F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2024/2025 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0006/CFA pubblicata il 17 Luglio 2024 (motivazioni) – Sig. Savino Daleno-PF

Decisione/0006/CFA-2024-2025

Registro procedimenti n. 0155/CFA/2023-2024

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

SEZIONI UNITE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Salvatore Lombardo – Componente

Luca Cestaro – Componente

Vincenzo Barbieri – Componente

Tommaso Marchese - Componente (Relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso per revocazione numero 0155/CFA/2023-2024, proposto dal Sig. Savino Daleno in data 28.06.2024

per la revocazione della decisione della Corte federale d’appello – Sezioni Unite, di cui al C.U. n. 27/CFA del 24/09/2015;

visto il ricorso e i relativi allegati;

visti tutti gli atti della causa;

relatore all’udienza del 16.07.2024, tenutasi in videoconferenza, il Cons. Tommaso Marchese e uditi l’Avv. Eduardo Chiacchio e l’Avv. Gaetano Aita per il reclamante, l’Avv. Giorgio Ricciardi per la Procura federale, presente altresì il Sig. Savino Daleno.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il ricorso in esame, proposto ai sensi dell’art. 63, comma 1, lettera d), C.G.S., il Sig. Savino Daleno ha chiesto la revocazione della decisione della Corte federale d’appello – Sezioni Unite, di cui al C.U. n. 27/CFA del 24/09/2015, con la quale è stata confermata la decisione del Tribunale federale nazionale - Sezione disciplinare, di cui al C.U. n. 17/TFN del 20/08/2015, che lo aveva sanzionato con l’inibizione di anni 5 e la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., nonché con l’ammenda di 50.000,00.

2. A sostegno dell’istanza revocatoria, il ricorrente deduce essere intervenuto, a distanza di tempo dalla decisione sportiva inappellabile, un “fatto”, ritenuto dirimente ai fini del presente giudizio, individuato nella chiusura del procedimento penale n. 12490/2016 RGNR, pendente presso la Procura della Repubblica di Napoli - a seguito di stralcio dell’originario procedimento instaurato dalla Procura della Repubblica di Catanzaro - per effetto della richiesta di archiviazione presentata dal P.M. il 16.01.2023, accolta dal GIP del Tribunale di Napoli con il decreto del 27.02.2023, atti portati a conoscenza dei legali di fiducia del Daleno in data 30.05.2024.

2.1 In ordine al profilo dell’ammissibilità dell’istanza revocatoria, il ricorrente invoca la disposizione di cui all’art. 63, comma 1, lett. d), seconda parte, C.G.S., rinvenendo la ricorrenza della relativa fattispecie -concernente la sopravvenienza, dopo che la decisione revocanda è divenuta inappellabile, di “fatti nuovi”, la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia- nelle seguenti circostanze.

a) I fatti posti a fondamento del procedimento sportivo e di quello penale sono i medesimi, atteso che il Daleno è stato indagato per il delitto di cui all’art. 1 della legge n. 401/1989, nonché per quello di cui all’art. 416-bisp..

Per gli stessi fatti e sulla base delle medesime prove fornite dalla Procura federale, il ricorrente è stato sanzionato dalla giustizia sportiva per l’illecito associativo di cui all’art. 9 C.G.S., finalizzato alla commissione di illeciti sportivi ex art. 7 C.G.S..

b) I due procedimenti, penale e sportivo, si basano sugli stessi indizi e/o elementi di prova, atteso che la Procura federale, oltre a ricevere la documentazione da parte della Procura della Repubblica di Catanzaro, non ha svolto una propria, ulteriore attività di indagine, per cui l’affermazione di responsabilità da parte degli Organi di giustizia sportiva è avvenuta sulla base delle stesse prove che non sono state ritenute idonee dal GIP per fondare la responsabilità del Daleno, quale indagato nel relativo procedimento.

Il ricorrente invoca al riguardo la pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite, pubblicata con il C.U. n. 063/CFA dell’11/11/2019 (rectius: 11.1.2019), con la quale è stato accolto un ricorso per revisione basato sulla sentenza irrevocabile di assoluzione dell’imputato, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., con la formula piena “perché il fatto non sussiste”, relativa ai medesimi fatti per i quali egli era stato inibito in sede sportiva, deducendone che anche il provvedimento di archiviazione deve ascriversi al novero dei provvedimenti definitivi, determinando una preclusione endoprocessuale all’agere dell’Ufficio del P.M., che inibisce lo stesso esercizio dell’azione penale con riferimento al fatto oggetto del provvedimento di archiviazione.

c) Nella fattispecie in rassegna, inoltre, la definitività del provvedimento di archiviazione reso in sede penale è motivata anche dalla impossibilità di riaprire le indagini, in relazione al tempo trascorso dalla data di commissione del fatto.

Conseguentemente, secondo il GIP di Napoli non vi sarebbero negli atti di indagine elementi in grado di permettere un giudizio in ordine alla ragionevole previsione di condanna degli indagati.

d) Ritenuto equiparato il decreto motivato di archiviazione alla sentenza di assoluzione, il ricorrente ne fa conseguire che le prove raccolte dalla Procura della Repubblica, prodotte alla Procura federale, non erano idonee a sostenere le parallele contestazioni in ambito sportivo.

