giustizia sportiva, Cassazione civile, sez. un., 16/01/2015, n.647; e, da ultimo ma in una materia diversa, Cassazione civile, sez. un., 05/09/2022, n. 26038). Un’affermazione che seppur compiuta rispetto alla giurisdizione statale (e dalla prospettiva del giudice statale), può essere applicata anche agli organi di giustizia sportiva, ma chiaramente mutatis mutandis (in particolare per la necessità di riferire la questione della giustiziabilità alla pretesa di sanzionare disciplinarmente condotte che senza dubbio violano radicalmente i principi di lealtà, correttezza e probità, ma siano state realizzate al di fuori di un rapporto riferibile all’attività sportiva).

Alla luce di tali precisazioni, questa Corte intende subito evidenziare, seppure anticipando l’esito del giudizio (di seguito compiuto funditus), che nel decidere il caso in esame si potrà continuare a discorrere, per chiarezza della decisione qui assunta, di difetto di giurisdizione (o, qualora si sostenga la tesi del monopolio statale della giurisdizione, più genericamente di difetto di competenza degli organi di giustizia sportiva), ma con la precisazione che il difetto di giurisdizione (o di competenza) dipende dal difetto di giustiziabilità della pretesa disciplinare dinanzi agli organi di giustizia sportiva per mancanza di una fattispecie disciplinare sanzionatrice. In questo modo si esclude sin da ora il rischio di ritenere che l’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo in rapporto a quello statale comporti il difetto di giurisdizione della giustizia sportiva ogni volta che non sia possibile «l’effettiva riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare», come sembra sostenere la decisione di primo grado (v. infra § 5.2.2.). Non si tratta infatti, nel caso di esame, come meglio sarà chiarito in seguito nell’analisi dei motivi di reclamo e delle difese, del confine tra la giustizia sportiva e la giurisdizione statale o dei limiti dell’autonomia dell’ordinamento sportivo in rapporto all’autonomia dell’ordinamento statale, ma soltanto dell’assenza, almeno de iure condito, di una pretesa alla sanzione disciplinare che sia deducibile dinanzi agli organi di giustizia sportiva.

Tale situazione può essere sintetizzata come difetto di giurisdizione (o di competenza), ma purché ne sia chiaro il concreto significato, lasciando pieno spazio a possibili diverse scelte de iure condendo, che non trovano, per quanto si dirà (infra §§ 5.2.2.), un ostacolo nell’ambito di autonomia proprio dell’ordinamento sportivo.

5.1. Ciò premesso, passando al concreto esame del reclamo e degli atti difensivi, la Procura Federale prospetta la sanzionabilità disciplinare dei fatti sulla base del preteso combinato disposto degli art. 4, comma 1, C.G.S. e 5, comma 1, Codice di Comportamento Sportivo del CONI. Più precisamente, la Procura afferma che i fatti descritti configurano una «violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3 co. 1 del C.G.S. (“Il Codice è adottato in conformità a quanto disposto ...dallo Statuto del CONI e … dal Codice CONI”), con l’art. 5 co.1 del Codice di Comportamento Sportivo CONI che impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti (…)».

Su questo presupposto, già enunciato nell’atto di deferimento, è impugnata la decisione di primo grado perché, secondo la reclamante, sussiste una violazione degli artt. 1, 2 e 4, comma 1, C.G.S. che avrebbe condotto il Tribunale Federale alla erronea individuazione dell’ambito soggettivo del C.G.S. e, di conseguenza, alla erronea dichiarazione del difetto di giurisdizione.

Più precisamente, l’atto di reclamo censura la decisione del Tribunale Federale perché ha ritenuto i fatti alla base del deferimento, ferma la assoluta gravità delle condotte contestate, non riconducibili, si legge nel reclamo, «ad una attività propriamente sportiva dovendo invero le stesse essere sussumibili nell’alveo della sfera privata propria di ciascuno dei soggetti deferiti»; e perché, si legge ancora nel reclamo, ha ritenuto dirimente al fine di negare la propria giurisdizione «la circostanza che i fatti oggetto del proposto deferimento, quali trovano compiuta descrizione e fondamento negli acquisiti atti del processo penale istruito dall’Autorità Giudiziaria ordinaria a carico dei tesserati deferiti, siano stati commessi nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi, così da poter gli stessi assumere rilevanza solo per l’ordinamento statale e non anche per quello domestico».

