F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione I – 2024/2025 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0082/CFA pubblicata il 22 Gennaio 2025 (motivazioni) – PFI/A.S.D. Barberino Tavarnelle-Sig. Niccolò Marini
Decisione/0082/CFA-2024-2025
Registro procedimenti n. 0077/CFA/2024-2025
LA CORTE FEDERALE D’APPELLO
I SEZIONE
composta dai Sigg.ri:
Mario Luigi Torsello – Presidente
Daniele Maffeis – Componente
Antonino Anastasi - Componente (Relatore)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul reclamo n. 0077/CFA/2024-2025 proposto dalla Procura Federale Interregionale in data 18.12.2024;
per la riforma della decisione del Tribunale federale regionale presso il C.R. Toscana, di cui al Com. Uff. n. 42 del 12.12.2024;
Visto il reclamo e i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza del 16.01.2025, tenutasi in videoconferenza, il Pres. Antonino Anastasi e uditi l’Avv. Mario Taddeucci Sassolini per la reclamante e l’Avv. Marco Checcucci per la società A.S.D. Barberino Tavarnelle e per il Sig. Niccolò Marini; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
RITENUTO IN FATTO
Con l’atto che ha dato avvio al presente contenzioso la Procura federale interregionale ha deferito avanti al Tribunale territoriale il sig. Niccolò Marini, all’epoca tesserato per la ASD Barberino Tavarnelle, incolpandolo della violazione degli artt. 4, comma 1, e dell’art. 28, comma 1, CGS nonché la società A.S.D. Barberino Tavarnelle per rispondere a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, CGS.
In fatto, secondo la Procura, il sig. Marini – al termine dell’incontro del 6/4/2024 tra USD Cerbaia e ASD Barberino Tavarnelle valido per il campionato provinciale juniores – ha apostrofato un calciatore della squadra avversaria con un insulto di stampo apertamente razzistico.
Il sig. Marini e la società si sono costituiti eccependo l’irregolare notifica dell’avviso di chiusura indagini che la Procura ha trasmesso a mezzo raccomandata AR anziché a mezzo PEC come prescritto dall’art. 53 CGS.
Con la decisione qui impugnata l’adito Tribunale ha accolto l’eccezione ed ha dichiarato improcedibile il deferimento.
La decisione è stata impugnata con l’atto di reclamo oggi in esame dalla Procura interregionale, la quale ne ha chiesto l’integrale riforma.
A sostegno dell’impugnazione la reclamante deduce – in sintesi - che la costituzione in giudizio della parte deferita sana ogni eventuale pregressa irregolarità delle relative comunicazioni.
Nel merito, la Procura ritiene accertata la responsabilità personale del calciatore del quale chiede la squalifica per dieci giornate e cioè la sanzione minima prevista dall’art. 28, comma 2, CGS a carico dei calciatori che si rendono colpevoli di comportamenti discriminatori.
La Procura richiede altresì di sanzionare con ammenda di euro 1000 la società per responsabilità oggettiva.
Si sono costituiti il sig. Marini e la ASD Barberino Tavarnelle, instando per il rigetto dell’avverso gravame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo di impugnazione la Procura contesta la decisione del Tribunale di dichiarare improcedibile l’atto di deferimento a causa della irregolare comunicazione del precedente avviso di chiusura indagini.
Sostiene la reclamante che la successiva costituzione in giudizio delle parti deferite abbia sanato ogni eventuale pregressa irregolarità del processo notificatorio.
Il mezzo è fondato.
Come risulta dagli atti, la Procura ha inizialmente tentato di comunicare a mezzo PEC alle parti l’avviso di chiusura indagini ma non è riuscita nell’intento a causa di un errore ad essa obiettivamente imputabile nella scrittura di una parola del relativo indirizzo mail (Tavernelle anziché, come dovevasi, Tavarnelle).
Di conseguenza la Procura ha notificato il predetto avviso a mezzo raccomandata AR indirizzata alla società, non ritirata dal destinatario e poi restituita dopo la “compiuta giacenza”.
Successivamente la Procura ha notificato l’atto di deferimento sempre con raccomandata AR, stavolta ritirata dalla società, che si è in seguito costituita insieme al calciatore deferito.
Come è noto, nel caso di lettere raccomandate delle quali non sia stata possibile la consegna diretta, la c.d. compiuta giacenza – che si verifica quando il destinatario non si rechi nel termine prescritto a ritirarle presso l’ufficio postale – determina una presunzione di ricevimento dell’atto da parte del destinatario stesso.
Ne deriva che la questione giuridica da risolvere in questa sede concerne gli effetti di comunicazioni (l’atto di chiusura indagini prima e quello di deferimento poi) inoltrate dalla Procura mediante raccomandate cartacee ricevute dai destinatari, essendo in precedenza risultata impossibile, per errore della Procura stessa, la notifica degli atti a mezzo posta elettronica certificata come prescritto dall’art. 53 CGS.
