CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 10/2024 – Procura Generale dello Sport presso il CONI / OMISSIS

 

Decisione n. 10

Anno 2024


 

  

IL COLLEGIO DI GARANZIA SEZIONI UNITE

 

 

composto da

Gabriella Palmieri - Presidente

Vito Branca - Relatore

Attilio Zimatore

Massimo Zaccheo

Dante D’Alessio - Componenti

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

 

 

Nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 84/2023, presentato, in data 17 ottobre 2023, dalla Procura Generale dello Sport presso il CONI, in persona del Procuratore Generale dello Sport, Pref. Ugo Taucer, e del Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Marco Ieradi,

nei confronti

 

del sig. [omissis], rappresentato e difeso dall’avv. Flavia Tortorella,

avverso

 

 

la decisione n. 0039/CFA 2023/2024 della Corte Federale di Appello della Federazione Italiana Giuoco Calcio del 15 settembre 2023, R.G. 0026/CFA/2023-2024, notificata via PEC in data 21


settembre 2023, con la quale, nell'ambito del procedimento disciplinare iscritto dalla Procura Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio al n. 369 pf 22-23 – FIGC/2022/0880 nei confronti del suddetto sig. [omissis], è stato respinto il reclamo proposto dal Procuratore Nazionale dello Sport applicato, con funzione di Procuratore Federale, avverso la decisione del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - n. 0040/TFNSD dell’11 agosto 2023, con cui il suddetto Giudice di prime cure ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.

Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;

uditi, nell’udienza del 19 gennaio 2024, il Procuratore Generale dello Sport, pref. Ugo Taucer, e il Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Marco Ieradi, per la ricorrente Procura Generale dello Sport presso il CONI, nonché l’avv. Flavia Tortorella, per il resistente, sig. [omissis];

udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, avv. prof. Vito Branca.

 Ritenuto in fatto

1.

Con ricorso del 17 ottobre 2023, la Procura Generale dello Sport ha adito il Collegio di Garanzia, al fine di ottenere l’annullamento della decisione della Corte Federale di Appello della FIGC n. 0039/CFA 2023/2024 del 15 settembre 2023, comunicata in data 21 settembre 2023, con la quale, nell’ambito del procedimento disciplinare iscritto dalla Procura Federale FIGC al n. 369 pf 22-23 – FIGC/2022/0880 nei confronti del calciatore [omissis], è stato respinto il reclamo proposto dal Procuratore Nazionale dello Sport (applicato con funzione di Procuratore Federale) avverso la decisione del Tribunale Federale Nazionale - Sezione Disciplinare - n. 0040/TFNSD dell’11 agosto 2023, con cui detto Giudice di prime cure ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.

La vicenda per cui è causa trova origine nella segnalazione della Procura Generale dello Sport alla Procura Federale della FIGC in ordine alla portata disciplinare dei fatti riguardanti il calciatore [omissis], - all’epoca dei fatti tesserato presso la società [omissis],– condannato, in sede ordinaria, il 6 dicembre 2022, alla pena di anni sei di reclusione per il reato di violenza sessuale di gruppo, consumato ai danni di una giovane donna, e di lesioni personali.

In data 7 dicembre 2022, la Procura Federale ha, infatti, avviato la relativa indagine, poi confluita, con nota del 2 febbraio 2023, in un (primo) intendimento di archiviazione, in ragione della mancata trasmissione degli atti del citato processo penale da parte dell’AGO. Tuttavia, la Procura Generale dello Sport, attesa la «gravità dei fatti di cui parrebbe essersi reso protagonista il tesserato [omissis]», ritenuti non estranei al «perimetro di competenza della giustizia sportiva», ha sollecitato la Procura Federale a reiterare la richiesta di atti ostensibili al competente Ufficio Giudiziario, già formulata con esito negativo, e, in caso di conferma dei fatti, ad esercitare l’azione disciplinare.

In pari data, la Procura Federale ha richiesto la proroga del termine per la conclusione delle indagini, che la Procura Generale ha accordato contestualmente nell’ordine di giorni quaranta.

Nuovamente compulsato, il Tribunale penale di [omissis], competente per territorio, ha trasmesso copia della sentenza di condanna datata 6 dicembre 2022.

Con successiva nota del 24 marzo 2023, la Procura Federale ha disposto la chiusura delle indagini, dandone avviso al calciatore interessato; con successiva nota dell’8 maggio 2023, la medesima Procura Federale, letta la memoria difensiva depositata dal difensore del soggetto avvisato, ha nuovamente comunicato alla Procura Generale l’intenzione di disporre l’archiviazione del procedimento «non ravvisandosi, in ragione della ricorrenza di un difetto assoluto di potestà giurisdizionale in capo agli organi della giustizia sportiva, elementi che possano continuare a legittimare l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dello stesso con adozione di un formale atto di deferimento».

Con nota del 18 maggio 2023, la Procura Generale dello Sport ha comunicato di non condividere l’intendimento dell’archiviazione, «vista l’estrema gravità del fatto», ed ha invitato la Procura Federale a procedere ai conseguenti adempimenti di competenza.

Il 22 maggio 2023, la Procura Federale ha, tuttavia, comunicato alla Procura Generale di non poter procedere al deferimento, ritenendo scaduto il termine perentorio per l’esercizio dell’azione disciplinare, con conseguente (possibile) dichiarazione di improcedibilità per tardività.

Con provvedimento del 5 giugno 2023, la Procura Generale - ai sensi dell’art. 12 quater, comma 4, dello Statuto del CONI e dell’art. 51, comma 6, del Codice di Giustizia Sportiva del CONI - ha disposto l’avocazione del procedimento ed applicato, a tal fine, il Procuratore Nazionale designato. Con nota n. 902 del 7 giugno 2023, il Procuratore Nazionale (applicato) ha deferito al competente Tribunale Federale il calciatore per rispondere «della violazione dell’art. 4, comma 1, del C.G.S., ovvero del dovere fatto a tutte le persone e gli organismi soggetti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale in ogni rapporto di natura agonistica, economica e/o sociale, in combinato disposto, giusto il coordinamento tra il Codice di Giustizia Sportiva FIGC e le norme CONI previsto dall’art. 3 co. 1 del CGS, con gli artt. 2 e 5 co.1 del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che impongono a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo, oltre al rispetto del principio di lealtà, di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti, per avere lo stesso la sera/notte tra il 30 e il 31 maggio 2021, in concorso con altri soggetti ma ciascuno di essi con un proprio autonomo apporto causale, dopo aver fissato un appuntamento e aver ottenuto la presenza di una giovane donna (S.C.) presso una abitazione sita in [omissis], abusato sessualmente di costei inducendola con violenza a compiere e/o subire atti sessuali, nonché, nell’occasione colpito - altresì - la stessa con forza in più parti del corpo, scattando foto e riprendendola durante gli abusi esercitati».

2.

Il Tribunale Federale Nazionale FIGC, Sezione Disciplinare, con decisione n. 40/2023-2024, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, in tal modo argomentando: «[…] L’art. 1, nel disegnare l’ambito di applicazione oggettivo del Codice, testualmente prevede che “Il presente Codice di giustizia sportiva […] disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e regola l’ordinamento processuale sportivo nonché lo svolgimento dei procedimenti innanzi agli organi del sistema della giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC)” . Nella stessa ottica, l’art. 4, la cui violazione è stata contestata nel deferimento per cui è causa, prevede sì l’ampia e generale clausola dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità”, ma lo fa con specifico e testuale riferimento a “ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”. I disposti, che legano la rilevanza a quanto sia comunque riferibile all’attività sportiva, appaiono in linea con le norme esofederali di riferimento, pure evocate dalla Procura Generale. Emblematico è il dettato del Codice di Comportamento Sportivo CONI, che, nel disciplinare il principio di lealtà, lo lega indissolubilmente all’ambito sportivo (“I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all'attività sportiva”). Come si evince dal sistema, considerato nel suo complesso, l’ordinamento sportivo cede il passo a quello statale allorché la vicenda controversa non sia, per il primo, ragionevolmente rilevante; la rilevanza risolvendosi nell’esistenza di una liaison con il sistema domestico, che deve essere riflessa in una norma ad hoc compatibile con il quadro esofederale di riferimento. In senso analogo si è espressa la giurisprudenza con riferimento a controversie similari. Emblematica appare la decisione n. 66 del 2020, con la quale il Collegio di Garanzia del CONI […] ha coerentemente riconosciuto la necessità che il fatto oggetto dell’addebito disciplinare sia sempre riferito a tale contesto “prettamente sportivo” […]. Dal chiaro tenore della giurisprudenza del Collegio di Garanzia non si sono discostate le decisioni del Tribunale Federale (Tribunale Federale Nazione, Sezione Disciplinare, C.U. n. 76/TFNSD/2022-2023, del 27 marzo 2023) e della Corte Federale di Appello (Corte Federale di Appello, C.U. n. 98/CFA/2022-2023, del giorno 8 maggio 2023), che, nel custodire l’autonomia dell’ordinamento sportivo, non hanno disconosciuto il fisiologico limite che a tale autonomia si ricollega: la riferibilità al contesto domestico – per come veicolata da specifiche norme federali – del contegno oggetto dell’addebito. I fatti oggi contestati trovano descrizione nella sentenza penale, ove è stata contestata l’induzione di una giovane donna – estranea all’ordinamento sportivo – a compiere e/o subire rapporti sessuali presso un’abitazione. Emerge, dunque, la commissione dei fatti nottetempo, in un immobile privato, ai danni di un soggetto terzo rispetto al plesso sportivo e al di fuori di manifestazioni o eventi sportivi di sorta. Ferma l’oggettiva e assai rilevante gravità delle condotte, per come prospettate nell’atto di deferimento, l’irrogazione di sanzioni che a tale gravità si correlino presuppone pur sempre la riferibilità o riconducibilità dei singoli contegni a un’attività propriamente sportiva; cosa che non sussiste nel caso che ne occupa, invero sussumibile nell’alveo della sfera privata dell’odierno deferito. Difetta quel nesso con l’ordinamento domestico, riflesso in una norma ad hoc, che radica la giurisdizione di questo Tribunale, per rivestire i fatti controversi rilevanza per il solo ordinamento statale. Né a dissimili conclusioni conduce il richiamo all’art. 16 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39 […]. Il disposto è senz’altro meritevole di attenzione siccome capace di conformare l’attività sportiva ai principi del fair play e di allineare l’ordinamento sportivo a quei canoni di prevenzione che sottendono lo schema di ‘compliance 231’ (decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231), il risk assessment connotante il settore della privacy e – non da ultimo – la novella sugli adeguati assetti di cui all’art. 2086, comma 2, del codice civile (su cui la Relazione 15 settembre 2022, n. 87 della Suprema Corte di Cassazione). Si tratta, nondimeno, di norma programmatica, entrata in vigore successivamente ai fatti contestati, che – fermo il riferimento, compiuto dal comma 5 dell’art. 16 cit., alle sentenze di condanna divenute res judicata – presuppone l’attuazione puntuale degli organi federali, cui spetta implementare un sistema di compliance che adeguatamente prevenga fatti lesivi della libertà personale degli stessi terzi che vengano in contatto con i tesserati. Il tenore della disposizione, pur rilevante in chiave sistematica, conferma il difetto di norme immediatamente precettive (e non meramente programmatiche) che, all’esito di una valutazione – rimessa al legislatore federale – di ragionevole rilevanza dei contegni per l’ordinamento domestico, comminino sanzioni in relazione a condotte come quelle in contestazione. Deve essere, in definitiva, dichiarato il difetto di giurisdizione di questo Giudice. È assorbita ogni altra questione nel rito e nel merito».