Dunque, il giudicato penale o, meglio, il provvedimento di archiviazione definitivo, dev’essere recepito dalla Corte e posto alla base del giudizio di revocazione, senza possibilità di sindacato.

Infatti, sebbene gli organi di giustizia sportiva, in forza dell’autonomia loro riservata, avrebbero potuto qualificare diversamente il fatto, ciò non è avvenuto nella specie, in quanto al Daleno non è stata contestata la violazione dell’art. 1 C.G.S., per cui la decisione penale è assorbente e per tabulas la decisione sportiva va revocata. 

2.2. In ordine al profilo della rescindibilità, il ricorrente, dopo aver riportato lo stralcio della motivazione della decisione della Corte federale d’appello di cui ha chiesto la revocazione, ha rilevato che la relativa pronuncia, richiamando integralmente la decisione del T.F.N., è stata emessa sulla base degli elementi probatori acquisiti dalla Procura federale a seguito di trasmissione da parte della Procura della Repubblica di Catanzaro, il cui impianto accusatorio è tuttavia venuto a cadere per effetto del decreto di archiviazione emesso dal GIP del Tribunale di Napoli.

Conseguentemente, ritenuto equiparato il decreto motivato di archiviazione alla sentenza di assoluzione per mancanza di prove, appare indiscusso che, per il medesimo fatto, il Daleno non possa essere ritenuto responsabile in ambito sportivo e non colpevole in sede penale.

In sostanza, il linguaggio criptico utilizzato nelle intercettazioni, all’esito dell’attento esame del GIP, non è stato considerato illecito e, d’altro canto, la stessa Corte federale, pur confermando la decisione di primo grado, si era espressa in termini dubitativi circa l’appartenenza del Daleno, con ruolo non secondario, ad un’associazione dedita all’alterazione dei risultati delle gare sportive.

In definitiva, il principio di autonomia sportiva, secondo il ricorrente, non può spingersi fino al punto di mantenere ferme le decisioni degli organi di giustizia federale, nonostante sui medesimi fatti sia intervenuto un “sindacato” penale.

2.3. La parte ricorrente rassegna pertanto le seguenti conclusioni:

“previa declaratoria di ammissibilità del ricorso per revocazione, ricorrendo i presupposti ex art. 63, comma 1, lett. d), C.G.S., accogliere il presente gravame e per l’effetto revocare la decisione della Corte federale d’appello di cui alle motivazioni pubblicate sul C.U. n. 27/CFA del 24/09/2015 in uno a tutti gli atti presupposti, annessi, connessi, collegati, conseguenti e successivi con conseguente annullamento”.

3. La Procura federale ha presentato in data 12.07.2024 le proprie controdeduzioni.

Dopo aver premesso in fatto i tratti salienti delle pronunce federali con le quali era stata affermata la responsabilità del Daleno, la Procura ha eccepito in primo luogo l’inammissibilità del r corso per tardività, osservando che dal carteggi prod tto in atti dalla parte ricorrente si evince che il difensore del Daleno avrebbe dimostrato la conoscenza degli esiti del procedimento penale in data antecedente il 27.05.2024, per cui, anche a voler ritenere che i fatti dedotti con il ricorso per revocazione siano stati “scoperti” nella stessa data del 27.05.2024, alla data di presentazione dell’istanza revocatoria -28.06.2024- il termine di trenta giorni previsto dall’art. 63, comma 1, C.G.S. era già decorso.

La Procura ha poi dedotto l’inammissibilità del ricorso anche sotto altro profilo, non essendo stata depositata alcuna certificazione attestante che avverso il decreto di archiviazione non sia stato proposto ricorso per cassazione e/o avanzata istanza da parte del P.M. per la riapertura delle indagini preliminari.

Soggiunge la Procura a tale rilievo che, in virtù della giurisprudenza della Corte di Cassazione, il decreto di archiviazione è inutilizzabile ai fini della revisione ex art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., trattandosi di decisione allo stato degli atti, di natura endoprocedimentale, non irrevocabile.

Sotto ulteriore profilo, la Procura ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per genericità e infondatezza, in quanto non vi si fa menzione di quale fatto decisivo sarebbe stato omesso l’esame, né dei fatti nuovi che potrebbero comportare una diversa pronuncia.

Il reclamo è pertanto generico, tenuto conto del consolidato principio espresso dalla giustizia sportiva, secondo cui la condotta di un soggetto dell’ordinamento federale può essere diversamente valutata ai fini sportivo-disciplinari, rispetto alla sede ordinaria, per cui non è detto che l’eventuale decisione resa dall’Autorità giudiziaria possa ulteriormente riflettersi sul piano del procedimento disciplinare, atteso la natura autonoma dei due ordinamenti.

Inoltre, il provvedimento di archiviazione del GIP del Tribunale di Napoli non contiene alcun fatto nuovo determinante o inconciliabile con il giudizio disciplinare, né alcuna prova nuova o alcun elemento omesso o falsamente considerato nel contestato giudizio disciplinare.

