• Stagione sportiva: 2005/2006
F.I.G.C. – Commissione d’Appello Federale – CAF – 2005-2006 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale FIGC n. 6/C del 06/08/05
RECLAMO DEL SIG. DAL CIN FRANCESCO AVVERSO LA SANZIONE
DELLA INIBIZIONE PER ANNI CINQUE (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6,
C.G.S.), CON PROPOSTA AL PRESIDENTE FEDERALE DI PRECLUSIONE
ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA
F.I.G.C. (ART. 14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN
RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO
DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della
Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com.
Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. DAL CIN MICHELE, AVVERSO LA SANZIONE
DELLA INIBIZIONE PER ANNI TRE E MESI UNO, (ART. 6 COMMI 1, 5 E
6 C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA
GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. PAGLIARA GIUSEPPE, AVVERSO LA SANZIONE
DELL’INIBIZIONE PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6 E ART.
14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA
GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. PREZIOSI ENRICO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE
PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6, C.G.S.) CON
PROPOSTA AL PRESIDENTE FEDERALE DI PRECLUSIONE ALLA
PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C.,
(ART. 14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE
ALLA GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della
Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com.
Uff. n.10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. CAPOZUCCA STEFANO, AVVERSO LA SANZIONE
DELL’INIBIZIONE PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6 E ART.
14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA
GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
40/6
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL GENOA CRICKET AND F.C., AVVERSO LA SANZIONE
DELLA RETROCESSIONE ALL’ULTIMO POSTO DEL CAMPIONATO DI
SERIE B PER LA STAGIONE AGONISTICA 2004/2005 (ART. 13, LETT.
G), C.G.S.) E QUELLA DELLA PENALIZZAZIONE DI TRE PUNTI IN
CLASSIFICA DA SCONTARE NELLA STAGIONE AGONISTICA
2005/2006 (ART. 6, COMMI 1 E 6, E ART. 13, LETT. F), C.G.S.), PER ILLECITO
SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA
DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega
Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL CALCIATORE LEJSAL MARTIN AVVERSO LA SANZIONE
DELLA SQUALIFICA PER MESI SEI (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6,
ART.14, COMMA 1 , LETT. G) E COMMA 5 C.G.S.), PER ILLECITO
SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA
DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega
Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL CALCIATORE BORGOBELLO MASSIMO, AVVERSO LA
SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI CINQUE (ART. 6, COMMA
7, E ART. 14, COMMA 1, LETT. G) C.G.S.), IN RELAZIONE ALLA GARA
GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
F.I.G.C. – Commissione d’Appello Federale - CAF – 2005-2006 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale FIGC n. 6/C del 06/08/05
RECLAMO DEL SIG. DAL CIN FRANCESCO AVVERSO LA SANZIONE
DELLA INIBIZIONE PER ANNI CINQUE (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6,
C.G.S.), CON PROPOSTA AL PRESIDENTE FEDERALE DI PRECLUSIONE
ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA
F.I.G.C. (ART. 14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN
RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO
DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della
Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com.
Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. DAL CIN MICHELE, AVVERSO LA SANZIONE
DELLA INIBIZIONE PER ANNI TRE E MESI UNO, (ART. 6 COMMI 1, 5 E
6 C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA
GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. PAGLIARA GIUSEPPE, AVVERSO LA SANZIONE
DELL’INIBIZIONE PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6 E ART.
14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA
GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. PREZIOSI ENRICO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE
PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6, C.G.S.) CON
PROPOSTA AL PRESIDENTE FEDERALE DI PRECLUSIONE ALLA
PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C.,
(ART. 14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE
ALLA GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della
Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com.
Uff. n.10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. CAPOZUCCA STEFANO, AVVERSO LA SANZIONE
DELL’INIBIZIONE PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6 E ART.
14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA
GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
40/6
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL GENOA CRICKET AND F.C., AVVERSO LA SANZIONE
DELLA RETROCESSIONE ALL’ULTIMO POSTO DEL CAMPIONATO DI
SERIE B PER LA STAGIONE AGONISTICA 2004/2005 (ART. 13, LETT.
G), C.G.S.) E QUELLA DELLA PENALIZZAZIONE DI TRE PUNTI IN
CLASSIFICA DA SCONTARE NELLA STAGIONE AGONISTICA
2005/2006 (ART. 6, COMMI 1 E 6, E ART. 13, LETT. F), C.G.S.), PER ILLECITO
SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA
DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega
Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL CALCIATORE LEJSAL MARTIN AVVERSO LA SANZIONE
DELLA SQUALIFICA PER MESI SEI (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6,
ART.14, COMMA 1 , LETT. G) E COMMA 5 C.G.S.), PER ILLECITO
SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA
DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega
Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL CALCIATORE BORGOBELLO MASSIMO, AVVERSO LA
SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI CINQUE (ART. 6, COMMA
7, E ART. 14, COMMA 1, LETT. G) C.G.S.), IN RELAZIONE ALLA GARA
GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
LA CAF
Composta dai Sigg.ri: Cesare Martellino – Presidente - ; Sergio Artico ; Raffaele De
Luca Comandini ; Gerardo Mastrandrea; Sandro Sperandio – Componenti;
Riunita in Roma nei giorni 5 e 6 agosto 2005;
Definitivamente pronunciando sugli appelli presentati da:
• Sig.ri Enrico PREZIOSI, Matteo PREZIOSI e Stefano CAPOZUCCA, rispettiva
mente Presidente, Collaboratore e Direttore Generale della soc. Genoa Cricket
and Football Club;
• Genoa Cricket and Football Club;
• Sigg.ri Francesco DAL CIN, Michele DAL CIN e Giuseppe PAGLIARA, rispettiva
mente Amministratore delegato, Direttore Generale e General Manager della A.C.
Venezia 1907;
• Sig. Martin LEJSAL;
• Sig. Massimo BORGOBELLO;
avverso le sanzioni inflitte dalla Commissione disciplinare presso la Lega Nazionale
Professionisti in merito alla gara Genoa-Venezia del giorno 11.6.2005 (Delibera
della Commissione disciplinare di cui al com. uff. n. 10 del giorno 27.7.2005);
così decide:
I. Il procedimento
Con atto del 17.7.2005 il Procuratore Federale deferiva alla Commissione disciplinare
presso la Lega Nazionale Professionisti i signori Enrico PREZIOSI, Matteo
PREZIOSI e Stefano CAPOZUCCA, rispettivamente Presidente, Collaboratore e
Direttore Generale della soc. Genoa Cricket and Football Club; Francesco DAL CIN,
Michele DAL CIN e Giuseppe PAGLIARA, rispettivamente Amministratore delegato,
Direttore Generale e General Manager della A.C. Venezia 1907; Martin LEJSAL e
Massimo BORGOBELLO, calciatori della soc. Genoa Cricket and Football Club;
Massimiliano ESPOSITO, calciatore della A.C. Venezia 1907, e Roberto CRAVERO
nonché le due stesse società Genoa Cricket and Football Club ed A.C. Venezia
1907 in relazione alla gara Genoa-Venezia del Campionato nazionale di serie “A”
del giorno 11.6.2005. Li deferiva, per violazione dell’art. 6, commi 1 e 5, del C.g.s.
i Preziosi, il Capozucca, i Dal Cin, il Pagliara, il Lejsal ed il Borgobello; per violazione
dell’art. 1, comma 1, del C.g.s. l’Esposito ed il Cravero e per violazione dell’art. 6,
commi 3, 4 e 6, e dell’art. 2, commi 3 e 4, del C.g.s. le società, per aver posto in
essere, i tesserati appena detti, prima della gara ed in concorso tra di loro (e con
altri soggetti rimasti sconosciuti) atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato
della gara stessa; in estrema sintesi, per avere chiesto il Lejsal, su sollecitazione dei
dirigenti della A.C. Venezia Michele Dal Cin e Pagliara, di essere sostituito,
adducendo un infortunio del tutto inesistente; per avere consegnato il Preziosi al
Pagliara la somma in contanti di e 250.000,00 senza alcun lecito fondamento
causale; da ultimo, per avere reso agli Organi inquirenti federali, l’Esposito ed il
Cravero, dichiarazioni giudicate reticenti e non veritiere.
Nel corso del dibattimento, svoltosi nei giorni 23 e 24 luglio c.a. 2005, la
Commissione disciplinare respingeva preliminarmente le eccezioni sollevate dal
Borgobello, dal Pagliara e da Michele Dal Cin in relazione alla dedotta nullità delle
notificazioni dell’atto di convocazione, osservando, in breve, che l’atto aveva raggiunto
il suo scopo e che per questa ragione non poteva essere ritenuto invalido.
Accoglieva invece l’eccezione sollevata da Matteo Preziosi, il cui atto gli era stato
notificato oltre il termine di cui all’art. 37, comma 2, del C.g.s., e ne disponeva la
separazione. Chiamata a pronunziarsi su altre questioni, dichiarava il proprio
difetto di giurisdizione nei confronti della A.C. Venezia 1907 perché società la cui
affiliazione alla F.I.G.C. era stata revocata il 14.7.2005 (provvedimento del
Presidente Federale di cui al com. uff. n. 6/A dello stesso 14.7.2005); ammetteva la
partecipazione al dibattimento della società Treviso a norma dell’art. 37, comma 7,
del C.g.s., in quanto portatrice di interesse indiretto per ragioni di classifica; rigettava la richiesta di sospensione e di rinvio del procedimento all’esito del processo
penale, rilevando la piena autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento
statale e come l’esercizio dell’azione penale non influisse in alcun modo sui
provvedimenti di competenza degli organi sportivi ed il procedimento penale non
precludesse il normale svolgimento del procedimento disciplinare sportivo;
respingeva la medesima richiesta di sospensione del procedimento anche sotto il
diverso profilo di cui al D.Lgs. N. 196/2003, di cui non ravvisava violazione di alcun
genere; dichiarava pienamente utilizzabili le intercettazioni telefoniche ed ambientali
eseguite nel procedimento penale ordinario ed acquisite al procedimento disciplinare,
ritenendo del tutto legittima tale acquisizione (espressamente prevista dall’art.
2, comma 3, della L. n. 401/1989 ed anche dagli artt. 21 e 27 del D.Lgs. n.
196/2003) ed osservando che le limitazioni di cui all’art. 270 c.p.p. non devono considerarsi
operanti nel procedimento sportivo; dichiarava la propria giurisdizione nei
confronti dei Dal Cin, nonostante l’intervenuta dichiarazione di fallimento della A.C.
Venezia 1907, rilevando il loro status di tesserati della F.I.G.C. al momento del fatto
loro contestato; dichiarava ancora la propria giurisdizione nei confronti del Pagliara
essendo tenuti i collaboratori delle società all’osservanza delle norma federali e
dunque alla giurisdizione dei relativi Organi della giustizia sportiva (art. 22, comma
1, e 27, comma 1, del C.g.s.); non accoglieva la richiesta di interprete formulata nell’interesse
del Lejsal, non essendo emersa nel corso delle indagini difficoltà alcuna
nel comprendere la lingua italiana e nell’esprimersi in questa lingua; da ultimo,
respingeva l’eccezione di genericità del capo di incolpazione, sollevata ancora nell’interesse
del Lajsal, rilevando che la condotta contestatagli era dettagliatamente
enucleata nei suoi elementi costitutivi.
Passando al merito, accoglieva il deferimento nei confronti di tutti (ad eccezione
dell’Esposito) ed infliggeva:
- al Preziosi, l’inibizione per il periodo di anni cinque (art. 6, commi 5 e 6, ed art. 14,
comma 2, del C.g.s.), con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza
in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. (art. 14, comma 2, del C.g.s.);
- al Capozucca, l’inibizione per il periodo di anni cinque (art. 6, commi 5 e 6, ed art.
14, comma 2, del C.g.s.);
- a Francesco Dal Cin, l’inibizione per il periodo di anni cinque (art. 6, commi 5 e 6,
ed art. 14, comma 2, del C.g.s.), con proposta al Presidente Federale di preclusione
alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. (art. 14, comma 2, del
C.g.s.);
- a Michele Dal Cin, l’inibizione per il periodo di anni tre e mesi uno (art. 6, commi
5 e 6, del C.g.s.);
- al Pagliara, l’inibizione per il periodo di anni cinque (art. 6, commi 5 e 6, ed art.
14, comma 2, del C.g.s.);
- al Borgobello, la squalifica per il periodo di mesi cinque (art. 6, comma 7, ed art.
14, comma 1 lettera g, del C.g.s.);
- al Cravero, l’inibizione per il periodo di mesi quattro (art. 6, comma 7, ed art. 14,
comma 1 lettera e, del C.g.s.);
- al Lejsal, la squalifica per il periodo di mesi sei (art. 6, commi 5 e 6, ed art. 14,
comma 1 lettera g, del C.g.s.);
- alla società Genoa Cricket and Football Club s.p.a, la retrocessione all’ultimo
posto in classifica del campionato di serie “B” per la stagione agonistica 2004-2005
(art. 13, lettera g, del C.g.s.) e la penalizzazione di punti tre in classifica da scontare
nella stagione agonistica 2005-2006 (art. 6, comma 6, ed art. 13, lettera f, del
C.g.s.). Borgobello, la squalifica per il periodo di mesi cinque (art. 6, comma 7, ed
art. 14, comma 1 lettera g, del C.g.s.).
La Commissione stigmatizzava, preliminarmente, la convinzione espressa sia
dal Prezioni che da Francesco Dal Cin, che “una squadra, giunta a fine campionato
senza particolari stimoli di classifica o di necessità di risultato, debba – ove
impegnata in una gara con un avversario che invece sia spinto da tali stimoli o
necessità – mantenere un comportamento di giuoco ed un atteggiamento ‘allineati’
alle aspettative dell’avversario”. Spiegava poi che già nel fatto di essersi accordati
ed attivati, il Preziosi e Francesco Dal Cin, perché la prestazione del Venezia nella
gara del giorno 11.6.2005 fosse “normale” ed il risultato fosse quello “che doveva
essere”, e cioè perché il Genoa vincesse ed il Venezia perdesse, andava ravvisata
la violazione dell’art. 6, comma 1, del C.g.s. che è norma, chiariva ulteriormente,
che delinea illecito a consumazione anticipata per effetto della quale va ravvisata
responsabilità disciplinare già nel mero compimento di atti diretti ad alterare lo svolgimento
o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in
classifica. Come nel caso in esame il Preziosi e Francesco Dal Cin con il fatto di
essersi accordati ed attivati perché l’esito della partita del giorno 11 giugno fosse
a favore del Geona.
