F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione I – 2024/2025 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0047/CFA pubblicata il 15 Novembre 2024 (motivazioni) – Virtus Asciano SSD-Sig. Daniel Barbi-PFI

Decisione/0047/CFA-2024-2025

Registro procedimenti n. 0048/CFA/2024-2025

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

I SEZIONE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Francesca Morelli - Componente

Federica Varrone - Componente (Relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul reclamo numero n. 0048/CFA/2024-2025 proposto dalla società Virtus Asciano SSD e dal Sig. Daniel Barbi in data 17.10.2024,

per la riforma della decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Toscana, pubblicata con il Comunicato Ufficiale n. 28 del 10.10.2024;

visto il reclamo e i relativi allegati;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza, tenutasi in videoconferenza il giorno 13 novembre 2024, l’Avv. St. Federica Varrone e uditi l’Avv. Stefano Gianfaldoni e l’Avv. Marco Bucciolini per i reclamanti e l’Avv. Maurizio Gentile per la Procura federale interregionale.

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto del 21 agosto 2024 prot. 4686/1064pfi123-24/PM/fda la Procura federale interregionale deferiva innanzi al Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Toscana:

1) il Sig. Daniel Barbi, all'epoca dei fatti calciatore tesserato per la società Virtus Asciano;

2) il Sig. Claudio Neri, all'epoca dei fatti dirigente tesserato per la società Rapolano Terme;

3) la società Virtus Asciano;

4) la società Rapolano Terme; per rispondere:

- il Sig. Daniel Barbi, della violazione dell'art. 4, comma 1, e dell'art. 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso in data 3.3.2024, al tredicesimo minuto circa del secondo tempo della gara Virtus Asciano - Rapolano Terme disputata presso il campo "Vecchio Comunale" di Asciano (SI) e valevole per il girone M del campionato di Seconda Categoria, proferito all'indirizzo del calciatore Sig. Ndiaye Papa Amadou Mar, schierato nelle fila della squadra della società Rapolano Terme con la maglia numero 7, la seguente testuale espressione: "sei un n**** di m****"; tanto era accaduto a seguito di un precedente fallo di gioco commesso dallo stesso Sig. Ndiaye Papa Amadou Mar nei confronti del calciatore avversario Sig. Daniel Barbi;

- il Sig. Claudio Neri, della violazione dell'art. 22, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per non essersi presentato, senza addurre alcun motivo ostativo, al Collaboratore della Procura federale per essere ascoltato sebbene ritualmente convocato per i giorni 1 e 7.6.2024, impedendo in tal modo agli Organi di giustizia sportiva di acquisire elementi utili ai fini dell'accertamento dei fatti oggetto del procedimento;

- la società Virtus Asciano a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell'art. 6, comma 2, del Codice di giustizia sportiva per gli atti ed i comportamenti posti in essere dal Sig. Daniel Barbi, così come descritti nel precedente capo di incolpazione;

- la società Rapolano Terme a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell'art. 6, comma 2, del Codice di giustizia sportiva per gli atti ed i comportamenti posti in essere dal Sig. Claudio Neri, così come descritti nel precedente capo di incolpazione.

2. Avanti al Tribunale federale si costituivano la società Virtus Asiano SSD e il sig. Daniele Barbi che lamentavano l’erronea valutazione delle risultanze probatorie in ordine alla sussistenza del fatto.

3. All’udienza di discussione il rappresentante della Procura, esposte le ragioni a sostegno del deferimento, concludeva chiedendo comminarsi le seguenti sanzioni: 10 giornate di squalifica nei confronti del sig. Daniel Barbi, ammenda di 1.000 euro nei confronti della società Virtus Asciano, 2 mesi di inibizione nei confronti del sig. Claudio Neri, ammenda di 300,00 nei confronti della società Rapolano Terme.

Il sig. Daniel Barbi e la società Virtus Asciano instavano per il proscioglimento insistendo nell’eccezione di assenza di prove precise, univoche e concordanti.

4. Il Tribunale federale, ritenuta provata la responsabilità di tutti i soggetti deferiti, irrogava le seguenti sanzioni: 10 giornate di squalifica al sig. Daniel Barbi, l’ammenda di 500,00 alla società Virtus Asciano, l’inibizione di 2 mesi al sig. Claudio Neri e l’ammenda di 300,00 alla società Rapolano Terme.

