F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione I – 2023/2024 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0087/CFA pubblicata il 26 Febbraio 2024 (motivazioni) – PFI/Sig. Matteo Calandrini

Decisione/0087/CFA-2023-2024

Registro procedimenti n. 0082/CFA/2023-2024

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

I SEZIONE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Silvia Coppari – Componente

Massimo Galli - Componente (Relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul reclamo numero 0082/CFA/2023-2024 proposto dalla Procura federale interregionale in data 17.01.2024,

visto il reclamo e i relativi allegati;

visti gli atti tutti della causa;

relatore all’udienza del 15.02.2024, tenutasi in videoconferenza, il Pres. Massimo Galli e uditi l’Avv. Enrico Liberati per la reclamante e l’Avv. Alessandro Calcagno per il sig. Matteo Calandrini.

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

In data 20.10.2023 il Procuratore federale Interregionale deferiva al Tribunale federale territoriale Liguria:

- il sig. Michael Ferrari, all'epoca dei fatti calciatore tesserato per la A.S.D. Pontelungo 1949: in ordine alla violazione dell'articolo 4, comma 1, e dell'articolo 39 del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, al termine della gara ASD Millesimo Calcio ASD Pontelungo 1949 del 2 aprile 2023, valevole per il girone A del campionato di Prima Categoria del Comitato regionale Liguria, dopo aver raggiunto l'autovettura sulla quale era trasportato il sig. Riccardo Morielli (calciatore tesserato per la A.S.D. Millesimo Calcio), scosso in modo vigoroso detto veicolo al fine di incutere timore negli occupanti, nonché proferito le seguenti espressioni all'indirizzo del sig. Morielli: "Morielli ricordati bene questa faccia e questo nome: Ferrari, ricordatela perché il prossimo anno se vieni a Pontelungo non torni più a casa, non sai quel che ti aspetta";

- il sig. Pietro Daddi, all'epoca dei fatti calciatore tesserato per la A.S.D. Pontelungo 1949: in ordine alla violazione dell'articolo 4, comma 1, e dell'articolo 39 del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, nel corso della gara ASD Millesimo Calcio - ASD Pontelungo 1949 del 2 aprile 2023, valevole per il girone A del campionato di Prima Categoria del Comitato regionale Liguria, proferito nei riguardi del sig. Riccardo Morielli, calciatore tesserato per la A.S.D. Millesimo Calcio, unitamente al sig. Matteo Calandrino, anch'egli calciatore tesserato per la A.S.D. Pontelungo 1949, le seguenti espressioni: "Morielli uomo di m….", "Morielli fai schifo, vedrai quando finisce la partita", "Morielli figlio di p……" e "Morielli questa è l'ultima schifezza che fai, tanto ti conosciamo"; al termine della medesima gara, inoltre, sempre unitamente al sig. Matteo Calandrino, pronunciava la seguente espressione sempre all'indirizzo del sig. Riccardo Morielli: "Tanto ti aspettiamo fuori, tanto l'anno prossimo ci devi passare da Pontelungo";

- il sig. Matteo Calandrino, all'epoca dei fatti calciatore tesserato per la A.S.D. Pontelungo 1949: in ordine alla violazione dell'articolo 4, comma 1, e dell'articolo 39 del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, nel corso della gara ASD Millesimo Calcio - ASD Pontelungo 1949 del 2 aprile 2023, valevole per il girone A del campionato di Prima Categoria del Comitato regionale Liguria, proferito nei riguardi del sig. Riccardo Morielli, calciatore tesserato per la AS.D. Millesimo Calcio, unitamente al sig. Pietro Daddi, anch'egli calciatore tesserato per la AS.D. Pontelungo 1949, le seguenti espressioni: "Morielli uomo di m….", "Morielli fai schifo, vedrai quando finisce la partita", "Morielli figlio di p……" e "Morielli questa è l'ultima schifezza che fai, tanto ti conosciamo"; al termine della medesima gara, inoltre, sempre unitamente al sig. Pietro Daddi, pronunciava la seguente espressione sempre all'indirizzo del sig. Riccardo Morielli: ''Tanto ti aspettiamo fuori, tanto l'anno prossimo ci devi passare da Pontelungo";

- la società A.S.D. Pontelungo 1949 a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell'art. 6, comma 2, del Codice di giustizia sportiva per gli atti e comportamenti posti in essere dai sig.ri Michael Ferrari, Pietro Daddi e Matteo Calandrino, così come descritti nei precedenti capi di incolpazione.