Secondo la Procura reclamante, il Tribunale Federale Nazionale avrebbe dovuto affermare la propria giurisdizione, perché «l’autonomia dell’ordinamento sportivo impone una valutazione indipendente e, appunto, autonoma dei fatti e delle vicende che riguardano e coinvolgono soggetti appartenenti all’ordinamento federale».

Inoltre, il reclamo afferma, sulla base della lettura dell’art. 4, comma 1, C.G.S. accolta dalla Procura (non limitata all’attività sportiva, ma estesa ad «ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale»), che «I fatti oggetto di deferimento, ancorché occorsi in un contesto extra-sportivo, non possono essere considerati estranei al perimetro di competenza della giustizia sportiva anche per un’ulteriore considerazione, ovverosia, per le evidenti conseguenze pregiudizievoli occorse all’immagine della FIGC a seguito dell’eco mediatica avuta dagli stessi (…)». Per tale ragione, ritiene «anche sotto tale ulteriore profilo violato il dettato di cui al ricordato art. 4, comma 1, del C.G.S., così come peraltro integrato nel caso di specie anche dal richiamo al sopracitato art. 5 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, e pertanto, stante il ridetto dovere precipuo del giudice sportivo di valutare sempre il rispetto della lex specialis costituente l’ordinamento sportivo ad opera dei tesserati, sussistente la competenza degli organi di giustizia della FIGC a conoscere e valutare quei fatti».

5.1.1. Di fronte a tali argomenti, la difesa del sig. E.M., avv. Roberto Canevaro, insiste affinché si dichiari la carenza di giurisdizione, confermando la decisione di primo grado, sia perché «i fatti contestati sono stati commessi al di fuori di manifestazioni ed eventi sportivi e, dunque, riconducibili alla sfera privata dei deferiti»; sia perché le «norme sportive sono norme speciali, dunque non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica, tanto meno idonee a regolamentare situazioni incidenti su diritti soggettivi ed interessi legittimi di rilievo per il Giudice ordinario che ha giurisdizione e competenza a decidere»; sia perché «il tesserato è sottoposto a procedimento disciplinare per fatti non pertinenti un evento sportivo, non v’è una condanna passata in giudicato, è suscettibile di provvedimenti sanzionatori da parte della società di appartenenza, con potenziale danno all’immagine, alla carriera oltre che giuslavoristico ed economico, laddove fosse comminata una sospensione»; sia perché, reiterando di fatto il primo motivo, «sussistono pronunce, vedasi Collegio di Garanzia dello Sport, sez. IV, 22.12.2020, n. 66, che affermano la necessità trattarsi di violazioni commesse nell’ambito dell’attività sportiva restandone escluso l’ambito privato personale».

La difesa dei sig.ri S.C., G.M., G.S.V., D.O., avv. Luca Bronzato, eccepisce, di fronte al reclamo, la carenza di giurisdizione, perché «le condotte dei tesserati venivano tenute al di fuori di un luogo attinente all’attività sportiva (appartamento) in un orario non riferibile all’attività sportiva (nella notte) nei confronti di un soggetto non tesserato (ragazza) e consistevano, con tutti i dubbi del caso, in una attività non riferibile ad aspetti sportivi (rapporti sessuali)»; e che «i fatti oggetto di causa non hanno alcuna rilevanza sportiva posto che un calciatore può essere ritenuto tale ed essere chiamato a rispondere delle proprie condotte solo ed esclusivamente quando riveste la qualifica di tesserato e quando pone in essere condotte sanzionabili secondo le norme sportive. Argomentare diversamente significherebbe perseguire le condotte di un calciatore (ovvero di un dirigente o di un allenatore ecc.…) in ogni momento della sua vita, ancorché privata, in qualunque luogo del mondo»; che «i fatti oggetto di contestazione avvengono all’interno di un luogo privato in un momento della giornata (notte) che esula totalmente dall’attività sportiva e per di più nei confronti di un soggetto non tesserato ed, in ogni caso, aspetto di assoluta preminenza, i comportamenti, ancorché dovessero essere appurati ed acclarati, non ineriscono a fattispecie previste dalle norme federali bensì, eventualmente, hanno rilevanza unicamente in ambito statale».