“… aggravava e connotava di particolare ulteriore illiceità – osservava ancora la
Commissione - … (la) dazione di denaro da parte di Enrico Preziosi e dei suoi collaboratori
a Pagliara, nuovo general manager del Venezia”; “dazione” che “i deferiti
hanno (peraltro vanamente) cercato di dissimulare quale autonomo momento
esecutivo della … cessione al Genoa del calciatore Maldonado”. Rilevava a questo
proposito che, anche a prescindere dalla palese infondatezza della tesi difensiva,
“una pur eventuale lecita (trattativa di) cessione si traduce necessariamente in
illecito sportivo ove venga assunta – nell’intendimento dei contraenti – quale componente
sinallagmatica da inserirsi nel più ampio contesto di ‘normalizzazione’ della
gara e del suo risultato”.
Nel prendere in esame la spiegazione data dal Preziosi e da Francesco Dal Cin
in merito alla corresponsione dei 250 mila euro già ricordati la Commissione evidenziava
una duplice serie di rilievi che evidenziavano, la prima, la assoluta inattendibilità
della tesi difensiva (la cessione del calciatore Maldonado dal Venezia al
Genoa) e la fondatezza invece, la seconda, dell’ipotesi accusatoria.
La prima:
- che “la consegna del denaro, disposta da Enrico Preziosi …, sia stata preceduta
da una serie di telefonate di Pagliara ad Enrico Preziosi, a Marco Preziosi ed a
Capozucca dai toni pressanti ed esplicitamente rivelatori del comune illecito perpetrato
(‘se no li faccio tornare in B direttamente’)”;
- che soltanto all’esito della vittoria il Preziosi aveva mutato l’atteggiamento di
chiusura manifestato non più tardi di due giorni prima della gara nei confronti dei
richiedenti;
- che la corresponsione “della somma di ben 250.000 euro non (era) stata accompagnata
dal rilascio di alcuna idonea ricevuta”;
- che la consegna del denaro, in contanti, non sia stata accompagnata dall’effettiva
e dimostrata restituzione dell’assegno di 450.000 euro rilasciato a suo tempo in
garanzia;
- che “di tale assegno non sia stata rinvenuta alcuna traccia”;
- che “sia Enrico Preziosi, sia Capozucca si siano totalmente disinteressati della
sorte dell’assegno”;
- che Pagliara, che aveva materialmente ricevuto l’assegno, non è stato in grado di
(o non ha voluto) spiegare che fine avesse fatto, limitandosi maldestramente e
molto genericamente a dichiarare di averlo collocato nelle casse del Venezia;
- che al momento del sequestro il Pagliara non ha dichiarato che la somma costituiva
il (legittimo) corrispettivo della compravendita di un calciatore pagamento,
sostenendo invece (come nel corso di una telefonata con Matteo Preziosi) che era
denaro proprio;
- che nella conversazione telefonica intercorsa nell’immediatezza del sequestro tra
Francesco Dal Cin ed il Pagliara venga indicato come prezzo pattuito per la
cessione del Maldonado la somma di e 700.000 e non quella di e 450.000 risultante
dal contratto preliminare di cessione (somma di e 700.000 “stranamente”
corrispondente alla somma dei 250.000 euro sequestrati e dei 450.000 euro di
cui all’assegno);
- che “nel periodo immediatamente successivo al sequestro Matteo Preziosi,
Francesco Dal Cin e Pagliara abbiano dissertato con smaccata finalità di inquinamento
probatorio sulle diverse possibili versioni da fornire agli inquirenti circa
l’origine della somma sequestrata, quando l’asserita finalità della consegna del
denaro avrebbe dovuto costituire la più naturale giustificazione”;
- che “nel corso delle numerose conversazioni telefoniche intercorse tra i protagonisti
della vicenda nei giorni antecedenti il sequestro del denaro non è mai stato
fatto riferimento al calciatore Maldonado quale oggetto di una trattativa in corso,
mentre nel periodo successivo al sequestro si fa sistematicamente riferimento
all’accordo di cessione di tale calciatore (e pare inverosimile che l’interessato ed il
suo procuratore non ne fossero neppure a conoscenza, come confermato da
Vagheggi, procuratore del calciatore)”.
Dalla seconda serie di rilievi, invece, la persuasione che l’effettiva ragione della
consegna del denaro risiedesse nell’esito della partita del giorno 11.6.2005. Si soffermava
infatti la Commissione sul fatto:
- che nei giorni antecedenti la gara si era formato il sospetto nei dirigenti del Genoa
che il Torino, diretta concorrente per la promozione in serie “A”, si stesse attivando
per incentivare il Venezia nella gara (con lo stesso Genoa) della domenica successiva;
- che per questa ragione il Preziosi aveva attivato il Capozucca perché verificasse
la fondatezza delle voci e soprattutto perché si attivasse personalmente presso la
dirigenza del Torino per farla eventualmente desistere da ogni iniziativa non regolamentare
e presso la dirigenza del Venezia per avere “idonee garanzie” sul comportamento
della squadra;
- che i contatti con il Torino si erano esauriti in un solo colloquio con il Presidente
Romero;
- che quelli con il Venezia erano stati invece ben più incisivi ed insistenti, anche grazie
ai particolari rapporti di amicizia del Preziosi con Francesco Dal Cin;
- che quest’ultimo si era assunto, infatti, il ruolo di “garante”, come chiaramente
emerso dalle numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali e dalle
dichiarazioni degli stessi protagonisti;
- che tale ruolo era stato ricoperto concretamente ed effettivamente persino contattando
telefonicamente, durante lo svolgimento della gara (alla quale assisteva
davanti alla televisione), tale sig. Paglioni, procuratore del calciatore Vicente, per il
sorprendente ed inatteso rendimento di quest’ultimo e per il fatto di aver segnato
addirittura una rete;
- che a riprova di tale ruolo Francesco Dal Cin anche dopo il sequestro aveva suggerito
la strategia difensiva, indicando come la più conveniente “quella di
Maldonado”;
- che dai colloqui intercettati tra i calciatori Lejsal e Borgobello (“si sono messi d’accordo
tra le due società”; “anche Michele lo ha detto”; “ci sono soldi in ballo, ma
non si sa chi li prende”; “li prende la società”, “Lulù ha detto che devono perdere 3
a 0”; “c’è un vecchio accordo”) era chiaramente emerso la prova che era stato
raggiunto un accordo perché la gara avesse un certo risultato e che per questo
motivo nessuno dei calciatori del Venezia voleva scendere in campo;
- che l’esito dell’incontro a Milano tra Preziosi, Pagliara ed i nuovi dirigenti del
Venezia (“già di per sé anomalo perché svoltosi quarantotto ore prima della gara”)
aveva consentito al Preziosi di affermare che “tutto è a posto” ed a Francesco Dal
Cin di rassicurarlo ulteriormente (“Stai tranquillo! E’ tutto ok! Meglio di così non
potevamo fare!”);
- che la contestualità tra la conclusione della partita (secondo il risultato prefigurato)
e le assicurazioni del Prezioni al Pagliara circa la consegna del denaro entro brevissimo
tempo dava prova della correlazione tra risultato della gara e disponibilità
all’adempimento, puntualmente avvenuto il martedì successivo.
Sulla base di tale insieme di circostanze, “singolarmente considerate nella loro
specifica significanza nonché unitamente valutate nel loro complessivo intrinsecarsi”
riteneva la Commissione che la dazione del denaro configurava “una concreta
captatio benevolentiae nei confronti de dirigenti del Venezia non soltanto affinché
costoro rifiutassero qualsiasi premio a vincere contro il Genoa, ma anche perché
garantissero il tanto atteso favore a favore del Genoa”; che la consegna del denaro
costituisse la prova, insomma, della sussistenza dell’illecito, senza che a nulla
servissero approfondimenti sulla effettività del trasferimento del Maldonado e sui
rapporti tra il Torino ed il Venezia.
Alla luce di premessa come questa e passando all’esame delle singole
posizioni, riteneva la Commissione che l’”apporto casuale alla realizzazione dell’illecito”
da parte del Preziosi, del Capozucca, di Francesco Dal Cin e di Pagliara
fosse di “solare evidenza”. A conclusione analoga perveniva anche con riferimento
a Michele Da Cin, che, “pur non (avendo rivestito) una posizione apicale”, aveva
comunque avuto un ruolo determinante nella realizzazione dell’illecito, ”in quanto
alter ego del padre Francesco Dal Cin (‘è come se fossi io!’)” ed in quanto soggetto
che aveva intrattenuto rapporti con i calciatori del Venezia per la “normalizzazione”
della gara e che aveva presenziato a questa quale garante del suo svolgimento
nei termini concordati. Quanto al Lejsal, il contrasto tra le affermazioni resa
a dibattimento e le precedenti rese all’Autorità giudiziaria ed all’Ufficio indagini rendeva
evidente la sua responsabilità in ordine all’illecito contestatogli, anche se il
particolare contributo dato all’accertamento dei fatti lo rendeva meritevole dell’attenuante
di cui all’art. 14 n. 5 del C.g.s.. In relazione al Borgobello la Commissione
non riteneva raggiunta la prova di un suo concorso nella realizzazione dell’illecito,
dal quale dunque lo proscioglieva. Rilevava tuttavia che il suo comportamento integrava
alla perfezione l’ipotesi prevista dall’art. 6, comma 7, del C.g.s. dal momento
che pure a conoscenza dell’illecito che stava per essere commesso, non ne
aveva fatto denunzia. A conclusioni analoghe perveniva a proposito del Cravero,
nel senso questi, venuto a conoscenza di un (vero o presunto, poco importa) illecito
che stava per essere compiuto (quello riferitogli dal Capozucca in merito a certe
iniziative del Torino) si era reso responsabile (non) della violazione (contestatagli di
cui all’art. 1 del C.g.s., ma di quella) di cui all’art. 6, comma 7 del C.g.s., per avere
omesso di farne denunzia.
Condannava ciascuno pertanto, e come già rilevato, alle sanzioni indicate in
precedenza e la soc. Genoa, ritenuta responsabile diretta dell’illecito commesso da
suoi dirigenti, alla sanzione pure indicata in precedenza. Proscioglieva l’Esposito,
invece – lo si è già ricordato - ritenendo del tutto marginali le difformità delle sue
affermazioni rispetto a quelle di altri tesserati ed osservando, comunque, come
mancasse ogni riscontro alla veridicità dell’una versione dei fatti rispetto all’altra.
Avverso tale decisione proponevano appello il Preziosi, il Capozucca ed ovviamente
la soc. Genoa che sottoponevano all’attenzione di questa Commissione
d’Appello motivi sostanzialmente identici. Riproponevano preliminarmente la
questione già fatta valere in sede di giudizio di primo grado, e cioè la inutilizzabilità
delle intercettazioni disposte dall’Autorità Giudiziaria ordinaria nell’ambito del
procedimento penale a carico del Preziosi (e di altri) e questo sulla base di quanto
previsto dall’art. 270 c.p.p. secondo il quale “i risultati delle intercettazioni non
possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state
disposte”; procedimenti, tenevano a far presente, non solo penali, ma anche –
come agevolmente desumibile dalla interpretazione letterale della norma e dall’uso
da questa fatto del termine “procedimento” senza aggettivazione alcuna - in
qualsiasi altro procedimento, sia civile che amministrativo o disciplinare.
Insistevano sulla tesi della inutilizzabilità anche sotto altro e diverso profilo, quello
della autonomia dell’ordinamento sportivo, da non potersi riguardare come antinomia
rispetto all’ordinamento generale e non potendo trovare ostacolo l’operatività
di una norma di quest’ultimo, in assenza di deroga espressa, in un ordinamento
particolare quale quello sportivo. E’ vero, riconoscevano gli appellanti, che per
effetto dell’art. 2, comma 3, della L. n. 401/1989 gli organi della giustizia sportiva
possono chiedere, ricevere ed utilizzare atti di un procedimento penale, ma soltanto
quelli, teneva a sottolineare, dei quali a norma del codice di procedura è
consentito il trasferimento da un procedimento ad un altro. Chiedevano, dunque,
declaratoria di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni e l’adozione dei
conseguenti provvedimenti del caso, sia con riguardo agli atti di indagini che alla
decisione impugnata. Passando al merito osservavano, da un lato, come non fosse
intervenuta telefonata alcuna tra i dirigenti delle due società, Genoa e Venezia,
durante la settimana precedente la gara e, dall’altro, come il Preziosi si fosse
attivato soltanto a seguito della segnalazione del Cravero (essere in atto manovre
volte ad alterare l’andamento della gara Genoa-Venezia); attivato non nel senso di
“corrompere i dirigenti del Venezia o i giocatori di quella squadra”, ma di “sventare
l’ordito truffaldino che si andava tessendo in danno della sua società”. Da qui i
colloqui (e gli incontri) con i dirigenti del Torino e del Venezia e da qui la preoccupata
richiesta di assicurazioni da parte del Preziosi al Dal Cin, fino alla vigilia della
gara, sul fatto che non vi sarebbero state “turbative”. Quanto alla somma di euro
250.000 consegnata al Pagliara ribadivano trattarsi non di altro che di un acconto
al Venezia per l’acquisto del calciatore Maldonado, come dimostrato dalle concordi
dichiarazioni dei protagonisti della vicenda e, soprattutto, dall’effettiva esistenza
dell’assegno da e 450.000 (dato dal Genoa al Venezia in garanzia), il cui numero di
serie e la cui banca erano stati trascritti nella ricevuta a firma Pagliara acquisita agli
atti del procedimento. Poiché la gara si era svolta, dunque, in modo del tutto regolare
e senza che fosse stato pattuito compenso alcuno, come ulteriormente
dimostrato dalle dichiarazioni degli allenatori e di diversi calciatori delle due
squadre, da un canto, e dalle non inequivoche affermazioni di quanti hanno parlato,
invece, dell’illecito, chiedevano l’annullamento della decisione impugnata. In
subordine il dimensionamento delle sanzioni inflitte, giudicate particolarmente
severe.