Con decisione del 9.1.2024, pubblicata con C.U. dell'11.1.2024, il Tribunale riteneva Ferrari e Daddi responsabili degli addebiti loro ascritti, infliggendo loro la sanzione della squalifica (sei giornate per il Ferrari e quattro per il Daddi). Ai sensi dell'art. 127 CGS applicava invece alla società A.S.D. Pontelungo 1949 la sanzione dell'ammenda di euro 400,00.

Il Tribunale proscioglieva di contro il Calandrino così precisando: "non è emerso dagli atti di indagine alcun elemento probatorio certo che possa ricondurre in capo al sig. Calandrino la condotta così come contestata dalla Procura federale in atto di deferimento atteso che anche il direttore di gara, sig. Simone Battiato, nulla rilevava nel proprio referto arbitrale e, anche in sede di audizione davanti al rappresentante della Procura, nulla riferiva in merito a condotte minacciose o gravemente ingiuriose tenute dal Calandrino nei riguardi del Morielli".

Avverso tale decisione il Procuratore federale proponeva reclamo in data 17.1.2024 deducendo:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 1, e 39 del Codice di giustizia sportiva; omessa ed erronea valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti del procedimento.

Il reclamante evidenziava come il Giudice avesse omesso di considerare sia il principio secondo il quale il valore probatorio sufficiente per accertare l’illecito disciplinare può anche attestarsi al livello della mera “ragionevole certezza”, sia quello secondo cui anche le sole dichiarazioni provenienti dalla persona offesa, se ritenute fondate ed attendibili, possono essere poste alla base della decisione del giudicante.

Inoltre, ad avviso del Procuratore, il Tribunale avrebbe altresì erroneamente considerato rilevante (e preclusiva di un'affermazione di responsabilità) la circostanza data dall'assenza, nel referto arbitrale, di qualsivoglia riferimento alla vicenda, testualmente precisando che "anche il direttore di gara, sig. Simone Battiato, nulla rilevava nel proprio referto arbitrale e, anche in sede di audizione davanti al rappresentante della Procura, nulla riferiva in merito a condotte minacciose o gravemente ingiuriose tenute dal Calandrino nei riguardi del Morielli”.

E ciò senza considerarsi che il Tribunale territoriale non solo ha omesso di valutare le parziali ammissioni del medesimo deferito ma ha altresì contraddittoriamente affermato poi la responsabilità degli altri due calciatori della A.S.D. Pontelungo 1949, coinvolti nel medesimo episodio 'aggressivo' ai danni del Riccardo Morielli, tesserato per la società ASD Millesimo Calcio.

2) Omessa e/o insufficiente motivazione in relazione ad un fatto decisivo ai fini della decisione.

Con tale secondo motivo di impugnazione il Procuratore federale denunciava poi come evidenti e decisivi elementi di conforto alla tesi di accusa avrebbero dovuto essere colti sia nelle dichiarazioni della persona offesa Morielli, sia in quelle di Fedele Francesca, moglie del Morielli, e Castellano Pietro, tesserato per la A.S.D. Millesimo Calcio quale responsabile del settore giovanile, entrambi dichiaratisi testimoni oculari degli insulti profferiti nei confronti del Morielli, durante la partita, ad opera di due tesserati della Pietrolungo che stazionavano, come spettatori, fuori dal campo di gioco.

