F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione I – 2024/2025 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0053/CFA pubblicata il 21 Novembre 2024 (motivazioni) – Pro Sambonifacese 1921 – Franchetto Massimo – Franchetto Tommaso/PFI

Decisione/0053/CFA-2024-2025

Registro procedimenti n. 0045/CFA/2024-2025

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

I SEZIONE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Fabrizio D'Alessandri - Componente

Manfredo Atzeni - Componente (Relatore)

ha pronunciato la seguente:

DECISIONE

Sul reclamo numero 0045/CFA/2024-2025 proposto in data 17.10.2024 dalla società Pro Sambonifacese 1921 e dai Sigg.ri Franchetto Massimo e Franchetto Tommaso

Contro

Procura federale interregionale per la riforma della decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Veneto n. 36 del 09/10/2024;

Visto il reclamo e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza del 13.11.2024, tenutasi in videoconferenza, il Pres. Manfredo Atzeni e uditi l’Avv. Mariano Della Valle per i reclamanti e l’Avv. Mario Taddeucci Sassolini per la Procura Federale Interregionale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

Con atto depositato il 27 agosto 2024, la Procura federale deferiva di fronte al Tribunale federale territoriale del Veneto i sigg. ri Massimo Franchetto, Tommaso Franchetto e la A.S.D. Prosambonifacese 1921 per le seguenti ragioni:

1. il sig. Massimo Franchetto, all’epoca dei fatti responsabile del settore giovanile tesserato per la A.S.D. Pro Sambonifacese 1921 per rispondere:

a) della violazione dell’art. 4, comma 1, e dell’art. 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso in data 7.4.2024, nel corso del secondo tempo della gara ASD Sovizzo Calcio - Pro Sambonifacese, valevole per il campionato Under 17 regionali, mentre si trovava in tribuna per assistere alla gara unitamente al proprio figlio minore sig. Franchetto Tommaso, schierato nelle fila della squadra della società ospitante con la maglia numero 4 ed espulso al primo minuto del primo tempo, proferito all’indirizzo del calciatore minorenne sig. F.N., all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D. Sovizzo Calcio che a sua volta assisteva alla gara dagli spalti, la seguente testuale espressione: “negro cosa vuoi”;

b) della violazione dell’art. 4, comma 1, e dell’art. 39, comma 3, del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, nel corso del secondo tempo della gara ASD Sovizzo Calcio - Pro Sambonifacese del 7.4.2024, valevole per il campionato Under 17 regionale, strattonato e spintonato il sig. Filippo Giacomo Sacchiero, all’epoca dei fatti presidente dotato di poteri di rappresentanza della società A.S.D. Sovizzo Calcio, il quale stava assistendo alla gara dagli spalti dell’impianto sportivo comunale di Sovizzo (VI) ed era intervenuto per difendere il calciatore minore sig. F.N., tesserato per la società dallo stesso rappresentata, a seguito delle espressioni rivolte allo stesso;

2. Il sig. Tommaso Franchetto, all’epoca dei fatti calciatore minore tesserato per la società A.S.D. Pro Sambonifacese 1921 per rispondere:

della violazione dell’art. 4, comma 1, e dell’art. 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso in data 7.4.2024, nel corso del secondo tempo della gara ASD Sovizzo Calcio - Pro Sambonifacese valevole per il campionato Under 17 regionale, schierato nelle fila della squadra ospite con la maglia numero 4, mentre si trovava in tribuna in quanto espulso al 1° minuto del primo tempo, proferito ripetutamente all’indirizzo del calciatore minore sig. F.N., all’epoca dei fatti tesserato per la società A.S.D. Sovizzo Calcio, il quale a sua volta stava assistendo alla gara dagli spalti, la seguente testuale espressione: “negro”;

3. la società A.S.D. Pro Sambonifacese 1921 a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, del Codice di giustizia sportiva per gli atti ed i comportamenti posti in essere dai sig.ri Massimo Franchetto e Tommaso Franchetto, così come descritti nei precedenti capi di incolpazione.

Con la decisione in epigrafe il Tribunale territoriale del Veneto, in accoglimento delle conclusioni rassegnate dalla Procura federale, irrogava ai tesserati di cui sopra le seguenti sanzioni: sig. Massimo Franchetto: inibizione per mesi 8; sig. Tommaso Franchetto: squalifica per n. 10 giornate effettive; società A.S.D. Pro Sambonifacese 1921; ammenda di Euro 1000,00.

Avverso la predetta decisione propongono reclamo di fronte a questa Corte federale d’appello i sigg.ri Massimo Franchetto, Tommaso Franchetto e la A.S.D. Sambonifacese 1921, contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma, con il totale annullamento delle sanzioni inflitte; chiedono inoltre la sospensione dell’efficacia della decisione, per il caso in cui questa Corte decidesse di esperire il supplemento di istruttoria, richiesto dagli stessi reclamanti in subordine all’accoglimento del reclamo.

La controversia è stata discussa e assunta in decisione all’udienza del 13 novembre 2024.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il reclamo non può essere condiviso.