Impugnavano la decisione della Commissione disciplinare anche Francesco e
Michele Dal Cin. Contestavano in primo luogo sia che la Giustizia sportiva potesse
esercitare la sua giurisdizione nei loro confronti (che non ricoprivano più, anche a
seguito del fallimento della società Venezia, incarichi federali di alcun genere) sia
che nel corso del giudizio di primo grado si fossero utilizzati i risultati delle intercettazioni
telefoniche. Esposti, a quest’ultimo proposito, rilievi sostanzialmente
analoghi a quelli richiamati in precedenza (ai quali, per evitare inutili ripetizioni, si
rimanda), chiedevano il proprio proscioglimento. Lo chiedevano anche con riferimento
al merito della contestazione. Rilevavano infatti, ed in secondo luogo, che la
pur censurabile opinione secondo la quale è naturale il ridotto impegno di una
quadra che non rischia nulla sul campo, non poteva dar luogo a responsabilità
disciplinare, posto che semplici opinioni, ancorché aberranti, non possono costituire
illecito sportivo e posto che i colloqui intercettati non costituivano prova di
alcun genere in merito al presunto compimento di atti volti ad alterare il regolare
svolgimento della gara, dimostrando essi la sola loro preoccupazione di rassicurare
il Preziosi circa la regolarità della gara che sarebbe stata disputata da lì a qualche
giorno. Chiarivano poi il reale significato dell’invito fatto al Lejsal di scendere in
campo (evitare che una partita tanto delicata potesse destare i sospetti dell’Ufficio
Indagini) e soprattutto l’infondatezza di “porre in connessione il comportamento e
gli atti del Pagliara” con loro medesimi in merito alla vicenda dei 250.000 euro.
Precisavano a questo proposito che il Pagliara era collaboratore del neo presidente
del Venezia, sig. Gallo, e che lo stesso nulla aveva a che fare con il loro ruolo e la
loro posizione. Non contestavano di essere intervenuti nel consigliare una versione
convincente in relazione alla consegna dei 250.000 euro, ma precisavano che circostanza
come questa era del tutto irrilevante ai fini dell’illecito specificamente loro
contestato riguardando esso la cessione del calciatore Maldonado. Chiedevano, in
definitiva, il loro proscioglimento.
E’ la volta del Pagliara, anch’egli appellante avverso la decisione della
Commissione disciplinare. Il Pagliara impugnava anzi, ed innanzi tutto, l’ordinanza
dalla Commissione disciplinare in merito alla presunta validità della notifica dell’avviso
relativo alla celebrazione del giudizio di primo grado, contestando che l’atto
avesse comunque raggiunto il suo scopo, dal momento che il ritardo della notifica
gli aveva impedito di poter disporre di “tempo adeguato per organizzare la propria
attività defensionale”. Ribadiva poi l’insussistenza di giurisdizione da parte
della Giustizia sportiva non rivestendo egli la qualifica di dirigente della soc. Venezia
e non essendone anzi neppure un collaboratore, “posto che il contratto che lo legava
alla società era improntato a mera consulenza tecnica di supporto agli effettivi
dirigenti” e posto che neppure in concreto aveva svolto una qualche attività in
ragione della quale gli si potesse attribuire la qualifica di collaboratore. Come altri
nel medesimo procedimento, contestava, infine, la utilizzabilità nel giudizio sportivo
delle intercettazioni disposte ed eseguite in sede penale: le ragioni, sostanzialmente
le stese di quelle esposte a proposito degli altri appellanti; ragioni alle quali
per economia di esposizione si rimanda. Passando al merito, protestava la correttezza
del suo operato attribuendo ad erronea interpretazione delle emergenze probatorie
(dei risultati delle intercettazioni telefoniche, in primis) le conclusioni della
commissione disciplinare, quella Commissione che, a suo parere, non era andata
oltre “un coacervo di affermazioni apodittiche, contraddittorie che in alcuni punti
debordano dal piano fattuale e giuridico a quello meramente etico morale”. Si era
trattato, in realtà, della “necessità dei dirigenti del Venezia di avere disponibilità di
soldi in contanti, tramite la parziale anticipazione di quanto dovuto in forza dell’accordo
per l’acquisto di Maldonado, al fine di pagare velocemente gli stipendi ai calciatori
che stavano partendo a fine campionato” e dunque dell’assensa di una qualsivoglia
connotazione di illecito nella sua, come nella condotta di tutti i protagonisti
della vicenda. Sollecitava, di conseguenza, il proprio proscioglimento, non senza
aver fatto rilevare, quanto alla sanzione inflittagli, la pesante sproporzione rispetto
al ruolo (eventualmente ed a tutto concedere) avuto nella vicenda.
Anche il Lejsal impugnava la decisione della Commissione disciplinare. Anche
ad ammettere l’esistenza di illecito, teneva a far presente di aver fatto resistenza nel
sostituire il portiere titolare non per altro che per il solo desiderio di evitare una gara
il cui risultato finale sarebbe stato per più motivi (prevedibilmente) molto pesante.
Segnalava di essere sceso comunque in campo, di essersi impegnato al massimo
delle sue possibilità e di non aver fatto rientro in campo dopo il primo tempo sol
perché effettivamente e realmente infortunatosi al termine del primo, come attestato
dalla documentazione prodotta. In assenza, dunque, di un qualche suo comportamento
volto ad alterare lo svolgimento della gara, chiedeva di essere prosciolto.
In subordine, di essere assoggettato a sanzione ancora più modesta “in consider49/
azione … della ‘limitata partecipazione alla vicenda’ e per quell’’atteggiamento di
lealtà’ riconosciuto nella stessa decisione” della Commissione disciplinare.
Proponeva appello, da ultimo, il Borgobello. Assumeva l’avvenuta “violazione
del principio di correlazione tra deferimento e decisione sotto il duplice profilo a)
della differenza tra l’illecito inizialmente ascritto … e quello poi addebitato …; b)
della distinzione del titolo dell’illecito configurato ex art. 6 comma 1 c.g.s. rispetto
a quello dell’infrazione affermata come sussistente a suo carico (omessa denunzia
ex art. 6 comma 7 c.g.s.)”. Chiedeva, in accoglimento di tale motivo di gravame,
l’annullamento della decisione impugnata che avrebbe dovuto “sospendere il
giudizio e rimettere ‘senza indugio’ gli atti all’Ufficio Indagini ex art. 37 comma X
c.g.s.”. “… meramente apparente, generica, contraddittoria (e) nella sostanza del
tutto carente ed infine mancante, in punto di sussistenza dell’omessa denunzia, particolarmente
laddove si è asserita l’esistenza della consapevolezza ‘… vi fossero
stati già da tempo tentativi di illecito’” giudicava poi la motivazione della decisione
che era pervenuta alla sua condanna. Spiegava, infatti, che il contesto nel quale
erano state cadute le affermazioni del Lejsal lasciavano pensare ad un pretesto da
parte di quest’ultimo di non prendere parte alla gara, piuttosto che alla reale
esistenza di tentativi di influire sulla gara della sua squadra con il Genoa. Senza dire
della materiale impossibilità, da parte sua, data l’imminenza della gara, di verificare
in qualche modo la fondatezza delle affermazioni del compagno di squadra,
peraltro contraddittorie e date in maniera poco seria e credibile; peraltro ancora
smentite dal dato oggettivo e realmente accaduto costituito dall’infortunio occorso
al Lejsal al termine del primo tempo; quell’infortunio che escludeva che il compagno
non avesse ripreso il gioco dopo l’intervallo per una qualche illecita, diversa
ragione. Sollecitava il proprio proscioglimento, non senza aver richiamato
le eccezioni fatte in sede di giudizio (prima fra tutte la solita eccezione della
inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ) e non senza aver rilevato come dal
comunicato ufficiale relativo alla decisione di primo grado emergesse la presenza,
durante lo svolgimento dell’intero giudizio (giorni dedicati alla deliberazione in
camera di consiglio compresi), del Procuratore federale, in palese violazione –
sosteneva – del diritto di difesa.
Non proponeva impugnazione, ma faceva istanza di intervento al giudizio
innanzi a questa Commissione d’appello la soc. Treviso F.B.C. 1993 s.r.l., peraltro
ammessa a partecipare al procedimento (come osservato in precedenza) a norma
dell’art. 37, comma 7, del C.g.s., in quanto portatrice di interesse indiretto per
ragioni di classifica.
Nel corso della seduta del giorno 5 agosto c.a. 2005 il Procuratore federale
proponeva eccezione di inammissibilità degli appelli proposti dai Dal Cin mentre
ciascuno degli appellanti tornava a proporre ed illustrava a questa Commissione le
eccezioni esposte nei motivi scritti di appello; eccezioni, del Procuratore federale e
degli appellanti, in relazione alle quali si pronunziava come da ordinanze emesse
nel corso della seduta (e delle quali verrà dato conto nella presente motivazione).
Ciascuno illustrava, da ultimo, gli argomenti a sostegno della propria tesi, valutati
attentamente i quali questa Commissione emetteva, per i motivi che seguono, la
decisione di cui al dispositivo.
II. Le eccezioni
Con l’ordinanza pronunciata all’udienza del 5.8.2005, la C.A.F. ha provveduto su di
una serie di eccezioni preliminari, avanzate dalla Procura Federale e da varie difese,
riservandosi la motivazione unitamente al merito.
In ordine a tali eccezioni va, ora, osservato quanto segue.
La Procura Federale ha eccepito l’inammissibilità degli appelli avanzati da
Francesco Dal Cin e da Michele Dal Cin, in quanto i motivi presentati, in data 1. 8.
2005, avverso la decisione della Commissione Disciplinare risultano essere stati firmati
dagli avvocati Cesare Persichelli e Pietro Deodato e non dai due ricorrenti.
La doglianza è infondata e deve essere rigettata.
Con nota, in data 29.7.2005, infatti, Francesco Da Cin e Michele Dal Cin hanno
“impugnato la decisione n. 34 della Commissione Disciplinare presso la Lega
Nazionale Professionisti, di cui al C.U. n. 10 del 27.7.2005, con formale richiesta
degli atti relativi al procedimento” e contestualmente, nominato difensori i due
predetti avvocati firmatari dei successivi motivi di appello.
Nel Comunicato Ufficiale n. 208/A della F.I.G.C., pubblicato il 21.4.2005, a firma
del Presidente Federale, vengono, come è noto, “abbreviati i termini relativi ai
procedimenti per illecito sportivo e amministrativo” e in questo contesto, vengono
previsti, tra l’altro, i termini e le disposizioni procedurali per i procedimenti di ultima
istanza presso la Commissione d’Appello Federale.
Al punto A) delle predette disposizioni, viene previsto che “le decisioni delle
Commissioni Disciplinari potranno essere impugnate, da quanti ne avranno diritto,
entro il termine di tre giorni dalla pubblicazione delle stesse sui Comunicati Ufficiali
delle Leghe o dei Comitati Regionale di competenza” mentre al punto B) viene precisato
che “le impugnazioni dovranno essere formalizzate presso la Segreteria della
Commissione d’Appello Federale entro il termine di tre giorni dalla pubblicazione
delle stesse sui Comunicati Ufficiali delle Leghe o dei Comitati Regionali di competenza”.
Da quanto detto consegue che Francesco Dal Cin e Michele Dal Cin hanno ritualmente
impugnato, secondo le prescrizioni del Comunicato n. 208/A, la decisione
della Commissione Disciplinare, manifestando espressamente la loro volontà in
questo senso con l’impugnazione del 29.7.2005.
L’eccezione della Procura Federale deve, di conseguenza, essere rigettata.
Francesco Dal Cin e Michele Dal Cin, nelle vesti (all’epoca del fatto contestato)
rispettivamente, di amministratore delegato e direttore generale dell’A.C. Venezia,
hanno, invece, sollevato l’eccezione riguardante il “difetto di competenza degli
organi della Giustizia Sportiva” nei loro confronti.
La tesi difensiva si basa sull’argomentazione che “è errato affermare che la potestà
punitiva dell’ordinamento sportivo sopravviva al venire meno del vincolo associativo
(evenienza verificatasi, nel caso dei due ricorrenti a seguito della sentenza
dichiarativa di fallimento dell’A.C. Venezia s.r.l. e “comunque, per effetto del
provvedimento del Presidente Federale del 14.7.2005, con il quale è stata disposta la
revoca dell’affiliazione della predetta società”).
Per completezza espositiva, va preliminarmente ricordato che i due ricorrenti, nel
corso del giudizio di primo grado, hanno dichiarato di volersi sottoporre al giudizio
della Commissione “pur non essendo più tesserati federali” e che la Commissione
Disciplinare ha osservato, correttamente, che la propria competenza a decidere
non dipende dalla volontà delle parti ma dalla normativa della giustizia sportiva e
che “la giurisdizione degli organi della giustizia sportiva non viene meno nei confronti
di un soggetto non più tesserato dalla F.I.G.C.,, rilevando lo status al momento
del fatto contestato”.
La Commissione Disciplinare, a tale riguardo, ha fatto, correttamente richiamo “al
principio costantemente affermato dalla C.A.F. (v. tra le tante, Comunicato Ufficiale
16/C pubblicato il 16.1.1997) e questa Corte non può che riportarsi alla sua consolidata
giurisprudenza sul punto.
Questa conclusione non è inficiata dai motivi di appello.
Per completezza va ricordato che le sanzioni inflitte a chi, tesserato al momento del
fatto, non lo è più al momento del conseguente giudizio disciplinare, hanno lo
scopo di impedire, per il tempo della durata dell’applicazione della predetta
sanzione, un possibile nuovo tesseramento e una, conseguente, assolutamente,
inopportuna, partecipazione all’attività federale.
Partendo da questo presupposto, non può essere condivisa l’affermazione, per
quanto autorevole, riportata nei motivi, che i ricorrenti “cessando di far parte di
quell’ordinamento cessano , contemporaneamente, di essere destinatari delle
norme interne alla cui osservanza la funzione disciplinare è preordinata”.
Del resto, l’ulteriore e condivisibile, affermazione, sempre riportata nei motivi, circa
il fatto che “le sanzioni irrogabili nel procedimento disciplinare incidono per
definizione sulla posizione del soggetto colpito in seno all’organizzazione” non può
che essere integrata, per le suesposte considerazioni, con l’indispensabile riferimento
cronologico al momento del verificarsi del fatto per il quale si procede.
