F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2024/2025 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0115/CFA pubblicata il 17 Giugno 2025 (motivazioni) – Presidente federale/Sig. Damiano Cerrone
Decisione/0115/CFA-2024-2025
Registro procedimenti n. 0115/CFA/2024-2025
LA CORTE FEDERALE D’APPELLO
SEZIONI UNITE
composta dai Sigg.ri:
Mario Luigi Torsello – Presidente
Salvatore Lombardo – Componente
Mauro Mazzoni – Componente
Vincenzo Barbieri – Componente
Domenico Giordano - Componente (Relatore)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul reclamo numero 0115/CFA/2024-2025 proposto dal Presidente federale in data 19.5.2025,
per la riforma della decisione della Corte sportiva d’appello territoriale presso il Comitato regionale Emilia Romagna, di cui al Com. Uff. n. 138 del 19.03.2025;
visti il reclamo e i relativi allegati;
visti gli atti tutti della causa;
relatore all’udienza dell’11.06.2025, tenutasi in videoconferenza, il Pres. Domenico Giordano, e udito l’Avv. Giancarlo Viglione per la reclamante; nessuno è comparso per il Sig. Damiano Cerrone.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
RITENUTO IN FATTO
I) Con reclamo proposto ai sensi dell’art. 98, secondo comma, lett. b),G.S. il Presidente federale ha adito la Corte federale d’appello per chiedere la riforma della decisione della Corte sportiva d’appello territoriale presso il Comitato regionale Emilia Romagna, pubblicata sul C.U. n. 138 del 19.03.2025, inerente alla squalifica inflitta al Sig. Damiano Cerrone, tesserato per la società Murri Calcio, per il comportamento discriminatorio tenuto dallo stesso nei confronti di un avversario.
La vicenda all’esame della Corte trae origine dagli eventi occorsi in occasione della gara disputata il 22 febbraio 2025 tra Petroniano Idea Calcio e Murri Calcio, valevole per il Campionato Juniores Under 19, Girone B, Comitato regionale Emilia Romagna, Delegazione provinciale di Bologna, quali emergenti dal referto di gara e dal successivo supplemento di rapporto arbitrale.
In particolare, nel primo documento veniva registrata l’espulsione dalla gara comminata al 28° del secondo tempo al calciatore Cerrone Damiano per aver rivolto a un calciatore della squadra avversaria “diverse offese pesanti: figlio di puttana ti spacco la testa, Gay di merda, ecc.”. Nel successivo documento, trasmesso dal Direttore di gara a mezzo mail del 26 febbraio 2025, si precisava ulteriormente che “ai fatti del giocatore n. 6 espulso per aver detto gay di merda, ha detto anche ti spacco la testa, negro e un’altra serie di insulti come vaffanculo, ti prendo a calci, e il ragazzo che li riceveva era di colore”.
A fronte di tali evidenze, quali emergenti da atti ufficiali, il Giudice sportivo territoriale di Bologna, con decisione pubblicata sul C.U. n. 63 del 27.02.2025, comminava al tesserato Cerrone la sanzione della squalifica per dieci gare effettive, “Per aver rivolto frasi offensive per motivi di discriminazione basati sul sesso e colore nei confronti di un giocatore avversario (sanzione così determinata ai sensi dell’art.28 C.G.S.)”.
Avverso tale decisione il calciatore Cerrone proponeva reclamo alla innanzi alla Corte sportiva d’appello presso il Comitato regionale Emilia Romagna la quale, con decisione pubblicata sul C.U. n. 138 del 27.02.2025 ed oggi impugnata, in parziale accoglimento del gravame, riduceva la squalifica a quattro giornate effettive di gara.
In particolare la Corte territoriale dopo aver rilevato che “dal referto arbitrale risulta che il calciatore Damiano Cerrone della società Murri Calcio veniva espulso al 28° minuto del secondo tempo per aver rivolto a un avversario diverse e pesanti offese fra le quali una di carattere omofobo, ma nessuna che faceva riferimento al colore della pelle o all’origine etnica del calciatore avversario”, osservava quanto all’espressione “gay di merda” utilizzata dal calciatore Cerrone che la stessa “non configura un comportamento discriminatorio così come definito nel comma 1 dell’articolo 28 del Codice di giustizia sportiva e ciò in ragione del soggetto al quale tale epiteto era diretto, soggetto del quale il calciatore Cerrone si deve presumere, almeno fino a prova contraria, non conoscesse le tendenze sessuali e/o l’eventuale appartenenza a una qualche diversità di genere. Per questo motivo nella condotta tenuta da Damiano Cerrone difetta l’idoneità dell’oggetto giuridico della discriminazione.”