Pur volendo tenere in disparte ogni valutazione sulla definitività del decreto in esame, la ragione dell’impossibilità di svolgere ulteriore attività di indagine e di acquisire elementi idonei a sostenere l’accusa è semplicemente - come prospettato dal P.M.-  “il tempo trascorso dalla data di commissione dei fatti (a partire dal mese di settembre 2014)”.

La Procura federale ha infine argomentato in ordine alla infondatezza del ricorso, richiamando gli elementi probatori essenziali acquisiti nel procedimento sportivo a carico del ricorrente, indicati nell’atto di deferimento.

3.1 La Procura federale ha dunque concluso come segue:

“si chiede che l'Ill.ma Corte federale d’appello, previa declaratoria di inammissibilità ed infondatezza, voglia rigettare la richiesta di revocazione del Sig. Savino Daleno”.

4. Le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi all’udienza di discussione del 16.07.2024, tenutasi in videoconferenza, all’esito della quale il ricorso è stato assunto in decisione dal Collegio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso per revocazione proposto dal Sig. Savino Daleno non supera il vaglio preliminare della fase rescindente e va dunque dichiarato inammissibile.

Può prescindersi, pertanto, dall’esame dell’eccezione di irricevibilità del ricorso - che pur non appare ictu oculi infondata sollevata dalla Procura federale.

1. Con il ricorso in esame, come osservato, il Daleno ha chiesto la revocazione della decisione della Corte federale d’appello – Sezioni Unite, di cui al C.U. n. 27/CFA del 24/09/2015, con la quale è stata confermata la decisione del Tribunale federale nazionale - Sezione disciplinare, di cui al C.U. n. 17/TFN del 20/08/2015, che lo aveva sanzionato con l’inibizione di anni 5 e la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., nonché con l’ammenda di 50.000,00.

L’istanza revocatoria è testualmente proposta “ex art. 63, comma 1, lett. d), C.G.S.”, disposizione a tenore della quale le decisioni adottate dagli organi della giustizia sportiva, inappellabili o divenute irrevocabili, possono essere impugnate per revocazione innanzi alla Corte federale di appello, “d) se è stato omesso l’esame di un fatto decisivo che non si è potuto conoscere nel precedente procedimento, oppure siano sopravvenuti, dopo che la decisione è divenuta inappellabile, fatti nuovi la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia”.

Nel ricorso (pag. 4), la parte pecifica di ascrivere la propria istanza all’ipotesi revocatoria di cui al secondo periodo della lettera in questione, dunque ritenendo che l’archiviazione del procedimento penale che era rimasto pendente presso la Procura della Repubblica di Napoli rappresenti un fatto “nuovo”, sopravvenuto alla decisione revocanda, la cui conoscenza avrebbe comportato il suo proscioglimento in sede sportiva.

In realtà, la traiettoria assertiva dell’atto introduttivo conduce a ritenere che la causa di impugnazione straordinaria prospettata dal ricorrente attenga piuttosto al contermine istituto della revisione, nelle declinazioni correlate ai rapporti tra diversi pronunciamenti originati dalla medesima vicenda (art. 63, comma 4, lett. “b”, C.G.S.).

Tale connotazione del ricorso è resa manifesta dal ripetuto richiamo argomentativo ad una pretesa “equiparazione” tra il decreto di archiviazione “definitivo” e la sentenza di assoluzione in sede penale, e, sebbene lo stesso ricorrente dia conto che al decreto non consegue un “giudicato” (“Dunque il giudicato penale, o meglio il provvedimento di archiviazione definitivo…”), nondimeno ne afferma perentoriamente la vincolatività per gli Organi della giustizia sportiva, rilevando che esso “deve essere recepito dalla Corte e posto alla base del giudizio di revocazione” (pag. 9 del ricorso).

2. Ciò posto, vanno qui sinteticamente richiamate le coordinate ermeneutiche indicate nella perspicua giurisprudenza federale formatasi in ordine alla fase rescindente del giudizio di revocazione, comuni a quello di revisione, dalle quali il Collegio, nella specie, non rinviene ragioni per discostarsi.

È noto, invero, che, sia in caso di revocazione, sia in caso di revisione, il giudizio ex art. 63 C.G.S. è articolato in due distinte fasi: una “rescindente”, intesa ad accertare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità della domanda, e una “rescissoria” e successiva, di riapertura della valutazione di merito, possibile unicamente qualora il riscontro preliminare sul profilo “rescindente” si sia concluso in senso positivo (Corte federale d’appello, Sez. I, decisione n. 9/CFA/2022-2023; v. anche: n. 85/2021-2022 e SSUU, n. 57/2019-2020).

Dunque, solo se si accerta che sussiste una causa di revocazione la decisione viene “rescissa” e si passa alla seconda fase, in cui viene rinnovato il giudizio, emendando i vizi di quello precedente (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 57/2019-2020 e n. 43/2019-2020).