3.

Pronunciandosi sul reclamo interposto dalla Procura Generale, con il quale è stata chiesta la riforma della decisione, con affermazione della responsabilità disciplinare del soggetto deferito e, per l’effetto, l’irrogazione della sanzione della squalifica per 5 anni con proposta di radiazione ovvero della diversa sanzione ritenuta di giustizia, le Sezioni Unite della Corte Federale di Appello della FIGC, con la decisione quivi impugnata, lo hanno rigettato. La CFA invero - superate le questioni preliminari (tra cui la addotta improcedibilità dell’azione disciplinare per violazione del termine perentorio ex artt. 125, comma 2, e 123, comma 1, CGS FIGC, non esaminato in ragione della complessiva infondatezza nel merito del gravame) - ha confermato la decisione del Tribunale Federale, motivando come segue.

«Viene all’esame la questione se sia assoggettabile a sanzione in ambito federale il tesserato che sia imputato di un reato grave e - sia lecito dirlo - odioso, a prima lettura non previsto e non punito dalle pertinenti disposizioni dell’ordinamento di settore. Il punto è già stato vagliato dalla decisione

n. 98/2022-2023, con la quale le Sezioni unite di questa Corte federale d’appello - in analoga vicenda - hanno respinto il reclamo proposto dalla Procura federale avverso la decisione di primo grado, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del Tribunale nazionale federale. Questa decisione, peraltro, si colloca in una linea di continuità con la giurisprudenza endo-federale che, anche in tempi non recentissimi, ha giudicato non sanzionabili condotte pur molto deprecabili, ma poste in essere in ambito strettamente privato senza alcun rapporto con l’attività sportiva (Corte di giustizia federale, Sez. I, 2014-2015, in CU n. 248 del 28 marzo 2014, n. 3). […] Resta comunque fermo che, se tale situazione può essere sintetizzata come difetto di giurisdizione (o di competenza) degli organi di giustizia sportiva, deve esser chiaro - nel solco della giurisprudenza della Corte di cassazione (per tutte: Cass. civ., SS.UU., 5 settembre 2022, n. 26038; Id., 16 gennaio 2015, n. 647) - che viene propriamente in gioco una questione di merito, in quanto il difetto di giustiziabilità della pretesa disciplinare dinanzi agli organi di giustizia sportiva dipende dalla concreta mancanza di una fattispecie disciplinare sanzionatrice e non rappresenta un ostacolo a possibili diverse scelte de iure condendo, nell’esercizio dell’autonomia propria dell’ordinamento sportivo. Nel caso di specie, il Tribunale federale nazionale ha reputato che i fatti contestati si sarebbero svolti in un contesto strettamente privato senza alcun rapporto con manifestazioni o eventi sportivi di sorta e in difetto di una norma ad hoc - impregiudicata la loro oggettiva gravità - non sarebbero sanzionabili in ambito federale. Nell’impugnare la decisione, il Procuratore nazionale dello sport […] ha svolto un unico, complesso motivo di doglianza, con il quale censura la decisione di primo grado alla luce del quadro di contesto e degli orientamenti giurisprudenziali maturati in tempi recenti, cioè di aspetti di sistema di cui il Tribunale federale nazionale non avrebbe erroneamente tenuto conto. In primo luogo, il Tribunale federale nazionale avrebbe omesso di considerare gli indirizzi assunti sia dal CONI, con la delibera approvata dalla Giunta il 16 dicembre 2021, sia dal legislatore nazionale, con l’art. 16 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39, e con l’art. 33, comma 7, del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36 […]». In tal senso, secondo la CFA, la disposizione invocata (art. 7.4 dei Principi informatori del CONI, come modificata dalla richiamata delibera della Giunta del CONI) «presuppone l’esistenza presso le singole Federazioni di quella norma sanzionatrice di fatti di condotta violenta, di cui invece qui si discute. Dunque non appare risolutiva».

In ordine all’art. 16 del D.lgs. n. 39/2021, la Corte ha osservato che: «- per i reati contemplati, il comma 5 si riferisce alle conseguenze disciplinari di condanne passate in giudicato, che non è dato riscontrare nel caso di specie; - l’aggiunta al decreto legislativo - ad opera del decreto legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n. 69 - dell’art. 17 bis, per effetto della quale le disposizioni del decreto legislativo medesimo si applicano a decorrere dal 31 agosto 2022, rende inapplicabile il d. lgs. n. 39/2021 ratione temporis; - all’art. 16 non è stata data ancora attuazione nell’ordinamento della FIGC. Del che ci si deve rammaricare, ma anche trarne le debite conclusioni rispetto al diritto vigente, nel senso che hoc iure utimur e che la mancata iniziativa del legislatore federale non può essere superata con una operazione interpretativa che sarebbe eccessivamente disinvolta».

Inoltre, la CFA ha ritenuto non «pertinente l’art. 33, comma 7, del d. lgs. n. 36/2021, a detta del quale: “7. Ai minori che praticano attività sportiva si applica quanto previsto dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39, recante attuazione della direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile”».

Con specifico riferimento alla eccezione fondata sulla giurisprudenza della Corte di Cassazione in ordine alle condotte extralavorative del dipendente (specie quando si tratti di fatti penalmente rilevanti) che possono giustificare provvedimenti estintivi del rapporto da parte del datore di lavoro (licenziamento, recesso), la cui gravità sia tale da far venir meno la relazione fiduciaria fra le parti e da non consentirne una prosecuzione, la Corte Federale ha ritenuto che tali aspetti non fossero

«coincidenti con quelli oggetto della presente controversia, nella quale il comportamento ascritto al deferito deve essere valutato in relazione non alla legittimità di un atto estintivo del rapporto, ad opera del datore di lavoro, ma alla possibilità di sanzionarlo disciplinarmente da parte dei competenti organi di giustizia». Secondo la Corte, per la medesima ragione, «non è rilevante l’art. 10 dell’Accordo collettivo 31 gennaio 2023/30 giugno 2024 tra la Lega nazionale professionisti Serie A e l’Associazione italiana calciatori, rubricato “Istruzioni tecniche, obblighi e regole di comportamento” […]. Appare così evidente che l’Accordo riguarda la disciplina del rapporto di lavoro e non è idoneo a porre in capo al singolo tesserato obblighi di comportamento nei confronti della FIGC».