Sulla base di tali premesse la Corte territoriale riqualificava la condotta contestata quale espressione non di un comportamento discriminatorio ai sensi dell’articolo 28 C.G.S., ma di condotta gravemente antisportiva ai sensi dell’articolo 39 del Codice medesimo aggravata dalla manifesta violazione dei principi fondamentali dello Statuto della FIGC e applicava al Cerrone la sanzione della squalifica a quattro giornate effettive di gara.
(II) Avverso la decisione della Corte territoriale d’appello è stata proposta l’impugnazione in epigrafe.
II.1. Il reclamo del Presidente federale censura la decisione in quanto viziata da error in iudicando con riferimento: i) alla violazione e falsa applicazione dell’art. 28, commi 1 e 2, del Codice di giustizia sportiva figc, ii) alla violazione e falsa applicazione dell’art. 61, comma 1, del Codice di giustizia sportiva figc e iii) all’eccesso di potere per difetto di motivazione.
Osserva il reclamante che l’art. 28 punisce con la severa sanzione della “squalifica per almeno dieci giornate di gara” il calciatore che si sia reso responsabile di aver posto in essere un “comportamento discriminatorio” in base al “colore” o al “sesso”.
Nella specie la condotta antigiuridica del Cerrone risulterebbe comprovata, con riferimento alle offese razziali, da quanto riportato dal Direttore di gara nel proprio supplemento di referto, trasmesso in data 26.02.2025 alla Delegazione di Bologna e vagliato dal Giudice sportivo, ma invece del tutto trascurato dalla Corte sportiva d’appello che ad esso non dedica alcuna considerazione.
Erroneo ed inaccettabile sarebbe inoltre il ragionamento della Corte secondo il quale l’espressione “gay di merda” configurerebbe un comportamento discriminatorio solo a seguito di una verifica in concreto “delle tendenze sessuali” del giocatore cui essa è diretta, essendo invece palese il carattere dispregiativo e omofobo dell’insulto rivolto dal calciatore al proprio avversario, da sanzionare ai sensi del comma 2 dell’art. 28 con la “squalifica per almeno dieci giornate di gara”.
Per le ragioni esposte, il reclamante conclude chiedendo la riforma della decisione della Corte sportiva d’appello territoriale e l’irrogazione al tesserato Damiano Cerroni di più grave sanzione valutata di giustizia.
II.2. In data 28 maggio 2025, la Segreteria della Corte federale di appello dava avviso della fissazione d’udienza a tutte le parti a mezzo pec.
II.3. In data 6 giugno 2025 veniva acquisita al deposito telematico la memoria di costituzione e controdeduzioni del calciatore Cerrato.
Nello scritto difensivo si osserva che il reclamo del Presidente federale si fonda essenzialmente sul presupposto che la Corte sportiva d’appello del CRER, nell’adottare la decisione di riforma della pronuncia del Giudice sportivo di Bologna del 27.2.2025, ha disatteso il supplemento al referto di gara dell’arbitro Enea Zanella del 26-27.2.2025, nel quale si afferma che il Cerrone si sarebbe rivolto ad un avversario “di colore” apostrofandolo con il termine “negro”.
Al riguardo la parte resistente deduce che il reclamo poggia su un nuovo elemento di prova, allegato solo nel presente grado di giudizio e rappresentato dal supplemento di rapporto arbitrale, mai prima reso noto al calciatore e nemmeno depositato nei giudizi avanti al Giudice sportivo e alla Corte di appello territoriale, che ad esso non fanno cenno alcuno.
Si tratterebbe di un documento non menzionato nella motivazione della sanzione inflitta dal Giudice sportivo e che, qualora esistente, non è stato inserito nel fascicolo d’ufficio trasmesso dalla segreteria del Giudice sportivo di Bologna all’esame della Corte d’appello dell’Emilia Romagna dopo il ricorso della parte.