I ricorrenti ritengono, poi, “singolare” la decisione della Commissione Disciplinare
“in quanto, con l’ordinanza n.2 trascritta nella decisione e quindi, facente parte di
quest’ultima, veniva dichiarato il difetto di giurisdizione nei confronti dell’A.C.
Venezia perché “tale società non essendo più soggetto dell’ordinamento federale
non può essere chiamata a rispondere dinanzi agli organi della giustizia sportiva”.
Anche questa considerazione non può essere condivisa.
Facendo riferimento a quanto detto in precedenza, la posizione di Francesco Dal
Cin e Michele Dal Cin non è comparabile con quella dell’A.C. Venezia, in quanto la
società si è venuta a trovare, a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento e
del conseguente provvedimento del Presidente Federale di revoca dell’affiliazione,
nella situazione di non potere essere più iscritta nei ruoli federali, nella precedente
veste giuridica.
Il difetto di giurisdizione della giustizia sportiva è stato avanzato anche da Giuseppe
Pagliara, che sostiene “di non rientrare in alcuna delle categorie suscettibili di
sanzioni ai sensi della sopraindicata norma”.
In sostanza, la C.A.F. non potrebbe sottoporre il (non tesserato) Pagliara a giudizio,
in quanto “il contratto che lo legava all’A.C. Venezia era improntato a mera
consulenza tecnica di supporto agli effettivi dirigenti e privo di qualsiasi ruolo
di responsabilità nel senso sopra precisato: tanto da dovere essere, addirittura,
autorizzato, di volta in volta, per potere accedere ai campi di gioco” e quindi lo
rendeva estraneo alla normativa federale e a maggior ragione, non potrebbero
essergli applicate le sanzioni disciplinari previste dalle violazioni contestate.
La Commissione Disciplinare ha, sul punto, correttamente, richiamato il contrario
orientamento costante della C.A.F. (v. tra le tante, la recente decisione del 7, 8 e 9
settembre 2004, pubblicata sul Comunicato Ufficiale 7/ C del 2004).
In realtà, sussiste, infatti, la giurisdizione della giustizia sportiva nei confronti del
Pagliara, nella sua predetta veste, che, secondo la stessa descrizione fatta nei
motivi, non può non essere considerata quella di collaboratore – consulente
(come, correttamente, lo ha definito la Commissione Disciplinare) dell’A.C. Venezia,
ex art. 22 comma 1 N.O.I.F. e soprattutto, ex art. 27 dello Statuto Federale,
secondo il quale “tutti coloro che, nell’ambito della Federazione, delle Leghe,
delle società…… svolgono qualsiasi attività a carattere agonistico, tecnico,
organizzativo o affine….. hanno l’obbligo di osservare le norme del presente
Statuto e le norme federali da esso richiamate o derivate”.
Le eccezioni in materia di difetto di giurisdizione devono, quindi, essere rigettate.
La difesa del Pagliara, di Massimo Borgobello e quella di Michele Dal Cin (solo
implicitamente) hanno, nuovamente, eccepito la nullità delle notifiche delle citazioni
a giudizio davanti alla Commissione Disciplinare.
Il primo giudice aveva, puntualmente, osservato, rigettando analogo eccezione,
che “i due deferiti hanno esercitato il proprio diritto di difesa mediante l’invio, nei
termini previsti, di memoria difensiva, attività che assorbe in sé ogni questione
attinente alla ritualità della convocazione, tanto più che in tale memoria (la quale
implica, a tutta evidenza, l’effettiva conoscenza del procedimento) non è stata
sollevata nessuna eccezione sul punto”.
Il Pagliara, nei motivi, si limita ad osservare che “la notifica dell’avviso del procedimento
deve consentire alla parte di avere a disposizione un tempo adeguato per
organizzare la propria attività difensionale e che tale spazio difensionale, per ritenersi
idoneo a garantite tale diritto, deve necessariamente essere quantomeno uguale a
quello che la norma di riferimento prevede per le notifiche… e che l’atto non ha raggiunto
il suo scopo, cioè quello di consentire alla parte di avere a disposizione un
tempo adeguato per svolgere al meglio le proprie difese”.
Queste considerazioni difensive, poste nel primo giudizio e prospettate, nuovamente,
nei motivi, sono già state, come detto, risolte dalla Commissione
Disciplinare.
La C.A.F. concorda con il primo giudice sul principio (già più volte affermato; v. tra
le tante, la decisione della C.A.F. del 7, 8 e 9 settembre 2004, pubblicata sul
Comunicato Ufficiale 7/C del 2004) secondo il quale l’atto (in questo caso la notifica
dell’avviso a comparire davanti alla Commissione Disciplinare) che ha raggiunto
il proprio scopo non può ritenersi invalido anche se posto in violazione di norme
procedimentali.
Sulla base di questo principio va osservato che il Pagliara ha potuto organizzare la
sua difesa tecnica,senza che si verificasse alcuna violazione al diritto di difesa,
inviando un’articolata memoria difensiva, che, tra l’altro (a riprova di quanto detto)
non faceva alcun riferimento ad irregolarità della notifica.
Queste considerazioni riguardano anche l’identica posizione di Massimo
Borgobello.
Per quanto concerne quest’ultimo tesserato, va, solamente, aggiunto che, nei
motivi di appello, si sostiene che, nella memoria presentata alla Commissione
Disciplinare, era stata sollevata la questione della “omessa comunicazione della
conclusione delle indagini agli interessati da parte della Procura Federale, ex art. 28
comma 5 C.G.S.” e che “dato che la scelta operata dall’Ufficio Indagini era stata di
questo tipo (e cioè, “di deferimento alla competente Commissione Disciplinare”)
non poteva non desumersi che la censura fosse inequivocabilmente rivolta alla
mancata notifica dell’atto di deferimento”.
Ne consegue, secondo il ricorrente, che “le osservazioni sopra illustrate paiono utili
a conferire nuova efficacia anche all’eccezione così formulata, sicché se ne richiede
l’accoglimento, con l’annullamento, anche da tale prospettiva, della decisione
impugnata”.
Il rilievo non può essere condiviso, in quanto l’appello, sul punto, è ai limiti dell’inammissibilità,
non contenendo doglianze specifiche alla decisione del primo giudice,
diverse da quelle già poste e risolte dalla Commissione Disciplinare.
Il riferimento all’art. 28 comma 5 C.G.S. non cambia i termini della questione, trattandosi,
tra l’altro, di norma sprovvista di sanzione processuale e non essendosi
verificata, in concreto, nessuna violazione del diritto di difesa (nei motivi non vi sono
riferimenti specifici al riguardo).
Analoga conclusione riguarda l’eccezione di Michele Dal Cin, impugnata, implicitamente,
insieme all’ ordinanza della Commissione Disciplinare, senza fornire
ulteriori elementi di valutazione rispetto a quanto affermato dal primo giudice.
Di conseguenza, anche le eccezioni relative alla regolarità delle notifiche non possono
essere accolte.
Le difese del F.C. Genoa, di Enrico Preziosi e di Stefano Capozucca impugnano, tra
l’altro, anche l’ordinanza pronunziata, in data 23.7.2005, nella parte nella quale è stato
disposto lo stralcio della posizione di Matteo Preziosi.
Anche in questo caso, l’eccezione non può essere accolta e l’ordinanza deve essere
confermata, per quanto concerne il predetto aspetto di questa problematica.
In realtà, le difese “non contestano la correttezza della declaratoria di nullità della
citazione a giudizio del Preziosi ma il fatto che, attraverso la separazione e la
mancata celebrazione di un simultaneo procedimento, è stata privata della
possibilità di esaminare Matteo Preziosi e di ottenere, quindi, fondamentali
indicazioni per l’interpretazione di numerose telefonate e per la ricostruzione delle
condotte poste in essere tra il giorno 8 e il giorno 11 dai dirigenti del Genoa
deferiti in questo procedimento”.
Essendo incontestata “la correttezza” della predetta decisione del primo giudice
sulla legittimità della separazione processuale operata, non sussistono nullità e violazioni
del diritto di difesa e non corrisponde al vero che la difesa non abbia avuto
altre “possibilità di esaminare Matteo Preziosi” nell’ottica della sua strategia
processuale.
Una possibilità era, ad esempio, quella della richiesta di ammissione di Matteo
Preziosi (e non è questa la sede per accertare la sua esatta qualifica processuale)
per poterlo esaminare sulle circostanze indicate nei motivi (Matteo Preziosi risulta,
invece, essere rimasto, legittimamente, assente al processo davanti alla
Commissione Disciplinare).
Sui motivi per i quali la C.A.F. non ha ritenuto di procedere alla rinnovazione del
dibattimento e alla conseguente ammissione di testimoni (tra i quali, Matteo
Preziosi, con le precisazioni di cui sopra sulla sua posizione processuale) e di mezzi
probatori, come richiesto dalla difesa, di dirà in seguito.
La difesa di Massimo Borgobello si è dilungata su una eccezione di “nullità della
decisione per la violazione delle norme sul contraddittorio,con richiesta di rinvio
all’organo che ha emesso la decisione per l’esame del merito, ai sensi e per l’effetto
dell’art. 33 comma 5 C.G.S.”.
La situazione può essere così riassunta.
Esistono due edizioni della prima pagina del Comunicato Ufficiale n.10 del
25.7.2005.
La prima conteneva, per un mero, evidente, errore materiale, anche, il riferimento
alle udienza del 21 e 22 luglio 2005, in realtà mai svoltesi e questo errore è stato
corretto nella seconda edizione, dove, si fa, invece, riferimento ai giorni effettivi di
udienza (23 e 24 luglio) e di svolgimento della camera di consiglio (25, 26 e 27
luglio).
Sempre per un altrettanto evidente errore materiale, nella seconda edizione si fa
riferimento, tra l’altro, “alla partecipazione, per quanto di competenza, del
Procuratore Federale, prof. Emidio Frascione e del sostituto Procuratore Federale,
dott. Stefano Palazzi” anche alle riunioni del 25, 26 e 27 luglio, giorni nei quali,
come detto si è svolta la camera di consiglio.
Nelle due prime pagine delle edizioni del Comunicato Ufficiale non viene fatto
cenno ai difensori delle parti.
Premesso che si è trattato, come detto, di due meri errori materiali, va subito
aggiunto, per obbligo di completezza, che il Procuratore Federale, prof. Emidio
Frascione non si è mai recato nel luogo di svolgimento del procedimento ed addirittura,
in quei giorni, non risulta essere stato a Milano.
A prescindere dall’effettuazione della correzione di due predetti errori materiali, da
effettuarsi nel senso che la prima parte della prima pagina del predetto Comunicato
Ufficiale va letta nel senso sopra indicato, è pacifico che a fare fede su ciò che è
effettivamente successo, durante il procedimento che ci occupa, nei giorni dal 23
al 27 luglio 2005 e quindi, anche, sulle persone presenti, rispettivamente in udienza
e in camera di consiglio, è il testo, stilato nelle forme di rito, dalla Commissione
Disciplinare e quanto risulta da pagina 10 del predetto Comunicato.
In particolare, la predetta pagina del verbale da atto della “comparsa” nei due
giorni di udienza, “del Vice Procuratore Federale, Stefano Palazzi e del Sostituto
Procuratore, Alessandro Avagliano”, unitamente ai deferiti e ai difensori presenti.
Per il resto, nulla consente, per quanto detto, di ritenere che vi sia stata partecipazione
della Procura Federale alle camere di consiglio, evenienza, comunque, da
escludersi, anche data la notoria serietà e professionalità degli uffici della Procura
Federale e della Commissione Disciplinare, che non avrebbe, certamente, consentito
una così grave violazione delle norme federali..
Ne consegue che non sussiste alcuna violazione del contraddittorio e del diritto di
difesa degli incolpati.
Ai sensi dell’art. 29 comma 3 e 37 comma 7 C.G.S., il Treviso F.B.C., quale portatore
di interessi indiretti di classifica, deve essere ammesso al presente procedimento,
come già verificatosi per il giudizio di primo grado.
Per quanto concerne le residue eccezioni difensive, preliminari all’esame del
merito degli appelli (e non decise con l’ordinanza del 5.8.2005) va, preliminarmente,
secondo ordine logico, esaminata la questione relativa all’ “inutilizzabilità,
nell’attuale procedimento disciplinare, dei risultati delle intercettazioni telefoniche
disposte dall’autorità giudiziaria di Genova, nell’ambito di un procedimento penale
a carico di Enrico Preziosi ed altri e trasmessi dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Genova, con nota del 23.6.2005, all’Ufficio Indagini, che ne
aveva fatto richiesta in pari data”.
Questa questione, già sollevata durante il giudizio di primo grado, è stata posta,
con motivazioni sostanzialmente omogenee, dalle difese del F.C. Genoa, di Enrico
Preziosi, di Stefano Capozucca, di Giuseppe Pagliara e di Massimo Borgobello.
Le eccezioni sono infondate e non possono essere accolte.
La motivazione della decisione della Commissione Disciplinare, sul punto, è,
infatti, condivisibile e deve intendersi qui integralmente riportata.
I motivi di appello non inficiano questa conclusione.
Il punto di partenza di tutti i motivi di appello è costituito, sostanzialmente, dalla
affermazione che “l’art. 270 c.p.p. stabilisce categoricamente che “i risultati delle
intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei
quali sono stati disposti.
Il divieto, come appare evidente dal tenore letterale della proposizione normativa,
è assoluto e tollera una sola eccezione per il caso che i risultati delle intercettazioni
“risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto
in flagranza”.
Secondo le difese, da ciò consegue che “i risultati delle intercettazioni sono utilizzabili
e possono costituire prova, esclusivamente, nell’ambito del processo penale
in cui è stata disposta l’intercettazione. Essi non possono, quindi, essere trasferiti
in qualsiasi altro procedimento, sia che si tratti di altro procedimento penale o di
procedimenti civili, amministrativi o disciplinari”.
Il rilievo non può essere condiviso.
In seguito si affronterà, specificamente, la problematica della sussistenza dell’autonomia
dell’ordinamento sportivo; intanto e continuando nell’esame dei motivi di
appello, va subito evidenziato che la Corte ritiene che il riferimento, operato dall’art.
270 c.p.p., al divieto di utilizzazione delle intercettazioni “ in procedimenti
diversi da quelli nei quali sono stati disposti”, con le eccezioni ivi espressamente
indicate, deve essere interpretato, secondo il senso letterale, logico e sistematico,
nel senso che la predetta limitazione ha valore per il procedimento penale.