Tali elementi, continua la decisione impugnata, non sono tali da «consentire o indurre queste Sezioni Unite a rimeditare l’orientamento espresso nella richiamata decisione n. 98/2022-2023. Si tratta, infatti, di riferimenti senz’altro espressivi di un intento, diffuso e del tutto condivisibile, di contrastare con la massima efficacia le molestie, la violenza di genere e le forme di discriminazione, ma di per sé non determinanti ai fini della risoluzione della presente controversia, in quanto non idonei ad ampliare il novero delle fattispecie disciplinarmente rilevanti sul piano della normativa endo-federale. Sebbene in tema di illecito sportivo disciplinare non viga il principio penalistico della tipicità e della tassatività, nel relativo giudizio viene pur sempre in gioco la possibilità di imputare a un soggetto una condotta a titolo di illecito. Il che non può essere consentito al di là del perimetro fissato dalle norme di settore, anche se valutate alla luce della massima tensione interpretativa. Come si è detto, la norma incriminatrice non è costituita dall’art. 4, comma 1, CGS, che riguarda fatti attinenti all’attività sportiva, sia pur ampiamente intesa, neppure se letto in combinato disposto con gli artt. 2 e 5, comma 1, del Codice di comportamento sportivo del CONI. Come ha già osservato la richiamata decisione n. 98/2022-2023, il meccanismo del “combinato disposto” è certamente impiegabile per desumere una prescrizione attraverso l’integrazione coordinata del contenuto di più norme, purché, tuttavia, il risultato ottenuto non contrasti con quanto le norme combinate contemplano singolarmente. Ora, l’art. 4, comma 1, CGS, testualmente limita il proprio ambito applicativo a ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, peraltro in modo conforme a quanto previsto dall’art. 2 del Codice di comportamento sportivo CONI dedicato al “Principio di lealtà” («I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva»). Di conseguenza, il preteso combinato disposto tra l’art. 4, comma 1, CGS, e l’art. 5 del Codice di comportamento sportivo CONI, volto a estendere il campo applicativo dell’art. 4, comma 1, oltre i rapporti comunque riferibili all’attività sportiva, determinerebbe non soltanto una chiara forzatura dell’ambito applicativo dello stesso art. 4, ma anche l’invocazione dell’art. 5 Codice di comportamento sportivo per superare un limite che è affermato dallo stesso Codice all’art. 2. Resta dunque confermato che, allo stato, l’ordinamento endo-federale non conosce una norma sanzionatrice di condotte pur assolutamente riprovevoli come quella ascritta al reclamato […]. Occorre al tempo stesso sollecitare fortemente il legislatore sia endo che eso-federale ad adottare con estrema urgenza, in relazione all’ambito proprio di attività, le iniziative necessarie a porre rimedio a quella che ormai appare una non più tollerabile aporia del sistema, che - a fronte di un’opinione pubblica allarmata per il reiterarsi di gravissimi episodi di violenza - mette a repentaglio le stesse onorabilità e autorevolezza degli organismi sportivi. Al riguardo, sarebbero senz’altro benvenuti, anche in vista di una regolamentazione uniforme della materia, interventi diretti ed espliciti degli organi sovranazionali del calcio. In questa prospettiva, sarà possibile contemplare anche la previsione di misure cautelari in attuazione, per quanto di rispettiva competenza, dell’art. 11 del Codice di comportamento sportivo CONI, ovvero di linee guida circa le clausole da inserire nei contratti degli atleti (cfr. decisione n. 98/2022-2023 […]».

4.

Ha proposto ricorso al Collegio di Garanzia la Procura Generale dello Sport.

Preliminarmente, la Procura si è soffermata sulla eccezione di improcedibilità dell’azione, per decorso del termine, proposta dalla difesa dell’incolpato nel quarto motivo della propria memoria. Secondo la ricorrente, ritenere, nel caso di avocazione, il decorso del termine di 30 gg. per il deferimento speculare a quello concesso alla Procura Federale, priverebbe di ogni significato il ruolo e le funzioni della Procura Generale. In tutte le ipotesi in cui la stessa Procura dovesse decidere di non condividere l’intendimento di archiviazione ai fini del deferimento, attesa anche la chiara ed inequivocabile formulazione del Codice di Giustizia Sportiva “ferme le attribuzioni di questa (Procura Generale)”, si deve ritenere operante una rimessione in termini della Procura medesima, che le consenta di svolgere regolarmente e nei tempi adeguati la propria funzione.

Con un unico, ed articolato, motivo di diritto la Procura Generale ha dedotto l’illegittimità della predetta decisione di appello per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

In particolare, ad avviso della Procura Generale, la CFA, pur avendo preso in esame la problematica scaturente dallo status di (lavoratore) professionista del tesserato incolpato, anche e soprattutto alla luce dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi negli ultimi anni ed espressamente richiamato, avrebbe tuttavia mancato di motivare esaurientemente al riguardo, sia sotto il profilo della rilevanza del forte disvalore sociale dei fatti contestati all’incolpato sia per la conseguente lesione dell’immagine del sistema sportivo del calcio nel suo complesso. Secondo la Procura, l’autonomia della Giustizia Sportiva ed i suoi diversi parametri valutativi (rispetto alla giustizia ordinaria) consentirebbero, nel caso di fatti di estrema rilevanza e gravità, di formare il proprio convincimento sulla base degli elementi fattuali acquisiti nel corso della fase di indagine, anche indipendentemente dalla presenza di una sentenza civile e/o penale passata in giudicato. Ha concluso, pertanto, affinché il Collegio, «In caso di decisione nel merito, Voglia riconoscere ed affermare la propria piena giurisdizione sui fatti oggetto del procedimento e dichiarare la responsabilità disciplinare del sig. [omissis] per la violazione dell’art. 4 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva in combinato disposto con gli artt. 2 e 5 comma 1 del Codice di Comportamento Sportivo del CONI, con irrogazione al sig. [omissis] della sanzione della squalifica di anni 5 con proposta di radiazione ovvero di quella diversa sanzione che dovesse essere ritenuta conforme a giustizia da codesto Ecc. ma Collegio; - ovvero, Voglia disporre il rinvio alla Corte Federale di Appello, in diversa composizione, per un nuovo esame della fattispecie».

4.1.

Si è costituito in giudizio il calciatore [omissis].

Il resistente eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio della c.d. doppia conforme. Secondo la difesa, invero, si verserebbe in quelle ipotesi di doppia conforme di assoluzione non basata su questioni di rito (ipotesi in cui è ammesso il ricorso al Collegio di Garanzia, a mente delle decisioni n. 2/2018 e 16/2020 delle Sezioni Unite), bensì di merito, come espressamente statuito dalla CFA impugnata, che ha affermato che «tale situazione può essere sintetizzata come difetto di giurisdizione (o di competenza) degli organi di giustizia sportiva, deve esser chiaro - nel solco della giurisprudenza della Corte di cassazione ( per tutte: Cass. civ., SS.UU., 5 settembre 2022, n. 26038; Id., 16 gennaio 2015, n. 647) - che viene propriamente in gioco una questione di merito, in quanto il difetto di giustiziabilità della pretesa disciplinare dinanzi agli organi di giustizia sportiva dipende dalla concreta mancanza di una fattispecie disciplinare sanzionatrice e non rappresenta un ostacolo a possibili diverse scelte de iure condendo, nell’esercizio dell’autonomia propria dell’ordinamento sportivo».

Ancora, in via preliminare, eccepisce la inammissibilità del ricorso per violazione del principio di specificità dei motivi e per l’inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito dei fatti oggetto di controversia.

Nel merito, sostiene il calciatore resistente che non si scorgerebbe il lamentato vizio motivazionale, atteso che la CFA ha chiaramente spiegato che le norme e le clausole di contrattazione collettiva che regolano il rapporto di lavoro del calciatore professionista in alcun modo sono applicabili al ben diverso rapporto che lega il tesserato con la Federazione di appartenenza. Conseguentemente, i riferimenti giurisprudenziali di matrice giuslavoristica richiamati nell’atto di appello, in tesi avversa ingiustamente ritenuti irrilevanti dalla Corte di Appello, non potrebbero trovare alcuna applicazione nella fattispecie in quanto, come motivato dalla medesima Corte, «Si tratta però di precedenti che investono aspetti non coincidenti con quelli oggetto della presente controversia, nella quale il comportamento ascritto al deferito deve essere valutato in relazione non alla legittimità di un atto estintivo del rapporto, ad opera del datore di lavoro, ma alla possibilità di sanzionarlo disciplinarmente da parte dei competenti organi di giustizia».

Il resistente ribadisce, inoltre, la perenzione dell’azione disciplinare per decorrenza dei termini perentori (normativamente) previsti, sottolineando nuovamente che la Procura Generale avrebbe avanzato la propria opposizione alla seconda richiesta di archiviazione a termini scaduti. Non coglierebbe nel segno l’argomentazione sul punto della ricorrente in quanto, così ragionando, l’avocazione diverrebbe uno strumento attraverso cui poter esercitare in qualunque momento l’azione disciplinare a dispetto dei termini perentoriamente previsti.

Quanto all’infondatezza nel merito del deferimento, il resistente sottolinea nuovamente: i) la non riferibilità sportiva delle condotte ascritte al medesimo; ii) la inconferenza del richiamo all’art. 16 del D.lgs. n. 39/2021, comma 5, trattandosi di norma programmatica - che espressamente prevede la definitività dell’accertamento dei reati ivi contemplati - non solo di successiva emanazione rispetto ai fatti contestati, ma, altresì, che non introduce in alcun modo fattispecie disciplinari e che non è stata recepita ad oggi dagli organi federali; iii) l’impossibilità di procedere all’accertamento della responsabilità del calciatore sulla base della sola sentenza penale non irrevocabile.

Sotto tale ultimo profilo, a sostegno delle proprie argomentazioni, il resistente si spende in una lunga disamina dei vizi contenuti nella predetta sentenza penale di condanna e che hanno portato la proposizione di appello in sede ordinaria da parte del medesimo.

Con memoria ex art. 60, c. 4, CGS CONI, il resistente ha insistito nella richiesta di declaratoria di inammissibilità e/o infondatezza del ricorso, ovvero, in subordine, di rinvio alla Corte Federale D’Appello per un nuovo esame della fattispecie, nonché chiedendo, inoltre, «nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento totale o parziale del Ricorso», di «disporre la sospensione del procedimento disciplinare in attesa dell’esito definitivo del giudizio penale sul medesimo fatto contestato».

All’udienza del 19 gennaio 2024, dopo ampia discussione, le parti hanno ribadito le conclusioni rassegnate in atti.

Considerato in diritto

 

 

I.

Il Collegio ritiene di esaminare preliminarmente le domande proposte dalle parti volte, come Procura Generale, alla irrogazione in questa sede della sanzione «della squalifica di anni 5 con proposta di radiazione ovvero di quella diversa sanzione che dovesse essere ritenuta conforme a giustizia», e, come resistente, a «disporre la sospensione del procedimento disciplinare in attesa dell’esito definitivo del giudizio penale».