1. I reclamanti lamentano, in primo luogo – in modo generico ed invero non perspicuo - l’irregolare svolgimento del procedimento in prime cure, che avrebbe loro impedito di proporre il patteggiamento.

Occorre osservare, a tale riguardo, che dalla stessa loro ricostruzione dei fatti, risulta che vi sia stato un contatto con la Procura federale, che ha rifiutato l’ipotesi del patteggiamento per la gravità dei fatti addebitati.

In merito, si deve ribadire che la scelta di consentire al patteggiamento costituisce frutto di una valutazione rimessa all’esclusivo apprezzamento discrezionale della Procura federale, apprezzamento che non è possibile sindacare in sede giustiziale (CFA. SS.UU., n. 34/2024-2025).

2. I reclamanti lamentano l’irritualità della comunicazione della decisione, giungendo a ipotizzare la sua nullità in ragione della incerta attribuibilità a specifici soggetti.

La censura, peraltro formulata in forma meramente ottativa (“ avremmo preferito venire a conoscenza della decisione”), non può essere accolta in quanto la decisione è stata redatta e pubblicata secondo i modi tipici della giustizia sportiva di questa Federazione, senza che gli stessi – la cui semplicità è dovuta all’esigenze di rendere note le decisioni in tempi compatibili con il regolare svolgimento dei campionati – abbiano mai dato luogo a censure quali quelle in esame.

3. I reclamanti sembrano lamentarsi, altresì, della carenza e insufficienza della motivazione della decisione di primo grado, che reputano “inidonea per giustificare il riconoscimento di responsabilità qui contestato.”

Anche tale motivo è infondato.

Secondo gli orientamenti di questa Corte federale d’appello (CFA, Sez. I, n. 17/2023-2024) la valutazione della sufficienza della motivazione va fatta caso per caso e non in astratto e l’anomalia motivazionale si configura non solo quando essa manchi del tutto dal punto di vista grafico ma anche quando, pur essendo formalmente presente, si collochi al di sotto del minimo costituzionalmente imposto dal rispetto dell’art. 111, sesto comma, Cost., e abbia carattere di motivazione apparente per essere connotata dal contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o dall’avere carattere meramente assertivo, tautologico, apodittico. Il punto, dunque, non è quantitativo, ma qualitativo. Una motivazione può essere sintetica, ma idonea; e, all’inverso, meramente apparente allorché, al di là della veste formale, non consenta di comprendere le ragioni della decisione e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, non assolvendo così alla finalità sua propria che è quella di consentire alle parti, al giudice dell’eventuale grado successivo e a tutti i consociati la comprensione dell’esercizio del potere giustiziale.

Orbene, la decisione di primo grado ha compiutamente – ancorché sinteticamente - esposto la ratio decidendi e l’iter logico seguito per pervenire al giudizio di colpevolezza.

4. Sotto altro profilo, i reclamanti lamentano che “l’arbitro annota nel referto che, a gioco fermo, alcuni tifosi erano in animata discussione. Non ha notato violenze né la presenza di Franchetto Tommaso: solo una discussione animata. L’arbitro è a qualche metro, non di più! Noi riteniamo il referto e la deposizione dell’arbitro particolarmente privilegiati e decisivi….”.

Anche in questo caso occorre ribadire la costante giurisprudenza di questa Corte federale d’appello secondo cui  il referto, pur facendo “piena prova” di quanto si attesta essere avvenuto, non può assurgere a prova legale anche del quod non, cosicché il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica di necessità che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale (CFA, Sez. I, n. 11/2024-2025; CFA, Sez. I, n. 92/20212022; CFA, Sez. I, n. 76/2021-2022; CFA, Sez. I, n. 58/2020-2021; CFA, SS.UU., n. 51/2019-2020).

5. Nel merito, il signor Tommaso Franchetto è stato sanzionato in quanto, mentre assisteva, fuori dal campo, a una gara che aveva dovuto abbandonare perché espulso, avrebbe avuto un alterco con un tesserato dell’altra squadra, che avrebbe apostrofato con la parola “negro”.

Al riguardo, occorre premettere – come recentemente confermato da questa Corte federale (CFA, SS.UU. n. 49/2024-2025) – che, fermi l’ossequio alle garanzie di tutela degli incolpati e il rispetto delle fisionomie del “giusto processo”, enunciate all’art. 44 del CGS, la giurisprudenza sportiva non si appoggia ai criteri di imputazione propri della giurisprudenza penalistica e ai principi del processo penale, quali la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, la probabilità di grande verificabilità, tale da resistere a qualsiasi dubbio ragionevole. Per ritenere sussistente la violazione, è richiesto un grado di prova superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. Tale principio, che costituisce espressione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, riaffermata in modo ancor più deciso con la l. 280 del 2003, implica che, per analoghe fattispecie concrete, la giustizia sportiva si accontenti di un grado di certezza inferiore rispetto a quanto richiesto dalla giustizia ordinaria per pervenire all’accertamento della responsabilità penale, per sua natura insofferente a clausole indeterminate. Ciò costituisce il precipitato dei modelli di condotta che l’ordinamento sportivo pretende siano praticati e osservati dai suoi tesserati e che devono ispirarsi ai principi della lealtà, della correttezza e della probità, da cui discende l’obbligo fondamentale di esimersi da ogni forma di illecito sportivo, concretando questo la negazione stessa dei caratteri ontologici della pratica sportiva, cui sono immanenti la rettitudine della competizione e la genuinità del risultato sportivo. In questa prospettiva, l’ordinamento federale appresta un sistema di regole funzionali e proporzionate alla salvaguardia del bene giuridico oggetto di tutela, che è costituito dal leale e regolare svolgimento delle gare e delle competizioni sportive; al contempo gli orientamenti della giustizia sportiva federale si muovono entro le direttrici delle fattispecie normative per garantire la concreta attuazione del nucleo di valori in esse compendiato.