Anche in sede di giudizio di “revisione” vi è – analogamente - una fase diretta alla verifica dell’astratta idoneità degli elementi posti a fondamento dell’istanza di riapertura del procedimento, al fine della rimozione del provvedimento che ha definito lo stesso e rendere possibile una sua diversa conclusione (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 57/2019-2020; Sez. I, n. 11/CFA/2021-2022 e n. 9/CFA/2022-2023).

Tale impostazione è confermata dalla circostanza per la quale i giudizi di “revisione/revocazione”, disciplinati dall’art. 63 cit., sono mezzi non “liberi”, ma a critica vincolata, nel senso che non possono rimettere in discussione decisioni ordinariamente irrevocabili, di condanna se per revisione, o inappellabili, se non per ragioni tassative indicate dalla norma (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 85/CFA/2021-2022).

Per questo, la revocazione e la revisione costituiscono un rimedio a carattere “eccezionale” e non un ulteriore grado di giudizio, che l’ordinamento non contempla (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 85/CFA/2021-2022).

In sostanza, anche nella giustizia sportiva la revocazione (e, parimenti, la revisione) è intesa come “extraordinarium auxilium”, previsto, in casi tassativi e particolarmente gravi, nei confronti di decisioni non più soggette ai mezzi ordinari di impugnazione (in termini, da ultimo, Corte federale d’appello, Sezioni Unite, decisione n. 61/CFA/2022-2023).

Ebbene, nella vicenda in rassegna, come già anticipato, il ricorso proposto dal Sig. Daleno non supera la fase rescindente, per le ragioni che seguono.

3. Il ricorso va in primo luogo esaminato - al di là del nomen juris attribuitogli dalla parte - sulla base della sua causa petendi sostanziale (sebbene, come si dirà, anche l’esame di quella formale conduce invariabilmente alla declaratoria di inammissibilità).

Con esso si invoca, effettivamente, una pretesa “equiparazione” tra il decreto di archiviazione “definitivo” e la sentenza di assoluzione in sede penale, affermandosi che il primo, nel confronto con la decisione sportiva, “deve essere recepito dalla Corte e posto alla base del giudizio di revocazione” (pag. 9 del ricorso).

Il rilievo difensivo, tuttavia, è privo di fondamento.

3.1 Il profilo di impugnazione straordinaria prospettato, invero, dovendo essere necessariamente inquadrato in una delle fattispecie tassative previste dal C.G.S., si atteggia ad essere riqualificato come inerente alla fattispecie di revisione prevista dall’art. 63, comma 4, lettera b), ammessa, nei confronti di decisioni irrevocabili, dopo la decisione di condanna, nel caso in cui “vi sia inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione irrevocabile”.

Come osservato, il ricorrente pone a fondamento dell’istanza il raffronto tra due decisioni, l’una, irrevocabile, pronunciata nei suoi confronti in ambito sportivo, l’altra - qualificata come “definitiva” - costituita dal decreto di archiviazione pronunciato dal GIP del Tribunale di Napoli.

Tale prospettazione, però, si appalesa fallace già in tesi, stante il tenore letterale della norma federale, la quale, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione straordinaria, richiede tassativamente che il confronto avvenga tra decisioni parimenti “irrevocabili”, con ciò evocando - inequivocabilmente e per logica di sistema - il concetto del “giudicato”.

In relazione a tale profilo, è agevole osservare come il decreto di archiviazione, per unanime e convergente giurisprudenza, sia dell’ordinamento generale, sia di quello sportivo, non sia in alcun modo “equiparabile” ad una sentenza di assoluzione, e non si presti, in ogni caso, ad essere configurato come un provvedimento che abbia attitudine a divenire “irrevocabile”, cioè a costituire un giudicato, laddove nei suoi confronti non siano stati esperiti o non siano esperibili mezzi di impugnazione ordinaria.

È qui sufficiente richiamare la parte motiva essenziale della pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. II pen., del 15.12.2021, n.2933 (evocata dalla Procura federale come “sentenza n. 2933/2022”, pag. 7 delle controdeduzioni), secondo cui “appare evidente [come] la natura di atto endo-procedimentale del decreto di archiviazione, il suo caratterizzarsi quale decisione allo stato degli atti, non irrevocabile, al quale può sempre seguire la possibilità di una riapertura delle indagini sia di per sé inconciliabile con il concetto di prova nuova. Difatti, la natura dell'archiviazione quale atto del procedimento per sua natura non suscettibile di passare in giudicato rende evidente come lo stesso non possa essere posto a base di un'istanza di revisione, apparendo adeguato un limite di tal genere, secondo criteri di ragionevolezza, quanto alla previsione di limiti oggettivi alla revisione, per le esigenze di certezza e stabilità sottese al principio di intangibilità del giudicato (Sez. 3, n. 10407 del 16/01/2020, Esposito, Rv. 278541-01). Inoltre, occorre considerare come, evidentemente, la parte ricorrente con la propria istanza di revisione tenda a far rientrare in modo improprio il decreto di archiviazione quale elemento per richiedere la revisione nell'ambito del disposto di cui all'art. 630 c.p.p., lett. c), quale prova nuova, nonostante l'evidente natura di epilogo decisorio a carattere non definitivo dello stesso, atteso che secondo interpretazione, già consolidata ed anche risalente, della giurisprudenza di legittimità il decreto di archiviazione non può rientrare neanche nell'ambito della lett. a), tanto che si è affermato che non può essere assimilato alla sentenza e al decreto penale di condanna (Sez. 6, n. 3556 del 22/11/1996, Mattera, Rv. 208663-01).”.

