F.I.G.C. – CORTE SPORTIVA D’APPELLO – Sezione I – 2024/2025 – figc.it – atto non ufficiale – DECISIONE N. 0179/CSA pubblicata del 7 Aprile 2025 – U.S. Cremonese S.p.a.

Decisione/0179/CSA-2024-2025

Registro procedimenti n. 0253/CSA/2024-2025

 

LA CORTE SPORTIVA D’APPELLO

I SEZIONE

 

composta dai Sigg.ri:

Umberto Maiello - Vice Presidente

Andrea Lepore - Componente (relatore)

Michele Messina - Componente

Franco Granato - Rappresentante A.I.A.

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul reclamo n. 0253/CSA/2024-2025, proposto dalla società U.S. Cremonese S.p.a in data 18.03.2025,

per la riforma della decisione del Giudice Sportivo presso la Lega Nazionale Professionisti Serie B, di cui al Com. uff. n. 155 dell’11.03.2025;

visto il reclamo e i relativi allegati;

visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza, tenutasi in videoconferenza il giorno 24.03.2025, il Prof. Avv. Andrea Lepore e uditi gli Avv.ti Paolo Rodella, Federico Venturi Ferriolo e Paolo Erik Liedholm per la reclamante; udito altresì il Sig. Franco Damian Vazquez; Ritenuto in fatto e considerato diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

In data 18 marzo 2025, la U.S. Cremonese ha proposto reclamo avverso la delibera del giudice sportivo dell’11 marzo 2025, in C.u. n. 155, mediante la quale al calciatore Franco Damián Vázquez veniva inflitta la sanzione della squalifica per dieci giornate effettive di gara in quanto «al termine della gara, ha rivolto al calciatore Emile Mehdi Dorval (soc. Bari) un insulto espressivo di discriminazione razziale».

In primo luogo, la società lombarda nel proprio mezzo sostiene che nessun ufficiale di gara ha riportato nel referto la frase incriminata e che quest’ultima sia stata pronunciata dal calciatore Dorval e non dal Vázquez.

In particolare, evidenzia che da uno dei video allegati al reclamo, sui quali si è svolta l’indagine della Procura federale, emergerebbe che l’espressione di discriminazione sia stata pronunciata dal giocatore del Bari.

Per altro verso, il delegato della procura, avv. Di Ponzio, che ha refertato l'espressione in addebito, avrebbe erroneamente attribuito la frase al tesserato della Cremonese e non a quello del Bari.

Sostiene altresì che i rapporti dei delegati della Procura debbano considerarsi irrilevanti e che comunque non possano costituire mezzi autonomi di prova.

La U.S. Cremonese sottolinea inoltre che alcuni dei calciatori presenti sul terreno di gioco non hanno udito tale espressione. Allega, a tal riguardo, una serie di dichiarazioni scritte dei tesserati sigg.ri Daniele Puerari, Manuel De Luca, Jari Vandeputte, Charles Monginda Pickel, Tommaso Barbieri, Simone Giacchetta e Fabio Allevi.

Ribadisce, infine, che la sola dichiarazione della presunta vittima non può essere sufficiente a superare l’onere probatorio, risultando peraltro poco attendibile, predicato riscontrabile anche rispetto agli altri contributi dichiarativi compendiati nella relazione della Procura federale.

Tanto premesso, chiede, in via principale, nel merito, prosciogliere il proprio tesserato Franco Damián Vázquez dagli addebiti a lui ascritti, per non aver commesso il fatto contestato; in via subordinata, ridurre la squalifica a cinque giornate di gara con commutazione delle altre cinque residue in ammenda nella misura ritenuta di giustizia, e allo svolgimento di un periodo di servizi obbligatori presso un centro di accoglienza; in via ulteriormente subordinata, ridurre e/o commutare la squalifica nella misura e nei modi che saranno ritenuti di giustizia e anche al di sotto del minimo edittale normativamente previsto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Questa Corte, esaminati gli atti, valutate le motivazioni, ritiene che il reclamo meriti parziale accoglimento per i motivi che seguono.