Entrambe non possono trovare accoglimento, l’una per la ben nota portata cognitiva del giudizio che si svolge dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, l’altra per l’altrettanto conosciuto rapporto tra il giudizio disciplinare sportivo e quello penale, ai sensi dell’art. 39, c. 7, CGS CONI (in argomento, tranciante, il Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, con decisione 8 marzo 2016, n. 11, secondo cui nell’ordinamento processuale sportivo non esiste una norma che imponga la sospensione del procedimento disciplinare fino alla definizione di quello penale avviato per il medesimo fatto).

Al medesimo esito conduce l’eccezione del resistente in ordine alla carenza di specificità dei motivi del ricorso della Procura Generale giacché il ricorso risulta adeguatamente articolato ed illustrato, non essendo ravvisabili ipotesi di carenza di specificità dei motivi, per come individuata dalla giurisprudenza di questo Collegio di Garanzia (cfr. Sezione II, decisione n. 38/2022, che richiama le decisioni nn. 34/2016; 19/2017; 26/2019; 38/2020; 41/2021; 71/2021; 19/2017; 30/2021; 38/2021 e 92/2021; nonché, Collegio di Garanzia, Sez. I, decisione n. 43/2022, per cui «L’art. 2, c. 6, rinvia al Codice di procedura civile, e, conseguentemente, anche il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport soggiace alle regole della c.d. necessità di autosufficienza e della specificità dei motivi, di cui all’art. 342 c.p.c., applicabile anche al ricorso per Cassazione (Cass., SS.UU., n. 18218/15). Per quanto attiene alla specificità dei motivi, questi devono individuare le parti della sentenza impugnata che si intende censurare, le norme violate e in quale modo, applicate correttamente, dette norme avrebbero dato luogo ad una diversa decisione»).

La ricorrente Procura, al di là della rubrica del motivo di diritto contenuta nel ricorso, ha contestato, in buona sostanza, con riferimento alla c.d. riferibilità sportiva delle condotte disciplinarmente rilevanti, l’erronea qualificazione di un fatto o di una condotta alla stregua di una determinata disciplina normativa. Tale vizio è pienamente deducibile come motivo di ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport ai sensi dell’art. 54, comma 1, CGS. Infatti, «nel momento in cui si afferma o si nega che una determinata condotta corrisponda o meno ad una certa, astratta fattispecie normativa, si richiede necessariamente una attività di interpretazione della legge con la conseguenza che ove si contesti tale interpretazione resa in un provvedimento impugnato, si prospetta un vizio di violazione di legge rientrante nella competenza del Collegio di Garanzia dello Sport ai sensi dell’art. 54, comma 1, CGS» (Collegio di Garanzia, Sez. IV, decisione n. 23/20218).

II.

Il punto centrale dell’odierna controversia si rinviene, come emergente dagli atti del giudizio, nei rapporti tra ordinamento sportivo e statale, nella possibilità o meno di accreditare nel contesto sportivo la fattispecie disciplinare oggetto dell’addebito mosso a carico del tesserato [omissis] e, dunque, nel verificare se i fatti a fondamento di tale addebito, pur non riferibili strictu sensu alla sfera sportiva del tesserato, possano essere conosciuti dalla giustizia sportiva in termini di illecito disciplinare, ovvero se ricorra, nella specie, un difetto assoluto di potestà giurisdizionale in capo agli organi della giustizia domestica. La questione è di non poco momento, atteso che si tratta, nella fattispecie, di valutare la sottoponibilità di un calciatore ad un procedimento disciplinare, e quindi ad una sanzione per fatti, accertati in sede penale pur se con sentenza non irrevocabile, di estrema gravità e antigiuridicità, sebbene commessi in un contesto non in prossimità con l’impegno agonistico del tesserato nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

Il caso oggetto di delibazione in questa sede non può prescindere da una rinnovata e compiuta analisi dei principi di lealtà, correttezza e probità che informano l’agire dei soggetti dell’ordinamento sportivo ed ai quali i medesimi sono tenuti alla constante osservanza.

Siffatti precetti hanno contenuto volutamente ampio e generale, mirando a garantire che ogni tesserato sia tenuto ad osservare una condotta «conforme ai princìpi della lealtà, della rettitudine e della correttezza anche morale in tutti i rapporti riguardanti l’attività federale e nell’ambito più generale dei rapporti sociali ed economici». Ed a questo proposito deve essere utilmente richiamata la giurisprudenza del Collegio in ordine alla applicazione dell’art. 4 del CGS della FIGC (le cui disposizioni erano contenute nell’art. 1, e successivamente nell’art. 1 bis CGS), secondo la quale «per integrare la violazione dell’art. 1 è sufficiente la lesione delle norme generali di comportamento relative ai principi di lealtà, correttezza e probità… L’art. 1 del CGS è infatti norma di chiusura volta a ricomprendere tutte le ipotesi, non analiticamente contemplate nel codice, nelle quali è ravvisabile una violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza che devono avere coloro che svolgono, con le loro diverse funzioni, un’attività sportiva» (Sezioni Unite, decisione n. 35 del 2015).

In argomento, inoltre, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione 18 ottobre 2016, n. 49, secondo cui «la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e probità, imposti dall’art. 1 bis C.G.S. – FIGC, non deve risolversi necessariamente nella violazione di altre prescrizioni, ma, proprio per l’elasticità dei parametri valutativi, ha il suo precipuo ambito applicativo là dove non si ravvisa qualche specifico inadempimento dei doveri previsti dall’ordinamento sportivo. Essa, dunque, configura una ipotesi residuale di responsabilità. L’assenza di collegamento di questa ipotesi di responsabilità disciplinare con qualche concreto pregiudizio esclude, inoltre, l’esigenza che, ai fini dell’esistenza della violazione, sia ravvisato un nesso di causalità tra il comportamento attribuito al deferito e specifici eventi dannosi». Ne discende, pertanto, che nell’ordinamento sportivo, accanto ad illeciti disciplinari tipizzati, vi sono fattispecie disciplinari di carattere generale, come quelle che si fanno rientrare nella violazione del principio di lealtà e correttezza o probità, quali canoni valutativi, assoluti ed imprescindibili del contegno dei tesserati, che non sono suscettibili di essere individuate e specificate ab origine, ma devono essere di volta in volta rielaborate alla stregua delle specifiche circostanze ed evidenze del caso concreto (cfr. Collegio di Garanzia, Sez. IV, decisione 13 ottobre 2017, n. 76).

Ebbene, la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e probità - nella vicenda sottoposta allo scrutinio del Collegio, il rispetto degli elementari doveri di probità è imposto dall’art. 4 del CGS della FIGC - deve esser parametrata alla c.d. riferibilità sportiva, tanto che il Codice della FICG, come ogni codice di giustizia federale, non può non condurre - nell’accezione più ampia e più coerente - ad «ogni rapporto riferibile all’attività sportiva», facendo eco al Codice di Comportamento Sportivo del CONI, ove si ritrova, all’art. 2, la seguente, inequivocabile, definizione del principio di lealtà: «I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono comportarsi secondo i principi di lealtà e correttezza in ogni funzione, prestazione o rapporto comunque riferibile all’attività sportiva».

Detta riferibilità è stata di recente interpretata dal Collegio di Garanzia (Sezione IV, decisione n. 60/2022) nel senso di ritenere che la stessa non implichi che l’oggetto di incolpazione in un procedimento disciplinare debba necessariamente consistere nella sola condotta attuata in campo, bensì sia sufficiente che l’attività sportiva faccia da contesto alla condotta ritenuta disciplinarmente rilevante.

II.I

È, quindi, al principio di riferibilità sportiva – come sopra delineato – che le odierne Sezioni Unite intendono adeguarsi mediante una lettura dei prefati canoni di comportamento che, lungi dal porre forzate interpretazioni delle norme della FIGC e del CONI, diano una effettiva rispondenza alla sentita necessità che i tesserati e gli affiliati cooperino «attivamente alla ordinata e civile convivenza sportiva» (art. 2, secondo cvp., del Codice di Comportamento) e che non si rendano responsabili, in ogni ambito, di condotte contrarie al principio di non violenza, previsto all’art. 5 del predetto Codice di Comportamento Sportivo.

La Sezione Consultiva di questo Collegio (parere 1° luglio 2016, n. 7) ha correttamente rilevato che il Codice, in premessa, sotto la rubrica «Principi Fondamentali», stabilisce che i principi cui atleti, affiliati, associati, amministratori devono ispirare la loro condotta sono quelli «inderogabili e obbligatori, di lealtà, correttezza e probità previsti e sanzionati dagli Statuti e dai regolamenti del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, ivi compresi quelli degli organismi rappresentativi delle società, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite». L’attuazione di detti principi fondamentali non può essere condizionata da un assetto normativo incompleto (e non attuale) ed è dovere del giudice di legittimità attribuire un contenuto coerente e preciso a questi doveri per la loro collocazione nella natura di clausole generali; e non v’è dubbio che obiettivo del Codice sia quello di delineare una serie di regole di condotta che devono ispirare «i tesserati alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate, agli Enti di promozione sportiva e alle Associazioni benemerite, in qualità di atleti, tecnici, dirigenti, ufficiali di gara, e gli altri soggetti dell'ordinamento sportivo, in eventuali altre qualifiche diverse da quelle predette, comprese quelle di socio cui è riferibile direttamente o indirettamente il controllo delle società sportive» (comma 2 della Premessa). La scelta strutturale compiuta dal legislatore, ovverossia quella di indicare, in incipit, i criteri di formazione giudiziale della regola da applicare, quale clausola generale, risulta decisiva giacché assolve alla funzione di rendere palesi gli obiettivi di policy che, sul punto, con siffatto Codice si è inteso perseguire e, al tempo stesso, mira a delineare la definizione di «manifesto» dell’ordinamento sportivo. L’obiettivo evidente è quello di garantire una più esplicita e palese valenza di quei principi di eguaglianza, non discriminazione, solidarietà che connotano l’essenza stessa dell’attività sportiva rendendo attuali, e attuabili, quelle clausole generali contenute nei codici di condotta che elencano i valori di riferimento dell’ordinamento e fissano le permeanti ed inderogabili linee guida dei comportamenti, imponendo che essi siano sempre conformi alla descritta fonte normativa primaria in linea gerarchica. Sarebbe riduttivo ed incomprensibile ritenere che, nel caso dell’ordinamento sportivo, siffatti obblighi abbiano un rilievo meramente (quanto inefficacemente) etico, laddove la peculiarità dell’ordinamento sportivo fa si, invece, che i principi etici debbono realizzarsi in altrettanti vincolanti principi giuridici del medesimo ordinamento sportivo.