Diverso, anche se collegato, problema (per il vero di interesse indiretto ai fini della
decisione che ci occupa) che sarà affrontato, anche in questo caso, in seguito è
quello se il divieto in esame possa o meno trovare applicazione, in virtù di singole
norme o in chiave interpretativa, in specifici altri procedimenti “civili, amministrativi
o disciplinari”, diversi da quello sportivo.
Quello che qui interessa affermare è che dall’esame dell’art. 270 c.p.p. non può
trarsi una regola di carattere generale di divieto assoluto di “trasferimento” delle
intercettazioni “in qualsiasi altro procedimento”,diverso da quello di natura penale,
come sostenuto, invece, dalle difese.
Solo per compiutezza espositiva, va chiarito che, nel codice di procedura penale, l’uso
del termine “procedimento” riguarda , a volte, l’intera vicenda processuale dal suo inizio
alla sua conclusione e a volte e in modo più specifico, la fase che termina con la fine delle
indagini preliminari e ciò, proprio, per distinguere questa fase dalla successiva fase propriamente
processuale.
Viene meno, quindi, la tesi difensiva circa il fatto che l’uso della parola “procedimento”
abbia avuto il senso di “non porre limiti al divieto che non può, quindi, considerarsi limitato
alle sole procedure qualificabili come “processo” “.
Questa conclusione non è superata dall’osservazione difensiva relativa all’art. 3 comma
4 c.p.p., dove si parla di “procedimento penale” e non di solo procedimento.
L’articolo in esame riguarda “la sentenza irrevocabile del giudice civile, che ha
deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza” e chiarisce che
questa sentenza “ha efficacia di giudicato nel procedimento penale”, nell’ambito
delle “questioni pregiudiziali” come si evince dalla rubrica del testo normativo.
Non può, certo, poi, sostenersi che costituisca un elemento dirimente di valutazione
la tesi che “se il legislatore avesse voluto ritenere inoperante il divieto per i
procedimenti diversi dai procedimenti penali, lo avrebbe certamente detto esplicitamente”.
In realtà, la deroga all’utilizzazione delle intercettazioni, contenuta nell’art. 270
comma 1 c.p.p., per “l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in
flagranza”, non consente, per le suesposte considerazioni e per quanto si dirà in
seguito, di pervenire alla conclusione che, al di fuori di questo caso, “le intercettazioni
non possono essere utilizzate fuori dal procedimento penale nel quale
sono state raccolte” e per quello che qui interessa nel procedimento sportivo.
Ne consegue che l’art. 270 c.p.p. non può essere interpretato nel senso che “il divieto
di utilizzazione riguarda tutti i procedimenti diversi da quello in cui l’intercettazione
è stata disposta, quale ne sia la loro natura”.
La sentenza della Corte Costituzionale (decisione n. 63 del 1994) citata nei motivi
non cambia i termini della questione, in quanto “sottolinea la eccezionalità e la tassatività
della deroga introdotta dalla legge al divieto di utilizzazione delle intercettazioni
telefoniche in procedimenti diversi e la individuazione di tale deroga
esclusivamente nei casi di accertamento di categorie predeterminate di reati presuntivamente
capaci di destare particolare allarme sociale” affrontando e
dichiarando inammissibile, esclusivamente, la questione, sollevata dal giudice di
merito, “circa la legittimità costituzionale dell’art. 270 comma 1 c.p.p., nella parte
in cui consente l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti
solo limitatamente ai procedimenti relativi ai reati per i quali è obbligatorio l’arresto
in flagranza” senza affrontare la problematica dei procedimenti diversi da quello
penale e tanto meno, quella dell’art.2 comma 3 della legge 401 del 1989.
Risolto questo primo aspetto del problema, le difese pongono la conseguente
questione, evidentemente subordinata, se le intercettazioni (ammessa e non concessa,
ovviamente, dal loro punto di vista, l’ utilizzabilità nel presente procedimento)
possono essere utilizzate esclusivamente come “notizia criminis” e cioè, “per
attivare altre indagini diverse da quelle sviluppate nel procedimento in cui sono
state raccolte”( e non, invece, anche come “prova in altro procedimento”).
La risposta va tratta dall’interpretazione dell’art. 2 comma 3 della legge 401 del
1989 che, al fine di contrastare il fenomeno delle frodi sportive, prevede che “gli
organi della disciplina sportiva, ai fini della propria competenza funzionale, possono
chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell’art. 116 del c.p.p.,
fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all’art. 114 dello stesso codice”.
La norma, sul punto, non può che essere interpretata, sotto il profilo sistematico,
logico e letterale, nel senso che gli organi della giustizia sportiva possono
richiedere, ricevere ed utilizzare a trecentosessanta gradi, gli atti del procedimento
penale, ricevuti dall’autorità giudiziaria, dopo il vaglio discrezionale circa la loro
possibilità di trasmissione e la conseguente acquisizione.
Tra i predetti atti devono essere compresi, ovviamente, anche quelli relativi alle
intercettazioni telefoniche ed ambientali.
Per superare l’osservazione difensiva circa la possibilità, nel procedimento sportivo,
di utilizzazione “soltanto degli atti che, secondo il codice di procedura penale,
possono essere trasferiti da un processo penale ad altro procedimento….in quanto
l’art. 2 deve essere inquadrato nell’ambito dei principi generali che regolano il
processo penale” è sufficiente rifarsi a quanto detto in precedenza, esaminando il
disposto dell’art. 270 c.p.p.
Il predetto art.2, in sostanza, consente, come detto, che gli organi della giustizia
sportiva “utilizzino” gli atti e quindi, anche le intercettazioni, nell’ambito della “propria
competenza funzionale” e cioè, ai fini del procedimento sportivo (non solo,
giova ribadirlo, come “notitia criminis” ma, anche, nelle successive fasi dell’ammissione,
della formazione (se del caso) e della valutazione della prova.
Altro e diverso problema è quello “della sufficienza della provenienza dalla stessa
autorità giudiziaria di un atto (nel nostro caso, delle intercettazioni) per avere
garanzie della legittimità dell’acquisizione e dell’utilizzo delle trascrizioni delle intercettazioni
telefoniche”.
Preliminarmente, va ricordato che le stesse difese del Genoa F.C., di Enrico Preziosi
e di Stefano Capozucca “non intendono porre in discussione la legittimità dell’intercettazione
in sé, disposta dall’autorità giudiziaria ordinaria” e a ciò va aggiunto
che la frase “ai fini esclusivi della propria competenza funzionale”, di cui al ricordato
art. 2 comma 3 legge 401 del 1989, non può non significare che gli atti acquisiti
possono essere utilizzati ai fini dell’intero svolgimento del procedimento sportivo,
articolato, in tutte le sue fasi, compresa quella relativa alle prove, sulla quale si è
avuto occasione di dire.
Nessun elemento, per quanto detto, consente, pertanto, di limitare “i fini esclusivi
della competenza funzionale” degli organi della giustizia sportiva a quelli concernenti
l’uso delle intercettazioni, esclusivamente, come “notizia criminis”.
L’art. 2 comma 3 della legge 401 del 1989, come si è già avuto occasione di dire,
regola la possibilità del passaggio di atti dal procedimento penale a quello sportivo.
In questo contesto, l’utilizzazione delle intercettazioni, in quest’ultimo procedimento,
“ai fini esclusivi della propria competenza funzionale” deve essere considerato
un portato dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, positivamente sancita dall’art.
1 della legge 280 del 2003 e dalla settorialità riconosciuta dall’ordinamento
generale.
Questa conclusione non è superata dall’osservazione difensiva concernente
l’asserita esistenza “all’interno dell’ordinamento sportivo di norme che escludono
l’utilizzabilità del materiale frutto di intercettazioni”.
L’art. 1 comma 2 della legge 280 del 2003 prevede, come evidenziato dalla difesa
“l’autonomia tra ordinamento sportivo e ordinamento della Repubblica, fatti salvi i
casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni
giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
Da ciò la difesa fa conseguire che “nessuno può seriamente dubitare che il diritto
alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni non rappresenta espressione
costituzionalmente protetta di una situazione giuridica soggettiva, tanto rilevante
per l’ordinamento statuale da essere compressa solo sussistendo quelle condizioni
e quelle finalità tassativamente previste dal codice di procedura penale agli art. 266
e seguenti c.p.p.” e su questa conclusione, in via generale e astratta, non si può
non convenire.
Ma , in realtà, l’assunto non risolve il problema in quanto ci riporta, come in un
discorso circolare che si morde la coda, alla predetta problematica relativa al
rapporto tra gli art. 270 c.p.p. e 2 legge 401 del 1989 e all’utilizzazione delle i
ntercettazioni nel procedimento sportivo, in ordine alla quale non vi è nulla da
aggiungere a quanto detto in precedenza.
Ad analoga conclusione e per le stesse motivazioni, deve pervenirsi anche per
quanto concerne l’ art. 36 comma 1 C.G.S. (sempre citato dalle predette difese)
nella parte in cui si prevede la possibilità di utilizzare “tutti i mezzi di accertamento
legale ritenuti opportuni”.
In conclusione, sul punto, non può essere condivisa l’argomentazione difensiva
circa il fatto che “il rispetto del principio di legalità esclude la possibilità che tra i
mezzi di accertamento possano ricomprendersi le intercettazioni telefoniche ed
ambientali essendo mezzo e prova non previsto dall’ordinamento sportivo”, in
quanto quest’ultima affermazione, per le considerazioni sopra esposte, non corrisponde
a verità e ciò, a prescindere dal notorio principio della non tassatività dei mezzi di prova (e quindi, anche delle modalità di ricerca della stessa). La conclusione non muta anche alla luce dell’art. 27 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali (citato nei motivi) (“le federazioni sportive ….devono adeguare gli statuti e i regolamenti ed i principi di giustizia emanati dalla Giunta Nazionale e per quanto non espressamente previsto, ai principi del diritto processuale penale”, sempre, per quanto detto a proposito della legge 401 del 1989. Continuando nell’ordine espositivo dei predetti motivi, va evidenziato che le difese fanno riferimento alla sentenza n.5895/1998 delle Sezioni Unite civili e criticano, al riguardo, la decisione della Commissione Disciplinare, sostenendo che “non se ne riesce a comprendere il senso”. La sentenza delle Sezioni Unite da, nella descrizione dello “Svolgimento del processo”, atto che “la sezione disciplinare del C.S.M. notava preliminarmente la non utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso del procedimento penale a carico di un magistrato, stante l’applicabilità nel giudizio disciplinare…. dell’art. 270 c.p.p., vietanti, per l’appunto (salve eccezioni nella specie non ricorrenti) l’utilizzazione di intercettazioni eseguite in processi diversi” e poi, nei “Motivi della decisione” si limita ad osservare che “il fatto che il decreto presidenziale di fissazione della discussione (davanti alla sezione disciplinare del C.S.M) venga emessa, ai sensi dell’art. 33 comma3 r.d. lgs. n.511 del 1946, sulla base di molteplici prove e che una di queste non sia legittimamente utilizzabile non ha alcuna influenza sulla validità del decreto stesso ma comporta unicamente l’irrilevanza di quella prova nella valutazione del merito dell’incolpazione”. La sentenza nell’affermare (per la verità, in modo incidentale e marginale rispetto al diverso nucleo della decisione) il principio della non utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche nel procedimento a carico del magistrato (sottoposto anche a procedimento penale, nel corso del quale erano state disposte le intercettazioni) davanti alla commissione disciplinare del C.S.M., afferma, come si è visto, che questa regola va affermata “salve eccezioni, nella specie non ricorrenti”. Una di queste “eccezioni” è costituita, per le suesposte considerazioni, certamente, proprio dal disposto dell’art. 2 comma 3 legge 401 del 1989. Può, quindi, affermarsi, riassumendo, che il più volte ricordato divieto di utilizzazione può, eventualmente, trovare applicazione in altri procedimenti, civili e amministrativi, come, ad esempio, quello disciplinare, appena citato, davanti al C.S.M. o quello amministrativo contabile (v. la decisione della Corte dei Conti indicata a pagina 15 dei motivi della difesa del Genoa F.C, di Enrico Preziosi e di Stefano Capozucca, dove si fa riferimento “a procedimenti risarcitori sia civili che contabili”) ma non nel caso che ci occupa per l’eccezione costituita dal disposto dell’art. 2 comma 3 legge 401 del 1989. Non si può, quindi, convenire con la difesa quando afferma che “il principio affermato dalle Sezioni Unite sancisce il principio generale dell’inutilizzabilità nel giudizio disciplinare delle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso di un procedimento penale, proprio sulla base del principio fissato dall’art.270 c.p.p. e del riconoscimento dell’esistenza di un’unica eccezione e cioè, di quella fissata dallo stesso art. 270 c.p.p.”