La circostanza troverebbe conferma nel fatto che il supplemento di referto non è stato fornito al calciatore in risposta alla richiesta di accesso agli atti del procedimento; difatti, alla pec 7 marzo 2025 trasmessa al Cerrone dalla Segreteria della Corte d’appello del CRER, sarebbe allegato unicamente il referto arbitrale del 23 febbraio 2025 e non anche il supplemento di rapporto.
In ragione di ciò, la difesa del calciatore si è basata unicamente sui contenuti del referto di gara che non descrive condotte di discriminazione razziale le quali non sono certo sussumibili nella locuzione finale “eccetera”, la cui genericità non può valere a commutare per fatti accaduti immaginose supposizioni, non in grado di assurgere al rango di prova privilegiata ex art. 61 C.G.S.
In tale quadro, la difesa resistente disconosce formalmente il documento di cui trattasi, in quanto copia di una apparente mail ordinaria e non di una pec, connotato da una palese incertezza formale derivante dalla presenza di due date (26 e 27 febbraio 2025), incomprensibilmente redatto e inviato a distanza di almeno 4 gg dalla disputa della gara, carente di prova e certezza del mittente, del suo destinatario, delle date del suo invio e del suo ricevimento, privo di idonea firma dell’arbitro Zanella e contenente un mera indicazione a stampatello ‘‘visto Giudice sportivo” senza alcuna ulteriore firma.
Sotto altro profilo, l’appellato nega di aver pronunciato offese a sfondo sessuale o razziale e riconosce di aver usato solo parole sconvenienti, in reazione alle espressioni nettamente ingiuriose pronunciate nei suoi confronti dal calciatore avversario n. 8 Essid Amine. Lamenta, inoltre, che della provocazione subita non è cenno nel referto dell’arbitro che si connota di inammissibile genericità, a fronte della quale veniva richiesto, nei precedenti gradi di giudizio, di disporre la convocazione del direttore di gara per precisare meglio quanto da lui sentito e riportato in ordine al comportamento del Cerrone tenuto nella gara suindicata e l’ammissione ex art. 60 C.G.S. di prova testimoniale dei sigg.ri Pagnini Tommaso e Pedrini Luigi entrambi tesserati con la SSDARL Murri Calcio sulle circostanze riferite in ordine alle gravi offese personali che sono state rivolte da Essid Amine al Cerrone nelle immediatezze precedenti la sua espulsione.
Si assume, ancora, che mediante l’esperimento della prova testimoniale, sarebbe emerso che il Cerrone non ha mai proferito la frase discriminatoria a sfondo sessuale “gay di merda’’, fermo restando che la stessa poteva assumere rilevanza specifica ex art. 28 C.G.S. come condotta discriminatoria solo se la frase offensiva fosse stata proferita nei confronti di chi sia effettivamente omosessuale e come tale conosciuto dall’autore dell’espressione. Invece, la stessa frase rivolta verso un avversario non omosessuale o di cui sia ignoto l’orientamento sessuale non può integrare la fattispecie prevista e punita dall’art. 28 C.G.S., come giustamente riconosciuto anche dalla Corte sportiva d’appello del CRER, dovendo quindi ricondursi la condotta alla fattispecie di offesa gratuita, il cui minor disvalore postula la giusta e proporzionata sanzione.
In conclusione la parte resistente chiede di respingere il reclamo e per l’effetto confermare la decisione della Corte territoriale di appello.
II.4. In prossimità dell’orario di trattazione del reclamo, l’avv. Giulio Cerrone comunicava alla segreteria della Corte di incontrare difficoltà nel collegamento da remoto e chiedeva di posticipare di pochi minuti l’inizio della discussione orale per consentirgli di ripristinare la connessione telematica, preannunciando per il caso di insuccesso l’intento di rimettersi agli scritti.
Il reclamo veniva quindi chiamato alle ore 11,10 dell’udienza odierna, con la presenza (da remoto) del solo Avv. Giancarlo Viglione per il reclamante, che ha richiamato i motivi del gravame e insistito nelle conclusioni già rassegnate.