In data 12 febbraio 2023 la Difesa del Calandrino depositava tempestivamente memoria con la quale, in sintesi, esponeva quanto segue:

- contrariamente a quanto denunciato dal reclamante, la sintetica motivazione svolta - dal TFT - ha semplicemente ritenuto che l’indagine non avesse superato il vaglio dell’onere della prova in ordine alla colpevolezza dell’odierno esponente. La posizione del signor Calandrino, infatti, aveva degli evidenti distinguo che l’organo giudicante ha saputo cogliere. Lo stesso è stato udito in sede di indagine e ha chiaramente negato ogni addebito oggetto del deferimento. L’utilizzo della parola “certo” nell’intero contesto motivazione vale a dire semplicemente che non vi è certezza (ovverosia la minima prova) che le frasi incriminate siano state pronunciate dal signor Calandrino;

- il Calandrino ha riferito di antichi asti con il Morielli tali da giustificare il suo immotivato coinvolgimento in fatti a lui estranei;

- il processo sportivo è governato - oltre che dal CGS FIGC - dalle norme del processo civile. "Per tale motivo il TFT Liguria ha fatto corretta applicazione del principio processuale di cui all’art. 115 c.p.c. in ordine a condotte che l’organo giudicante ha ritenuto imputabili agli altri correi, perché non contestate dai medesimi”. Dunque “l’assunto del TFT Liguria è chiaro e sintetico e non costituisce vizio della motivazione”;

- il Morielli “non ha saputo addebitare a ciascun deferito le singole condotte da lui strumentalmente denunciate, generalizzando le accuse in modo impersonale” e “nessun soggetto udito dalla Procura federale ha riferito di condotte violative del signor Calandrino";

- c'è comunque l’assoluta irrilevanza disciplinare delle eventuali condotte non violente tenute dai calciatori;

- “la Procura federale e il calciatore Morielli ascrivono identiche frasi e condotte in capo a due distinti soggetti , ovverosia all’esponente ed al Signor Pietro Daddi” “ma sembra alquanto inverosimile ….che due soggetti differenti possano aver pronunciato all’unisono le medesime parole, anche perché l’accusa mai ha sostenuto la pronuncia in “coro” da parte dei deferiti delle medesime frasi . La responsabilità̀ disciplinare è personale e non certo corale o collettiva";

- le doglianze mosse dalla Procura federale in merito alla preclusione ravvisata nel silenzio del referto arbitrale non sono pertinenti perché l'arbitro è stato sentito ed ha affermato di non aver udito nulla di grave o minaccioso all’indirizzo del Morielli o di altri giocatori del Millesimo; se non, al termine della partita, "un po' di normale trambusto, grida e frasi che comunque non corrispondono a quelle riportate-mi dal Collaboratore della Procura”;

- non sono condivisibili gli "inconferenti" richiami giurisprudenziali proposti dalla Procura federale a suffragio dell’attendibilità del denunciante sig. Morielli e della di lui moglie, poiché il processo sportivo si fonda sui principi processual-civilistici; in ogni caso anche nell’ambito del processo penale, il contenuto delle dichiarazioni acquisite in fase di indagine è privo di valore se non confermato in sede dibattimentale e in contraddittorio con la difesa dell’incolpato;

- nella denegata ipotesi in cui la condotta venga considerata rilevante sul piano disciplinare, l’eventuale sanzione dovrebbe essere equa, minima e simbolica e comunque proporzionata alla scarsissima rilevanza (anche mediatica) dei fatti.

All'udienza del 15.02.2024, all'esito della discussione, sulle conclusioni delle parti come trascritte a verbale, questa Corte pronunciava la sua decisione come da dispositivo depositato in pari data.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il reclamo è fondato e dev'essere accolto.

Rilevato invero che nella scarna motivazione adottata dal primo giudice, in riferimento alla posizione del Calandrino, effettivamente si legge della mancata 'certezza' della prova di una sua responsabilità e dell'assenza di un riscontro all'accusa nel referto arbitrale e nelle dichiarazioni stesse rese dall'arbitro in sede di indagine, non può che convenirsi con il reclamante circa il rilievo dell'erroneità in diritto, prima ancora che in fatto, di tali affermazioni.

Occorre invero sottolineare che questa Corte ha innanzitutto più volte affermato come nel giudizio sportivo lo standard probatorio necessario non richiede la certezza assoluta, né il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel processo penale (cfr. CFA, SS.UU., n. 19/2020-2021; n. 105/2020-2021, nonché, da ultimo, CFA n. 59/CFA-2023-2024).

E' ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza federale secondo cui, per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva, può ritenersi sufficiente un grado inferiore alla valenza assoluta delle prove, ottenuto sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 19/2020-2021).