Analogamente a quanto accade per l’ordinamento statale - dove il richiamo ai doveri inderogabili di lealtà, correttezza e integrità acquista una caratteristica connotazione giuridica, che affiora proprio dalla necessità di porre limiti a situazioni giuridiche soggettive, alla luce dei valori costituzionali che ispirano l’ordinamento - nel caso dell’ordinamento sportivo gli obblighi di lealtà, correttezza, non violenza e non discriminazione appaiono interpretare l’essenza stessa dell’ordinamento, al punto che la loro violazione si traduce nella negazione stessa dell’attività sportiva.

Né la difficoltà di offrire una definizione esaustiva dei doveri di lealtà, correttezza, probità impedisce di considerarne la rilevanza dal punto di vista giuridico e nessuna remora può negare all’odierno Collegio il compito di svolgere una compiuta esegesi della portata vincolante di detti doveri. Essi presentano all’opposto un contenuto la cui precettività e la cui contestualizzazione non sono messe in discussione dalla loro naturale radice storica ed il cogente richiamo a compiti, doveri, funzioni, lungi allora dall’apparire uno sterile ed enfatico esercizio letterario, assolve, piuttosto, il compito di imporre il permanente rispetto di valori che devono permeare il diritto inteso come “etica codificata” e valida sempre. Allorquando il legislatore richiama questi obblighi, lo fa per creare un concreto criterio di affidamento e per delineare, in ultima analisi, il contesto normativo entro il quale tutta la comunità si riconosce e deve operare.

Non può consentirsi, ad avviso delle odierne Sezioni Unite, l’esistenza di “zone franche” in cui, dismessi i panni dell’atleta, i richiamati canoni generali ed i principi di comportamento sportivo cessino di costituire obblighi e doveri assoluti e permanenti per un soggetto tesserato, peraltro anche come “professionista”.

L’inderogabilità che è propria delle clausole generali sottintende un complesso processo di concretizzazione che deve essere operato dall’interprete chiamato a verificare il rispetto dei doveri di lealtà, correttezza e buona fede e nel caso dell’ordinamento sportivo il tema (addirittura) si semplifica. Invero, la normativa di correttezza e probità - proprio in considerazione della peculiarità del sistema - non può che trovare collocazione nei principi di solidarietà e di affidamento reciproco, la cui violazione determina sanzioni giuridiche.

Il quadro normativo di riferimento è qui rappresentato non solo dal Codice di Comportamento CONI, ma anche, in maniera parimenti significativa, dai precisi richiami alla Carta Olimpica del CIO, fonte di ispirazione normativa di rango gerarchico superiore, contenuti nell’art. 1 dello Statuto del CONI, sia nel testo al 2 ottobre 2019 (Deliberazione del Consiglio Nazionale n. 1647) che nel testo al 21 novembre 2023 (Deliberazione del Consiglio Nazionale n. 1745).

Per connessione logica ed ontologica tra fonti e clausole generali, i principi contenuti nella Carta Olimpica del CIO (nella versione in vigore) affermano le coordinate cui deve ispirarsi la condotta fra consociati all’interno dell’universo sportivo, a mente del comma 1 dei "Fundamental Principles of Olympism": "Olympism is a philosophy of life, exalting and combining in a balanced whole the qualities of body, will and mind. Blending sport with culture and education, Olympism seeks to create a way of life based on the joy of effort, the educational value of good example, social responsibility and respect for internationally recognised human rights and universal fundamental ethical principles within the remit of the Olympic Movement”.

Il precetto della Carta Olimpica struttura, all’evidenza, un sistema in cui eguaglianza e non discriminazione, democraticità, partecipazione, sono strumento e affermazione di un più generale principio di solidarietà, né si deve ritenere che tali principi riguardino il mero campo relazionale più che quello del diritto in senso stretto, dovendosi interpretare la norma della Carta Olimpica in maniera da permetterne l’attuazione. Da un punto di vista oggettivo, allora, il richiamo ai doveri di correttezza, lealtà e probità - come vivificati dal contatto con i citati principi - assume il valore di manifestazione di una vera e propria tecnica di formazione giudiziale della regola, che opera non soltanto in funzione integrativa, ma anche valutativa della condotta tenuta. Ne consegue che il richiamo alla lealtà, alla correttezza ed alla probità deve considerarsi manifestazione della cogente esigenza per l’ordinamento (a maggior ragione quello sportivo) di prevenire e sottoporre a sanzione condotte che, pur espressione di posizioni, comunque, riconosciute dall’ordinamento, in realtà sono tenute per far valere pretese contrarie ai fini propri dell’ordinamento di riferimento (Collegio di Garanzia, cit.). I principi di cui si è detto, dunque, rappresentano modelli di comportamento in ragione del fatto che lealtà, correttezza e probità assumono il superiore valore di etica di condotta.

Senza dubbio, l’utilizzo delle clausole generali pone problemi interpretativi di non agevole soluzione ed espressioni come “buona fede”, “correttezza” e “lealtà” possono apparire, ad un esame superficiale, generiche e vaghe fino a rischiare di smarrire qualsiasi risvolto pratico, al punto da rendere difficile definirne i confini di applicazione. E, tuttavia, la intrinseca assorbenza di questi concetti rinvia alle regole morali e di costume generalmente accettate e, più in generale, ad un “affidamento” sulla correttezza della condotta che non può non rilevare anche in ambito sportivo, ove il rispetto degli obblighi di lealtà e correttezza - pur con quei limiti di definizione di cui si diceva - diventa più intenso, proprio in considerazione della peculiarità dell’ordinamento sportivo.

È, pertanto, utile, al fine di dipanare la questione controversa in questa sede, ribadire con forza (parere n. 5/2017 del Collegio di Garanzia) che l’attenzione a siffatti principi, lungi dall’esaurirsi nel formale rispetto delle regole del gioco, non solo investe il corretto esercizio di una posizione soggettiva, ma deve estendersi anche a condotte che si collocano al di fuori dell’attività sportiva strettamente intesa, ove siffatta condotta implichi - per il modo in cui la persona si è comportata o per il contesto nel quale ha agito - una compromissione degli ineludibili valori cui si ispira la pratica sportiva. Quella di lealtà/probità sportiva opera, in altri termini, quale vera e propria clausola generale, a prescindere dalle peculiarità delle singole pratiche sportive e dal concreto atteggiarsi delle regole tecniche in ciascuno sport operanti.

La probità sportiva si sostanzia, in tal modo, da un lato, in una regola di comportamento oggettivamente scrutinabile e, dall’altro, in un criterio di valutazione della legittimità del comportamento, e non a caso la giurisprudenza ordinaria ha espressamente affermato che la responsabilità nello sport si configura allorquando vengono superati i limiti della lealtà (Cass. pen., Sez. IV, 7 ottobre 2003). Ovviamente, la valutazione della condotta - come si diceva - non può che essere operata caso per caso, riconducendo a sistema i valori/principi cui si ispira l’ordinamento sportivo, nonché sottoponendo la condotta descrivibile “abusante” al relativo vaglio, che mai potrà essere definito o ritenuto “eccessivamente disinvolto” alla stregua della cogente esigenza di adeguare l’operato del giudice alla coscienza civile della nazione, come interpretata dalla massima carica dello Stato.

II.II

Nel caso che riguarda il tesserato [omissis] tali principi, dunque, si traducono nella necessità, per gli organi di giustizia sportiva, secondo le regole proprie del relativo giudizio, di conoscere i comportamenti allo stesso attribuiti e sanzionati, pur con una sentenza di condanna non irrevocabile, in sede penale, ribadendo il principio di autonomia del giudizio disciplinare sportivo che regola i rapporti tra processo sportivo e processo penale: “il giudizio disciplinare-sportivo è autonomo e indipendente dagli eventuali paralleli giudizi penale. Gli Organi della giustizia sportiva (salvo le tassative ipotesi codificate di rilevanza del giudizio penale o civile) hanno infatti autonomi ambiti di valutazione degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli provenienti dagli accertamenti o dai provvedimenti dell’Autorità giudiziaria ordinaria, che, nel giudizio sportivo, sono e restano liberamente valutabili come meri elementi probatori” (Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione n. 71 del 6 settembre 2019).