Dopo la discussione, il reclamo veniva trattenuto in decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
III) Preliminarmente all’esame dei motivi di reclamo, la Corte ritiene necessario delineare il contesto normativo nel quale si iscrive la vicenda in scrutinio.
III.1. La Convenzione europea per i diritti dell’uomo sancisce il diritto al rispetto della vita privata delle persone (art. 8) e ne garantisce il godimento mediante il divieto di discriminazione per motivi di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione (art. 14).
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce all’art. 1 che “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata” e pone all’art. 21 il divieto di “ qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”.
Il divieto di ogni forma di discriminazione per motivi di sesso o di razza costituisce un principio fondamentale anche per la Costituzione repubblicana (art. 3). Il diritto costituzionalmente tutelato alla libera espressione della propria identità sessuale è stato espressamente ascritto dalla Suprema Corte di legittimità al novero dei diritti inviolabili della persona di cui all’art. 2 Cost., quale essenziale forma di realizzazione della propria personalità (Cass. 16417/2007), mentre sul versante della tutela penale si è ritenuta necessaria una effettiva e realmente afflittiva tutela repressiva con riguardo al reato di ingiuria per motivi inerenti all’orientamento sessuale (Cass. pen. 24513/2006).
In tale contesto viene in risalto anche l’art. 33, il cui ultimo comma, aggiunto con la legge costituzionale 26 settembre 2023 n. 1, ha sancito il principio secondo cui “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività ̀ sportiva in tutte le sue forme”.
La norma riflette i contenuti di dispositivi qualificati a livello sovranazionale, ed evidenzia come lo sport debba essere praticato e coltivato come un prezioso alleato nell’educazione, nell’inclusione sociale e nel miglioramento del benessere complessivo di tutti i cittadini (Cass. Civ. sez. III, 25/07/2024, n.20790).
Essa autorizza una lettura ermeneutica dell’attività sportiva non solo come valore in sé, ma soprattutto come veicolo di valori, quale strumento di inclusione sociale e di promozione del pieno sviluppo della persona umana, specie con riguardo al suo benessere psico-fisico.
Nella stessa prospettiva si pongono le disposizioni di cui all’art. 16 del d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 39 che impegna le Federazioni sportive nazionali all’obbligo di redigere le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta per la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale.
L’ordinamento federale si è pienamente conformato ai suindicati valori, palesando chiaramente la volontà di contrastare e punire severamente tutti i comportamenti discriminatori.
Lo Statuto della FIGC erige a principio fondamentale l’esclusione dal giuoco del calcio di ogni forma di discriminazione sociale, di razzismo, di xenofobia e di violenza (art. 2, comma 5).
L’art. 28 del Codice di giustizia sportiva FIGC, rubricato “Comportamenti discriminatori”, ai commi 1 e 2 dispone che: “1. Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori.
2.Il calciatore che commette una violazione di cui al comma 1 è punito con la squalifica per almeno dieci giornate di gara o, nei casi più gravi, con una squalifica a tempo determinato e con la sanzione prevista dall’art. 9, comma 1, lettera g) nonché, per il settore professionistico, con l’ammenda da euro 10.000,00 ad euro 20.000,00”.
La norma palesa l’esigenza, avvertita anche nell’ambito dell’ordinamento sportivo, di conferire adeguata tutela alla dignità ed alla libertà di tutti e di ciascuno a prescindere dalla religione, dall’appartenenza etnica e territoriale, dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale. La particolare severità della sanzione, fissata dal secondo comma nella durata minima di dieci giorni di squalifica, è funzionale a garantire il contrasto effettivo ed efficace a ogni forma di discriminazione per motivi razziali o inerenti all’orientamento sessuale.
III.2. La fattispecie del comportamento discriminatorio è integrata da trattamenti denigratori che sottendono l’inferiorità di un gruppo o di una persona, in base ai caratteri razziali o all’orientamento sessuale e comprende qualsiasi comportamento finalizzato a conseguire un effetto discriminatorio basato su etnia, colore, caratteristiche fisiche, genere, status social-economico, religione, convinzioni personali, disabilità, sesso o età.
Ne costituisce manifestazione il disprezzo, alimentato da pregiudizi o da un malinteso senso di “normalità”, che si manifesta mediante espressioni ingiuriose che alludano alla razza o all’orientamento sessuale.
