F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione I – 2023/2024 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0113/CFA pubblicata il 3 Maggio 2024 (motivazioni) – PFI/sig.ra Federica Prencipe-SSDRL Torino Women

Decisione/0113/CFA-2023-2024

Registro procedimenti n. 0111/CFA/2023-2024

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

I SEZIONE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Claudio Tucciarelli - Componente

Marco La Greca - Componente (relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul reclamo numero 0111/CFA/2023-2024, proposto dalla Procura federale interregionale in data 28 marzo 2024,

per la riforma della decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Piemonte, di cui al Com. uff. n. 68 del 21 marzo 2024;

visto il reclamo e i relativi allegati;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza del 23 aprile 2024, tenutasi in videoconferenza, il Cons. Marco La Greca e uditi l’Avv. Mario Taddeucci Sassolini per la reclamante, l’Avv. Francesco Rondini, l’Avv. Simona Ambrosano e l’Avv. Domenico Filosa per la sig.ra Federica Prencipe e per la società SSDRL Torino Women; è presente, altresì, la Sig.ra Federica Prencipe ed è collegato in audioconferenza il Sig. Roberto Salterio.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

Con atto di deferimento del 9 gennaio 2024, la signora Federica Prencipe, calciatrice della A.C.F. Alessandria,  veniva chiamata a rispondere della violazione degli articoli 4, comma 1, e 28, comma 1, del CGS, per avere pronunciato, nel corso dell’incontro tra la compagine per la quale era tesserata e la SSDRL Torino Women (svoltosi in data 1° ottobre 2023 presso l’impianto “Agpe ex casermette” di Alessandria, valevole per il campionato di eccellenza femminile girone A), nei confronti della calciatrice avversaria, signora Awa Sylla, la seguente, testuale espressione: “Stai zitta negra di merda”.

Con il medesimo atto di deferimento e in relazione allo stesso fatto, la SSDRL Torino Women veniva chiamata a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 6 del Codice di giustizia sportiva.

Nel corso del giudizio avanti al competente Tribunale federale territoriale, l’incolpata, costituitasi congiuntamente alla società SSDRL Torino Women, eccepiva preliminarmente la “improcedibilità del deferimento per violazione dell’art. 93 primo comma del Codice di giustizia sportiva”, stante il mancato rispetto, da parte del Tribunale federale territoriale, del doppio termine ivi previsto, in entrambi i casi decorrente dalla comunicazione dell’atto di deferimento, avvenuta il 9 gennaio 2024.

Nel merito, sosteneva di non avere mai pronunciato l'espressione che le era stata attribuita dell'avversaria, signora Awa Sylia, adducendo, a sostegno, la circostanza che la frase stessa, nella sua riferita espressione offensiva, non fosse in realtà stata udita da nessuna persona diversa dalla denunciante.

All’udienza di discussione avanti al Giudice di primo grado, l’incolpata ribadiva quanto esposto con la memoria difensiva e la Procura, per parte sua, ribadita la fondatezza dell'impianto accusatorio, chiedeva l'applicazione delle seguenti sanzioni: dieci giornate di squalifica per la calciatrice e l’ammenda di 700,00 per la società.

All’esito, con la decisione indicata in epigrafe, il Tribunale federale territoriale, valutato il quadro probatorio emergente dagli atti, pur affermando di non potere escludere che il fatto contestato fosse avvenuto, ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per applicare le predette sanzioni, non potendosi “prescindere”, data la particolare afflittività delle stesse, da “un riscontro oggettivo, diretto e inconfutabile”, che nel caso di specie è stato considerato non sussistente.

Avverso tale decisione proponeva reclamo la Procura federale interregionale, sostenendo che il Giudice di primo grado non aveva correttamente valutato il quadro probatorio, invero convergente nel far ritenere commesso il fatto e dunque sussistenti le contestate responsabilità.

Con memoria ritualmente depositata, si costituivano i reclamati, ribandendo gli assunti difensivi già svolti nel corso del giudizio di primo grado, nel senso dunque della infondatezza delle contestazioni svolti nei loro confronti, e la conseguente correttezza della decisione impugnata, se non nella parte relativa alla mancata declaratoria di improcedibilità del deferimento per violazione dell’articolo 93 del CGS, secondo l’eccezione già svolta avanti al Tribunale federale territoriale e che è stata quindi ribadita anche avanti a questa Corte federale d’appello.

All’udienza del 23 aprile 2024, presenti le parti, come in epigrafe esposto, la causa è stata trattenuta in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Va preliminarmente esaminata la questione processuale relativa al mancato rispetto dell’articolo 93 CGS (in relazione sia al termine per l’adozione del provvedimento di fissazione di udienza che di svolgimento della stessa), in relazione al quale la parte reclamata reitera, con memoria depositata nei termini, e dunque con ammissibile riproposizione, l’assunto secondo cui da ciò sarebbe dovuta discendere l’improcedibilità del deferimento (per quanto, e più propriamente, detta improcedibilità potrebbe semmai derivare in via mediata dalla estinzione del giudizio, non venendo qui in rilievo il mancato rispetto di un termine relativo alla fase di indagine istruttoria).