Con riferimento alla fattispecie portata all’esame dell’odierno Collegio, la condotta del [omissis], già valutata anche dalla Procura Federale come connotata da particolare e significativa gravità, ha determinato una compromissione di quei valori e doveri di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale cui si ispira l’ordinamento sportivo, codificati nel sopra citato art. 4 del CGS FIGC, e dei quali il giudice sportivo è sempre tenuto a verificarne il rispetto ad opera di tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento federale. Il tutto, non trascurando le conseguenze pregiudizievoli occorse all’immagine della FIGC a seguito del risalto mediatico suscitato dalla vicenda in esame, in uno con il richiamo al disposto di cui all’art. 5, comma 1, del Codice di Comportamento Sportivo del CONI, avuto riguardo, in particolare, a quel dovere di correttezza, rettitudine morale e rifiuto di adottare comportamenti violenti che integra e completa il grado di diligenza che le persone (e gli organismi) soggette all’osservanza delle norme federali e dei doveri previsti e sanzionati dal Codice di Comportamento Sportivo devono mantenere in ogni rapporto anche di natura sociale. La citata giurisprudenza ha, infatti, costantemente sancito il principio secondo cui il citato art. 4, comma 1, del C.G.S. rappresenta un canone generale di comportamento, in sé specifico e permanente, tale da costituire, in ipotesi di violazione, fattispecie disciplinarmente rilevante in via autonoma, configurabile in tutti quei casi nei quali soggetti appartenenti all’ordinamento federale pongano in essere comportamenti che, come nella fattispecie in esame, violino i principi di lealtà, probità e correttezza posti - si ripete - a fondamento dell’ordinamento sportivo (in tale senso, ex multis, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione n. 66/2020; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione n. 121/2021).

I doveri di lealtà, probità e correttezza non si esauriscono in una formula di stile e comportano qualcosa di più, ed anche di diverso, rispetto alle fattispecie penalistiche o comunque sanzionatorie poste a presidio dei reati di volta in volta considerati, e quindi la Corte Federale di Appello dovrà essere chiamata a valutare il rispetto della lex specialis costituente cardine dell’ordinamento sportivo, nonché a valutare, sulla scorta di tale disciplina speciale, se le modalità con le quali la persona deferita si è comportata, o per il contesto in cui ha agito, hanno determinato una violazione e comunque una compromissione dei valori cui si ispira l’ordinamento sportivo.

Diversamente opinando, invero, si giungerebbe al paradosso di considerare i valori dello sport impermeabili ed insensibili alle condotte antisociali compiute, e vagliate, nell’ordinamento statale, oltre che del tutto avulsi da un sistema che, invece, li ha elevati a proprio presidio.

Deve, al riguardo, rammentarsi che, con la recente Legge Costituzionale n. 1 del 26 settembre 2023, è stato modificato l’art. 33 della Costituzione con l’introduzione di un nuovo, ultimo comma, a mente del quale “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. In altri termini, con tale disposizione, lo sport assurge a primario valore educativo e sociale, costituzionalmente riconosciuto e garantito, dell’intero sistema della pratica sportiva fino a costituirne il riferimento fondativo.

Non può esistere, pertanto, una funzione educativa di carattere generale, ed ora anche di rango costituzionale, che sia limitata alla pratica agonistica e che non si estenda a tutte le implicazioni sociali dello sport, elevandosi in tal modo al rango di valore regolatorio generale del sistema sportivo quale elemento unitario e fondante della vita civile e sociale della nazione.

Ogni tesserato è, quindi, portatore del dovere di concorrere a realizzare, anche nell’ambito della propria sfera individuale, gli scopi e gli obiettivi propri dell’ordinamento di appartenenza e ciò equivale a dire che anche i più giovani tesserati (nella specie un calciatore) sono chiamati a fornire il proprio contributo al conseguimento dei fini propri di quella disciplina sportiva, ben condensati nella postulazione di una funzione sociale, educativa e culturale. Non è, infatti, concepibile che un ordinamento federale possa tollerare una (ormai) antistorica indifferenza rispetto a condotte atte a mettere in crisi o alterare tale sistema di valori e che la censurata indifferenza possa assumere la forma dell’inerzia o dell’insensibilità anche laddove le circostanze del caso affermino l’esigenza di non lasciar mancare un intervento diretto ad impedire, ovvero a sanzionare, gli effetti negativi dell’altrui condotta. Si è, in sostanza, in presenza di comportamenti certamente (sempre) esigibili secondo un parametro di cooperazione solidaristica all’affermazione dei valori generali recepiti da un ordinamento: «L’esigibilità va, d’altronde, concretamente commisurata alle specifiche circostanze, tra le quali indubbiamente spicca la prossimità rispetto all’evento illecito temuto o attuato, in quanto essa non solo rende più agevole ed immediato il tentativo di ostacolarne l’avveramento o la prosecuzione, ma si connota per le maggiori probabilità di successo - in ragione proprio della vicinanza all’autore - dell’intervento impeditivo o dissuasivo, che può assumere molteplici sembianze» (Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisone n. 65/2022). Ed ancora più esplicitamente, ove necessario, il Collegio di Garanzia, Sez. I, con la decisione n. 19 del 10 aprile 2018, ha ulteriormente definito il criterio della propria funzione di “supplenza”, affermando “In più occasioni il Collegio di Garanzia ha avuto modo di chiarire come la funzione assegnata dall’ordinamento sportivo a detto Organismo giustiziale sia quella di verificare la corretta applicazione delle norme, nonché di appurare eventuali lacune del sistema e correggerle per via interpretativa in una prospettiva di formante giurisprudenziale o, più correttamente, giustiziale. In tale perimetro è evidente che i criteri cui ispirarsi nella esternalizzazione della funzione suddescritta sono, da un lato, quelli propri dell’ordinamento sportivo e, dall’altro, in assenza di questi, quelli dell’ordinamento generale”.

Sul punto non può dimenticarsi il coerente monito dell’indimenticabile Presidente del Collegio di Garanzia, Prof. Franco Frattini, il quale, nella "Relazione del Presidente sull’attività del 2021", in Relazione Annuale sulla Giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport anno 2021, ebbe a mettere in assoluto risalto la "funzione nomofilattica assolta dal Collegio medesimo, quale organo di unificazione e di coordinamento dell’interpretazione ed applicazione delle norme sportive, e come tale preordinato a garantire l’omogenea evoluzione della giurisprudenza sportiva" (cfr. Relazione citata, pag. 9).

II.III

Il ricorso della Procura Generale merita, pertanto, accoglimento in parte qua, con rinvio alla Corte Federale, che dovrà, dunque, accertare e valutare i fatti, in sé, ascritti al tesserato [omissis], avendo quale parametro valutativo quanto espresso nella presente decisione ai punti II.I e II.II; ferma restando la necessità, da parte della CFA, di procedere allo scrutinio sopra declinato, nonché facendo applicazione del seguente principio di diritto:

«L’art. 4, comma 1, del CGS FIGC, in combinato disposto con gli artt. 3, co. 1, del CGS FIGC, 13 bis, co. 3, dello Statuto del CONI, 2, 5, co. 1, 12 e Allegato A del Codice di Comportamento Sportivo CONI, considerato che i principi ivi esposti (lungi dall’esaurirsi nel formale rispetto delle regole del gioco) investono non solo il corretto esercizio di una posizione soggettiva, estendendosi necessariamente anche a condotte che si collocano al di fuori dell’attività sportiva strettamente intesa, deve essere interpretato nel senso che, nel momento in cui la condotta implichi (per il modo in cui la persona si è comportata o per il contesto nel quale ha agito) una compromissione di quei valori cui si ispira la pratica sportiva, è fatto obbligo a tutti i soggetti, e agli organismi, sottoposti all’osservanza delle norme federali di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità, correttezza e rettitudine morale, in ogni rapporto non solo di natura agonistica, ma anche economico e/o sociale, nonché di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti».

III.

Fermo l’accoglimento del ricorso, le odierne Sezioni Unite ritengono di dover procedere, anche al fine di restringere il thema decidendum in fase rescissoria, allo scrutinio delle ulteriori eccezioni sollevate dalla parte resistente, con particolare riguardo alla eccepita inammissibilità del ricorso nei casi di c.d. doppia conforme, nonché agli argomenti spesi in ordine ai termini che regolano l’agire delle Procure Federale e Nazionale, nonostante tale ultima questione non sia stata oggetto di specifica impugnazione incidentale da parte del resistente.

Sulla prima questione è utile ricordare che le Sezioni Unite del Collegio - con la decisione n. 16/2020 (nei medesimi termini decisioni, Sez. IV, n. 76/2021 e Sez. Unite, n. 2/2018) - hanno reputato che non vi sia preclusione per il Collegio di Garanzia ad esaminare il ricorso nel caso di c.d. doppia conforme, nell’ipotesi in cui non vi sia stato uno scrutinio nel merito in sede di giustizia federale. La citata decisione n. 2/2018 ha, invero, affermato che: «Nel caso di specie, occorre considerare che la doppia assoluzione in sede endofederale è dipesa dall’accoglimento di motivi strettamente procedurali; con la conseguenza che lo scrutinio circa la sussistenza e la gravità dei fatti contestati non ha mai avuto luogo. Infatti, né il Tribunale Federale né la Corte d’Appello Federale sono entrati nel merito delle contestazioni disciplinari, arrestandosi alla declaratoria di inammissibilità dell’azione disciplinare».