Corrispondentemente, questa Corte ha già avuto modo di affermare che “il provvedimento di archiviazione, trattandosi di decisione adottata allo stato degli atti, non contiene alcun definitivo accertamento di fatto, potendo anche essere superato da un decreto motivato di autorizzazione alla riapertura delle indagini qualora si verifichi l’esigenza di nuove investigazioni in relazione al medesimo fatto (art. 414 c.p.p.)” (Sez. I, decisione n. 99/CFA/2019-2020; in termini già Corte di giustizia federale, Sez. V, n. 115/CGF/2009-2010), atteso che solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, può avere efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare nei confronti dell’imputato quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, ferma restando l’autonomia dell’ordinamento sportivo nella definizione della fattispecie e nella qualificazione del fatto, “Conclusione che appare evidente alla luce delle diverse cognizioni e regole di giudizio che presiedono all’emissione di un decreto di archiviazione piuttosto che di una sentenza assolutoria. Nel caso di specie, pertanto, nessuna efficacia di giudicato può darsi al citato decreto di archiviazione” (Sezioni Unite, n. 72/CFA/2023-2024).

D’altro canto, la norma federale di riferimento dell’ipotesi di revisione per “inconciliabilità” tra decisioni appare plasmata su quella di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., la quale parimenti richiede che il confronto revisionale avvenga con i fatti stabiliti in “altra sentenza irrevocabile”, resistendo pertanto l’originaria pronuncia affermativa della responsabilità ad ogni altro provvedimento che non sia munito di tale ineludibile qualificazione processuale.

Non giova, pertanto, al ricorrente, l’attributo di “definitività” con cui egli qualifica il provvedimento di archiviazione, in quanto esso non si traduce in quello di “irrevocabilità”, punto necessario ai fini della revisione per inconciliabilità.

Le pronunce evocate al riguardo nel ricorso, a pagina 8, non consentono di pervenire a diversa conclusione.

Invero, la sentenza della Cassazione Civile, Sez. I, del 18.5.2006, n. 11734, ha esaminato il carattere di “definitività” del decreto di archiviazione ai diversi fini dell’individuazione del dies a quo per la proposizione della domanda di equa riparazione ai sensi dell’art. 4 della legge n. 89/2001, con il rilievo per cui “è ben vero che relativamente al decreto di archiviazione pronunciato ai sensi dell'art. 414 c.p.p. è possibile la riapertura delle indagini senza limiti di tempo; ma ciò non toglie che tale provvedimento proprio in quanto riguardo ad esso non è prevista una fase successiva collegata alla proposizione di mezzi di impugnazione da esperire entro un determinato termine - debba considerarsi conclusivo del procedimento e quindi, in questo senso, debba consderarsi definitivo. Consegue da quanto sopa che il ricorso deve essere rigettato”.

Il ricorrente richiama poi, senza citarne gli estremi, un pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, sposando i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 27/1995, hanno statuito che il provvedimento di archiviazione determina una preclusione endoprocedimentale all'agere del medesimo ufficio del p.m., che inibisce non solo la ripresa dell'attività investigativa o le iniziative cautelari ma lo stesso esercizio dell'azione penale, con riferimento allo stesso fatto oggetto del provvedimento di archiviazione, rimovibile solo attraverso il decreto ex art. 414 c.p.p..

Trattasi, invero, della sentenza delle Sezioni Unite penali del 24.6.2010, n. 33885, la quale è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione di diritto “se la mancata emissione del decreto di riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p., comporti, con riferimento allo stesso Ufficio del pubblico ministero che aveva richiesto e ottenuto il provvedimento di archiviazione, la preclusione all'esercizio dell'azione penale o soltanto la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti successivamente alla archiviazione del procedimento”, risolta dalla Suprema Corte aderendo alla prima alternativa, ma senza affermare in alcun modo una possibile attitudine del decreto di archiviazione ad acquisire la connotazione della “irrevocabilità”, dunque del giudicato.

3.1.1 Per completezza, il tema va affrontato anche con un richiamo organico alla disciplina sportiva concernente l’efficacia della sentenza dell’autorità giudiziaria nei giudizi disciplinari (art. 111 C.G.S), pur accennato dal ricorrente (pagg. 7-8 dell’atto introduttivo) evocando la pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite, pubblicata con il C.U. n. 063/CFA dell’11/11/2019 (rectius: 11.1.2019), con la quale è stato accolto un ricorso per revisione basato sulla sentenza irrevocabile di assoluzione dell’imputato, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., con la formula piena “perché il fatto non sussiste”, relativa ai medesimi fatti per i quali egli era stato inibito in sede sportiva.