Il Collegio, ai fini del decidere – in via preliminare – ritiene opportuno richiamare i criteri ai quali intende attenersi per dichiarare la responsabilità del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva, e in particolare enunciare lo standard probatorio elaborato dalla giurisprudenza degli Organi di giustizia sportiva a più riprese, secondo cui «il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare si deve attestare a un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (come invece è previsto nel processo penale), nel senso che è necessario e sufficiente acquisire – sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti – una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito» (cfr., tra le più recenti CFA, SS.UU. n. 2/2023-2024; Sez. I, n. 24/2022-203; Sez. IV, n. 18/2022-2023; CFA, Sez. I, n.87/2021-2022; CFA, Sez. I, n. 81/2021-2022; CFA, sez. I, n. 76/2021- 2022; CFA, Sez. III, n. 68/2021-2022; CFA, SS.UU., n. 35/2021-2022; dettagliatamente, CFA, SS. UU., n. 105/2020-2021 e CFA, Sez. I, n. 87/2023-2024).

Ciò posto, è possibile ricondurre il reclamo della U.C. Cremonese a tre principali temi difensivi:

1. il video che documenta la frase incriminata, che andrebbe attribuita al calciatore Dorval della società Bari;

2. la mancanza di refertazioni degli ufficiali di gara sulla vicenda;

3. l'inidoneità della testimonianza del sostituto procuratore avv. Raffaele Di Ponzio contro il calciatore Vázquez a costituire un conferente mezzo di prova.

Orbene, con riferimento al video (punto 1), il Collegio riconosce che l’espressione captata nella registrazione («ah, n... di m..?»), nello specifico frame indicato dalla difesa della reclamante, sia stata pronunciata dal calciatore Dorval del Bari e non dal Vázquez.

Tanto premesso, la divisata prova non vale di per sè a escludere, con la pretesa inaccettabile automaticità, che nella fase immediatamente precedente sia stata pronunciata all'indirizzo del predetto calciatore del Bari la frase che egli ripete. Anzi, a ben vedere, il contributo in argomento costituisce una prova indiretta dell'accaduto in quanto corrobora la genuinità della reazione della vittima all’offesa ricevuta, vittima che appunto ripete l’espressione a lui rivolta, che può, pertanto, essere assunta quale indizio rilevante della spontaneità della reazione del calciatore del Bari, spontaneità che, invece, nel corpo dell'atto di reclamo viene messa in discussione.

Sul punto 2), come chiaramente statuito su vicende del genere dalla Corte federale d’appello, va evidenziato che «la circostanza che l’arbitro non abbia registrato l’episodio [...], appare ininfluente, sia perché se l’arbitro fosse stato presente avrebbe certamente rilevato e sanzionato il [...] responsabile della grave offesa a sfondo razziale, sia perché è intuibile che questo genere di comportamenti per quanto istintivi non si realizzano in circostanza facilmente rilevabili. In ogni caso – com’è noto – secondo la giurisprudenza di questa Corte federale d’appello (ex multis, da ultimo, CFA, Sez. I, n. 61/2024-2025) il rapporto del direttore di gara, pur facendo “piena prova” di quanto si attesta essere avvenuto, non può assurgere a prova legale anche del quod non, cosicché il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica di necessità che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale» (così, di recente, Corte federale d’appello, 27 dicembre 2024, dec. n. 0075/CFA/2024-2025). Quanto fin qui evidenziato vale, già di per sè, a smentire in radice l'assunto difensivo sulla pretesa inettitudine dei contributi gnoseologici evincibili dai rapporti della Procura federale ad assurgere a elementi di prova delle condotte tenute dai tesserati a conclusione della fase di gioco, assunto che si pone, peraltro, in plateale contrasto con l'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 61 del Codice di giustizia sportiva.