5.1.2. Il motivo di reclamo della Procura non è meritevole di accoglimento.

In primo luogo, il reclamo della Procura federale muove chiaramente dalla lettura dell’articolo 4, comma 1, C.G.S. nel senso che esso impone l’obbligo di osservare i principi di lealtà, probità, correttezza «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, e/o sociale», mentre la norma appena indicata testualmente limita il proprio ambito applicativo ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva».  L’art. 1, comma 1, C.G.S. afferma che il Codice «disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare». In modo coerente, l’art. 4, comma 1, C.G.S. individua una fattispecie che, nonostante contenga una clausola molto ampia, limita il proprio campo applicativo ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva».

La chiarezza del dato testuale non consente estensioni oltre i rapporti riconducibili all’attività sportiva (cfr. Commissione disciplinare nazionale C.U. n. 56/CDN (2013/2014) – caso 235).

Le uniche componenti della disposizione che possano favorire interpretazioni estensive dell’ambito applicativo della norma sono soltanto l’aggettivo indefinito «ogni» (rectius: «ogni rapporto») e l’avverbio «comunque» («comunque riferibile all’attività sportiva») – elementi valorizzati dalla giurisprudenza endofederale. Si è, ad esempio, affermato che l’art. 4 contiene «una clausola molto ampia, suscettibile di ricomprendere nel proprio spettro applicativo molteplici fattispecie, non soltanto quelle attinenti allo svolgimento stricto sensu dell’attività sportiva, ma anche quelle concernenti “rapporti” ad essa comunque riconducibili» (CFA, Sez. IV - decisione n. 0069 CFA del 2 marzo 2022). Per il resto è ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte la ripetizione del principio in relazione a fattispecie che in modo evidente attengono a rapporti riferibili all’attività sportiva [cfr. in via esemplificativa Sez. Unite - decisione n. 0013 CFA del 9 agosto 2022 e Sez. Unite - decisione n. 0003 CFA del 1 luglio 2022; e CFA Sez. II – C.U. n. 029/CFA (2019/2020), rispetto alla corrisponde norma del C.G.S. vigente ratione temporis]. Una limitazione che trova riscontro anche nella giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66).

I fatti oggetto dell’atto di riferimento non sono riconducibili, per le circostanze in cui sono avvenuti come già dettagliatamente sopra descritte, nell’ambito di un rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. Sotto questo profilo si conviene con la posizione assunta dalla decisione di primo grado quando sottolinea che «Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata degli odierni deferiti».

5.1.2.1. Inoltre, non persuade, al fine di poter ricondurre i fatti in esame alla violazione dell’art. 4, comma 1, C.G.S., la invocazione di questa norma in combinato disposto con l’art. 5 del Codice di Comportamento Sportivo, dedicato al “Principio di non violenza”.

Il meccanismo del “combinato disposto” è certamente impiegabile per desumere una prescrizione attraverso l’integrazione coordinata del contenuto di più norme, ma purché il risultato ottenuto non contrasti con quanto le norme combinate contemplano singolarmente.

Nel caso di specie l’art. 4, comma 1, C.G.S. testualmente limita il proprio ambito applicativo ad ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, peraltro in modo conforme a quanto previsto dall’art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo CONI dedicato al “Principio di lealtà” («I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva»). Pertanto, il preteso combinato disposto determinerebbe non soltanto una chiara forzatura dell’ambito applicativo dell’art. 4, comma 1, C.G.S., ma anche l’invocazione dell’art. 5 Codice di Comportamento Sportivo per superare un limite che è affermato dallo stesso Codice di Comportamento Sportivo all’art. 2.