Premesso che tale decisione, conferendo rilevanza ad una sentenza dell’autorità giudiziaria resa a seguito del dibattimento, già si pone in antitesi con l’ipotesi revocatoria prospettata nel ricorso, va osservato che - come già evidenziato - il richiamato art. 111, comma 3, riconosce efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito al dibattimento, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, “ferma restando l’autonomia dell’ordinamento sportivo nella definizione della fattispecie e nella qualificazione del fatto”.

Il successivo comma 6 stabilisce che “Fuori dei limiti di cui ai precedenti commi, gli organi di giustizia non sono soggetti all’autorità di altra sentenza che non costituisca cosa giudicata tra le stesse parti; essi conoscono di ogni questione pregiudiziale o incidentale, pur quando riservata per legge all’Autorità giudiziaria, la cui risoluzione sia rilevante per pronunciare sull’oggetto della domanda”.

Il sistema dei rapporti con le pronunce esofederali è dunque caratterizzato da una sua intrinseca coerenza ed organicità, atteso che l’efficacia della stessa sentenza penale assolutoria irrevocabile non è affatto predicata tout court dal Codice di giustizia sportiva, imponendosene in ogni caso un filtro valutativo ad opera degli organi di giustizia, e considerato altresì che l’ordinamento federale si dichiara impermeabile a qualsiasi altra sentenza che non costituisca cosa giudicata tra le stesse parti, dunque selezionando, nel novero dei provvedimenti del giudice contemplato dall’art. 125 c.p.p., unicamente quello, a motivazione obbligatoria (v. comma 3), dotato della poziore consistenza processuale e sostanziale, soprattutto in relazione ai risultati acquisiti ed ai criteri di valutazione della prova adottati, il cui rilievo motivazionale è specificamente imposto dall’art. 546, comma 1, lettera e), c.p.p., a pena di nullità (v. art. 125, comma 3, c.p.p.).

In definitiva, anche dalla disamina della disciplina federale in materia di efficacia delle sentenze dall’Autorità giudiziaria nei giudizi disciplinari si trae conferma che viene riconosciuta una – limitata - influenza unicamente ai provvedimenti che rivestano la forma della vera e propria “sentenza”.

3.1.2 Né, d’altro canto, la rilevanza del decreto di archiviazione potrebbe rivelarsi suscettibile di apprezzamento in relazione alla contermine ipotesi di revisione di cui all’art. 63, comma 4, lett. a), C.G.S., concernente il caso in cui “sopravvengano o si scoprano nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrino che il sanzionato doveva essere prosciolto”.

Tale ipotesi di revisione, infatti, è a sua volta modellata su quella contemplata dall’art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., in ordine alla quale si registrano egualmente convergenti affermazioni giurisprudenziali sia della giustizia statale, sia di quella sportiva.

Si è già fatto richiamo, nel precedente paragrafo 3.1. alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 2933/2021, nella cui pertinente parte motiva si statuisce che “occorre considerare come, evidentemente, la parte ricorrente con la propria istanza di revisione tenda a far rientrare in modo improprio il decreto di archiviazione quale elemento per richiedere la revisione nell'ambito del disposto di cui all'art. 630 c.p.p., lett. c), quale prova nuova, nonostante l'evidente natura di epilogo decisorio a carattere non definitivo dello stesso, atteso che secondo interpretazione, già consolidata ed anche risalente, della giurisprudenza di legittimità il decreto di archiviazione non può rientrare neanche nell'ambito della lett. a), tanto che si è affermato che non può essere assimilato alla sentenza e al decreto penale di condanna (Sez. 6, n. 3556 del 22/11/1996, Mattera, Rv. 208663-01)”.

Inoltre, ha rilievo al riguardo il principio - la cui valenza è stata riconosciuta anche nell’ambito della giustizia federale - stabilito dall’art. 637, comma 3, c.p.p., secondo cui, in sede di revisione, “Il giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente

sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente grado di giudizio”.

Questa Corte ne ha fatto discendere che, per tal modo, viene posto un limite invalicabile alla revisione nel divieto di riesame degli stessi elementi che furono valutati nel processo conclusosi con il giudicato (cfr. CGF, C.U. n. 245/CGF del 4.5.2012; conf. CFA – Sezioni Unite, C.U. n. 063/CFA dell’11.1.2019, quest’ultima pronuncia - come detto - evocata dallo stesso ricorrente).

Del resto, nella stessa prospettazione di parte ricorrente, deve escludersi che nel caso di specie possa ricorrere l’indispensabile requisito di “novità” della prova, considerato che l’intero impianto del ricorso è fondato sulla ritenuta identità del materiale probatorio, comune al procedimento penale, ma in assenza del vaglio dibattimentale, ed al processo sportivo, questo conclusosi con l’affermazione di responsabilità del prevenuto all’esito dei due gradi di giudizio.

In relazione a tale profilo ed alla stessa discrasia procedurale dei momenti di apprezzamento del materiale istruttorio -  allo stato degli atti nel procedimento penale ed all’esito del contraddittorio nel processo sportivo- risulta vieppiù evidente che l’istanza revocatoria, ancorché riqualificata nell’ambito delle fattispecie revisionali,  risulterebbe per tal modo inammissibilmente riconducibile alla pretesa di una  diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio, assimilandosi pertanto surrettiziamente ad un ulteriore e non consentito mezzo di impugnazione.