Sul punto, introducendo anche il terzo tema relativo al contributo offerto dal sostituto procuratore (punto 3), in primo luogo, va evidenziato che le dichiarazioni del sostituto procuratore non appaiono per la prima volta all’interno degli atti di indagini successivi alla gara compiute dalla Procura federale, ma fin da subito nella relazione di gara dei delegati della procura federale (doc. n. 9 fascicolo del dibattimento) e in particolare nell’allegato della Sez. n. 1, nel quale si afferma che «al momento del fatto descritto era presente il delegato della procura Raffaele Di Ponzio che ha sentito distintamente l’offesa del Vázquez a Dorval “n...di m...”».

Si evidenzia che la relazione dei delegati della Procura federale fa parte dei documenti ufficiali di gara.

Va, inoltre, ribadito che la relazione della Procura Federale, sottoscritta da entrambi i delegati (Di Ponzio e Fisicaro), è alquanto dettagliata e reca puntuale indicazione delle modalità di identificazione dell’autore dei comportamenti sanzionati. Il Di Ponzio, tra l’altro, si trovava a breve distanza dai calciatori coinvolti.

Sì che, come da giurisprudenza di questa Corte, è possibile osservare che, quand’anche il rapporto della Procura Federale possa non essere considerato dotato di una «speciale efficacia di “piena prova” ex art. 61, comma 1, C.G.S., lo stesso ben può essere posto dall’Organo di giustizia sportiva a base e fondamento del proprio convincimento, anche attesa, da un lato, la dettagliata descrizione dei fatti nello stesso contenuto, [...] dall’altro, la fede, comunque, privilegiata dallo stesso rivestita. In diversi termini, il valore di piena prova assegnato dal codice di giustizia sportiva al solo referto del direttore di gara non esclude né che il rapporto dei collaboratori della Procura federale sia incluso negli atti ufficiali di gara, né, ad ogni buon conto, che il predetto medesimo rapporto assurga, comunque, a elemento di prova che, considerata la fede privilegiata (e la presunzione, pur relativa, che dallo stesso deriva), in difetto di – specifici ed ammissibili – contrari elementi probatori ben può essere posto a base della decisione del giudice sportivo» (così, Corte sportiva d’appello, 26 maggio 2022, dec. n. 314/CSA/2021-2022).

Gli ulteriori documenti di indagine prodotti successivamente dalla Procura federale, acquisiti a seguito di investigazioni svolte su incarico del giudice sportivo, sono stati utili per corroborare la suddetta relazione, segnatamente attraverso l’audizione di diversi tesserati, tra cui i sigg.ri Moreno Longo, Valerio Di Cesare, Nicola Bellomo, Giovanni Stroppa.

In particolare, il sig. Bellomo ha confermato anch’egli di aver udito l’espressione discriminatoria. Moreno Longo e Valerio Di Cesare hanno altresì riferito di aver trovato il calciatore Dorval molto scosso per l’offesa ricevuta, diversamente dal sig. Stroppa, che ha negato sia il fatto, sia di essersi recato negli spogliatoi della Società Bari per chiedere scusa per l’accaduto. Vicenda quest’ultima riportata invece dagli altri tesserati.

Tanto chiarito in merito alle principali doglianze della U.C. Cremonese, questa Corte tiene soprattutto a rilevare il peso specifico preponderante della denuncia del calciatore Dorval. Va infatti ricordato che in casi nei quali vengano tenuti comportamenti discriminatori la denuncia della vittima assurge ad elemento probatorio  (cfr. ancora sul punto Corte federale d’appello, 27 dicembre 2024, dec. n. 0075/CFA/2024-2025), potendo essere disattesa solo nei casi di inattendibilità della fonte ovvero di emergenze probatorie di segno contrario di pari valenza rappresentativa.