Chiamata ad interpretare il suindicato contesto normativo, questa Corte ha avuto modo di affermare che “Le disposizioni di cui all’art. 2 dello Statuto della FIGC e quella di cui all’art. 28 CGS sono volte a reprimere comportamenti che determinino una compromissione della personalità dell’uomo come singolo e come soggetto di comunità e ledano il diritto di ciascuno ad essere riconosciuto quale persona libera ed eguale, anche in attuazione del principio del mutuo rispetto, posto a base di ogni convivenza civile e democratica. Ne consegue – in coerenza con quanto specificamente previsto nell’ordinamento sportivo internazionale – che il discrimine tra la mera espressione offensiva o ingiuriosa, sanzionabile ai sensi dell’articolo 4 del Codice di giustizia sportiva, e la cond tta discrminatora, sanzonabile nvece ai sensi dell’aticolo 28, comma 1, del Codice stesso, risiede nel fatto che la fattispecie della discriminazione è integrata allorché l’espressione offensiva o ingiuriosa mira specificamente a ledere il decoro, la dignità o l’onore della persona o del gruppo cui è indirizzata in ragione della loro diversità per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine anche etnica, di condizione personale o sociale.” (CFA, SS.UU., n. 105/2020-2021; sez. 1, n. 96/2024-2025).
Da ciò discende che la qualificazione di una condotta come discriminatoria ai sensi dell’art. 28 C.G.S. presuppone la presenza di un’offesa o di una denigrazione che sia inequivocabilmente riconducibile a un pregiudizio basato su fattori protetti, quali quelli legati al sesso o alla razza.
III.3 Tanto si osserva per evidenziare che, nonostante il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravità della condotta, riconducendola ad aspetti soltanto antisportivi, non è revocabile in dubbio che il Cerrone si sia reso autore di un intollerabile comportamento di omofobia.
Questa si esprime in violenze verbali o derisioni che ledono la dignità umana, il principio di eguaglianza e comprimono la libertà e gli affetti delle persone.
Come autorevolmente affermato, si tratta di manifestazioni che feriscono “l'intera nostra società, che risulta indebolita nei suoi valori fondamentali di convivenza”.
Il che palesa l’erroneità della decisione reclamata, dovendosi escludere la possibilità di sminuire la portata discriminatoria insita nell’insulto omofobo espresso in forma graffiante, che esprime il chiaro intento di derisione e di scherno con la consapevolezza dell’attitudine lesiva delle parole adoperate, inequivocabilmente riferite alla sfera sessuale.
Nel contesto delineato, emergono in tutta la loro portata la valenza discriminatoria ascrivibile al termine “gay di merda” che costituisce una violazione inaccettabile della libertà personale, e la sprezzante denigrazione fondata sulle tendenze sessuali che evidentemente si è inteso esprimere; una frase che sottende l’immaginaria superiorità del suo autore e denota al contempo la massima repulsione verso le persone omossessuali con accostamenti pesantemente negativi, conditi con espressioni di arrogante disprezzo e ingiustificata asprezza.
Né può convenirsi con quanto sostenuto dalla Corte territoriale, secondo cui l’espressione di cui trattasi assumerebbe valenza discriminatoria solo se indirizzata ad una persona di cui sia noto l’orientamento omosessuale; al contrario, essa costituisce oggettivamente riflesso di un’avversione irrazionale basata su rozzi pregiudizi che prescindono dalla dimensione putativa circa le reali attitudini sessuali della persona fatta oggetto dell’insulto omofobo.
In tale quadro, il reclamo in esame sollecita la Corte al dovere di sanzionare, in misura effettiva, proporzionata e dissuasiva, condotte d’odio particolarmente lesive di diritti fondamentali, miranti a colpire velenosamente la sfera personale dell’avversario, indipendentemente dalla natura etero o omosessuale di questi.
III.4. Quanto sopra annotato concorre ad iscrivere il comportamento discriminatorio di omofobia nell’ambito di condotte lesive della dignità umana, che costituisce un valore appartenente alla sfera dei diritti inviolabili.
Ciò connota la condotta agita di particolare gravità, che non può essere derubricata a illecito antisportivo e nemmeno attenuata da asserite provocazioni del calciatore avversario.