Ciò già evidenzia, come si chiarirà (§ 5.2.2.), che l’ostacolo non discende meramente dalla formulazione dell’art. 4, comma 1, C.G.S., ma dall’ambito applicativo dei principi di lealtà, probità, correttezza delineato anche dalla normativa esofederale. Di ciò si trova conferma nella ricordata decisione del Collegio di Garanzia dello Sport del CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66), che in un caso relativo al Regolamento di giustizia della Federazione Italiana Tennis (ora divenuta FITP), il cui art. 1, comma 2, testualmente prevede l’obbligo di osservare i principi di lealtà, probità e rettitudine sportiva «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, sociale e morale», ha affermato (§ 2.6. della decisione) che «anche i comportamenti afferenti ai rapporti di natura economica, sociale e morale, sui quali si svolge il giudizio di responsabilità disciplinare, possono essere rilevanti, ma devono comunque essere pur sempre riferiti all’ambito prettamente sportivo, al pari di quelli concernenti i rapporti di natura agonistica». Un precedente richiamato anche dalla decisione di primo grado al fine di escludere la giurisdizione sportiva nel caso qui in esame.

5.2. Gli ulteriori argomenti addotti dal reclamo della Procura si concentrano sulla differenza tra le valutazioni che gli organi di giustizia devono compiere al fine di accertare la sussistenza di una violazione disciplinare e quelle che gli organi della giurisdizione statale devono compiere al fine di valutare se sussista la violazione di norme esterne all’ordinamento sportivo. La Procura reclamante, invocando un precedente di questa Corte – Sezioni Unite decisione/0004/CFA-2021-2022 – fa discendere dall’esame del tipo di sindacato/giudizio che gli organi di giustizia sportiva sono chiamati a compiere nell’accertamento delle violazioni disciplinari e dalla distinzione dei caratteri del giudizio disciplinare rispetto a quelli propri dell’accertamento delle fattispecie penali da parte dei giudici statali, uno «specifico dovere proprio dei giudici sportivi» di valutare la compromissione dei valori dell’ordinamento sportivo, «indipendentemente dal contesto extrasportivo in cui quei fatti sono venuti maturando»; e di conseguenza sostiene che «in ragione di tale specifico dovere proprio dei giudici sportivi nel caso di specie può argomentarsi, diversamente da quanto deciso dal Tribunale, la competenza degli organi di giustizia della FIGC a conoscere e giudicare dei gravi fatti oggetto di deferimento».

In relazione a tali argomenti, la difesa sig. E.M. sostiene – qualificandolo, in realtà, come motivo di inammissibilità del ricorso – la pretesa violazione della garanzia del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1, Cost.), perché la Procura «chiede a Codesta Corte d’Appello, sia di sostituirsi al legislatore, sia di violare l’art. 25 della Costituzione, pronunciandosi su fattispecie che la legge riserva ad altri Giudici. Nel primo caso, si vorrebbe che qualunque condotta, pur estranea alla normativa specifica ed al contesto sportivo, fosse passibile di venir giudicata dai Giudici de quibus, non esplicitando né le norme a fondamento di tale assunto, né il ragionamento logico deduttivo operato per ritenere corretta tale abnorme richiesta, una sorta di precedente vincolante non ammesso nel nostro ordinamento giuridico. Si vorrebbe, inoltre, attribuire al Giudice sportivo una funzione legislativa, ammettendo la punibilità di fattispecie estranee all’attuale normativa disciplinare vigente. Si vorrebbe, da ultimo, superare e/o tacitamente abrogare l’art. 25 Costituzione che prevede una riserva di legge laddove stabilisce che “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” (sul punto si veda il reclamo pg. 3 delle premesse ultimo cpv.)».

5.2.1. Gli ulteriori argomenti avanzati dalla Procura non sono condivisibili ai fini dell’accoglimento del motivo di reclamo.