Come già sopra anticipato, la reazione istintiva del calciatore si rivela coerente con la percezione della grave offesa ricevuta, di cui, come sopra anticipato, vi è conferma indiretta anche nel reperto filmato.

Le divisate risultanze trovano  riscontro, come sopra anticipato, nel contributo dichiarativo del delegato della Procura Federale la cui percezione è stata diretta e nitida, non potendo, peraltro, dubitarsi della piena attendibilità e terzietà della suddetta fonte, peraltro nemmeno messa in dubbio dalla difesa della reclamante.

Tra l’altro, depongono in questa direzione i disordini tra i calciatori che si sono verificati a fine gara, nell’immediatezza della vicenda, ricollegabili all’episodio denunciato, come da relazione dei delegati della Procura, presenti sul terreno di giuoco. Ragion per cui risulta assai discutibile la ricostruzione secondo la quale il calciatore Dorval potesse artatamente simulare di essere vittima di una grave offesa a sfondo razziale e di aver reagito unicamente per un fine emulativo preordinato.

Nè a un diverso approdo possono condurre le piccole divergenze ricostruttive evincibili dai contestati disallineamenti delle versioni rese dalle persone sentite dalla Procura federale, involgendo profili marginali (ad esempio la ripetizione dell'offesa) e risultando, peraltro, ben spiegabili con la confusione che ha segnato le fasi concitate del post gara, costituendo semmai indice della spontaneità delle dichiarazioni acquisite.

In conclusione, le prove dirette su cui riposa la decisione di prime cure (id est le dichiarazioni della parte offesa e quelle provenienti dal delega della Procura) si dispiegano armonicamente con gli altri elementi di prova acquisiti nel corso delle indagini svolte dalla Procura federale, trovando un ulteriore elemento di coagulo nella lettura critica del materiale probatorio offerta dalla c.d. prova logica che, nel ventaglio delle alternative astrattamente possibili, consente di apprezzare la piena coerenza della dinamica degli eventi, riferita dalle suindicate fonti dichiarative, con le circostanze di contesto, per come ricostruite in atti.

Nè valgono a sminuire il costrutto accusatorio le dichiarazioni depositate in atti dei tesserati della U.C. Cremonese, che negano di aver udito Vàzquez pronunciare la frase incriminata; tale assunto non consente, infatti, di escludere che il predetto calciatore possa averla effettivamente pronunciata senza essere stato, al contempo, udito dai suoi compagni di squadra, dovendo comunque ritenersi la ricostruzione evincibile da tali deposizioni - siccome del tutto monca di una plausibile ricostruzione alternativa sulla dinamica degli eventi -  recessiva a fronte del risultato probatorio per come sopra raggiunto.

Il quadro accusatorio è dunque concreto, attendibile e univoco per stabilire che nella specie sussistono tutti i presupposti per l’applicazione al calciatore della U.S. Cremonese delle conseguenti sanzioni.

Occorre ora analizzare la portata del provvedimento da comminare.

Orbene, l’art. 28, comma 2, C.G.S., in tema di comportamenti discriminatori, statuisce che «il calciatore che commette una violazione di cui al comma 1 e ̀ punito con la squalifica per almeno dieci giornate di gara». In questa direzione depongono diversi precedenti giurisprudenziali della Corte federale di appello, chiamata a dirimere ogni dubbio sulla materia, e che hanno confermato la congruita ̀ della sanzione della squalifica per dieci giornate effettive di gara.

In particolare, la Corte ha argomentato la propria netta posizione sostenendo che «la fattispecie prevista dall’art. 28 C.G.S. riguarda un illecito di particolare disvalore nell’ambito dell’ordinamento sportivo (e non solo, naturalmente, di quello). Esso viola uno dei principi fondamentali previsti dall’art. 2 dello Statuto della FIGC, ove al comma 5 e ̀,  appunto, declinato il principio di non discriminazione, con una disposizione di principio, avente finalità di ordine programmatico, che trova compiuta realizzazione nel più volte ricordato art. 28 C.G.S. Il quadro normativo, anche internazionale, e ̀ stato più volte ricostruito da questa Corte, sicché alle numerose decisioni in materia e  ̀sufficiente rinviare (per tutte: CFA, SS.UU., n. 114/2020-2021; CFA, Sez. I, n. 105/2020-2021)» (cosi ̀,  Corte fed. app., Sez. un., 26 settembre 2022, n. 28/CFA/2022-2023/A).