3.2 Va altresì sottolineato che, pur cercando di ricondurre l’istanza revocatoria alla qualificazione formale patrocinata dal ricorrente - ma a dispetto della causa petendi sostanziale - il ricorso non è comunque suscettibile di favorevole delibazione.

Vi osta, innanzitutto, la difficoltà concettuale ed ermeneutica di individuare – di per sé -  il “fatto nuovo” in una pronuncia giudiziaria, evocando invece la norma eventi fenomenicamente rilevanti sul piano ontologico, idonei ad incidere con carattere inedito sulla determinazione del Giudice, com’è attestato dalla connotazione finalistica attribuita ad essi dall’art. 63, comma 1, lett. d), C.G.S., laddove si richiede la dimostrazione che la loro (pregressa) conoscenza “avrebbe comportato una diversa pronuncia”.

Vi osta, altresì, il difetto di un confronto processualmente efficace tra gli “accertamenti” delle pronunce che il ricorrente ha inteso accostare, deducendone impropriamente una valenza imperativa del decreto di archiviazione a discapito della decisione sportiva resa nel contraddittorio e confermata in appello.

Sotto questo profilo, sinanche il confronto della decisione sportiva con una sentenza penale assolutoria irrevocabile non sortirebbe ex se l’esito revocatorio auspicato dal ricorrente, come si ricava dalle affermazioni contenute nella richiamata decisione di questa Corte a Sezioni Unite di cui al C.U. n. 061/CFA dell’11.1.2019, laddove, sulla scorta di un confronto ordinamentale relativo alla rilevanza ed efficacia delle sentenze penali nei giudizi civili ed amministrativi, nonché in quello disciplinare, si afferma “come, oggi, l’ordinamento giuridico generale ricolleghi l'efficacia del giudicato penale all'’accertamento’ e non più alla mera ‘dichiarazione’ della insussistenza del fatto e delle altre cause di proscioglimento. Se ne deduce, pertanto, anche in tale prospettiva interpretativa, come sia necessario, in questa sede di revisione, procedere, comunque, ad un effettivo, specifico e concreto accertamento positivo della insussistenza del fatto o della sua non attribuibilità all'imputato, non potendosi realizzare, l'effetto di giudicato penale, in quelle ipotesi in cui siffatto positivo accertamento non vi sia stato.

Ritiene, in definitiva, questa Corte che nella prospettiva rivalutativa propria del giudizio di revisione debba aversi riguardo non tanto alla sentenza (penale) di assoluzione in sé e per sé considerata ed al suo dispositivo, quanto, invece, al positivo accertamento in fatto nella stessa rinvenibile, atteso che «la formula assolutoria ‘perché il fatto non sussiste’, potendo astrattamente ricomprendere anche l'ipotesi della mancanza o dell'insufficienza delle prove in ordine alla sussistenza del fatto od all'attribuibilità di esso all'imputato, non deducibile per espressa esclusione di legge nel dispositivo della sentenza penale» (così Cassazione, sezioni unite penali, 29 maggio - 28 ottobre 2008, n. 40049), non è di per se stessa ostativa alla celebrazione del procedimento disciplinare in sede sportiva, essendo riservato, per quanto qui rileva, al giudice sportivo, accertare, previa interpretazione del giudicato penale sulla base della motivazione del medesimo, se l'esclusione della responsabilità dell'imputato sia stata certa o dubbia e/o se l’accertamento in fatto presupposto sia stato o meno completo, e, di conseguenza, stabilire se l'azione disciplinare (o una decisione di condanna in sede sportiva) sia o meno preclusa.”.

Nella vicenda in esame, il quadro motivazionale scaturente dalla decisione del T.F.N. di cui al C.U. n. 17/TFN del 20.8.2015 (cfr., segnatamente, per la posizione del ricorrente, le pagine 26-31) e di quella, confermativa, della CFA a Sezioni Unite, di cui al C.U. n. 27/CFA del 24.9.2015 (cfr., segnatamente, le pagine 5-10), non appare scalfito, né altrimenti attinto, specificamente, dal decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Napoli del 27.2.2023.

In particolare, la pronuncia del Tribunale federale nazionale ha accertato la responsabilità dei deferiti, tra cui il Daleno, sulla scorta delle “dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese al G.I.P. di Catanzaro dal Presidente della Società Brindisi” Antonio Flora, nonché di quelle rese da Giorgio Flora, Vice Presidente della Società Brindisi, sostenute altresì dal deferito Emanuele Marzocchi, “che ha collaborato all’accertamento della verità”, affermando che tali dichiarazioni risultavano “ampiamente riscontrate dagli esiti evidenti delle intercettazioni telefoniche (conversazioni e SMS)”, che avevano consentito “di ricostruire nei dettagli i fatti e le singole responsabilità” e valutando infine “come elemento indiziante anche il linguaggio criptato abitualmente usato dagli incolpati nelle loro comunicazioni” (v. pagine 26-27 della decisione di cui al C.U. n. 17/TFN del 20.8.2015).