In punto di fatto è pacifico che i ricordati termini, di natura endoprocessuale, non siano stati rispettati. Al tempo stesso, è altresì pacifico che sia stato rispettato il termine “finale”, di 90 giorni, previsto dall’articolo 54 CGS per la conclusione del giudizio. A fronte di un atto di deferimento notificato il 9 gennaio 2024, il giudizio di primo di primo grado è stato definito con decisione pubblicata il 21 marzo 2024, nel pieno rispetto, dunque, del ricordato termine di 90 giorni.

Viene allora in rilievo, nel caso di specie, il consolidato orientamento affermatosi a partire dalla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte federale d’appello, n. 23/CFA/2020-2021, che ebbe modo di “interrogarsi sulla applicabilità del principio della perentorietà” dei termini, prevista dall’art. 44 del CGS, “anche nel caso in cui il mancato rispetto del termine, cosiddetto <endoprocessuale>, di cui all’articolo 93, comma 1, Codice di giustizia sportiva, si” sia “verificato in un giudizio nel quale il termine complessivo di durata del grado” sia “stato ampiamente rispettato. Vi sono, invero, termini che hanno un carattere strumentale, servente a un termine superiore. Nel sistema delineato dal Codice di giustizia sportiva, tale carattere strumentale è ravvisabile nei termini (come quello, duplice, di cui all’articolo 93) che svolgono una funzione acceleratoria al servizio di un termine ulteriore, consistente nella durata massima del giudizio”.

Date queste premesse, analoghe a quelle di cui al presente giudizio, le Sezioni Unite, rilevato come (anche qui analogamente al caso ora in esame) fosse stato rispettato il termine di conclusione del giudizio, stabilirono che le violazioni dei due termini di cui all’articolo 93, comma 1, prima parte, del CGS, “cessano di avere un autonomo rilievo nel momento in cui il termine e l’interesse superiori sono, come nel caso di specie, comunque rispettati”.

L’eccezione va dunque disattesa.

Passando al merito della questione, il Tribunale federale territoriale, con la decisione impugnata, ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova in ordine all’effettivo verificarsi del fatto contestato, prova che, afferma lo stesso Tribunale, dovrebbe essere particolarmente stringente, avuto riguardo alla speciale afflittività della sanzione conseguente (almeno dieci giornate di squalifica per l’atleta responsabile, ai sensi dell’articolo 28 del CGS).

L’assunto è contestato dalla Procura che, nell’atto di reclamo, ripercorre e illustra il quadro probatorio emergente dagli atti istruttori.

La parte reclamata, come ricordato, nel merito reitera l’assunto difensivo secondo cui la frase contestata non è stata udita da alcuno.

Si versa dunque in un caso in cui il fatto è avvenuto in circostanze tali da potere essere noto, nel suo effettivo e reale svolgersi, solo dalle due persone direttamente coinvolte: la persona offesa e l’incolpata. Sul punto, mentre la persona offesa afferma di avere ricevuto l’insulto, avente carattere discriminatorio, l’incolpata lo nega.

Un sistema di giustizia maturo, peraltro, non può fermarsi alla semplice divergenza di dichiarazioni tra interessato e controinteressato per affermare o escludere il verificarsi del fatto contestato.

In una situazione del genere, occorre necessariamente esaminare ogni possibile elemento per cercare di ricostruire, con un ragionevole grado di probabilità, cosa sia avvenuto.

Il rigore nel processo di formazione del convincimento da parte del Giudicante, peraltro, deve essere alto in ogni circostanza, quali che siano le conseguenze derivanti dal fatto contestato. Non di più e non di meno in ragione della maggiore o minore gravità del fatto contestato.

Nel caso di specie, il convincimento da parte del Tribunale federale territoriale in ordine alla circostanza, negativa, del mancato verificarsi del fatto contestato (convincimento che ha, comunque, natura perplessa), si basa, fondamentalmente, sulla circostanza che nessuno, a parte l’interessata, ha udito la frase offensiva. Il che, peraltro, ad avviso di questa Corte federale, non è motivo sufficiente, di per sé, ad escludere il verificarsi del fatto stesso. Così come il solo fatto della sua affermazione da parte della persona offesa non è sufficiente a confermarlo.

Sul punto, come rilevato dalla Procura nell’atto di reclamo, viene allora in soccorso, come guida metodologica, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “il fatto contestato può essere ritenuto provato anche se il quadro probatorio sia formato dalle sole dichiarazioni della persona offesa purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità della presenza di riscontri esterni, a condizione che siano positivamente verificate la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità intrinseca del suo racconto” (n. 58/CFA/2023–2024/C; CFA, SS.UU. n. 114/2020 – 2021; n. 16/CFA/2022-2023/B).

Ritiene il Collegio di soggiungere che, accanto a tale requisito, va correlativamente vagliata anche la credibilità soggettiva e l’attendibilità intrinseca del racconto del contro-dichiarante.

Date tali premesse, va osservato come, nel caso di specie, le circostanze tutte esposte dalla dichiarante (fatta eccezione, ovviamente, per la precisa frase che si assume essere stata pronunciata, effettivamente non udita da alcun altro) abbiano trovato piena conferma nelle dichiarazioni raccolte dalla Procura da parte delle compagne di squadra, delle avversarie e dell’arbitro.