E si è anche precisato che «la prova di un fatto, specialmente in riferimento ad un illecito sportivo, può anche essere e, talvolta, non può che essere, logica piuttosto che fattuale» (CGF, 19 agosto 2011, C.U. n. 47/CGF del 19 settembre 2011).

Questa Corte ha, in proposito, altresì sottolineato come tale definizione dello standard probatorio abbia anche ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme anti-doping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, "per potersi ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione della probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio", così concludendo come a tale principio debba oramai assegnarsi una portata generale (CFA, SS.UU., n. 105/2020-2021).

A tale ormai pacifico principio si affianca quello (pure richiamato dal reclamante) secondo cui - per come precisato dalla Corte di Cassazione - la dichiarazione di un solo teste ben può essere posta a base di una sentenza di condanna se scrupolosamente vagliata sotto ogni profilo. E tanto vale finanche nell'ipotesi in cui l'accusa provenga da chi è portatore di un chiaro interesse contrastante con lo stesso accusato, precisando la Suprema Corte: "In tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa, la cui deposizione, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 12920 del 13/02/2020, cfr anche il conforme orientamento di questa Corte, Sez. I, n. 52/2022-2023; Id., Sez. I, n. 92/2021-2022; CFA, SS.UU., n. 114 /2020-2021; sez. IV, n. 66-2019/2020; sez. I, n. 118-2019/2020 e 0059/CFA-2023-2024).

Non può convenirsi dunque con il rilievo di cui alla memoria difensiva secondo il quale il Tribunale, sottolineando come non fosse emerso alcun elemento probatorio 'certo' a carico del Calandrino, non volesse riferirsi alla necessità di un rigido standard probatorio per una affermazione di responsabilità, bensì solo alla mancanza assoluta di prova contro il deferito, a differenza invece che per gli altri calciatori, gravati, quanto meno, dal loro silenzio che, secondo i principi del processo civile, sostanziandosi in una mancata contestazione dell'accusa, finirebbero per legittimarla.

Innanzitutto - come più avanti si dirà ancora - il compendio probatorio evidenzia più elementi a carico del deferito, rinvenibili non solo nelle accuse della persona offesa, ma anche nelle dichiarazioni di quanti hanno assistito alle ingiurie e minacce da quello rivolte contro il Morielli.

E trattasi di elementi che coinvolgono allo stesso modo tutti i calciatori deferiti.

In secondo luogo, tra i calciatori ritenuti responsabili, vi è anche il Ferrari che, come il Calandrino, ha protestato la propria innocenza, peraltro sostanzialmente ammettendo (entrambi) offese ed ingiurie sia pur in un ambito di reciprocità con il Morielli.

Ma, più ancora, le osservazioni difensive non colgono nel segno allorché si giustificano sul richiamo all'art. 115 c.p.c. ed all'applicabilità di principi penalistici solo se giustificati dalla necessità di un favor rei. Invero è proprio la tutela del 'reo' che impone di non attribuire alcuna valenza accusatoria al suo silenzio e che dunque non può giustificare una motivazione che nell'assunto di cui alla memoria - avrebbe indotto il TFT a distinguere la posizione del Calandrino da quella, in particolare, del Daddi, ritenuto invece responsabile degli addebiti mossigli.

Analogamente coglie nel segno il reclamo allorché ricorda l'erroneità della preclusione ravvisata dal giudice di primo grado nel mancato riscontro all'accusa, quale emerso da un referto arbitrale che nulla dice in riferimento alla vicenda in esame.

Anche a tal riguardo si è ripetutamente precisato come il referto arbitrale, pur facendo piena prova di quanto attesta essere avvenuto, non possa assurgere a prova legale anche del quod non, cosicché́ il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica, di necessità, che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale. (CFA, Sez. I, n. 52/2022-2023; SS.UU., n. 77/2022-2023; Sez. I, n. 58/2023-2024).

Né tale precisazione resta travolta dal fatto che l'arbitro abbia precisato poi nella sua audizione al Procuratore, di avere solo colto, al termine della partita, un po’ di normale trambusto ma non quelle frasi riportate dal collaboratore della Procura.

Tali dichiarazioni, che in sostanza ribadiscono il tenore negativo (sul verificarsi dei fatti) del referto, si risolvono in una testimonianza neutra che ben può essere smentita da altre testimonianze senza che ciò significhi falsità della dichiarazione stessa dell'ufficiale di gara.

