C.R. LAZIO – Corte Sportiva di Appello Territoriale – 2024/2025 – lazio.lnd.it – atto non ufficiale – CU N. 195 del 20/12/2024 – Delibera – RECLAMO PROPOSTO DALLA SOCIETÁ PALOCCO, AVVERSO IL PROVVEDIMENTO DI SQUALIFICA A CARICO DEL CALCIATORE PISILLI MATTIA PER 11 GARE, ADOTTATO DAL GIUDICE SPORTIVO DEL COMITATO REGIONALE LAZIO CON C.U. N.123 LND DEL 5/11/2024 (Gara: NUOVA PESCIA ROMANA 2004 – PALOCCO del 3/11/2024 – Campionato Promozione) Riferimento delibera pubblicata sul C.U. n. 153 del 22/11/2024

RECLAMO PROPOSTO DALLA SOCIETÁ PALOCCO, AVVERSO IL PROVVEDIMENTO DI SQUALIFICA A CARICO DEL CALCIATORE PISILLI MATTIA PER 11 GARE, ADOTTATO DAL GIUDICE SPORTIVO DEL COMITATO REGIONALE LAZIO CON C.U. N.123 LND DEL 5/11/2024 (Gara: NUOVA PESCIA ROMANA 2004 – PALOCCO del 3/11/2024 – Campionato Promozione)

Riferimento delibera pubblicata sul C.U. n. 153 del 22/11/2024

Con reclamo inoltrato ritualmente e nei termini la società Palocco ha impugnato la decisione in epigrafe con la quale era stata comminata la squalifica del calciatore Mattia Pisilli ad 11 giornate di gara. Il Giudice in motivazione aveva contestato al tesserato l’utilizzo di espressioni minacciose ed ingiuriose e discriminatorie per motivi di sesso. La reclamante deduce, a sostegno del gravame, che le espressioni ritenute discriminatorie per motivi di sesso non rientravano nel paradigma previsto dall’articolo 28 del CGS in quanto il calciatore, ovviamente, non era conoscenza delle inclinazioni sessuali dell’Arbitro e le espressioni usate dovevano essere considerate come oltraggiose ma non discriminatorie. A tal proposito la società fa presente che le espressioni discriminatorie per motivi di sesso debbono essere percepite come tali dal destinatario per le obiettive condizioni di genere ed essere inviate proprio con l’intento di discriminare il destinatario mettendolo in condizioni di soggezione e minorità a cagione del sesso o dell’orientamenti sessuali noti. Preliminarmente giova ricordare la disposizione dell’articolo 28 del CGS che testualmente recita: “costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporto offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori” La dizione della disposizione, ampia e circostanziata, è ben chiara nel richiedere alcuni elementi sia oggettivi che soggettivi che caratterizzano la violazione. Primo fra di essi è la natura oggettiva della locuzione che, nel caso che ci occupa, deve fare riferimento al sesso del destinatario e deve essere denigratoria proprio a motivazione del genere o dell’orientamento sessuale. Il secondo è la natura soggettiva dell’illecito che deve essere specificamente volta a denigrare e discriminare il destinatario dell’insulto per la propria condizione di genere o di orientamento sessuale. In primo luogo, da questa analisi ermeneutica, si ricava che, di norma, la discriminazione per motivi di sesso si materializza normalmente tra persone di sesso diverso e, secondo i costumi attuali, tra un uomo che discrimina ed una donna che viene discriminata. Nel caso di persone dello stesso sesso si può avere un comportamento discriminatorio per motivi di sesso quando l’orientamento sessuale della vittima, noto all’agente, diventi motivo di discriminazione e ciò accade quando, ad esempio, il destinatario dell’insulto abbia notoriamente un orientamento omosessuale. L’insulto omofobo è concretamente discriminatorio quando chi lo riceve, per il suo orientamento sessuale noto, lo senta come tale e ne rimanga colpito psicologicamente in modo più intenso rispetto a quello che usualmente percepito da una persona eterosessuale. In questo caso l’agente vuole specificamente discriminare la persona e colpirla proprio a cagione del suo orientamento sessuale; quindi, con un insulto specifico che faccia riferimento a tale inclinazione e per tale motivo con un disvalore ben più intenso rispetto a quello dell’insulto che non abbia tale specifica intenzione. Nel caso di specie il calciatore ha lanciato insulti omofobi nei confronti del direttore di gara di cui non erano note, ovviamente, le inclinazioni sessuali e quindi difetta l’elemento soggettivo sopra ricordato; ciò non di meno l’insulto, per la sua particolare natura, pur non rientrando nella fattispecie prevista dall’articolo 28 del CGS, non può essere sanzionato con la pena edittale minima, prevista dall’articolo 36 comma 1 lettera a) del CGS, ma deve essere applicata una squalifica più afflittiva, nei limiti di cui al dispositivo. Il ricorso, nei limiti sopra specificati, va quindi accolto e la sanzione va rideterminata in termini meno afflittivi. Tutto ciò premesso la Corte Sportiva di Appello Territoriale,

DELIBERA

Di accogliere il reclamo, riducendo la squalifica a carico del calciatore Pisilli Mattia a 6 gare. Il contributo va restituito.

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