5. Avverso tale decisione hanno proposto reclamo il sig. Daniel Barbi e la società Virtus Asciano lamentando: 1) l’erronea e/o omessa valutazione delle evidenze probatorie; 2) l’errata e/o viziata interpretazione dell’art. 4, comma 1, e 28 comma 1 CGS.

In data 8 novembre, la Procura federale ha depositato memoria con la quale ha eccepito l’inammissibilità del reclamo per violazione dell’art. 101, comma 2, CGS, deducendo di non aver ricevuto rituale comunicazione della proposizione del reclamo e di averne avuto conoscenza soltanto aliunde con la comunicazione della fissazione della udienza da parte di questa Corte Federale.

6. All'udienza dibattimentale del giorno 13 novembre 2024, tenutasi in videoconferenza, sono comparsi, per i reclamanti l’Avv. Stefano Gianfaldoni e l’Avv. Marco Bucciolini che hanno insistito per l’accoglimento del reclamo. Per la Procura federale interregionale è comparso l’Avv. Maurizio Gentile che ha insistito nella richiesta di declaratoria di inammissibilità del reclamo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il reclamo è inammissibile per non essere stato comunicato alla Procura federale.

Come noto, il Codice di giustizia sportiva della FIGC definisce le modalità d’accesso alla giustizia sportiva e le norme generali sul procedimento, dando rilievo ai principi del contraddittorio tra le parti e del diritto di difesa chiamati a regolare il processo e a garantirne il regolare svolgimento.

In particolare, l’art. 44, comma 1, CGS, rubricato “principi del processo sportivo”, stabilisce che “il processo sportivo attua i principi del diritto di difesa, della parità delle parti, del contraddittorio e gli altri principi del giusto processo”.

Detta previsione normativa costituisce la trasposizione, nell’ambito della giustizia sportiva, di principi cardine di chiara natura garantistica, sanciti nella Carta Costituzionale all’art. 111, commi 1 e 2, quali appunto i principi del giusto processo, del contraddittorio e della parità delle parti; principi che, in ragione della indicata rilevanza costituzionale, non consentono deroga alcuna ed impongono il coinvolgimento processuale, ai fini della regolare costituzione del contraddittorio, di tutte le parti interessate all’esito del giudizio (in tal senso, Collegio di garanzia dello sport n. 39 del 2018).

In tale ottica, il quarto comma dell’art 49 CGS dispone che “….copia della dichiarazione con la quale viene preannunciato il ricorso o il reclamo e copia del ricorso o del reclamo stesso, deve essere inviata contestualmente all’eventuale controparte con le medesime modalità ….” e, più specificatamente, il secondo comma dell’art. 101 CGS, relativo al procedimento dinanzi a questa Corte federale, dispone che “…. il reclamo deve essere depositato, unitamente al contributo, a mezzo di posta elettronica certificata, presso la segreteria della Corte federale d’appello e trasmesso alla controparte ….”.

La giurisprudenza di questa Corte ha più volte dichiarato l’inammissibilità del reclamo ove comunicato al solo organo che ha deciso, omettendo di comunicarlo alla Procura federale (Commissione d’appello federale, n. 18/2004-2005; Commissione d’appello federale, n. 22/2004-2005; Commissione d’appello federale, n. 40/2004-2005; Commissione d’appello federale, n.51/2006-2007; Corte di giustizia federale, Sez. III, n. 191/2009-2010; Corte di giustizia federale, Sez. I, n. 227/2008-2009; Corte di giustizia federale, Sez. III, n. 275/2008-2009; Corte federale d’appello, Sez. III, n. 32/2018-2019; Corte federale d’appello, Sez. IV, n. 19/2019-2020; Corte federale d’appello, Sez. IV, n. 61/2019-2020; Corte federale d’appello, SS.UU., n.118/2023-2024).

Conseguentemente, non risultando agli atti la prova della notifica del reclamo alla Procura federale, lo stesso è inammissibile.