A giudizio di questa Corte Federale, nel caso all’esame la violazione formale posta in essere – pur non incolpevolmente - dalla autorità notificante deve ritenersi sanata per effetto della successiva regolare costituzione in giudizio della parte deferita.
In tal senso si osserva, in primo luogo, che nel caso all’esame la comunicazione dell’atto di chiusura indagini e del deferimento effettuata dalla Procura mediante lettera raccomandata AR (anziché via PEC) deve ritenersi affetta non già da inesistenza insanabile, quanto piuttosto da nullità, con conseguente possibilità di sanatoria del vizio.
Infatti, come insegna la Suprema Corte “Le ipotesi di inesistenza della notifica sono ridotte alle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. L'inesistenza della notificazione del ricorso è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità.” (Cass. civ., I Sez., n. 23481 del 2024).
A quanto sin qui osservato sul piano tecnico deve aggiungersi il rilievo di carattere generale, ribadito dalla giurisprudenza sportiva nella sua più autorevole espressione, secondo cui i procedimenti di giustizia sportiva hanno il carattere dell’informalità e che pertanto, in tali procedimenti, i vizi formali ordinariamente non costituiscono causa di invalidità dell’atto poiché il fine principale dell’ordinamento sportivo, al di là dell’aspetto giustiziale pur fondamentale, è quello di affermare sempre e con forza i principi di lealtà, imparzialità e trasparenza, tipici del movimento sportivo e quindi è compito degli Organi di giustizia considerare meno stringenti le regole formali rispetto ad aspetti sostanziali, che siano utili all’accertamento dei menzionati valori (Collegio di garanzia dello sport, Sezione I, n. 56/2018).
Come sopra rilevato, nel caso in esame i deferiti si sono regolarmente costituiti in giudizio, hanno potuto svolgere compiutamente le loro difese e non hanno mai chiesto l’applicazione di una sanzione concordata, di talchè deve conclusivamente affermarsi – in applicazione dei criteri ermeneutici sopra enunciati – che la violazione formale posta in essere dalla Procura con la irrituale comunicazione degli atti di chiusura indagini e deferimento risulta sanata per raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, C.P.C.
Infatti, “costituisce principio immanente nel nostro sistema processuale, applicabile anche all’ordinamento sportivo, quello secondo cui la nullità o l’irregolarità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio non produce effetto qualora l’atto abbia raggiunto lo scopo cui era destinato; il che si verifica con l’avvenuta costituzione in giudizio dell’intimato, il quale oltre a formulare l’eccezione di vizio della notifica, si sia spinto a svolgere considerazioni nel merito” (cfr. per tutte CFA, I Sez., n. 59/2021-2022).
La decisione impugnata va quindi riformata e per l’effetto questa Corte - in adesione al consolidato indirizzo giurisprudenziale che circoscrive le ipotesi di annullamento con rinvio al primo Giudice ai soli casi di lesione del contraddittorio processuale (cfr. per tutte CFA, SS.UU., n. 2/2023-2024) - procede quindi all’esame di merito della controversia.
In tal senso occorre in primo luogo scrutinare l’eccezione pregiudiziale dedotta anche in discussione orale dalla Difesa del calciatore incolpato, secondo cui il deferimento dello stesso da parte della Procura avrebbe violato la regola del ne bis in idem, essendo egli già stato espressamente prosciolto da ogni addebito ad opera del Giudice sportivo.
L’eccezione è priva di ogni fondamento.
Infatti, come risulta dal fascicolo di primo grado, la Corte d’appello sportiva (andando in contrario avviso rispetto al Giudice sportivo) ha semplicemente affermato che sulla base del solo referto arbitrale e del suo supplemento non era possibile individuare con certezza il sig. Niccolò Marini come colui che aveva effettivamente pronunciato la frase razzistica ivi riportata dal direttore di gara.
Di conseguenza, la stessa Corte, da un lato, ha prosciolto l’incolpato sulla base degli atti ma, d’altro canto, ha espressamente investito la Procura affinché accertasse – attraverso le opportune indagini - l’identità del colpevole.
Ne consegue che il deferimento del sig. Marini, essendo appunto il frutto di una ulteriore attività investigativa svolta dalla Procura, non incontrava alcuna preclusione di ordine procedimentale rispetto a quanto in precedenza deliberato dalla Corte sportiva sulla base del solo referto arbitrale.
Ciò premesso, a giudizio della Corte è nel giusto la Procura reclamante quando sostiene che, in base alla documentazione acquisita in istruttoria, deve affermarsi la colpevolezza del deferito.