Questa Corte (Sez. I, n. 59/2023-2024) ha già precisato come "Una pluralità di testimonianze deve essere valutata alla luce delle circostanze di accadimento dei fatti e delle condizioni concrete nelle quali ciascun testimone ha acquisito cognizione degli accadimenti rilevanti, considerandosi anche la possibilità di parziali divergenze tuttavia inidonee a scalfire la complessiva attendibilità dei narrati e la ricostruzione dei fatti". Tale principio è stato più volte ribadito dalla Corte di Cassazione secondo cui, "In tema di valutazione di una pluralità di prove testimoniali concernenti un medesimo fatto, la valenza probatoria delle dichiarazioni non è compromessa dal fatto che una o più circostanze siano riferite da alcuni testimoni e non da altri, se non a condizione che sia rigorosamente dimostrato che tutte le fonti orali, presenti in "loco criminis", abbiano avuto la completa percezione del fatto nella interezza di tutti i segmenti della concorsuale azione delittuosa" (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 34473 del 27/05/2015, dep. 06/08/2015, Rv. 264276 - 01, nonché Sez. 5, Sentenza n. 15669 del 24/02/2020, dep. 21/05/2020, Rv. 279162 - 01).

Ed anzi, nel caso in esame, il fatto che l'arbitro abbia comunque notato un certo trambusto alla fine della partita, costituisce, a ben vedere, un riscontro a quelle accuse focalizzate dal Morielli (e da sua moglie) al momento successivo all'uscita dei giocatori dopo la gara. Laddove la circostanza che l'arbitro nulla abbia colto durante lo svolgimento della partita in merito alle ingiurie e minacce rivolte al Morielli da bordo campo, non è confortata da alcuna certezza che egli si trovasse, in quei momenti, nelle vicinanze o comunque in posizione tale da poterle ascoltare.

Ciò chiarito, deve specificamente osservarsi in fatto:

- il Calandrino è raggiunto da accuse specifiche e circostanziate della persona offesa Morielli Riccardo, che in data 4.7.2023 ha dichiarato testualmente che “ nonostante non ci fosse nessun presupposto che potesse dar idea di quello che poi è avvenuto e nonostante il clima fosse da "fine stagione" e abbastanza sereno, dopo il gol della mia squadra fatto su mio assist, alcuni giocatori del Pontelungo (squadra che si stava giocando la promozione in Promozione) che in quel momento non erano in campo, bensì posizionati fuori recinto di gioco, fuori dalla rete del campo - precisamente Daddi e Calandrino - iniziavano a insultarmi ripetutamente e con una certa violenza verbale, proferendo frasi tipo: "Morielli uomo di m….", "Morielli fai schifo, vedrai quando finisce la partita...". Nel frattempo terminava il l° tempo; iniziava il secondo e i suddetti ricominciavano a insultarmi. […]. Verso la fine della partita gli insulti si aggravavano in "Morielli figlio di p……", "Morielli questa è l'ultima schifezza che fai, tanto ti conosciamo...". Al termine della gara mi recavo da mia moglie presente dietro la porta lato monte, e mi dirigo negli spogliatoi. Quando stavo per entrare negli spogliatoi, i suddetti due giocatori (cui si era aggiunto anche il Ferrari), riprendevano a insultarmi con frasi minacciose come: "Ti aspettiamo fuori, tanto il prossimo anno ci devi venire a Pontelungo.".

E' opportuno qui subito precisare - in riferimento ad altra obiezione difensiva - che appare del tutto evidente come il teste, accomunando nelle sue accuse innanzitutto Daddi e Calandrino, non certo ha voluto intendere che ogni frase rivoltagli fosse stata pronunciata in "coro" dai due. Egli si è all'evidenza limitato a precisare che le condotte degli stessi fossero il portato di una piena intesa tra loro, nella comune volontà di offenderlo e minacciarlo, indipendentemente da chi pronunciasse l'una o l'altra delle varie frasi proferite nei suoi confronti. Ciò dunque in nulla modifica i termini dell'accusa che - per meglio garantire proprio il diritto di difesa dei deferiti - ha enucleato due distinte incolpazioni in ciascuna delle quali ha riportato il fatto nel suo complesso (rectius: nella sua interezza).