Né può ritenersi fondata la tesi sostenuta in udienza dai legali dei reclamanti, secondo cui vi sarebbe una discrasia tra quanto previsto dal Codice di giustizia sportiva e le “Regole tecnico-operative del Processo Sportivo Telematico della FIGC”, che avrebbero consentito il “regolare” deposito del reclamo nonostante l’omessa allegazione dell’avvenuta comunicazione alla Procura. Dette regole, infatti, si limitano ad illustrare le modalità di funzionamento della piattaforma informatica della giustizia sportiva, con specifiche prescrizioni relative al formato degli atti, dei documenti ed alle sottoscrizioni digitali, senza incidere in alcun modo sulla disciplina prevista dal codice di giustizia sportiva. Nessun legittimo affidamento può dunque sussistere per il fatto che, in sede di deposito telematico del reclamo, il sistema non abbia segnalato un’anomalia per il mancato deposito della comunicazione alla Procura, in quanto era specifico obbligo del difensore accertarsi dell’avvenuto rispetto di tutti gli incombenti processuali.

A tal riguardo occorre rimarcare che la mancata comunicazione alla Procura federale incide sulla regolare costituzione del rapporto processuale in appello e, pertanto, viene in rilievo una disposizione espressiva di principi di ordine pubblico processuale, sottratta, in quanto tale, alla disponibilità delle parti.

Così del pari risulta del tutto inconsistente il richiamo operato dai reclamanti all’art. 103 del Codice di giustizia sportiva, in quanto, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte federale con decisione n. 27/2019-2020,  detta disposizione pone a carico del Presidente il dovere di svolgere un preliminare e sommario accertamento sull’attivazione del procedimento notificatorio nei confronti delle parti interessate, al fine di verificare, prima facie, se le stesse siano state edotte della pendenza della lite, fermo restando l’onere di notifica per il reclamante previsto, in linea generale, dall’art. 49, comma 4, del Codice, ovvero dall’art. 101 CGS nel caso in esame.

L’accertamento declinato dall’art. 103 CGS è limitato alla corretta introduzione del procedimento notificatorio alle parti, all’esito del quale il Presidente provvederà a trasmettere insieme con l’avviso di fissazione dell’udienza anche il reclamo alle parti necessarie alle quali il reclamo medesimo non sia stato notificato o sia stato irritualmente notificato.

Risulta ben possibile, infatti, che al momento del deposito del reclamo non risulti disponibile la prova della avvenuta notifica o che il reclamante non l’abbia depositata, dimodoché sarà compito del Collegio, nella fase successiva, verificarne la regolarità alla luce dell’attività o delle deduzioni delle parti.

Tale soluzione, quindi, come espressamente precisato con la richiamata decisione, “non comporta alcuna sanatoria di eventuali vizi né l’assunzione in via monocratica di decisioni definitive sul reclamo proposto, limitandosi a stimolare il contraddittorio di tutte le parti interessate”. E ciò evidentemente, in coerenza con il principio, appunto, del contraddittorio che impone il coinvolgimento di tutte le parti necessarie nel giudizio (CFA, SS.UU., n. 56/2020-2021).

2. Ma anche a voler affrontare, per completezza, il merito della vicenda, il gravame è comunque infondato.

Considerato che entrambi i motivi di reclamo vertono sulla sufficienza o meno del materiale probatorio acquisito agli atti, questa Corte ritiene utile evidenziare, preliminarmente, quello che è lo standard probatorio applicabile in materia, riassumendo, di seguito, l’orientamento della giurisprudenza endo ed esofederale sul punto.

In ambito esofederale è stato affermato che per dichiarare la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito, né il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel processo penale, ma può ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (cfr. ex multis, i lodi del 23 giugno 2009, Ambrosino c/ FIGC; 26 agosto 2009, Fabiani c/ FIGC; 3 marzo 2011, Donato c/ FIGC; 31 gennaio 2012, Saverino c/ FIGC; 2 aprile 2012, Juve Stabia e Amodio c. FIGC; 24 aprile 2012, Spadavecchia c/ FIGC; 26 aprile 2012, Signori c/ FIGC; 10 ottobre 2012, Alessio c/ FIGC).

Nella stessa direzione è ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza federale secondo cui per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva «non è necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito, né il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel processo penale, ma può ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito» (cfr. CFA, SS.UU., n. 19/2020-2021; n. 105/2020-2021, nonché, da ultimo, CFA n. 59/CFA2023-2024 Sez. I, CFA n. 87/CFA-2023-2024). Questa Corte ha avuto modo di affermare che «la prova di un fatto, specialmente in riferimento ad un illecito sportivo, può anche essere e, talvolta, non può che essere, logica piuttosto che fattuale» (CGF, 19 agosto 2011, C.U. n. 47/CGF del 19 settembre 2011).

Tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme anti-doping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione della probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (cfr. ad es. l’art. 4 delle Norme sportive antidoping del CONI, in vigore dal 1 gennaio 2009).

A tale principio vigente nell’ordinamento deve assegnarsi una portata generale, sicché deve ritenersi che per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale, ma è sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito.

Così precisato il criterio di valutazione del materiale probatorio applicabile al presente procedimento, il Collegio è chiamato a verificare se gli elementi di prova raccolti consentano di ritenere sussistenti a carico del sig. Daniel Barbi, secondo lo standard probatorio indicato, le violazioni di cui agli artt. 4, comma 1, e 28, commi 1, del Codice di giustizia sportiva, per aver utilizzato parole di contenuto discriminatorio e denigratorio per motivi di razza nei confronti del calciatore Ndiaye Papa Amadou Mar.

3. Ciò premesso, questa Corte ritiene che, complessivamente valutato il materiale probatorio acquisito al procedimento, sussista quel ragionevole grado di certezza, secondo lo standard probatorio indicato, in ordine alla commissione da parte del sig. Barbi dell’illecito contestato.

Innanzitutto, si osserva che i fatti contestati hanno trovato espressa conferma nelle dichiarazioni di due giocatori del Rapolano, Sig. Ricci Giovanni e Sig. Ba Mamadou.

In particolare, il Sig. Giovanni Ricci, in sede di audizione da parte della Procura Federale, ha fornito una descrizione precisa dei fatti, dichiarando testualmente quanto segue: "riferisco che in occasione della gara Virtus Asciano - Rapolano Terme del 3.3.2024 valevole per il campionato di seconda categoria Toscana Girone M, presso lo Stadio Comunale di Asciano, verso il 13esimo del secondo tempo, dopo un normale scontro di gioco, all'altezza della nostra area panchina, il calciatore della Virtus Asciano con la maglia n. 10 Barbi Daniel dell'Asciano, a cui appunto il mio compagno di squadra Sig. Ndjaye Papa Amadou Mar aveva fatto un fallo, ha cominciato ad inveire contro di lui pronunciando la seguente frase " sei un n**** di m****”. Mi ricordo bene che a proferire le parole razziste sia stato il gemello che giocava esterno di centrocampo mentre l'altro gemello signor Barbi David giocava in attacco ma quest'ultimo non è responsabile della frase discriminatoria. Infatti nella squadra della Virtus Asciano giocavano due gemelli di cognome Barbi".

Lo stesso ha, inoltre, precisato che “dopo la partita è venuto il calciatore della Virtus Barbi Daniel per scusarsi con noi per le parole discriminatorie proferite. Per giustificarsi lo stesso Barbi ci ha detto che lui era solito chiamare n**** di m**** per scherzo anche il suo stesso compagno di squadra di colore”.

Non appaiono al riguardo meritevoli di positiva considerazione le doglianze dei reclamanti secondo cui la descrizione dell’episodio resa dal sig. Ricci non troverebbe conferma nelle altre dichiarazioni acquisite dalla Procura Federale, ed, in particolare, in quelle rilasciate da Ba Mamadou.

Quest’ultimo, in sede di audizione ha infatti esattamente confermato quanto avvenuto, riferendo testualmente: " riferisco che in occasione della gara Virtus Asciano - Rapolano Terme del 3.3.2024 valevole per il campionato di seconda categoria Toscana Girone M presso lo stadio comunale di Asciano, verso il tredicesimo del secondo tempo, dopo un normale scontro di gioco con un calciatore della Virtus Asciano nei pressi della nostra area panchina, il calciatore con la maglia numero 10 Barbi Daniel dell'Asciano a cui appunto il mio compagno di squadra sig Ndiaye Papa Amadou Mar aveva fatto un fallo, dopo la collisione, ha cominciato ad inveire contro di lui pronunciando la seguente frase "sei un n**** di m****”.

Ha, inoltre, confermato che “dopo la partita è venuto negli spogliatoi il calciatore della Virtus Barbi Daniel per scusarsi con noi per le parole discriminatorie proferite. Per scusarsi lo stesso Barbi mi ha detto che lui era solito chiamare n**** di m**** per scherzo anche il suo stesso compagno di squadra di colore”.