Orbene, venendo alla fattispecie in esame, deve essere sottolineato come la testimonianza del giovane che ha subito l’offesa non è contestata direttamente e d’altronde la stessa appare assolutamente chiara e univoca.

I reclamanti mettono in dubbio che la parola “negro” sia stata accompagnata da ulteriori epiteti, ancora più offensivi.

La circostanza è irrilevante.

Invero, l’epiteto usato ha evidentemente e chiaramente ex se il significato di un insulto a sfondo razziale, tale quindi da non richiedere per il giudicante una qualche contestualizzazione dell’espressione, diversamente da quanto impropriamente richiesto dagli appellanti (cfr:” nemmeno una parola sulla natura discriminatoria ed offensiva del termine asseritamente usato”).

Inoltre, il suo eventuale rafforzamento con ulteriori espressioni avrebbe certamente reso più grave il fatto, ma tale disamina è stata esclusa dal Tribunale federale territoriale il quale ha – condivisibilmente – fondato la sua decisione sulla pronuncia dell’epiteto ingiurioso.

E’ evidente che l’utilizzo di tale epiteto si pone in evidente, palese contrasto con l’art. 28 del Codice di giustizia sportiva («Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori»), disposizione che persegue l’intento dell’ordinamento federale di contrastare e punire tutti i comportamenti discriminatori, di ogni genere e tipologia, volti a negare il diritto di ciascuno ad essere riconosciuto quale persona libera ed eguale, anche in attuazione del principio del mutuo rispetto, posto a base di ogni convivenza civile e democratica (CFA, SS.UU., n. 105/2020-2021).

Quanto riportato dalla persona offesa è rafforzato dalle testimonianze acquisite agli atti.

Queste ultime non coincidono perfettamente in ordine all’esatto contenuto dell’espressione offensiva, in particolare sulla circostanza se questa sia stata accompagnata da rafforzativi; ma, come già osservato, il fatto è irrilevante, per quanto appena esposto.

Le stesse presentano delle differenze in ordine al luogo in cui si sono svolti i fatti ma anche tale problematica è irrilevante atteso che si tratta di differenze di pochi metri, per cui è ben comprensibile che a distanza di alcuni mesi i ricordi possano presentare leggere imprecisioni.

Giustamente, quindi, il Tribunale territoriale ha escluso la necessità dell’assunzione di nuove prove essendo i fatti compiutamente accertati, secondo i principi che regolano l’acquisizione delle prove e la formazione del convincimento del giudice nel processo sportivo, ed essendo la ricostruzione proposta sostanzialmente non contestata, se non genericamente, nel suo nucleo essenziale, costituito dalla testimonianza della parte lesa.

Il signor Massimo Franchetto è stato sanzionato per essere intervenuto non per sedare gli animi ma per dar man forte alla condotta deprecabile del figlio.

Al riguardo, occorre osservare che il reclamante nemmeno afferma di avere tentato di intervenire per sedare l’alterco fra il figlio e l’altro tesserato.

Egli nega invece qualsiasi suo comportamento violento.

In realtà, l’affermazione dell’incolpato non consente di comprendere perché, nella sua ricostruzione, si sarebbe avvicinato al luogo dell’alterco, mantenendo un atteggiamento che ha indotto altri presenti ad allontanarlo.

Rimane certamente confermato che egli non si è per niente adoperato per indurre il figlio a mutare atteggiamento, e la sua contestazione della ricostruzione dei fatti, operata dalla Procura, appare palesemente inverosimile.

Appare quindi accertato che egli abbia palesemente violato gli obblighi conseguenti alla sua carica di responsabile del settore giovanile tesserato per la A.S.D. Pro Sambonifacese 1921.

All’accertata responsabilità dei tesserati segue le responsabilità della Società di appartenenza, a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, del Codice di giustizia sportiva.

6. Il reclamo deve, in conclusione, essere respinto in ragione della sua infondatezza. P.Q.M.

Respinge il reclamo in epigrafe.

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

L'ESTENSORE                                                                IL PRESIDENTE

Manfredo Atzeni                                                              Mario Luigi Torsello

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

 

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