Il Morielli ha proseguito poi ricordando il clima di paura che si era creato anche per la successiva condotta violenta del Ferrari, al punto che sua moglie, Fedele Francesca - che per questo lo aveva convinto a lasciare la bicicletta al campo e tornare a casa in auto aveva cercato di calmare gli animi, senza peraltro riuscirci.

Tali accuse, sostanzialmente anticipate anche da una richiesta - non accolta - di deroga al vincolo di giustizia al fine di adire le vie legali, si rivelano dunque non solo coerenti, specifiche e circostanziate, ma anche riscontrate, atteso che sia il Castellano che la Fedele confermavano come il Calandrino fosse stato fatto oggetto di quelle offese e minacce da parte di due giocatori della Pietrolungo - non iscritti a referto e non partecipi della gara - che, durante la partita, si erano posizionati a bordo campo. Così come entrambi descrivevano la condotta del Ferrari (dopo la gara) quale riportata nell'incolpazione a questi riferita.

Aggiungasi che il Calandrino, nel negare qualsivoglia atto di violenza (peraltro non contestatagli) ha ammesso di avere offeso il Morielli, pur invocando la reciprocità delle ingiurie ("Pur dando atto del fatto che ci si fossero rivolte parole offensive reciproche con Morielli da ambo le parti, nego che io abbia profferito minacce"). E con lui anche il Ferrari ha fatto talune ammissioni, pur negando le violente spinte all'auto del Morielli, testualmente affermando tra l'altro " Ci giocavamo il campionato ed eravamo tesi per il risultato. Loro non si giocavano nulla e, visto che nessuno mi ha regalato mai nulla sui campi da gioco, mi sentivo nervoso per l'andamento della partita. Confermo che ero fuori dal recinto di gioco e che dopo la fine della gara mi sono avvicinato all'auto della moglie del Morielli; escludo di averla toccata e, con riguardo agli insulti, ripeto, ritengo che fossero "normali" per una partita di quel tipo. Quanto alle minacce, non ho mai minacciato nessuno".

Tali ultime precisazioni disvelano anche l'attendibilità logica delle dichiarazioni della persona offesa, che stride invece con l'illogicità della motivazione adottata dal primo giudice, laddove questi ha ritenuto le accuse del Morielli del tutto sufficienti per affermare la responsabilità degli altri due calciatori deferiti, ma non bastevoli per sanzionare il Calandrino.

E' utile ricordare a tal proposito che l'illogicità della motivazione è tale se risulti percepibile " ictu oculi", per incongruenze assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato.

Orbene, il Tribunale da un lato ha prosciolto il Calandrino meramente affermando "non è emerso dagli atti di indagine alcun elemento probatorio certo che possa ricondurre in capo al sig. Calandrino la condotta così come contestata dalla Procura federale in atto di deferimento" (appena aggiungendo - come detto - che nulla risultava dal referto arbitrale), dall'altro ha sanzionato gli altri due calciatori deferiti affermando "per quanto concerne le posizioni del sig. Ferrari e del sig. Daddi rilevato che a carico dei predetti, contrariamente al Calandrino, sono emersi precisi elementi di responsabilità a fondamento di quanto sostenuto dalla Procura federale in atto di deferimento, il TFT ritiene proporzionate le richieste sanzionatorie presentate dal Procuratore in udienza".

Se tali del tutto apodittiche enunciazioni non spiegano affatto la diversità delle conclusioni raggiunte per i deferiti, invero gravati da un medesimo compendio probatorio, cionondimeno le opposte affermazioni di responsabilità e di innocenza tradiscono di per sé stesse, con innegabile evidenza, l'illogicità suddetta e, per essa, il vizio della motivazione della decisione impugnata, di fatto sostanzialmente omessa ma in ogni caso illogica nelle sue conclusioni.

Sebbene invero non vi siano passaggi argomentativi da porre a confronto, l'apoditticità di tali opposte affermazioni non impedisce ed anzi ancor più impone - di cogliere l'incongruenza della decisione impugnata, che si affianca evidentemente anche ad un'errata valutazione degli elementi emersi dall'indagine della Procura, come prima evidenziata.