Ritengono, al riguardo, le odierne Sezioni Unite decidenti che non vi sia stata una delibazione del merito del deferimento e dei fatti oggetto di incolpazione e che, dunque, l’eccepita inammissibilità del ricorso della Procura non possa predicarsi. Entrambe le pronunce endofederali, infatti, hanno affrontato la questione della “giurisdizione” (il TFN in primo grado ha infatti espressamente dichiarato il proprio “difetto di giurisdizione”), limitandosi all’esame della sola questione pregiudiziale (confermata in secondo grado), la cui cognizione a questo Collegio non è preclusa. Tra l’altro non può non rilevarsi che la più recente giurisprudenza del Collegio ha, in termini generali, affermato, con riferimento al filtro di cui all’art. 54 CGS CONI, che deve attribuirsi rilievo alla misura della sanzione edittale piuttosto che a quella concretamente irrogata (Sez. II, n. 3/2023, ove è stato ritenuto ammissibile il ricorso, pur in presenza dell’irrogazione, in entrambi i gradi di giudizio endofederali, di sanzioni inferiori alla soglia ex art. 54 CGS).

Ed ha anche affermato che è «il Collegio di Garanzia dello Sport l’organo deputato alla valutazione della gravità della questione che di volta in volta si presenta, in una prospettiva evidentemente sostanziale che prescinde da una interpretazione formale e letterale dell’art. 54 CGS. Siffatta valutazione del Collegio attiene, lo si sottolinea, non solo alla rilevanza/gravità della sanzione, ma anche agli effetti che la stessa comporta rispetto alla situazione sportiva sostanziale dedotta in giudizio. Le violazioni commesse rilevano, pertanto, in ogni rapporto riferibile alla attività sportiva, comportando l’applicazione di sanzioni che subiscono un primo giudizio in ordine alla gravità ed alla rilevanza, ai sensi dell’art. 54 CGS. Ne deriva, altresì, che le stesse, qualora siano in possesso del crisma richiesto, sono sussumibili nell’ambito del sindacato del Collegio di Garanzia dello Sport, con conseguente piena legittimazione a giudicare le questioni ad essa sottese» (Sezioni Unite, decisione n. 12/2023).

Quanto all’eccepito spirare del termine per l’azione in capo alla Procura Generale dello Sport, per completezza di trattazione si ritiene utile una ulteriore valutazione.

La versione del Codice FIGC attualmente in vigore reca una disciplina analoga a quella prevista dal CGS CONI, pur divisa su due disposizioni, e segnatamente:

  • art. 123, c. 1: «Il Procuratore Federale, entro venti giorni dalla scadenza del termine di durata delle indagini di cui all'art. 119, commi 4 e 5, se non deve formulare richiesta di archiviazione, notifica all'interessato avviso della conclusione delle indagini, assegnandogli un termine non superiore a quindici giorni per chiedere di essere sentito o per presentare una memoria»;
  • art. 125, c. 2: «L'atto di deferimento di cui al comma 1 deve intervenire entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all'art. 123, comma 1. In caso di pluralità di incolpati, il deferimento deve essere adottato entro trenta giorni decorrenti dall'ultimo termine assegnato».

Tali termini sono stati ritenuti perentori nell’ambito dell’ordinamento della FIGC, il cui Codice di Giustizia afferma espressamente siffatta natura: «Tutti i termini previsti dal Codice, salvo che non sia diversamente indicato dal Codice stesso, sono perentori» (art. 44).

La natura perentoria dei termini che governano l’agire delle Procure Federali è stata, con riferimento alla FIGC, sancita dalle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia (decisione n. 17/2022). Secondo la sopra richiamata decisione, la mancata qualificazione del termine da parte del legislatore potrebbe indurre a ravvisare un indice inequivoco della natura ordinatoria dello stesso. Tuttavia, la natura perentoria di un termine può invero essere desunta, nel silenzio della norma, dallo scopo che la previsione del termine medesimo intende perseguire: «non osta la mancata espressa previsione della sua perentorietà, poiché, sebbene l’art. 152 c.p.c. disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si può da tale norma dedurre che, ove manchi una esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz’altro escludersi la perentorietà del termine, dovendo pur sempre il giudice indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato a pena di decadenza e sia quindi perentorio» (Cass., 1 luglio 2008, n. 17978; Cass., 25 giugno 2007, n. 14692; Cass., 15 ottobre 2010, n.

21365; Cass., 15 marzo 2016, n. 5060; accoglie il principio anche Corte Cost., 1° aprile 2003, n. 107). Occorre, pertanto, avere necessario riguardo allo «scopo» del termine, al «carattere del termine» e agli «effetti che l’inutile decorso di esso produce secondo l’espressa sanzione normativa» (Cass., Sez. Un., 23 settembre 2014, n. 19980), non trascurando di rilevare che le differenze tra termini perentori e termini ordinatori non consistono nelle conseguenze che si producono dalla loro inosservanza, «bensì nel fatto che, nel primo caso, la decadenza è un effetto ope legis, che si produce, dunque, ipso iure alla scadenza del termine, senza possibilità di diversa soluzione, mentre, nel secondo caso, è un effetto ope iudicis, giacché spetta al giudice, una volta constatata d’ufficio la mancata osservanza del termine, pronunciare l’avvenuta decadenza» (Collegio di Garanzia, Sez. Quarta, decisione n. 23/2017).

Tanto considerato, la circostanza che la disposizione di cui all’art. 44, c. 4, primo e secondo capoverso, CGS CONI, non contenga una espressa qualificazione dei termini menzionati non è sufficiente, a giudizio delle Sezioni Unite dell’odierno Collegio, a escluderne tout court la perentorietà, la quale deve essere indagata sulla base di una analisi non solo letterale, ma anche, e soprattutto, funzionale della disposizione, che involge, sempre ad avviso del Collegio, sia i principi di celerità e speditezza del procedimento sia - e principalmente - le esigenze di tutela dell’incolpato.

La previsione di termini certi nello svolgimento del procedimento che conduce all’incolpazione ha non solo lo scopo di assicurare uno svolgimento rapido del procedimento, ma, innanzitutto, quello di garantire l’esercizio del diritto di difesa dell’interessato, evitando che questi resti assoggettato per un tempo indefinito alle indagini della Procura Federale.

Nella fase endoprocessuale è, pertanto, necessario che i tempi in cui si definiscono gli addebiti a carico degli indagati siano contenuti al fine di consentire una pronta definizione della posizione del soggetto interessato e nella direzione di assicurare la massima attuazione del diritto di difesa, che potrebbe essere compromesso ove l’azione disciplinare fosse avviata molto tempo dopo la commissione dell’infrazione (come rilevato con la decisione della Quarta Sezione del Collegio di Garanzia n. 23/2017 e già nella precedente pronuncia n. 17/2016: «se l’inizio dell’azione disciplinare fosse rimessa alla mera discrezionalità della Procura, i tesserati si vedrebbero contestare degli illeciti rispetto ai quali potrebbero aver perso ogni elemento di prova contraria, proprio a causa del lungo lasso di tempo intercorso dalla commissione della pretesa infrazione alla sua contestazione»). Per tali motivi, la durata delle indagini antecedenti al deferimento non può essere rimessa alla discrezionalità del Procuratore Federale, ma deve seguire un percorso temporale contenuto, certo e commisurato alle esigenze istruttorie secondo una valutazione astratta e di massima.

La previsione di termini definiti (20 giorni dalla chiusura delle indagini per inviare l’Avviso di conclusione indagini e 30 giorni dalla scadenza del termine a difesa concesso all’incolpando per formulare l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio) serve, ad avviso del Collegio, ad evitare che la durata del procedimento venga rimessa a criteri incerti (lo si rileva anche nella citata decisione n. 23/2017). Detto termine di giorni venti, da un lato, scongiura l’ipotesi di una ulteriore dilatazione dei tempi di svolgimento delle indagini; dall’altro, e principalmente, serve ad assicurare all’interessato una notizia tempestiva e certa della conclusione delle indagini a proprio carico, così consentendo un pronto ed informato esercizio del diritto di difesa.

Lo stesso deve dirsi per la previsione ex art. 47, comma 3, CGS CONI («La durata delle indagini non può superare il termine previsto da ciascuna Federazione e comunque non superiore a sessanta giorni dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante» salvo proroghe, pena la inutilizzabilità degli «atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine»).

La natura perentoria dei termini è confermata anche da quanto espressamente disposto all’art. 45 CGS CONI, a mente del quale «Il potere di sanzionare i fatti disciplinarmente rilevanti si estingue quando il Procuratore federale non lo eserciti entro i termini previsti dal presente Codice». Siffatta disposizione, per vocazione funzionale, non interessa soltanto le ipotesi contemplate nei commi successivi dello stesso articolo, ma, letto in chiave sistematica, informa anche l’art. 44, con l’effetto che, come nei casi elencati all’art. 45, comma 3, il decorso del termine comporta l’estinzione del procedimento disciplinare.

La citata giurisprudenza del Collegio non ha mancato, tuttavia, di evidenziare eventuali complessità che può presentare il caso concreto («uno spazio temporale eccessivamente vincolante entro cui svolgere le proprie attività potrebbe creare una serie di difficoltà in capo al Procuratore Federale nel mettere insieme sufficienti elementi probatori che giustifichino la chiusura delle indagini ed il conseguente atto di deferimento dell’incolpato, specie nei procedimenti dove il numero dei co-incolpati è consistente», Collegio di Garanzia, Sez. Un., decisione n. 25/2017).

Anche la decisione n. 13/2021 della Seconda Sezione dell’odierno Collegio ha, in coerenza, rilevato che il Legislatore ha previsto un sistema di proroghe - motivate (in casi eccezionali) e delle quali fruire quando la complessità del caso e le eventuali difficoltà nei rilievi probatori lo necessitino

  • che offre all’Ufficio del Procuratore gli strumenti necessari per rimediare a tali complessità; strumenti che, beninteso, operano in una fase precedente alla conclusione delle indagini: «Su istanza congruamente motivata del Procuratore Federale, la Procura Generale dello Sport autorizza la proroga di tale termine per la durata di quaranta giorni, eventualmente prescrivendo gli atti indispensabili da compiere. In casi eccezionali, può autorizzare una ulteriore proroga per una durata non superiore a venti giorni. Il termine prorogato decorre dalla comunicazione dell’autorizzazione» (art. 47, c. 3, CGS CONI).