Ciò a partire dal momento preciso in cui il fallo di gioco, da cui poi è scaturito il diverbio tra la giocatrice AWA Sylla e l’avversaria Martina Capello, è avvenuto, per giungere al successivo formarsi di un capannello di persone e quindi all’immediata protesta della signora Awa circa l’offesa ricevuta.

Il momento specifico del dialogo tra le due atlete non è stato visto dall’arbitro che, secondo il suo racconto, subito dopo il fallo si è girato per posizionarsi nel punto in cui si sarebbe dovuta collocare la barriera, a quel punto notando, però, che diverse atlete di erano radunate in un capannello e la calciatrice Awa, a voce alta, sosteneva di essere stata offesa nel senso poi denunciato.

Il dialogo stesso è stato invece colto, seppure non udito nel suo contenuto, dall’allenatore dell’Alessandria e da un’altra atleta della stessa compagine, i quali hanno precisamente riferito di avere visto l’atleta Prencipe avvicinarsi alla calciatrice Awa e avere uno scambio verbale con questa che, poi, ha immediatamente protestato, a voce alta, ripetendo l’offesa che affermava di avere ricevuto.

A fronte di ciò, va rilevato come l’incolpata, nella ricostruzione offerta in sede di audizione, oltre a collocare il momento controverso in occasione di una rimessa laterale, anziché, come da tutti esposto, a seguito del fallo di gioco commesso proprio dalla Awa, ha altresì negato di avere detto alcunché all’indirizzo della stessa, laddove, invece, è pacifico che un dialogo vi sia stato; sostiene l’incolpata, inoltre, che la AWA abbia poi ripreso a giocare senza mostrare alcun turbamento, il che, pure, risulta smentito dalle altre dichiarazioni acquisite agli atti.

Da quanto esposto, considerate le circostanze narrate, i riscontri emersi, la conseguente valutazione sul grado di attendibilità delle opposte ricostruzioni, ritiene il Collegio che possa ritenersi verificato il presupposto per l’attribuzione della responsabilità in capo all’incolpata, consistente, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale specifico, nel raggiungimento di un valore probatorio che si collochi “ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità”, ancorché “inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio”, corrispondente dunque ad una “ragionevole certezza” (In tal senso, si richiamano il Collegio  di Garanzia CONI, SS.UU. n. 13/2016, e, nella giurisprudenza di questa Corte Federale d’appello, in particolare, Sezioni Unite, n. 19/20202021, 105/2020-2021.

Non vale in senso contrario invocare, come sostenuto dalla parte reclamata, “il precedente costituito dalla pronuncia resa dal Giudice Sportivo Nazionale in merito al c.d. <caso Acerbi – Juan Jesus>”, trattandosi di un giudizio, quello del giudice sportivo, che si base esclusivamente sul referto del campo, senza dunque la possibilità di acquisire dichiarazioni testimoniali ed eseguire, così, i riscontri risultanti all’esito di un'articolata istruttoria e dei quali questa Corte federale ha preso compiuto esame, al fine di giungere alla esposta conclusione circa la sussistente responsabilità dell’incolpata.

Da tale, affermata responsabilità dell’atleta discende anche la sussistenza della responsabilità in capo alla società, ai sensi dell’articolo 6 CGS.

Circa le sanzioni, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, possa applicarsi, a favore dell’atleta, una circostanza attenuante generica, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del CGS, avuto riguardo a quanto affermato e documentato sin dalla fase istruttoria, circa il fatto che ella ha sottoscritto e dato pubblicità, insieme alle compagne di squadra, a una petizione volta a favorire il ricongiungimento familiare di un’atleta, loro compagna di squadra, al dichiarato fine di permettere lo stabile inserimento della predetta, immigrata, nella squadra stessa e, più in generale, nella società. Ciò è indice di un comportamento scevro da odiose forme di pregiudizio razziale, fatto salvo l’increscioso episodio qui contestato, rispetto al quale, dunque, considerata anche l’assenza di precedenti specifici, così come l’avere l’atleta tenuto un contegno adeguato, sia in fase istruttoria che processuale, si ritiene di potere ridurre - rispetto alle richieste della Procura federale - la sanzione a carico dell’atleta da 10 a 8 giornate.

Ai sensi dell’articolo 13, comma 3, del CGS, tale circostanza attenuante ridonda anche a beneficio della società, nei confronti della quale si ritiene equo applicare una sanzione di 600,00 euro in luogo delle 700,00 proposte dalla Procura.

Per quanto precede, il reclamo della Procura va dunque accolto, nei sensi dianzi esposti.

P.Q.M.

Accoglie il reclamo in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, irroga le seguenti sanzioni:

- alla sig.ra Federica Prencipe: squalifica di giornate 8 (otto);

- alla società SSDRL Torino Women: ammenda di 600,00 (seicento/00).

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

L'ESTENSORE                                                      IL PRESIDENTE

Marco La Greca                                                      Mario Luigi Torsello

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

 

 

 

 

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