In primo luogo, non apporta alcun contributo alla questione di “giurisdizione” qui in esame, che è questione anteriore, la riflessione, compiuta dalla Procura, circa la tipologia di giudizio che gli organi di giustizia sportiva sono chiamati a compiere. Se non ricorre la giurisdizione (o competenza) degli organi di giustizia sportiva, unica questione oggetto della decisione di primo grado, risulta superfluo ogni dibattito in ordine al tipo di sindacato rimesso alla giustizia sportiva in confronto con quello compiuto dal giudice statale, tema a cui si riferisce il precedente di questa Corte – Sezioni Unite Decisione/0004/CFA-2021-2022 – invocato dalla Procura Federale nell’atto di reclamo a sostegno delle proprie argomentazioni. Peraltro, il precedente invocato di questa Corte si riferisce a fattispecie comunque riferibili all’attività sportiva, ciò che invece nel caso in esame non ricorre. 

Nonostante la auspicabilità, per le ragioni che saranno in seguito chiarite, dell’affermazione che i principi di lealtà, probità e correttezza devono informare l’attività dei soggetti dell’ordinamento sportivo anche al di fuori dei rapporti sportivi; e nonostante la completa condivisibilità dell’affermazione della Procura secondo cui nel caso in esame «appare evidente come, indipendentemente dal contesto extrasportivo in cui quei fatti sono venuti maturando, gli stessi abbiano certamente determinato, per mano dei deferiti, una assai grave violazione di quei valori di lealtà, probità e correttezza cui si ispira l’ordinamento sportivo», non si può, de iure condito, condividere la conseguente affermazione della Procura secondo cui di tali principi «gli organi di giustizia domestica sono tenuti sempre a verificare l’osservanza ad opera dei soggetti parte dell’ordinamento federale al fine di sanzionare eventuali condotte che ne abbiano potuto determinare una compromissione», anche se le condotte non siano relative ad un rapporto comunque riferibile all’attività sportiva.

A tale estensione osta non soltanto il chiaro limite posto dall’art. 4, comma 1, C.G.S., ma anche la normativa esofederale di cui esso è espressione. Si pensi al già ricordato art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, rubricato «Principio di lealtà» ed in cui si legge: «I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. (…)». Si ricordi, inoltre, che, secondo l’art. 13 bis, comma 1, Statuto CONI, «Il Codice di comportamento sportivo (d’ora in poi “Codice”) definisce i doveri di lealtà, correttezza e probità sportiva sulla base dei principi e delle prassi riconosciute nell’ordinamento delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite».

Si deve, pertanto, ribadire che l’accertamento della responsabilità disciplinare deve essere fondato sulle fattispecie di responsabilità previste dal C.G.S. e dalle altre fonti indicate dall’art. 3 C.G.S. L’art. 1 CGS afferma che il codice di giustizia disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare. Pertanto, l’art. 4, comma 1, C.G.S. nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità deve essere limitato, in quanto lo prevede espressamente, ad ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva senza poter essere esteso, per esempio, ad ogni rapporto sociale.

In concreto manca la fattispecie che, ai sensi dell’art. 1 C.G.S., possa fondare la competenza degli organi di giustizia sportiva.

Fermo restando che questa Corte non può accogliere la ricostruzione sostenuta nel reclamo, ritiene al contempo che qualora, de iure condendo, fosse esteso l’ambito applicativo dei principi di lealtà, probità e correttezza per i soggetti dell’ordinamento sportivo, non si determinerebbe la pretesa violazione dell’art. 25, comma 1, Cost. prospettata dalla difesa del sig. E.M.

A tal fine basta ricordare che i medesimi fatti possono ben essere oggetto di plurime qualificazioni, una volta dinanzi alla giustizia sportiva per la loro rilevanza disciplinare e, separatamente, dinanzi al giudice statale per la loro rilevanza, ad esempio, penale. Pertanto, nel caso in esame anche se fosse stata affermata da questa Corte - ciò che non è -  la giurisdizione/competenza degli organi di giustizia sportiva, tale competenza disciplinare non avrebbe affatto escluso il giudice naturale previsto dall’ordinamento statale, ciò che dissolve ogni possibile vulnus all’art. 25, comma 1, Cost.