Ne discende l’irrilevanza della prova testimoniale richiesta dal reclamato, fermo restando che, per principio consolidato, la giustizia sportiva è ispirata a ragioni di speditezza che mal si conciliano con l’espletamento di prove orali, se non assolutamente necessarie per assumere la decisione. Pertanto i procedimenti in ordine alle infrazioni disciplinari si svolgono sulla base degli elementi contenuti nel rapporto e nelle deduzioni difensive, ossia sulla base delle evidenze documentali e delle prove precostituite, rispetto alle quali la prova testimoniale costituisce eccezione. Il che, del resto, si evince dall’espressione “necessità di provvedere”, cui fa riferimento l’art. 60 CGS, espressione che, altrimenti, costituirebbe un mero pleonasmo (CFA, SS.UU., n. 8/2024-2025; sez. 1, n. 99/CFA/2024-2025).
III.5 Quanto al profilo probatorio, è sufficiente richiamare il costante orientamento della Corte circa il valore di piena prova dei fatti accaduti che l’art. 61 C.G.S. assegna al rapporto arbitrale e ai relativi eventuali supplementi.
Nel caso di specie, il referto del Direttore di gara attesta che il Cerrone ha indirizzato la frase “gay di merda” al suo avversario, la cui identità, benché non indicata nel rapporto arbitrale, è perfettamente nota al resistente tanto che, nei suoi scritti difensivi, ne indica il nome (Essid Amine) e il numero di maglia (8), attribuendo allo stesso la provocazione che avrebbe suscitato la sua reazione culminata negli insulti discriminatori rivolti al calciatore avversario.
III.6. Sotto altra prospettiva, inerente alla contestata idoneità formale e probatoria del supplemento di referto, nel quale l’arbitro ha precisato che il Cerrone si è rivolto ad un avversario “di colore” apostrofandolo con il termine “negro”, la Corte osserva che, diversamente da quanto argomentato dalla difesa Cerrone, non è ravvisabile alcuna incertezza circa la provenienza e la destinazione della mail recante il supplemento di referto, che risulta trasmessa dall’indirizzo di posta elettronica dell’arbitro Enea Zanella alle ore 7,15 del 26 febbraio 2025 e consegnata al destinatario alle ore 8,12 del giorno successivo.
Inoltre, tale atto è sicuramente entrato a far parte del materiale probatorio all’esame del Giudice sportivo. Tanto si evince non solo dall’annotazione “visto il GS” apposta in calce al documento, ma soprattutto dalla motivazione che sorregge la squalifica irrogata al Cerrone per la condotta da questi tenuta e consistita nell’ “aver rivolto frasi offensive per motivi di discriminazione basati sul sesso e colore nei confronti di un giocatore avversario”.
Il che porta incontestabilmente a ritenere che il Giudice sportivo ha avuto indubbia contezza del supplemento di referto arbitrale, posto che l’informazione inerente all’insulto razziale sul colore della pelle è stata veicolata soltanto con detto documento.
La circostanza che il referto supplementare sia stato redatto non nell’immediatezza della gara, ma solo successivamente, lungi dal risultare “incomprensibile” e poter rappresentare motivo di invalidità dell’atto, è ascrivibile invece all’esigenza, avvertita dal Direttore di gara o sollecitata dal Giudice sportivo, di qualificare con maggiore precisione i fatti cui il rapporto originario ha inteso alludere con l’espressione “eccetera”. La vaghezza di questa locuzione, giustamente stigmatizzata dal Cerrone, è stata emendata con le precisazioni rese dal Direttore di gara nel referto supplementare, alle quali fa implicito, ma inequivoco riferimento la decisione del Giudice sportivo.
III.7. Con riguardo, poi, alla pec 7 marzo 2025, con cui la Corte territoriale di appello ha trasmesso all’avvocato Giulio Cerrone gli atti del giudizio ivi celebrato, si deve osservare che nella piattaforma PST risulta inserita, in data 25 maggio 2025, la documentazione relativa agli “atti primo grado reclamo 115”.