In tal senso, va innanzi tutto rilevato che il direttore di gara – come da lui enunciato nel referto e ribadito nella deposizione istruttoria – ha chiaramente udito la frase razzistica rivolta al giocatore di colore della ASD Cerbaia F.M., pur senza poter individuare con certezza il soggetto che l’aveva pronunciata.
In disparte il carattere notoriamente fidefaciente del referto, anche il fatto che l’arbitro – come risulta dalle varie deposizioni – abbia subito investito della questione il dirigente accompagnatore del Tavarnelle induce a ritenere provato che effettivamente, nella fase concitata susseguente alla fine dell’incontro, un giocatore di quella squadra ha proferito l’insulto razzistico rivolto verso il giocatore F.M.
Quest’ultimo, nella sua deposizione, ha chiaramente individuato colui che lo insultò apostrofandolo con l’epiteto razzistico nel giocatore del Tavarnelle con la maglia n. 10 (cioè il Marini) pur non essendo in grado di indicarne il nome.
In proposito, si rileva in diritto che, come precisato dalla Corte di Cassazione, la dichiarazione di un solo teste ben può̀ essere posta a base di una sentenza di condanna se scrupolosamente vagliata sotto ogni profilo. E tanto vale finanche nell'ipotesi in cui l'accusa provenga da chi è portatore di un chiaro interesse contrastante con lo stesso accusato, precisando la Suprema Corte: "In tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa, la cui deposizione, pur se non può̀ essere equiparata a quella del testimone estraneo, può̀ tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità̀ oggettiva e soggettiva (cfr. CFA, Sez. I, n. 52/20222023).
Nel caso all’esame le dichiarazioni rese dal giocatore sono appunto credibili in primo luogo perché la frase razzistica da lui attribuita all’avversario n. 10 coincide perfettamente con quella udita dall’arbitro.
Inoltre l’insulto si inserisce in modo purtroppo logico nella dinamica concitata dell’alterco come rappresentata dall’arbitro, dal F.M. e dagli altri testimoni, laddove invece la differente versione proposta dal Marini (il quale afferma di aver soltanto detto: “E’ stato il ragazzo nero”) appare del tutto incongrua rispetto al contesto e alla sequenza cronologica degli eventi.
Infine, come risulta dalla deposizione dello stesso F.M. nonché da altre testimonianze raccolte dalla Procura, a seguito dell’intervento dei Carabinieri della locale stazione il sig. Marini – posto a confronto informale con F.M. – si è scusato per quanto detto in precedenza, ponendo così in essere un comportamento concludente in senso confessorio.
Non si comprende infatti perché l’incolpato dovesse di sua spontanea volontà scusarsi pubblicamente e in presenza dei Carabinieri ove avesse veramente proferito una frase del tutto generica e innocua quale quella sopra riportata.
Tanto chiarito in fatto, si rammenta in diritto che il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare sportivo si deve attestare ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio o alla certezza assoluta della commissione dell’illecito.
Come è stato infatti chiarito “Le affinità tra il giudizio disciplinare sportivo e quello penale non possono spingersi fino a costruire un meccanismo probatorio così rigoroso, nel primo caso, da dover concludere, nel dubbio, in favore del reo, ovverosia del soggetto nei cui confronti è richiesta l’applicazione di misure di carattere disciplinare. La diversa connotazione dell’ordinamento sportivo consente margini più ampi alla valutazione dei mezzi di prova e al libero convincimento del giudice, nei limiti, per quest’ultimo, della coerenza e ragionevolezza argomentative e dell’adeguata aderenza ai fatti. Se ne desume che possono essere fatti valere, nel processo sportivo, elementi specifici a fini probatori, assimilabili alla logica – fatta propria dal processo civile e da quello amministrativo – del “più probabile che non”, rispetto a cui il giudizio può essere integrato da dati di comune esperienza» (cfr. per tutte CFA, Sez. Unite, n. 14/2023-2024).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il reclamo va quindi accolto con riforma della decisione impugnata e irrogazione al sig. Niccolò Marini della sanzione minima prevista dall’art. 28, comma 2, CGS a carico dei calciatori che si rendono effettivamente colpevoli di comportamenti razzistici o discriminatori.
Come altresì richiesto dalla Procura, la società A.S.D. Barberino Tavarnelle va parimenti sanzionata con ammenda di euro 1000 per responsabilità oggettiva.
P.Q.M.
Accoglie il reclamo in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, irroga le seguenti sanzioni:
- al sig. Niccolò Marini: squalifica di 10 giornate di gara;
-alla società A.S.D. Barberino Tavarnelle: ammenda di € 1.000,00.
Dispone la comunicazione alle parti con PEC.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonino Anastasi Mario Luigi Torsello
Depositato
IL SEGRETARIO
Fabio Pesce