In tale direzione deve essere letta anche la prescrizione imposta, secondo ragionevolezza, dagli artt. 12 ter, comma 4, Statuto CONI e 51, comma 7, del Codice della Giustizia Sportiva, secondo cui «L’avocazione non può essere disposta se non dopo che la Procura Generale dello Sport abbia invitato il Procuratore Federale ad adottare, entro un termine ragionevole, specifiche iniziative o concrete misure ovvero, in generale, gli atti in difetto dei quali l’affare può essere avocato. Nel caso di superamento della durata stabilita per le indagini preliminari, la Procura Generale dello Sport, con tale invito, può rimettere in termini il Procuratore federale per un tempo ragionevole e comunque non superiore a venti giorni, ove ritenga utilmente praticabili nuovi atti». A tale stregua, il ragionevole bilanciamento tra le ragioni di celerità del procedimento e quelle di ricostruzione della verità dei fatti, di accertamento delle responsabilità dell’indagato e, dunque, di giustizia sostanziale impone di ritenere che i termini ex artt. 44, comma 4, 45, comma 1, e 47, comma 3, CGS CONI siano perentori e che la loro mancata osservanza determini la decadenza dal potere di esercizio dell’azione disciplinare da parte della Procura Federale e, dunque, l’inefficacia degli atti compiuti.

In via generale, comunque, si osserva che le norme relative alla azione del Procuratore Federale di tutte le Federazioni prospettano la seguente cadenza temporale:

  1. apertura della fase delle indagini mediante iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante;
  2. chiusura delle indagini (entro 60 giorni dall’iscrizione, salvo le proroghe concesse dalla Procura Generale dello Sport di ulteriori 40 giorni più eventuali ulteriori 20 giorni);
  3. entro 20 giorni dalla chiusura delle indagini, invio al/ai deferito/i dell’Avviso di conclusione indagini (salvo richiesta di archiviazione alla Procura Generale dello Sport), ove si deve concedere un termine - non superiore ai 15 giorni nel caso della FIGC - all’incolpando per essere sentito o per presentare una memoria difensiva;
  4. entro 30 giorni dalla scadenza di quest’ultimo termine concesso all’incolpando, il Procuratore, qualora ritenga di dover confermare la propria intenzione di procedere all’esercizio dell’azione disciplinare, formula l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio. Con specifico riferimento, invece, alla fattispecie esposta nell’odierna vicenda processuale, ed alle ipotesi di avocazione delle indagini da parte della Procura Generale dello Sport, è d’uopo osservare quanto segue.

Il resistente [omissis] eccepisce che, a seguito della trasmissione della notizia di reato, avvenuta per mano della stessa PGS con nota del 9 dicembre 2022, la Procura Federale FIGC apriva le indagini a carico del tesserato, concluse con un primo intendimento di archiviazione datato 2 febbraio 2023.

Successivamente, e segnatamente in data 7 febbraio 2023, la PGS, non condividendo l’intendimento di cui sopra, invitava la Procura Federale FIGC a chiedere una prima proroga dei termini per le indagini preliminari, che veniva formalizzata e concessa in pari data.

Alla luce del rifiuto del Gip all’ostensione degli atti del procedimento penale e alla trasmissione della sola sentenza di condanna di primo grado, la Procura Federale FIGC provvedeva a reiterare il proprio intendimento di archiviazione (8 maggio 2023).

In data 18 maggio 2023, la PGS notificava alla Procura Federale la propria mancata condivisione della disponenda archiviazione, per poi determinarsi ad adottare il provvedimento di avocazione in data 5 giugno 2023 e spiccando il deferimento in data 7 luglio 2023.

Secondo il [omissis], tanto il provvedimento di opposizione all’archiviazione quanto quello di avocazione risulterebbero intrapresi successivamente alla scadenza del termine di cui all’art. 125, comma 2, CGS FIGC, a mente del quale: «2. L’atto di deferimento di cui al comma 1 deve pervenire entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all’art. 123, comma 1».

Osservano, tuttavia, le adite Sezioni Unite che, nel caso di avocazione delle indagini, lo Statuto del CONI (art. 12 quater, c. 4) e il Codice della Giustizia Sportiva del CONI (art. 51, c. 6) non prevedono una cadenza temporale specifica per il compimento degli atti di indagine avocata.

L’art. 52, c. 1, CGS CONI, dispone, infatti, che «in tutti i casi in cui è disposta l’avocazione, il Procuratore generale dello sport applica un procuratore nazionale dello sport alla Procura federale per la trattazione del procedimento della cui avocazione si tratta. L’applicazione, limitatamente al procedimento al quale si riferisce, determina il decorso di un nuovo termine per il compimento delle indagini preliminari, pari alla metà di quello ordinariamente previsto per le medesime indagini e, in ogni caso, legittima l’esercizio di poteri corrispondenti a quelli del Procuratore federale sostituito».

Alla luce della citata norma, che determina un nuovo termine per le indagini di 30 gg. (60÷2) e che legittima il Procuratore Nazionale all’esercizio di poteri corrispondenti a quelli del Procuratore Federale sostituito, deve ritenersi che il deferimento sia da reputare ben tempestivo. Infatti, considerata l’assenza di una norma positiva ordinamentale che disciplina la cadenza temporale per la Procura Generale in caso di avocazione, il deferimento risulta compiuto il 7 luglio 2023 e, quindi, prendendo quale parametro i termini previsti per la Procura Federale (30 giorni decorrenti dal termine a difesa assegnato all’incolpando a seguito di avviso di conclusione delle indagini), ben prima dei trenta giorni dall’avviso di conclusione medesimo (inviato il 16 giugno 2023) e, dunque, tempestivamente.

In buona sostanza, dal giorno della avocazione e contestuale applicazione (5 giugno 2023) la Procura Generale ha, dopo 11 giorni, inviato l’Atto di conclusione delle indagini (16 giugno 2023) e, nei successivi 21 giorni, spiccato il relativo, si ripete tempestivo, deferimento (7 luglio 2023).

In assenza di termini espressamente perentori, dunque, non può che ritenersi che la PGS disponga, quantomeno, dei medesimi termini della Procura Federale per operare il deferimento, decorrenti dall’avviso di conclusione delle indagini ed a ritroso dalla chiusura delle indagini stesse. Nella specie, inoltre, neppure potrebbe predicarsi una lesione del diritto di difesa dell’incolpato, non essendo emerse, in sede di ulteriori indagini, emergenze istruttorie addizionali rispetto a quelle già oggetto di contraddittorio tra l’incolpando e la Procura Federale antecedentemente all’avocazione.

Né potrebbe predicarsi la intempestività dell’agire della Procura Generale in una fase precedente a quella sin ora descritta, atteso che non sussiste una norma specifica che indichi un termine entro il quale emettere il provvedimento di opposizione all’archiviazione (il cui superamento è stato altrettanto eccepito dal resistente). All’uopo, il CGS CONI dispone (soltanto) che «Il Procuratore federale, concluse le indagini, se ritiene di non provvedere al deferimento ai sensi dell’art. 44, comunica entro dieci giorni il proprio intendimento di procedere all’archiviazione alla Procura Generale dello Sport. Ferme le attribuzioni di questa, dispone quindi l’archiviazione con determinazione succintamente motivata» (art 47, c. 4), e che, art. 51, «6. La Procura generale dello sport può disporre, per atto motivato sottoscritto dal Procuratore generale, l’avocazione nei casi previsti dall’art. 12 ter dello Statuto del Coni. La motivazione deve dare conto delle ragioni specifiche per le quali la proroga del termine per le indagini del procuratore federale non appare misura adeguata ovvero della concreta omissione che espone a pregiudizio la concludenza dell’azione disciplinare o, infine, delle circostanze la cui gravità e concordanza fanno escludere la ragionevolezza dell’intendimento di procedere all’archiviazione. 7. L’avocazione non può essere disposta se non dopo che la Procura generale dello Sport abbia invitato il Procuratore Federale ad adottare, entro un termine ragionevole, specifiche iniziative o concrete misure ovvero, in generale, gli atti in difetto dei quali l’affare può essere avocato. Nel caso di superamento della durata stabilita per le indagini preliminari, la Procura generale dello Sport, con tale invito, può rimettere in termini il Procuratore federale per un tempo ragionevole e comunque non superiore a venti giorni, ove ritenga utilmente praticabili nuovi atti».

La superiore eccezione, pur se trattata nel circoscritto ambito di una questione subordinata e comunque assorbita dalla soluzione del profilo principale del giudizio, non può trovare accoglimento e deve essere, pertanto, rigettata.

La complessità e la peculiarità delle questioni trattate, ut supra risolte, consentono di derogare al principio della soccombenza e di compensare le spese del presente giudizio.

PQM

Il Collegio di Garanzia dello Sport Sezioni Unite

 

Accoglie, in parte qua, il ricorso proposto dalla Procura Generale dello Sport presso il CONI avverso la decisione n. 0039/CFA/2023/2024 della Corte Federale di Appello FIGC e rinvia la causa alla medesima Corte Federale di Appello in diversa composizione affinché fondi la propria decisione uniformandosi al principio di diritto rassegnato in parte motiva.

Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.

Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 19 gennaio 2024.

Il Presidente                                                                                            Il Relatore

Depositato in Roma, in data 19 febbraio 2024. Il Segretario

DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2025 Dirittocalcistico.it