L’attendibilità delle dichiarazioni di Antonio Flora e degli altri elementi posti a base della decisione aveva poi formato oggetto di uno specifico motivo di impugnazione ad opera della difesa del Daleno, argomentatamente disatteso dalle Sezioni Unite della Corte federale d’appello, la quale, confermando integralmente l’impianto motivazionale della pronuncia di primo grado, ha statuito che dai fatti posti a base del deferimento, così come dagli indizi ed elementi di prova forniti, “risulta inequivocabilmente il ruolo attivo del Daleno, che, come correttamente ribadito anche nella discussione orale dalla Procura federale, ha esaltato al presidente Flora Antonio ed al vice presidente Flora Giorgio la rete di cui il Ciccarone disponeva per le necessità del Brindisi Calcio al fine di conseguire utili risultati, e a tal fine si adoperò con l’ausilio, l’intervento e l’intermediazione del Ciccarone per la combine della gara con il San Severo” e  che “il quadro, fornito dalle relazioni e dai contatti tra i soggetti protagonisti ed artefici della combine, tra cui sicuramente e con ruolo decisamente attivo il Daleno, non muta affatto con riferimento all’altro incontro ‘attenzionato’, ovvero Pomigliano-Brindisi del 14 dicembre 2014” (pagine 8-9 della decisione di cui C.U. n. 27/CFA del 24.9.2015).

A fronte del robusto compendio motivazionale delle due conformi pronunce federali, inoltre, non può attribuirsi alcuna seria rilevanza al condizionale di stile con cui quella d’appello ha descritto l’appartenenza del Daleno ad un’associazione dedita, all’epoca dei fatti, all’alterazione dei risultati delle gare di campionato.

Orbene, pur volendo assecondare l’idea - processualmente non corretta - che il decreto di archiviazione possa costituire un “fatto nuovo” rilevante ai fini revocatori, non potrebbe in ogni caso omettersi di rilevare che il generico e sintetico profilo motivazionale che lo sorregge “allo stato gli atti”, circa la insussistenza di elementi probatori idonei a fondare la responsabilità degli indagati, è declinato con una qualche dovizia motivazionale - in ogni caso aspecifica ed insufficiente a porsi in antitesi irredimibile con le pronunce federali -  solo in relazione ad un primo sodalizio criminale, mentre, relativamente al secondo, che coinvolge la posizione del Daleno, il GIP si limita ad osservare che “analogo ragionamento” può riferirsi all’ipotesi accusatoria dell’associazione a delinquere, osservando genericamente che non sarebbero emersi elementi in grado di dimostrare un accordo permanente e duraturo nel tempo diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso nell’ambito del quale ricondurre i singoli reati fine posti in essere dai sodali, ma senza esaminare ed investire direttamente gli specifici accertamenti e la ricostruzione probatoria utilizzati dagli Organi di giustizia sportiva per pervenire all’affermazione di responsabilità del prevenuto.

Nessuno dei temi probatori fondanti la responsabilità del Daleno accertata in sede sportiva è specificamente affrontato nel decreto del GIP del Tribunale di Napoli del 27.2.2023, né è altrimenti disatteso con argomenti analitici, tali da accreditare una ricostruzione dei fatti idonea a smentire ab imis l’impianto accusatorio correlato all’incolpazione disciplinare sportiva.

Per dirla con il citato precedente di questa Corte n. 72/CFA/2023-2024, “Non può sfuggire che il provvedimento non è entrato nel merito della valutazione delle prove, non ha proposto in termini positivi una ricostruzione dei fatti, si è limitato ad escludere la prospettabilità del grave reato inizialmente ipotizzato”

Pertanto, da tale limitato profilo motivazionale - coerente con la sedes processuale in cui è stato adottato, limitata allo stato degli atti - non può ricavarsi alcun effettivo elemento di “novità”, probatorio o fattuale, tale da porsi in irrimediabile contrasto con gli accertamenti e le estese motivazioni degli Organi della giustizia sportiva, risolvendosi invece l’iniziativa revocatoria in esame nella inammissibile sollecitazione verso una diversa valutazione delle prove.

In altri termini, pur volendo tenere in disparte il vistoso profilo di inadeguatezza della effettiva causa petendi del ricorso in esame a configurare l’ipotesi revocatoria del “fatto nuovo” sopravvenuto, è incontrovertibile che, in ogni caso, il decreto del GIP del Tribunale di Napoli del 27.2.2023 non è idoneo a configurare quella “rideterminazione della realtà fattuale”, necessaria per potersi dare luogo alla rescissione del giudicato, come sancito dalla Corte di Giustizia federale, a Sezioni Unite, in un autorevole precedente (C.U. n. 190/CGF del 20.5.2009, Josep Guardiola Sala c. Ufficio Procura Antidoping CONI).

Anche riguardata sotto tale profilo, dunque, l’impugnazione straordinaria in esame non supera il preliminare vaglio di ammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per revocazione in epigrafe.

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

L'ESTENSORE                                                      IL PRESIDENTE

Tommaso Marchese                                                Mario Luigi Torsello

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

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