5.2.2. È indubbio il giudizio di disvalore che i fatti ascritti determinano dal punto di vista dell’ordinamento sportivo e dei suoi complessivi valori e fini, come chiaramente sottolineato già dalla decisione di primo grado. La funzione sociale dello sport (affermata anche dall’art. 165 TFUE) e i valori cristallizzati nell’art. 4, comma 1, C.G.S. confliggono con fatti penalmente rilevanti espressione di assoluto disvalore, come quelli indicati nell’atto di deferimento, e sarebbe auspicabile un’estensione del campo applicativo di tali principi oltre i rapporti comunque riferibili all’attività sportiva.

Per le ragioni già esposte si può trattare soltanto di una prospettiva de iure condito.

In tale prospettiva non si conviene pienamente, dal punto di vista motivazionale, con la posizione della decisione di primo grado secondo cui la limitazione dell’art. 4, comma 1, attraverso lo «specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”», si pone «nel solco del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, di conversione della L. 17 ottobre 2003, n. 280, recante disposizioni urgenti in materia sportiva». Ed inoltre non si conviene con il legame posto, dalla decisione di primo grado, tra l’autonomia dell’ordinamento sportivo e «l’effettiva riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare» quale «fisiologico limite» dell’autonomia dell’ordinamento sportivo; né si può convenire con la ritenuta piena sintonia di tale impostazione con l’insegnamento espresso dalla Corte Costituzionale nei due noti interventi (C. cost., 11 febbraio 2011, n. 49 e C. cost., 25 giugno 2019, n. 160).

Secondo questa Corte, indipendentemente dalla prospettiva teorica accolta circa la ricostruzione dei rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo (teoria ordinamentale, piuttosto che la collocazione dell’ordinamento sportivo nel più ampio ordinamento italo-europeo o, probabilmente, una possibile interazione tra i diversi modelli), l’autonomia dell’ordinamento sportivo non può comportare la limitazione del suo intervento alla «riferibilità al contesto domestico del fatto oggetto dell’addebito disciplinare», come afferma invece la decisione di primo grado. Questo limite può discendere da una esplicita disposizione, come nel caso di specie l’art. 4, comma 1, C.G.S. quando individua – in conformità all’art. 1, comma 1, C.G.S. – una fattispecie rilevante sul piano disciplinare e la conforma alla disciplina esofederale (cfr. art. 2 Codice di Comportamento Sportivo CONI). Ma non si tratta di un limite di carattere generale, cioè un limite imposto dall’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e dal suo rapporto con l’autonomia dell’ordinamento statale. Non si può affermare che tale limite discende dall’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e che la rilevanza di una controversia per l’ordinamento sportivo richieda la «esistenza di un legame effettivo con il sistema domestico». Non risulta essere questo il rapporto tra il principio di autonomia e il principio di rilevanza che emerge dagli artt. 1 e 2 del d.l. 19 agosto 2003 n. 220 (convertito in L. 17 ottobre 2003 n. 280) e dalla lettura che la Corte Costituzionale ne ha compiuto nei suoi due già citati interventi.

Piuttosto, secondo questa Corte dalle norme indicate, come lette alla luce degli interventi della Corte Costituzionale, risulta affermato il principio di autonomia quale regola generale di disciplina dei rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale. Il principio di autonomia trova però un’attenuazione quando una controversia investa posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statale e, pertanto, tutelabili “anche dinanzi” alla giurisdizione statale (ferma l’osservanza del vincolo di giustizia sportiva, che dunque conferma il ruolo della “giurisdizione sportiva” anche nei casi di rilevanza della controversia per l’ordinamento statale).

Le riflessioni appena compiute non sono meramente teoriche, ma hanno un chiaro indotto pratico sia nel caso di specie, sia per le prospettive di intervento dell’ordinamento sportivo in fattispecie come quella oggetto dell’atto di deferimento che occasiona l’attuale giudizio.