All’interno di detta produzione sono inseriti sei documenti, tra cui: i) la copia integrale della pec 7 marzo 2025 alla cui ultima pagina è inserito il supplemento di rapporto arbitrale e ii) l’atto denominato “sommario reclamo”. Quest’ultimo elenca la documentazione dei precedenti gradi di giudizio e indica al n. 3 la “PEC DEL 7.03.pdf” con l’indice della documentazione ad essa allegata, che contempla al numero 3 lett. b) il “supplemento di rapporto”.
Quanto sopra suggerisce che il referto supplementare sia confluito dal fascicolo del Giudice sportivo, che su di esso ha basato la propria decisione, a quello della Corte territoriale e che l’atto stesso costituisse un allegato della “PEC DEL 7.03.pdf” trasmessa alla difesa del calciatore.
Insomma, le evidenze di causa attestano che il documento è stato regolarmente inserito nel fascicolo processuale sin dal primo grado di giudizio ed è stato consegnato alla difesa Cerrone. Invece, il documento n. 5 (denominato Pec del 7.3.2025) da questa depositato per sostenere di non aver mai avuto notizia dell’esistenza del referto supplementare, non corrisponde alla copia integrale in formato pdf della PEC DEL 7.03.pdf, esso consistendo soltanto nella riproduzione di alcuni degli atti ad essa allegati.
III.8 In ogni caso, a prescindere da dette evidenze, la Corte giudica irrilevante ai fini del giudizio lo scrutinio circa la comunicazione, la regolarità formale e il deposito in giudizio del referto supplementare del Direttore di gara.
Al riguardo vale considerare che la decisione del Giudice sportivo posta a sostegno della squalifica, fa riferimento all’oltraggio per ragioni di discriminazione basate sul sesso e sul colore; il provvedimento deve quindi ritenersi plurimotivato, appunto perché basato su due distinte ragioni ognuna delle quali idonea a concretizzare la fattispecie di autonoma condotta discriminatoria e da sola sufficiente a giustificare la sanzione irrogata.
Secondo la consolidata giurisprudenza, condivisa anche da questa Corte, in presenza di provvedimenti con motivazione plurima, solo l’accertata erroneità di tutti i singoli profili su cui essi risultano incentrati può comportare l’illegittimità e il conseguente effetto annullatorio dei medesimi.
In sostanza, in caso di decisione fondata su una pluralità di ragioni tra loro indipendenti ed autonome, la fondatezza e legittimità anche di una sola di tali ragioni rendono superfluo l’esame dei motivi relativi alle altre parti del provvedimento dovendo, in tal caso, acclararsi la correttezza della decisione.
Come sopra evidenziato non è dubbio che il Cerrone ha apostrofato il suo avversario con l’epiteto omofobo “gay di merda”, dal palese intento denigratorio.
Tanto è sufficiente a giudicare integrato il comportamento discriminatorio riconducibile alla fattispecie di illecito disciplinare di cui all’art. 28, comma 1, C.G.S. e a rendere applicabile la sanzione inflitta dal Giudice sportivo della squalifica nella misura minima edittale di dieci giorni di gara, ai sensi del secondo comma della stessa norma, anche a prescindere dall’ulteriore insulto a sfondo razziale in ragione del colore della pelle.
IV) In conclusione, tenuto conto della natura e della gravità dei fatti, per la violazione di cui all’art. 28, 1° co., C.G.S. (Comportamenti discriminatori), alla luce della sanzione prevista dal comma 2 dello stesso articolo per il calciatore che commetta una violazione di cui al comma 1, si ritiene giusta e proporzionata la sanzione minima edittale della squalifica per 10 (dieci) giornate di gara.
Il reclamo del Presidente federale, pertanto, deve essere accolto e, in riforma della decisione della Corte sportiva d’appello territoriale presso il Comitato regionale Emilia Romagna, pubblicata sul C.U. n. 138 del 19.03.2025, questa Corte conferma la sanzione inflitta dal Giudice sportivo di squalifica del calciatore Damiano Cerrone per dieci gare effettive.
P.Q.M.
Accoglie il reclamo in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, irroga al Sig. Damiano Cerrone la sanzione della squalifica per 10 giornate effettive di gara.
Dispone la comunicazione alle parti con PEC.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Domenico Giordano Mario Luigi Torsello
Depositato
IL SEGRETARIO
Fabio Pesce