. In conclusione, va ribadito che l’utilizzazione degli atti e quindi, anche delle intercettazioni telefoniche “ai fini esclusivi della propria competenza funzionale”, così come previsto dall’art. 2 comma 3 legge 401 del 1989, costituisce espressione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, sancito, tra l’altro, dall’art. 1 della legge 280 del 2003 e dalla settorialità riconosciuta dall’ordinamento generale. Prima di tornare, conclusivamente, all’esame dei rapporti tra le due predette leggi, va osservato che i motivi di Borgobello riguardano anche la asserita violazione della legge sulla “Protezione dei dati personali”. Sul punto, è sufficiente osservare che con nota del 3.8.2005, il Garante per la protezione dei dati personali ha dichiarato non luogo a provvedere sulla segnalazione presentata dal Borgobello, in data 5.7.2005, in quanto “non emergono gli estremi per adottare un provvedimento inibitorio dell’ulteriore trattamento dei dati personali relativi al segnalante”. In precedenza lo stesso Garante aveva affermato che “le trascrizioni sono state formalmente richieste dalla Federazione e da questa acquisite presso la Procura in attuazione della disposizione di legge sulla correttezza nello svolgimento di disposizioni sportive” e ciò, a parte ogni altra considerazione, supera i generici dubbi espressi dalla difesa sulla “legittimità, genuinità ed autenticità degli atti del procedimento penale e della loro provenienza dall’autorità giudiziaria”. Ne consegue, che, anche sotto questo aspetto, l’eccezione non può essere accolta. Tornando al rapporto esistente tra la legge 401 del 1989 e la legge 280 del 2003, va ribadito che la prima contiene, un’eccezione al principio della non utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quelli in cui le stesse, originariamente, sono state disposte ed acquisite. Il procedimento di giustizia sportiva, in sostanza, si inquadra, nella sua autonomia, per quanto fin qui detto, nell’ordinamento generale senza creare antinomie e conflitti, in quanto, come più volte evidenziato, il divieto posto dall’art. 270 comma 1 c.p.p. non viene in conflitto con la legge 401 del 1989.La citata legge 280 del 2003 ha chiarito, infatti, dopo un lungo periodo di tempo nel corso del quale si sono alternati differenti prese di posizione dello stato sulla problematica, l’effettiva natura giuridica del fenomeno sportivo e cioè, il suo essere un ordinamento giuridico settoriale dotato di una propria autonomia dall’ordinamento generale. L’art. 1 comma 1 della predetta legge prevede, come è noto, che “la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale, facente capo al Comitato Olimpico Nazionale” e il comma 2 afferma che “i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”. L’art. 2 comma 1 della legge in esame dispone che “in applicazione dei principi di cui all’art.1, è riservato all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e l’applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”. Ne consegue, secondo il senso letterale, logico e sistematico della norma che il procedimento disciplinare sportivo è di spettanza dell’ordinamento sportivo (v. il predetto art.2 comma 1 lettera b). Il riferimento fatto dall’art.1 comma 2 “ai casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” non muta i termini della questione, in quanto, esula dalla “regiudicanda” (limitata alla applicabilità a questo procedimento del divieto ex art. 270 comma 1 c.p.p.) investendo la diversa questione relativa al “vincolo di giustizia”, previsto dall’ art. 27 comma 2 dello Statuto della F.I.G.C. (che implica l’impossibilità di accesso per i soggetti indicati nel comma1 del predetto articolo, all’autorità statale ordinaria o amministrativa, pena le relative sanzioni) e le sue implicazioni, anche, con il disposto dell’art. 24 della Costituzione. Per quanto fin qui esposto, devono, condividersi le conclusioni della Commissione Disciplinare, che, fra l’altro, hanno fatto riferimento ad un recente precedente della C.A.F. (riunione del 7,8 e 9 settembre del 2004, con decisione pubblicata sul C.U. 7/C del 2004) che, implicitamente, anche se affrontando altra, connessa, questione, ha affermato il principio dell’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, effettuate in un procedimento penale, nel giudizio sportivo. Va infine disattesa, sempre in via preliminare, la richiesta di ammissione di testi e di ulteriori mezzi probatori, genericamente riformulata in fine ai reclami di cui in epigrafe, atteso che il quadro probatorio risulta sufficientemente delineato, e comunque esaustivo quanto alla posizione dei reclamanti e il procedimento può essere definito allo stato degli atti senza alcuna necessità di rinnovare il dibattimento . Un quadro probatorio che, peraltro, non soffre del mancato avvio del supplemento di indagini inerenti alla posizione della società Torino, più volte reclamato dagli appellanti anche in questa sede di giudizio, e perorato nel dibattimento, trattandosi di versante la cui più completa esplorazione non consentirebbe, ad ogni modo, di vedere esclusa la responsabilità degli incolpati per i gravi fatti di illecito di cui si va a discorrere. Analoga considerazione va riservata alla posizione del Presidente del Venezia, Gallo, anch’esso più volte chiamato in causa dai reclamanti, insieme ai vertici della società granata. III. Reclami dei sigg.ri Preziosi Enrico e Capozucca Stefano, nonché della società Genoa Cricket and Football Club s.p.a. Alla base della impugnata decisione, come esposto in premessa, si collocano due elementi strutturali essenziali: a) l’illecito sportivo, come alterazione e raggiungimento di un vantaggio, già insito nel fatto che Enrico PREZIOSI e Francesco DAL CIN si siano accordati ed attivati al fine di “normalizzare” le prestazioni sportive della squadra del VENEZIA, onde assicurarsi che l’esito della gara (e, conseguentemente, le sorti del Campionato di serie B) fosse quello “che doveva essere”: vittoria del GENOA, sconfitta del VENEZIA; b) l’innestarsi su questa situazione, già di per sé configurante la fattispecie di illecito sportivo, in termini che aggravano e connotano di particolare ulteriore illiceità le condotte in esame, della vicenda relativa alla dazione di denaro da parte di Enrico PREZIOSI e dei suoi collaboratori a PAGLIARA, nuovo general manager del VENEZIA, vicenda che i deferiti hanno vanamente cercato di dissimulare quale autonomo momento esecutivo della sottostante pattuizione per la cessione al GENOA del calciatore Maldonado. Con i reclami in trattazione, oltre ad articolati profili censori circa l’inutilizzabilità, nel presente procedimento autonomo regolato dalle norme dell’ordinamento sportivo di settore, dei risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, di cui si è sopra dato conto, si contesta, nel merito, la decisione impugnata, sostenendo che il pensiero del Presidente del Genoa è stato palesemente travisato e, soprattutto, fornendo una complessiva e diversa ricostruzione degli accadimenti, secondo cui Enrico Preziosi, avendo avuto notizia di manovre messe in atto nell’interesse della società Torino e volte a garantire ai giocatori del Venezia un “premio a vincere”, ha svolto, per suo conto, indagini e messo in essere azioni tese, da un lato, ad appurare la fondatezza delle notizie che stavano filtrando, e, dall’altro, a scongiurare un evento del genere. Ricostruzione che è indubbiamente suggestiva ma che non è in grado di scardinare il complessivo impianto giuridico-argomentativo della decisione impugnata e, soprattutto, non appare in grado di precludere, come si vedrà, visto il concreto esplicarsi degli eventi, la configurazione di un grave illecito sportivo, potendosi prescindere dalle connotazioni soggettive e finalistiche dei soggetti agenti. Tutto il quadro ricostruttivo degli appellanti, che dovrebbe supportare in qualche modo le loro tesi difensive, prende le mosse da una quanto meno criptica affermazione di Roberto Cravero, direttore sportivo del Torino (circa “una macchina del Torino partita per la laguna”), tesserato che, peraltro, non si è gravato avverso la sanzione inibitoria inflittagli per la fattispecie di omessa denunzia di cui all’art. 6, comma 7, C.G.S. Vengono poi evidenziati altri elementi che asseritamente dovrebbero suffragare l’assunto difensivo, quali : il “silenzio telefonico” avutosi da parte del Preziosi fino all’8 giugno 2005; gli indizi di un atteggiamento del Preziosi stesso che solo all’improvviso ha manifestato uno stato di agitazione e tensione in vista dell’incontro finale di campionato (che doveva essere senza storia e che tale non sembra essere stato); la circostanza che il Preziosi si è incontrato, su sua iniziativa, anche con il Presidente del Torino. Ma questi elementi , a cui possono aggiungersi i contenuti di alcune intercettazioni telefoniche (tra cui molte di quelle richiamate in sede dibattimentale), di portata ermeneutica però opinabile e comunque non decisiva ai fini dell’impianto di discolpa, non possono scalfire l’impianto accusatorio. Molti, troppi elementi, infatti, analizzati nella loro obiettività, convergono, invece, nei sensi conclusivi delineati dall’Organo di giustizia sportiva chiamato a giudicare in primo grado. Anzitutto, la dazione della somma di 250.000,00 euro, al di là dei faticosi tentativi della difesa degli istanti di rinvenirne una causale lecita, è avvenuta con modalità e in circostanze di tempo e di luogo assolutamente incompatibili con le asserzioni giustificative delle parti appellanti. A tacer d’altro, infatti, la consegna di tale ingente somma di denaro - che secondo il Preziosi era destinata in premio ai giocatori genoani, ma che questi non avrebbero mai visto per motivi a dir poco futili: confusione post-gara, stanchezza del Presidente ecc. - in favore dei vertici della società veneziana è avvenuta il 14 giugno 2005, dopo la partita (e quindi solo in seguito al “buon esito” della stessa), in contanti, e senza che fosse accompagnata dal rilascio di alcuna idonea ricevuta o comunque senza che fosse corredata dal necessario riscontro documentale. Solo successivamente al sequestro della medesima somma è entrata in gioco inoltre, anche nei colloqui tra le parti inquisite, la pretesa trattativa per la cessione del calciatore Maldonado (trattativa mai, prima di allora, formalmente nota né al calciatore interessato, né, e non è elemento di poco momento, al suo procuratore Vagheggi; e non è difficile affermare che ciò non sia avvenuto solo per l’ossequioso rispetto dei termini regolamentari per lo svolgimento delle operazioni di mercato dei giocatori).
Si deve quindi escludere la tesi difensiva secondo la quale la corresponsione della somma in questione si possa riferire ad una trattativa, in corso relativa ad una sorta di accordo preliminare non formalizzato (né del resto formalizzabile) secondo le regole. Trattativa che si protraeva, secondo la difesa genoana, da diverse settimane se non mesi addirittura ,con l’asserito rilascio di un assegno di 450.000,00 euro dato a titolo di garanzia, mai neppure prodotto dagli appellanti, e la cui sorte ha poi seguito un percorso parimenti occulto. Peraltro,l’ipotesi della pretesa cessione del Maldonado, smentita dallo stesso interessato e dal suo procuratore, in ogni caso, sarebbe entrata a far parte( come elemento “lecito” di un comportamento complessivamente finalizzato al raggiungimento di risultati illeciti, secondo costruzioni ben note ai teorici del negozio giuridico e non prive di riferimenti nell’ordinamento di diritto comune, come nel caso dell’art. 1344 cod. civ.) di un complesso di contatti e di accordi illeciti intesi ad alterare il normale svolgimento della gara finale di campionato (ovvero, il che - per quello che si dirà - è lo stesso, al fine di garantirne uno svolgimento “normale” e “regolare” secondo le dichiarazioni degli incolpati di parte genoana). Non può che concordarsi, dunque, con la Commissione Disciplinare ove ha affermato che, in linea generale, una pur eventualmente lecita (trattativa di) cessione si traduce necessariamente in illecito sportivo ove essa venga assunta - nell’intendimento dei contraenti - quale componente sinallagmatica da inserirsi nel più ampio contesto di “normalizzazione” della gara e del suo risultato. Altri elementi obiettivamente non confutabili dalle pur pregevoli deduzioni difensive dei reclamanti, in relazione all’esistenza ed al perfezionamento dell’illecito sportivo in argomento, sono costituiti dal comportamento e dalle affermazioni del Leysal, oltre che in verità dello stesso Borgobello, e, non da ultimo, dal comportamento e dal ruolo svolto da Francesco Dal Cin, il quale, interlocutore preferenziale del Preziosi e primo garante dell’accordo di “normalizzazione” raggiunto, anche qui a tacer d’altro, trovava addirittura il modo (la circostanza è a dir poco clamorosa essendo intercorsa durante lo svolgersi della gara) di intervenire nei confronti del procuratore del calciatore veneziano autore di una segnatura per lamentarsi, senza mezzi termini invero, dell’atteggiamento tutt’altro che remissivo, appunto, della compagine veneziana, evidentemente in contrasto con il rendimento “normale” assicurato in qualche modo dallo stesso Dal Cin. Ciò posto, può passarsi ad un altro aspetto che può rilevarsi chiave nell’ambito della vicenda, adombrato invero anche questo dalla Commissione Disciplinare, in relazione, in particolare, alla punibilità dei protagonisti di parte genoana per illecito sportivo. La difesa degli appellanti ammette che i vertici della squadra genoana, ed in particolare il suo Presidente, non sono rimasti inerti, ma tiene ad evidenziare che ogni comportamento, in particolare del Preziosi, è stato mosso esclusivamente dalla preoccupazione che potessero essere sviluppate turbative in danno del Genoa (causa l’intervento di una società terza “controinteressata”, il Torino appunto, possibile latrice di un premio a vincere) e dall’intento, dunque, di “neutralizzare” le turbative emergenti, e non quindi in alcun modo di acquisire, per vie necessariamente illecite, la rinunzia del Venezia al normale impegno connesso all’agone sportivo. In tal senso vengono ammessi tutta una serie di atti, incontri, colloqui, telefonici e non, avvenuti in prossimità (e anche dopo) della gara. La molla di tutto sarebbe, ancora una volta, la notizia, in qualche modo filtrata, di manovre volte a garantire ai giocatori del Venezia un “premio a vincere”, messe in atto nell’interesse della società Torino, in un contesto già peraltro “allarmato” dal comportamento tenuto in campo dalla precedente avversaria del Genoa (Piacenza). Le finalità del comportamento del Preziosi e del suo collaboratore Capozucca, appositamente attivato, sarebbero state solo quelle di appurare la fondatezza della notizia, mediante lo svolgimento di indagini “private” e personali, e quindi di scongiurare un evento del genere. Ma per “scongiurare un evento del genere” è stato necessario cercare, ed ottenere, garanzie ed assicurazioni dalla controparte veneziana, grazie anche all’intervento di alcuni giocatori, circa un impegno “normale” e non “particolare”. Ma cosa vuol dire impegno “particolare”? O meglio, fino a che punto può dirsi un impegno agonistico “normale”? E’ evidente che, trattandosi di esprimere concetti tra i più puri dell’esplicarsi dell’agire umano nella sua dimensione anche collettiva, come la sana competizione e il sano agonismo sportivo, non sia possibile fare riferimento a necessariamente fallaci formule aritmetiche di identificazione (del tipo, estremizzando, dieci falli cattivi e gratuiti uguale impegno “particolare”). Anche a voler accedere, dunque, all’opzione ricostruttiva propalata dalla difesa del Preziosi, la sostanza non cambia: si tratta sempre di illecito sportivo. Il Preziosi, anche se effettivamente preoccupato dall’atteggiamento tutt’altro che remissivo e “arrendevole” della squadra precedentemente affrontata (Piacenza), una volta captate quelle voci strane che cominciavano a circolare circa traffici e manovre sulla direttrice Torino-Venezia, non aveva alternative: doveva denunziare i fatti ed i suoi sospetti agli Organi federali competenti. E la non scusabilità del suo comportamento viene ulteriormente