Una volta affermato il significato del principio di rilevanza, risulta chiaro che l’ambito di autonomia dell’ordinamento sportivo e il connesso ambito della giustizia sportiva non richiede che la controversia presenti «un legame effettivo con il sistema domestico». Di conseguenza, questa Corte non può condividere la motivazione della decisione di primo grado nella parte in cui afferma che «L’ordinamento sportivo cede il passo a quello statale allorché la vicenda controversa non sia, per il primo, rilevante; risolvendosi la rilevanza nellesistenza di un legame effettivo con il sistema domestico».

Rispetto al caso concreto a cui l’atto di deferimento si riferisce è indubbio che i fatti indicati nell’atto di deferimento non sono relativi ad un «rapporto comunque riferibile all’attività sportiva», quindi non rientrano nell’ambito dell’art. 4, comma 1, per come la fattispecie di rilevanza disciplinare è configurata. Sotto questo profilo si concorda con la decisione di primo grado e le relative motivazioni. Ciò però non esclude - e qui si manifesta la rilevanza pratica della diversa ricostruzione sopra delineata del rapporto tra principio di autonomia e principio di rilevanza tra ordinamento sportivo e ordinamento statale - che de iure condito possa essere eliminato lo stretto riferimento all’attività sportiva.

Non è un ostacolo a tal fine, per quanto sopra affermato, né il limite di autonomia dell’ordinamento sportivo nel rapporto con l’ordinamento statale, né il principio di rilevanza, che (come si è chiarito) deve essere inteso non già quale limitazione dellambito in cui si manifesta l’autonomia dell’ordinamento sportivo (e, di conseguenza, si può esplicare la competenza/giurisdizione degli organi di giustizia sportiva), ma nel senso di permettere ai soggetti dell’ordinamento sportivo di poter agire anche dinanzi all’ordinamento statale quando la controversia coinvolga posizioni per quest’ultimo rilevanti. Il principio di rilevanza opera quale bilanciamento del principio di autonomia rispetto alle posizioni giuridiche rilevanti anche per l’ordinamento statale, giusta la garanzia del diritto di azione giurisdizionale cristallizzata nell’art. 24, comma 1, della Costituzione.

Nella prospettiva appena descritta dei rapporti tra i due ordinamenti (e dei relativi sistemi di giustizia), che a questa Corte sembra quella delineata dalla Corte costituzionale nei due noti interventi, l’ordinamento sportivo potrebbe, al fine di promuovere al massimo i suoi fini e la funzione sociale dello sport ampiamente intesa (sulla scia anche dell’ampia formulazione dell’art. 165 TFUE), estendere i principi di lealtà, correttezza e probità per i soggetti dell’ordinamento sportivo oltre i rapporti riferibili all’attività sportiva, fino a ricomprendere i rapporti sociali.

Non basterebbe, tuttavia, la scelta di una singola Federazione. Sarebbe a tal fine indispensabile una modifica della stessa normativa esofederale, a cui quella endofederale si conforma.

L’art. 4, comma 1, C.G.S. nel limitare l’ambito applicativo dei principi ad «ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva» è conforme, come si è detto, all’art. 2 del Codice di Comportamento Sportivo del CONI. Inoltre, più in generale, si è già sottolineata la posizione del Collegio di Garanzia del CONI (Collegio di Garanzia, Sez. IV, 22 dicembre 2020, n. 66), che ha letto in senso restrittivo la ricordata previsione dell’art. 1, comma 2, Regolamento di giustizia della Federazione Italiana Tennis, che prescrive i suddetti principi «in ogni rapporto di natura agonistica, economica, sociale e morale».

Ciò conferma che un’estensione dell’ambito applicativo dei principi non può essere rimessa alla singola Federazione, ma deve muovere dall’ambito esofederale e costituire una scelta dell’intero ordinamento sportivo nazionale.