L'accusa del Morielli, come scrutinata positivamente sul piano della credibilità soggettiva ed oggettiva - per i riscontri prima evidenziati - ha ricostruito infatti un logico quadro di tensione esclusivamente riconducibile ai giocatori della Millesimo. In tale contesto il predetto veniva fatto oggetto di ingiurie e minacce durante la partita, ed anche di una sorta di aggressione (quale descritta nell'incolpazione a carico del Ferrari) nel mentre si trovava in auto con la moglie in procinto di allontanarsi dal campo di gioco dopo la partita.

E' del tutto illogico ritenere che la persona offesa abbia voluto calunniosamente attribuire anche al Calandrino un concorso nella condotta di altri (sanzionati in prime cure) peraltro con il distinguo di ritenerlo estraneo alla minacciosa aggressione del dopo partita.

L'unico richiamo operato dal Tribunale a sostegno della decisione impugnata (il silenzio dell'arbitro nel referto e nelle dichiarazioni agli inquirenti) non chiarisce per nulla l'illogica conclusione adottata, non solo perché - come anticipato-  ciò non incide in modo preclusivo sulla prova di responsabilità deducibile aliunde, ma anche perché quel silenzio del direttore di gara è riferibile, all'evidenza, anche agli altri calciatori deferiti.

Dunque anche la ritenuta responsabilità dei compagni di squadra del Calandrino finisce con il rivelarsi un riscontro logico alle accuse rivoltegli dalla persona offesa.

Quanto sopra evidenziato in termini di emergenze probatorie, infine, non soffre l'ulteriore osservazione difensiva di cui alla citata memoria, secondo la quale "il contenuto delle dichiarazioni acquisite in fase di indagine è privo di valore se non confermato in sede dibattimentale e in contraddittorio con la difesa dell’incolpato".

Come precisato più volte da questa Corte (da ultimo con decisione n. 19/2023-2024) il procedimento disciplinare–sportivo, anche attese le esigenze di celerità dello stesso e il criterio di informalità cui è improntato, si svolge – ordinariamente – sulla base delle deduzioni difensive delle parti e delle evidenze documentali e delle prove precostituite, rispetto alle quali la prova testimoniale rimane, comunque, eccezione. Il che, del resto, si evince dall’espressione “necessità di provvedere”, cui fa riferimento l’art. 60 CGS, espressione che, altrimenti, costituirebbe un mero pleonasmo (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 64/2021-2022) (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 76/2021-2022). In definitiva la prova testimoniale si può porre in contrasto con le esigenze di celerità del processo sportivo e con il criterio di informalità cui esso è improntato (CFA, sez. I, n. 1/2022-2023 e nn. 64 e 76/2021-2022; n. 34/2022-2023)

I fatti configurano in pieno la violazione delle norme di cui all'incolpazione.

Per quanto attiene a quella di cui all'art. 39 CGS, va rilevato come non possa revocarsi in dubbio che, nel caso in esame, il Calandrino abbia mantenuto una condotta gravemente antisportiva posta in essere se non durante una gara, di certo in occasione della stessa, precisazione questa consentita dalla mera lettura della norma citata.

Il comportamento del deferito, già di per se stesso scorretto perché connotato da ripetute volgari e gravi ingiurie, si connota di particolare gravità perché animato dall'ignobile pretesa che l'avversario rinunziasse ad ogni impegno nella gara per il solo fatto che il risultato non aveva lo stesso peso per le due formazioni, una sola delle quali (l'ASD Pietrolungo) vincendo, avrebbe ottenuto la promozione, mentre la Millesimo, come suol dirsi, non aveva più "niente da chiedere al campionato" oramai terminato.

In altre parole il deferito ha consumato un vero e proprio tradimento dei valori fondamentali dello sport, calpestando con tale arrogante intenzione, sua e di coloro ai quali si è unito nell'illecita condotta, il principio basilare posto a presidio della corretta e sana competizione sportiva.