corroborata dall’alto incarico detenuto dal medesimo nella Lega di appartenenza. Così agendo, invece, ha compiuto atti comunque diretti ad alterare lo svolgimento e il risultato di una gara. Ancora una volta occorre necessariamente intendersi sul significato di illecito sportivo. Orbene, l’illecito punito ai sensi dell’art. 6 C.G.S., come più volte – anche di recente – affermato da questa C.A.F., costituisce un’ipotesi di illecito di pura condotta o, detto altrimenti, a consumazione anticipata (quindi trattasi di illecito c.d. formale per il cui perfezionarsi non è necessario un conseguente evento in senso naturalistico), che si consuma anche con il semplice tentativo di corruzione, bastando la mera messa in opera di atti diretti ad alterare il fisiologico svolgimento della gara, od il suo risultato, ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica (cfr., da ultimo, app. Marasco ed altri Com.Uff. n. 7/C – 7 settembre 2004 e le altre decisioni ivi citate). Muovendo da queste identiche premesse, l’Organo di prime cure ha ritenuto che l’alterazione e il raggiungimento di un vantaggio sono già insiti nel fatto che Enrico PREZIOSI e Francesco DAL CIN si siano accordati ed attivati al fine di “normalizzare” le prestazioni sportive della squadra del VENEZIA, onde assicurarsi che l’esito della gara (e, conseguentemente, le sorti del Campionato di serie B) fosse quello “che doveva essere”: vittoria del GENOA, sconfitta del VENEZIA. Su questa situazione - che già di per sé viene a configurare il fatto di illecito sportivo - si innesta, in termini che aggravano e connotano di particolare ulteriore illiceità le condotte in esame, la vicenda relativa alla dazione di denaro da parte di Enrico PREZIOSI e dei suoi collaboratori a PAGLIARA, nuovo general manager del VENEZIA, vicenda che i deferiti hanno (peraltro vanamente) cercato di dissimulare quale autonomo momento esecutivo della sottostante pattuizione per la cessione al GENOA del calciatore Maldonado, appalesandosi tale cessione come un mero artifizio volto a mascherare l’intrinseca illiceità degli accordi intercorsi tra GENOA e VENEZIA (quali che siano stati i soggetti, vecchia o nuova dirigenza può aggiungersi, che hanno agito per quest’ultima). Un simile chiaro, ed in gran parte ineccepibile, impianto motivazionale deve essere corredato ed integrato da un’ulteriore considerazione, che costituisce il necessario precipitato di quanto, in via generale, osservato più sopra da questa Commissione di Appello: nel caso di specie si è agito comunque per alterare il fisiologico svolgimento della gara, anche se questo fosse stato fatto per ricondurre a “normalità” lo svolgimento stesso. In altri termini, se è indubbiamente illecito sportivo l’eventuale intervento di una società terza per ottenere un particolare impegno da una squadra ormai sfiduciata e in disarmo (profilo che non interessa l’attuale giudizio), nondimeno è illecito, di non minore qualificazione, anche adoperarsi ed intervenire in proprio, senza informare gli Organi competenti, per riportare a “normalità” l’impegno della squadra da affrontare, tanto più considerando che, come sopra osservato, non è possibile definire a priori, una volta per tutte, ed in maniera obiettiva quale possa essere l’impegno agonistico “normale”. Al di là, questo, di tutte le facili considerazioni che si potrebbero fare, ma non certo in questa sede, sulla deontologia professionale dei calciatori e sulla necessità di impegnarsi con serietà, da parte loro, in ogni occasione in cui essi sono chiamati a fornire prestazioni sportive. A questo punto, e per le considerazioni appena esposte, risulta evidente come le stesse intercettazioni telefoniche perdano quel ruolo determinante che si è voluto attribuire da parte degli stessi appellanti quando ne contestano l’utilizzabilità, ovvero (come tentato nel corso del dibattimento) al fine di scardinare l’impianto decisionale avversato, visto che numerose e concordanti sono le prove di un’azione volta comunque ad influire sul regolare svolgimento della gara. Sono infatti le stesse ammissioni degli interessati a delineare un quadro che non può sfuggire all’applicazione dell’art. 6, commi 1 e 6, essendosi raggiunto un accordo con la dirigenza del Venezia che ha portato, comunque, all’alterazione del fisiologico svolgimento della gara, e quindi, per le considerazioni già esposte in primo grado in adesione alle richieste della Procura Federale (con riferimento all’impiego anomalo o limitato di alcuni giocatori del Venezia), alla configurazione di un illecito sportivo aggravato. Ed è parimenti evidente che a nulla può giovare l’eventuale buona fede del Preziosi e di chi con lui ha collaborato. La gravità dell’illecito perpetrato e la circostanza non secondaria che la società genoana viene a trovarsi coinvolta, innanzitutto, per responsabilità diretta, e quindi viene chiamata a rispondere direttamente dell’operato di chi la rappresenta ai sensi dei regolamenti federali, operando i normali principi in tema di rappresentanza e di organi rappresentativi, inducono il presente Organo di appello a confermare in toto il dispositivo sanzionatorio formulato in prime cure, con riguardo agli appellanti in epigrafe, risultando le sanzioni ivi inflitte congrue e rispettose dei dettami normativi dell’ordinamento di settore. IV. Reclamo Francesco Dal Cin e Michele Dal Cin Con la delibera impugnata la C.D. ha riconosciuto i signori Francesco e Michele Dal Cin, al momento dei fatti rispettivamente amministratore delegato e direttore generale dell’Associazione Calcio Venezia, responsabili della violazione dell’art. 6,comma 1, del C.G.S.,, infliggendo al primo la sanzione dell’inibizione per cinque anni con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. ed al secondo la sanzione dell’inibizione per tre anni e un mese. Con unico atto datato 1/8/2005 i predetti chiedono l’annullamento e/o la riforma della delibera della Commissione Disciplinare, deducendo tre motivi: 1) difetto di competenza degli organi della Giustizia Federale; 2) nullità della decisione impugnata per utilizzazione di intercettazioni telefoniche e ambientali; 3) ingiustizia nel merito, I primi due motivi, di natura preliminare e/o pregiudiziale, sono stati rigettati con l’ordinanza n.1 del 5 agosto 2005 di questa Commissione ed i motivi della reiezione sono indicati nella parte introduttiva della presente decisione, alla quale non resta che fare riferimento. In particolare, riguardo all’eccepito difetto di competenza (o per meglio dire di giurisdizione) degli organi disciplinari federali, si deve rilevare come la Commissione Disciplinare si sia attenuta al principio, consolidato nella giurisprudenza della C.A.F., della perpetuatio jurisdictionis nei confronti dei soggetti, non più tesserati per la F.I.G.C. al momento della decisione, che rivestivano lo status di tesserato al momento del fatto contestato. Con riferimento alla utilizzazione delle intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuate nell’ambito di un procedimento penale per frode sportiva, oltre a richiamare le argomentazioni svolte in proposito nella parte introduttiva, si deve rilevare che Francesco e Michele Dal Cin, nelle dichiarazioni rilasciate all’Ufficio Indagini in data 5 luglio 2005, non hanno disconosciuto la provenienza ed il contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, ma hanno accettato di difendersi nel merito, fornendo la loro interpretazione dei fatti emersi dalle telefonate loro contestate. Gli elementi desumibili dalle conversazioni telefoniche intercettate assumono quindi definitivo valore probatorio proprio attraverso le dichiarazioni rese dagli incolpati all’Ufficio Indagini della F.I.G.C., delle quali deve tener conto anche questa decisione. Il motivo di merito è tutto imperniato sul concetto che l’accordo tra Francesco Dal Cin ed il Presidente del Genoa Preziosi, essendo meramente inteso a “normalizzare” la prestazione agonistica della squadra del Venezia ed a prevenire gli effetti di una incentivazione a vincere che si sospettava provenire dal Torino, non integrerebbe gli estremi dell’illecito sportivo. Tale attività di normalizzazione non si sarebbe infatti concretizzata in pressioni esercitate sui calciatori del Venezia al fine di condizionare il risultato della gara, ma si sarebbe estrinsecata in una semplice vigilanza sulla regolarità della stessa e sulla insussistenza di turbative esterne. Lamentano gli appellanti che la Commissione Disciplinare abbia tratto il presupposto logico-giuridico dell’accertamento della colpevolezza degli incolpati dalle opinioni espresse sia da Enrico Preziosi che da Francesco Dal Cin in ordine all’esistenza di una prassi, ricorrente ed a tutti nota, in forza della quale, a fine campionato, una squadra priva di stimoli di classifica tende ad avere un impegno in campo blando e distaccato. Tali opinioni, secondo gli appellanti, per quanto aberranti ed inopportunamente espresse in sede di procedimento disciplinare, non possono di per sé integrare l’illecito sportivo contestato, poiché l’illecito si verifica, anche a livello di tentativo, solo nell’ipotesi di compimento di atti diretti ad alterare il risultato naturale della gara. Per quanto riguarda specificatamente la posizione di Michele Dal Cin, nei motivi di appello si rileva che l’intervento dallo stesso compiuto nei confronti del portiere Lejsal per convincerlo a partecipare ad almeno una parte della gara era motivato dalla giusta preoccupazione di evitare sospetti sulla regolarità dell’incontro da parte dell’Ufficio Indagini e mirava comunque al miglioramento della prestazione complessiva della squadra, ottenendo che il più forte al momento tra i portieri del Venezia, anziché disertare del tutto la gara, vi partecipasse almeno in parte. In sostanza, l’attività dei Dal Cin, lungi dall’essere rivolta a modificare od alterare il regolare svolgimento della gara, doveva semplicemente rassicurare il Preziosi circa l’inesistenza di anomale sollecitazioni, tese a stimolare particolarmente i calciatori del Venezia, di per sé demotivati e demoralizzati, da parte del Torino. La C.A.F. rileva che le doglianze sono infondate. Dalle risultanze processuali si desume in modo incontrovertibile che Francesco Dal Cin si è attivato, in seguito ad intese raggiunte con il Presidente del Genoa Preziosi (peraltro confermate da quest’ultimo nelle sue dichiarazioni), sia telefonicamente e di persona in occasione di diversi incontri, al fine di garantire che il risultato della gara Genoa- Venezia dell’11/6/2005 fosse la vittoria del Genoa, ovvero l’unico risultato che interessava al Preziosi, il quale ne era ossessionato al punto da non riuscire a dormire se non poche ore ogni notte, come dallo stesso confidato a Francesco Dal Cin. Siffatta intesa , sulle cui modalità di esecuzione si tornerà in seguito, va ben oltre la finalità di “normalizzazione” della prestazione agonistica della squadra del Venezia nel senso indicato dalla difesa degli incolpati, ovvero di neutralizzazione della turbativa costituita da un incentivo economico offerto al Venezia, secondo voci pervenute alla dirigenza del Genoa, dal terzo interessato Torino. Per prestazione “normale” si deve infatti intendere, in qualsiasi competizione sportiva, quella che comporta il massimo impegno dei partecipanti per il conseguimento della vittoria o comunque del miglior risultato possibile, indipendentemente dagli stimoli derivanti dalla situazione di classifica o dal momento in cui si disputa la gara; per contro, la “normalità” garantita da Francesco Dal Cin a Preziosi comportava un blando impegno agonistico della propria squadra, tale da non “guastare la festa” al Genoa e soprattutto da consentire alla squadra di Preziosi il conseguimento della vittoria. Siamo quindi in presenza di atti contrari ai principi di lealtà e correttezza sportiva, univocamente diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara in questione, il cui compimento da parte da parte di Francesco Dal Cin (con la partecipazione del figlio Michele, di cui si tratterà appresso) integra la consumazione dell’illecito sportivo delineato dall’art. 6 , comma 1, del C.G.S. Nella fase esecutiva dell’intesa Francesco Dal Cin ha assunto nei confronti di Enrico Preziosi, come efficacemente sintetizzato dalla Commissione Disciplinare, il ruolo di “garante”, anche tramite l’attività del figlio Michele. Secondo l’analitica ricostruzione effettuata dal primo Giudice, tale ruolo si è estrinsecato non solo in interventi rivolti a neutralizzare qualsiasi turbativa esterna, rassicurando costantemente il Preziosi in tal senso e suggerendo allo stesso il giusto comportamento da tenere nei confronti dei nuovi dirigenti del Venezia, ma anche nell’ esercizio di un controllo diretto sul comportamento dei calciatori del Venezia, nei cui confronti il Dal Cin poteva esercitare, a differenza dei nuovi dirigenti della Società, un’influenza assoluta, anche attraverso l’opera del figlio Michele. Il momento più significativo ed illuminante di tale assidua attività di controllo va individuato, ad avviso di questa Commissione, nella telefonata fatta al Paglioni, procuratore del calciatore Vicente, nell’intervallo tra il primo ed il secondo tempo della gara, alla quale Francesco Dal Cin assisteva davanti al televisore. Il contenuto di tale telefonata, nel corso della quale Francesco Dal Cin manifesta grande irritazione per la segnatura di una rete da parte di un calciatore della propria squadra, lamentando che qualcuno stia facendo il “doppio gioco”, rivela in modo chiaro ed inequivoco l’esistenza di accordi in forza dei quali la prestazione dei calciatori del Venezia avrebbe dovuto essere tale da non infastidire il Genoa e da non metterne in pericolo la vittoria. A fronte di tali incontrovertibili risultanze, ammesse dallo stesso incolpato, in ordine alle quali lo stesso ha fornito giustificazioni che configurano mere allegazioni difensive prive di logica e di coerenza, non apparendo plausibile ed ancor meno compatibile con la carica dirigenziale rivestita dall’incolpato, che la richiesta di spiegazioni riguardo alla prestazione brillante ed aggressiva dei calciatori del Venezia servisse semplicemente ad escludere l’ ipotesi di accettazione di un premio a vincere da parte di alcuni di essi. Anche nel periodo successivo al sequestro della somma di 250.000 euro, versata da Preziosi a Pagliara, il ruolo di Francesco Dal Cin è stato di partecipazione attiva, come risulta dal fatto che intervennero diverse conversazioni telefoniche tra Matteo Preziosi e Pagliara, nel corso delle quali Dal Cin suggerì le strategie difensive da adottare, indicando come plausibile e praticabile quella relativa al contratto di cessione di Maldonado. Se ne ricava la conferma