Il clamor fori generato da fattispecie di reato che non trovano una rilevanza anche disciplinare perché accadute al di fuori di rapporti riferibili all’attività sportiva, come i fatti descritti nell’atto di deferimento in esame, potrebbe giustificare l’ampliamento dell’ambito applicativo dei principi, ma nel contesto di una generale modifica normativa.

I valori dello sport e il ruolo degli atleti quali prioritari attuatori di quei valori genera il suddetto clamor fori di fronte a decisioni, come quella attuale, che non possono irrogare, per le ragioni sopra indicate, una sanzione disciplinare, nonostante l’assoluto giudizio di disvalore circa i fatti descritti nel deferimento, testimoniato peraltro dall’attivazione sia della Procura Generale dello Sport che della Procura Federale.

5.3. La Procura Federale ha inoltre affermato nel reclamo che i fatti prospettati dall’atto di deferimento sono tali da determinare una lesione dell’immagine della Federazione, anche se essi non attengono ad un rapporto comunque attinente all’attività sportiva; e che la lesione all’immagine della FIGC determinata dall’eco mediatica dei fatti consentirebbe di «ritenere anche sotto tale profilo violato il dettato di cui al ricordato art. 4, comma 1, del CGS così come integrato dal disposto di cui al menzionato art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo CONI».

Neppure sotto questo profilo può essere accolta la tesi della Procura. In senso contrario muovono le medesime ragioni già chiarite nei precedenti punti della decisione circa l’ambito applicativo delle norme invocate dalla Procura.

È certamente un vulnus di cui si dovrebbe tener conto. Certi reati sono già presi in considerazione per l’adozione di provvedimenti di sospensione in via cautelare quando vi sia una lesione all’onorabilità degli organismi sportivi, ma in contesti diversi. Il riferimento è, in particolare, alle ipotesi di sospensione dalla carica dei componenti degli organismi sportivi prevista dall’art. 11 Codice di comportamento sportivo CONI a tutela dell’onorabilità e dell’autorevolezza degli organismi sportivi quando i componenti siano stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato “A” del Codice di comportamento sportivo CONI o siano stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale.

In modo simile a quanto previsto dall’appena ricordato art. 11 Codice di comportamento sportivo che rinvia, per l’individuazione delle ipotesi di sospensione, ad uno specifico elenco di delitti, si potrebbe eventualmente intervenire sulla disciplina del tesseramento, prevendo una simile forma di sospensione in via cautelare; o delineare delle linee guida circa le clausole da inserire nei contratti degli atleti per l’ipotesi che risultino accertate determinate tipologie di reato.

De iure condito, tuttavia, alla luce del testo dell’art. 4, comma 1, C.G.S. e della normativa esofederale, la cui applicazione è ribadita dall’art. 3 C.G.S., questa Corte non può che confermare la dichiarazione del difetto di giurisdizione.

5.4. In ordine alla richiesta, nell’atto difensivo dell’avv. Luca Bronzato, della «rifusione delle spese e compensi del presente procedimento e di quello del primo grado, questa Corte non ritiene applicabile l’art. 55 C.G.S., dal momento che il reclamo non è inammissibile né è manifestamente infondato; e, in ogni caso, dal momento che l’art. 55 attribuisce la valutazione all’organo di giustizia - «può (…) condannare» - questa Corte la ritiene non applicabile nel caso in esame in ragione della assoluta novità delle questioni trattate nel giudizio in ordine alla competenza degli organi di giustizia sportiva, confermata dalla scarsità e non precisa attinenza dei precedenti sul tema, sia nella giurisprudenza di questa Corte sia nella giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport (cfr. i casi citati in motivazione). Le medesime ragioni costituirebbero motivo di compensazione per intero delle spese tra le parti qualora fosse ritenuta applicabile la disciplina dell’art. 92 c.p.c.

P.Q.M.

Respinge il reclamo in epigrafe.

Dispone la comunicazione alle parti con PEC. 

 

L’ESTENSORE                                                          IL PRESIDENTE

Antonio Maria Marzocco                                           Mario Luigi Torsello 

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

 

 

 

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