Se la condotta violenta (art. 38 CGS) sussiste al ricorrere di un’azione caratterizzata da “intenzionalità e volontarietà miranti a produrre danni da lesioni personali o a porre in pericolo l’integrità fisica [..] con un’azione impetuosa e incontrollata connotata da un’accentuata volontaria aggressività con coercizione operata su altri” (CSA, Sez. III, 10 giugno 2021, n. 221 e richiami ivi; 2 marzo 2021, n. 103; 30 ottobre 2019, n. 49); quella di cui all'art. 39 stesso Codice si caratterizza per la violazione, peraltro grave, dell'agonismo sportivo, con atti che dallo stesso eccedano.

Tali distinte condotte, tuttavia, non restano oggetto di sanzione solo nel caso in cui siano poste in essere durante la gara, atteso che entrambe le norme citate prevedono la punibilità del calciatore che di esse si renda responsabile anche "in occasione" della gara. Il principio che se ne trae è analogo a quello perseguito, con formula simile, dall'altra disposizione contestata al deferito e di cui all'art. 4, comma 1, dello stesso CGS, laddove il richiamo al rispetto dei principi della lealtà e correttezza è operato con riferimento ad "ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva".

E tale è la forza di questo fondamentale presidio che, per la sussistenza stessa della violazione del citato art. 4, non è necessaria alcuna concorrente violazione di altra norma specifica perché possa dirsi violato il dovere di lealtà e correttezza.

Essa infatti è norma perfettamente autosufficiente e funge da 'chiusura' che permette l’applicazione delle sanzioni ove sia provata una condotta antisportiva che, anche senza una specifica violazione di legge, configuri comportamento inaccettabile sotto il profilo della sua legittimità sportiva.

Come ha precisato questa Corte "Il dovere di tenere una condotta rigorosamente ispirata ai principi della lealtà, della correttezza e della probità, sebbene solitamente riconducibile al canone di lealtà sportiva in senso stretto (c.d. “fair play)”, ha assunto una dimensione più ampia, che si estende anche oltre l’ambito della competizione sportiva in sé e per sé considerata e della corretta applicazione delle regole di gioco, traducendosi in una regola di condotta generale che investe qualsiasi attività comunque rilevante per l’ordinamento federale, in ogni rapporto a qualsiasi titolo riferibile all’attività sportiva". (CFA, SS.UU., n. 53/2021-2022).

La previsione di cui all'art. 4 CGS si sostanzia pertanto in un parametro di legittimità del comportamento in concreto tenuto da ciascun associato e affiliato all’ordinamento sportivo.

E non è un caso che le sanzioni per la sua violazione non siano predeterminate nel minimo e nel massimo, perché è l’elasticità stessa che caratterizza la norma primaria, la sua adattabilità alle situazioni e la sua estrema versatilità ed essere impiegata in combinato disposto con tutta l’altra serie di disposizioni vigenti, a giustificare un sistema sanzionatorio “aperto” e funzionale alle esigenze del caso, naturalmente secondo parametri motivazionali esplicitati e che si attaglino alla singola vicenda. Il ruolo della fattispecie diventa fondamentale per la soluzione del singolo caso e per l’adozione dei provvedimenti sanzionatori (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 113/2020-2021)

La violazione dell'art. 4, comma 1, CGS, che nel caso in esame concorre invece - come detto - con quella della norma specifica di cui all'art. 39, è dunque del tutto pacifica, essendo evidente che il grave comportamento antisportivo prima ricordato integri contestualmente anche il mancato rispetto dei principi di lealtà, probità e correttezza previsti dalla norma citata, per una condotta comunque riferibile alla gara Millesimo-Pontelungo del 2.4.2023.

In considerazione del vulnus inferto in particolare ai ricordati basilari principi di una corretta competizione sportiva, con comportamento posto in essere dal Calandrino, insieme ad altri, in modo reiterato e prolungato nel tempo, appare proporzionata per il deferito la sanzione della squalifica per 4 (quattro) giornate effettive di gara da scontarsi nel campionato di competenza.

In tali sensi va riformata l'impugnata decisione.

P.Q.M.

Accoglie il reclamo in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, irroga al sig. Matteo Calandrino la sanzione della squalifica per 4 (quattro) giornate effettive di gara da scontarsi nel campionato di competenza.

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

L'ESTENSORE                                                                          IL PRESIDENTE

Massimo Galli                                                                            Mario Luigi Torsello

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

 

 

 

 

 

 

 

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