La nozione di comportamento discriminatorio elaborata dal legislatore federale risulta coerente e in sintonia con quella adottata dagli Organismi e dalle Istituzioni internazionali. Con tale previsione si e ̀ voluto imprimere alla disciplina delle competizioni calcistiche un regime di tutela «in funzione repressiva di comportamenti che, in quanto discriminatori, determinino una compromissione della personalità dell’uomo come singolo e come soggetto di comunità, in entrambi i casi ledendosi un patrimonio di valori fondamentali per motivi di “razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, condizione personale o sociale” o per condotte che siano in grado di concorrere al dilagare di una cultura contraria al bene protetto sotto forma di “propaganda ideologica”» (Corte fed. app., 18 giugno 2021, dec. n. 114).

In tale prospettiva va ricordato altro arresto giurisprudenziale, ove si afferma che «l’intero ordinamento sportivo – in questo conformandosi all’ordinamento internazionale, europeo e nazionale – e ̀ informato al principio di non discriminazione. In tal senso, come già ricordato da questa Corte federale (Corte federale di appello – Sezioni unite, n. 105 dell’11 maggio 2021), depongono sia l’art. 2 dello Statuto della FIGC, quinto comma, sia l’art. 28 del codice di giustizia sportiva (d’ora innanzi, CGS), dalla cui lettura emerge la volontà dell’ordinamento federale di contrastare e punire tutti i comportamenti discriminatori, di ogni genere e tipologia, volti a negare il diritto di ciascuno ad essere riconosciuto quale persona libera ed eguale, anche in attuazione del principio del mutuo rispetto, posto a base di ogni convivenza civile e democratica. La condotta discriminatoria, del resto, si sostanzia in ogni forma di discriminazione dei diritti fondamentali della persona, che non può non provocare una dura reazione da parte non solo dell’ordinamento giuridico generale, ma anche da parte di quello sportivo, anche alla luce degli inequivoci principi posti dalla Costituzione in materia (cosi ̀,  Corte federale d’appello Sezioni Unite C.U. n. 90/CFA 2017/2018)» (in questi termini, Corte fed. app., Sez. unite, 31 gennaio 2022, n. 64/CFA/2021-2022/D; in precedenza, vedi gia ̀,  Corte fed. app., 11 maggio 2021, n. 105/CFA/2020-2021/A; cfr. anche Corte sportiva d’appello, 23 marzo 2023, dec. n. 179/CSA/2022-2023, nonché Corte sportiva d’appello, 17 gennaio 2025, dec. n. 103/CSA-2024-2025).

La congruità e la legittimità della pena minima edittale della squalifica di dieci giornate effettive di gara non può dunque revocarsi in dubbio. Per altro verso e in ossequio a quanto statuito dall’art. 13, comma 2, C.G.S., il Collegio ritiene potersi ravvisare un'attenuante generica a favore del calciatore Franco Damián Vázquez, il quale, nella sua lunga carriera, non risulta abbia manifestato condotte propense a comportamenti discriminatori. Ragion per cui, nel caso di specie, è possibile ridurre di due giornate effettive di gara la pena comminata in primo grado.

P.Q.M.

Accoglie parzialmente il reclamo in epigrafe e, per l'effetto, riduce la sanzione della squalifica a 8 giornate effettive di gara.

Dispone la comunicazione alla parte con Pec.

 

L'ESTENSORE                                                      IL VICE PRESIDENTE

Andrea Lepore                                                             Umberto Maiello

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

 

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