Così del pari si ritiene non meritevole di fondatezza l’ulteriore doglianza dei reclamanti secondo cui non potrebbe esservi alcuna certezza sull’autore della violazione in considerazione del fatto che in campo era presente il gemello omozigoto del sig. Daniel Barbi e sarebbe, quindi, del tutto irragionevole la “tracotante certezza” con cui il Ricci avrebbe riconosciuto quest’ultimo.

Questa Corte osserva che dall’esame di tutte le dichiarazioni acquisite agli atti è inequivocabilmente emerso che il giocatore che ha pronunciato la frase ingiuriosa indossava la maglia n. 10 e che trattavasi del giocatore che aveva subito il fallo di gioco. Lo stesso sig. Daniel Barbi, nella dichiarazione resa in sede di audizione, ha confermato di aver “inveito contro il giocatore di colore del Rapolano” e di essersi recato negli spogliatoi dei calciatori del Rapolano “ per scusarmi subito e chiarirmi con i due ragazzi di colore del Rapolano Terme Nydiaye Papa Amadou Mar e Ba Mamadou”: di talché non sembrano residuare dubbi sulla possibile confusione del sig. Daniel Barbi con il gemello omozigoto in campo.

Non appaiono inoltre conducenti le doglianze dei reclamanti secondo cui nella decisione impugnata non sarebbero state prese in debita considerazione le dichiarazioni rese da altri soggetti presenti, quali il Direttore di gara, la persona offesa ed i sig.ri Cantelli e Beninati.

Innanzitutto, si osserva che – secondo il costante orientamento di questa Corte federale - il rapporto del Direttore di gara, pur facendo “piena prova” di quanto si attesta essere avvenuto, non può assurgere a prova legale anche del quod non, cosicché il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica di necessità che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale (CFA, Sez. I, n. 92/2021-2022; CFA, Sez. I, n. 76/2021-2022; CFA, Sez. I, n. 58/2020-2021; CFA, SS.UU., n. 51/2019-2020). Nel rapporto in esame, peraltro, si dà espressamente atto che “molti componenti della panchina della società ospitata entrano sul terreno di gioco dicendo che un loro giocatore è parte lesa di un’offesa razziale”.

Quanto alla dichiarazione resa dalla persona offesa, sig. Ndiaye Papa Amadou Mar, questo Collegio osserva che, se è vero, che lo stesso ha ammesso di non aver personalmente sentito la frase ingiuriosa “in quanto concentrato nella partita”, è altrettanto vero che lo stesso ha dichiarato che dopo la partita il calciatore Barbi si è recato nello spogliatoio per scusarsi “delle frasi discriminatorie proferite”, precisando che “lo stesso Barbi si è scusato davanti a me e a tutti i miei compagni per la frase discriminatoria pronunciata dicendo che aveva anche un compagno di squadra di colore”. Il sig. Ndiaye ha, quindi, espressamente riconosciuto di essere stato destinatario di affermazioni “discriminatorie”, riferendo, peraltro, che analoghe offese erano state già proferite dal sig. Barbi in una precedente partita di coppa.

Lo stesso sig. Tommaso Cantelli, compagno di squadra del Sig. Daniel Barbi, nel corso della sua audizione da parte della Procura Federale, ha confermato che: "successivamente al fallo mi ricordo che il mio compagno di squadra Barbi Daniel, molto dolorante per la botta ricevuta, ha proferito una frase ingiuriosa nei confronti di Ndiaye", specificando “per correttezza che non ho sentito le parole che il mio compagno ha detto a Ndiaye, in quanto non ero vicinissimo al luogo nel quale l’episodio è avvenuto, in quanto ero lontano perché io gioco a centrocampo davanti alla difesa”.

Il sig. Bennati ha invece dichiarato che “non essendo in campo, non ho potuto sentire ed assistere direttamente a quello che effettivamente sarebbe successo sul terreno di gioco”.

In conclusione, alla luce di tutti gli elementi appena evidenziati e fermo il principio per cui nei procedimenti di giustizia sportiva “ il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare si deve attestare ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio”, emerge, in una sintesi complessiva, un quadro probatorio assolutamente sufficiente per l’affermazione della responsabilità del sig. Daniel Barbi.

Ne discende che il reclamo deve essere respinto e, per l’effetto, va conseguentemente confermata la decisione impugnata.

P.Q.M

Respinge il reclamo in epigrafe.

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

L'ESTENSORE                                                                IL PRESIDENTE

Federica Varrone                                                             Mario Luigi Torsello

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

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