che egli era al corrente delle pattuizioni intervenute tra il Preziosi ed i nuovi dirigenti del Venezia, anche con riferimento alla dazione della somma di denaro. La delibera impugnata merita in definitiva totale conferma nella parte in cui ha accertato la responsabilità di Francesco Dal Cin per illecito sportivo, irrogandogli una sanzione adeguata al ruolo determinante dallo stesso rivestito nel corso dell’intera vicenda. Quanto a Michele Dal Cin, risulta dagli atti che egli ha partecipato alla realizzazione dell’illecito, a stretto contatto con il padre, sia intrattenendo rapporti con i calciatori del Venezia (in particolare con il portiere Lejsal) sia presenziando alla gara dal bordo del terreno di giuoco per verificare direttamente che lo svolgimento della stessa fosse conforme a quanto concordato. A tale ultima funzione egli era stato delegato dal padre, che non si era potuto recare a Genova a causa del ricovero in ospedale della sorella ma aveva comunque rassicurato il Preziosi con una telefonata, dicendogli che di Michele si poteva fidare. Le dichiarazioni rese il giorno 4 luglio 2005 dal Lejsal all’Ufficio Indagini, sebbene parzialmente rettificate in sede dibattimentale dal portiere con il chiaro intento di alleggerire per quanto possibile la posizione degli incolpati, sono chiaramente nel senso che l’invito a partecipare alla gara, rivoltogli da Michele Dal Cin, non era inteso ad assicurare alla squadra del Venezia la presenza in campo del portiere più forte tra quelli disponibili (come suggestivamente sostenuto dalla difesa) ma esclusivamente a scongiurare l’insorgenza di sospetti sulla regolarità della gara da parte dell’Ufficio Indagini. Del resto, è accertato che Michele Dal Cin chiese espressamente al portiere di giocare un tempo della gara e di farsi sostituire nell’intervallo (vedi dichiarazioni di Lejsal all’Ufficio Indagini: “Poiché eravamo d’accordo con Dal Cin che avrei dovuto giocare solo un tempo, a questo punto anche se avrei potuto continuare a giocare chiesi la sostituzione”). Tanto basta per confutare la tesi difensiva, essendo evidente che la sostituzione del Lejsal dopo un solo tempo e l’entrata in campo del giovane Pezzato, fuori allenamento per ragioni scolastiche, avrebbe comunque rappresentato una diminuzione del potenziale della squadra per ben quarantacinque minuti di giuoco. La partecipazione di Michele Dal Cin all’illecito è pertanto accertata e le censure contenute nei motivi di appello devono essere rigettate perché prive di fondamento. V. Reclamo Giuseppe Pagliata La C.D. ha ritenuto il signor Giuseppe Pagliara, general manager dell’Associazione Calcio Venezia 1907 s.r.l., responsabile della violazione dell’art. 6,comma 1, del C.G.S., infliggendogli la sanzione della inibizione per cinque anni. Nell’atto di impugnazione il Pagliara eccepisce: a) la nullità della notifica dell’avviso di procedimento in primo grado, stante l’esiguità del tempo a disposizione dell’incolpato per lo svolgimento delle proprie difese; b) la insussistenza della giurisdizione degli organi federali per difetto del requisito del tesseramento; c) la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali acquisite nel procedimento sportivo, per violazione dei diritti protetti dall’art. 15 della Costituzione; d) l’insussistenza di responsabilità in ordine all’illecito sportivo contestatogli; e) l’eccessività della sanzione inflittagli dai primi giudici. Sui punti a), b) e c) questa Commissione si è già pronunciata con ordinanza del 5 agosto 2005 ed i motivi di reiezione delle eccezioni sono stati esposti nella parte introduttiva della presente decisione. Ad essi si fa pertanto riferimento. Con il motivo sub d), la difesa dell’appellante rileva che la decisione della C.D. non avrebbe neppur individuato termini, modalità e tempi della consumazione dell’illecito, al punto che, anche in seguito alla lettura della motivazione, non sarebbe possibile appurare se la condotta integrante l’illecito vada, secondo i primi giudici, individuata nell’accordo tra Preziosi e Dal Cin al fine di normalizzare la prestazione agonistica della squadra del Venezia, oppure nella dazione di denaro dissimulata come esecuzione del contratto di cessione del calciatore Maldonado, oppure ancora nel contratto stesso, di per sé lecito ma configurante l’illecito sportivo se inteso quale componente sinallagmatica nell’ambito dell’accordo di normalizzazione della gara e del suo risultato. Rileva poi l’appellante che la Commissione avrebbe ingiustificatamente definito oscuro il suo atteggiamento processuale, attribuendo, in modo immotivato ed apodittico, credibilità zero alle dichiarazioni spontanee da lui rilasciate al dibattimento. Nel prosieguo della motivazione, i primi giudici sarebbero incorsi in molteplici contraddizioni, estrapolando frasi tratte da brogliacci di intercettazioni telefoniche al fine di dimostrare che la consegna dei 250.000 euro andava correlata all’illecito e trascurando invece, senza neppure darne conto in motivazione, evidenti circostanze dalle quali si poteva desumere che il pagamento in questione era riferito alla cessione del calciatore Maldonado. In particolare, i primi giudici hanno dato rilievo al mancato reperimento dell’assegno di 450.000 euro precedentemente consegnato da Preziosi a garanzia del contratto Maldonado, circostanza di per sé poco rilevante, mentre hanno completamente sottaciuto il fatto del ritrovamento del suddetto contratto, insieme ai 250.000 euro in contanti, nell’auto di Pagliara al momento del sequestro, circostanza questa che dimostrerebbe il collegamento tra pagamento e cessione del calciatore. Hanno ignorato il contenuto della telefonata fatta da Pagliara a Matteo Preziosi in data 8/6/2005, nel corso della quale il primo dice che, dato che è il giocatore più importante della squadra, ha pensato di andare da solo o con il suo presidente, il che proverebbe che l’incontro, poi avvenuto quella sera in via Senato a Milano, sotto l’abitazione di Preziosi, era finalizzato a discutere di un calciatore; non hanno dato alcun peso alle telefonate intercorse nel giorno successivo al sequestro tra Matteo Preziosi e Pagliara, ove il Pagliara dice di aver dichiarato, al momento del sequestro, che i soldi erano suoi e di non aver riferito che erano del Presidente del Venezia, il che confermerebbe che il denaro sequestrato costituiva un anticipo in contanti del contratto Maldonado e doveva servire al pronto pagamento degli stipendi ai calciatori sudamericani del Venezia che stavano partendo a fine campionato; infine, quanto ai contatti con il portiere Lejsal, non hanno considerato che l’intervento del Pagliara, chiaramente finalizzato ad ottenere che il calciatore scendesse in campo, si palesa incompatibile ed addirittura contrastante con l’ipotesi di illecito. Con il motivo sub e) l’appellante rileva, come tesi subordinata, che la funzione da lui svolta nella vicenda sarebbe stata, a tutto voler concedere, essenzialmente esecutiva e non di responsabilità nell’evento e non giustificherebbe pertanto il trattamento sanzionatorio riservatogli dai primi giudici. La C.A.F. ritiene che le censure dell’appellante non siano fondate. Innanzi tutto, il drastico giudizio espresso in ordine alla credibilità delle dichiarazioni spontanee rese al dibattimento dal Pagliara, se da un lato può essere considerato pleonastico, dall’altro non vale certo ad inficiare la solidità degli argomenti esposti in una motivazione che ha analiticamente affrontato i molteplici aspetti della complessa vicenda relativa alla gara Genoa – Venezia dell’11 giugno 2005. Non si può negare, come ha fatto la difesa dell’appellante, che la Commissione Disciplinare abbia individuato termini, tempi e modalità della consumazione dell’illecito. Basta leggere la delibera impugnata a pagina 42, là dove afferma che il fatto che Enrico Preziosi e Francesco Dal Cin si siano accordati ed attivati al fine di “normalizzare” le prestazioni sportive della squadra del Venezia, onde assicurarsi che l’esito della gara fosse quello “che doveva essere”, configura già di per sé l’illecito sportivo; prosegue poi la delibera impugnata precisando che su tale situazione (che già di per sé viene a configurare il fatto di illecito sportivo) “…si innesta, in termini che aggravano e connotano di particolare ulteriore illiceità le condotte in esame, la vicenda relativa alla dazione di denaro da parte di Enrico Preziosi e dei suoi collaboratori a Pagliara, nuovo general manager del Venezia…”. Sono quindi ben individuate le condotte illecite addebitate al Pagliara, peraltro già chiaramente precisate sin dall’atto di deferimento, nel quale gli si contestava di aver dapprima fissato un appuntamento per il giorno 8/6/2005 fra i suoi Presidente e Vicepresidente e il Presidente del Genoa Preziosi e di aver successivamente concordato, dopo la gara e con toni fermi di pretesa, un nuovo incontro con Enrico Preziosi, al termine del quale fu trovato in possesso del denaro in sequestro. Dalle accuse di cui sopra il Pagliara si è difeso affermando che la somma di denaro sequestrata costituiva il (parziale) corrispettivo della compravendita del calciatore Maldonado. La conferma della veridicità dell’assunto difensivo si ricaverebbe dalle circostanze elencate nei motivi di appello, non prese in considerazione dalla motivazione. Esaminando gli argomenti in ordine cronologico, questa Commissione rileva in primo luogo che il riferimento al giocatore più importante della Società, contenuto nella telefonata fatta da Pagliara a Matteo Preziosi l’8/6/05, non comporta affatto che la finalità dell’incontro poi realizzatosi in via Senato fosse la cessione del calciatore Maldonado. L’incontro, in realtà, era stato sollecitato dal Preziosi al quale premeva ottenere chiarimenti riguardo al premio a vincere del Torino, di cui gli era giunta notizia. Lo ha affermato il Preziosi nelle proprie dichiarazioni all’Ufficio Indagini del 6/7/2005, aggiungendo che, alla richiesta del Presidente del Venezia Gallo di una anticipazione in ordine alla cessione del calciatore Maldonado, egli rispose che non se ne parlava nemmeno. Che si trattasse di questioni ben più gravi rispetto alla semplice trattativa su un calciatore si evince anche dalla telefonata a Franco Dal Cin del 9/6/2005, nella quale Preziosi dice “ieri sera è successa una cosa molto strana…io ieri ho incontrato certe persone…ma io devo parlarti perché se no Franco facciamo un pasticcione…”. Si aggiunga che anche al dibattimento il Preziosi ha dichiarato che il Gallo non gli aveva dato grande affidamento come persona e che dopo aver incontrato Panetta e Pagliara egli era addirittura “terrorizzato”. Tanto basta per escludere che l’incontro dell’8/6/2005 fosse finalizzato ad una tranquilla trattativa di cessione di un calciatore, a parte il rilievo che, se il contratto di cessione del Maldonado era già stato sottoscritto in data 20/5/2005, di tale trattativa non vi era alcuna necessità. L’argomento successivo riguarda il ritrovamento del contratto di cessione di Maldonado nell’auto di Pagliara al momento del sequestro, unitamente al denaro contante. Ad avviso di questa Commissione, la presenza del documento in questione nella vettura del Pagliara non è significativa ed ancor meno è indicativa del fatto che la somma di denaro sequestrata costituisse il corrispettivo di quel contratto. Il documento sequestrato al Pagliara è infatti una semplice scrittura privata, sottoscritta da persone (Pagliara per il Venezia e Capozucca per il Genoa) prive del potere di rappresentare le rispettiva Società, non corredata dall’indispensabile assenso del calciatore interessato (risultato del tutto ignaro della vicenda, così come il suo procuratore in Italia); in una parola, si tratta di un documento del tutto privo di validità ai fini federali. Nessuna rilevanza, nel senso voluto dalla difesa dell’appellato, può quindi essere attribuita alla presenza del documento nella vettura del Pagliara al momento del sequestro. A parte ciò, la motivazione della C.D. ha puntualmente e minuziosamente indicato le circostanze (inesistenza di una ricevuta, mancata restituzione dell’assegno di 450.000 euro, mancato riferimento al calciatore Maldonado nelle conversazioni telefoniche intercorse tra i protagonisti della vicenda nei giorni antecedenti il sequestro del denaro) che rendono del tutto inattendibile la tesi difensiva della lecita dazione della somma di euro 250.000. Da ultimo, le telefonate del Pagliara nei giorni successivi al sequestro, dalle quali si evincerebbe, secondo la difesa, che la somma di 250.000 euro non era di sua spettanza, come dichiarato sul momento ai Carabinieri, ma era l’anticipazione di quanto dovuto dal Genoa per l’acquisto di Maldonado e spettava pertanto al Presidente del Venezia, il quale la doveva utilizzare per l’urgente pagamento dei compensi ai calciatori sudamericani della Società, che stavano partendo a fine campionato. Anche tale assunto difensivo è smentito dal Preziosi che, come si è sopra ricordato, ha dichiarato all’Ufficio Indagini di aver dato risposta negativa al Gallo che gli chiedeva un anticipo per la cessione del Maldonado , per far fronte a urgenti necessità di liquidità. Si aggiunga che la consegna del denaro è stata preceduta , come puntualmente sottolineato dalla C.D., da una serie di telefonate di Pagliara ad Enrico Preziosi, a Matteo Preziosi e a Capozucca, dai toni pressanti e persino intimidatori, come rivelato dalla frase intercettata in telefonia “se no li faccio tornare in B direttamente”, del tutto incompatibile con la prospettata richiesta di un aiuto economico. Quanto ai contatti con il portiere Lejsal, risulta che il Pagliara lo avvicinò nello spiazzo antistante l’albergo Novotel sollecitandolo a giocare ma dicendogli, al tempo stesso, che ad un cenno prestabilito (del tipo allacciarsi uno scarpino ovvero toccare un asciugamano) lo avrebbe fatto sostituire dal secondo portiere a partita iniziata . Nella stessa occasione il Pagliara disse al calciatore (vedi dichiarazioni di Lejsal all’Ufficio Indagini) che aveva ricevuto pressioni da quelli del Genoa affinché non giocasse : tale ultima affermazione venne interpretata dal Lejsal come uno scherzo o forse uno stimolo a giocare. Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa , tale condotta del Pagliara ha natura sicuramente illecita; infatti, come si è detto esaminando l’analoga posizione di Michele Dal Cin, il preventivo consenso alla sostituzione del Lejsal nel corso della gara anche in assenza di una causa di giustificazione, comporta implicitamente la predisposizione ad una riduzione del potenziale tecnico della squadra per una parte rilevante dell’incontro. All’accertamento della responsabilità del Pagliara deve naturalmente far seguito l’applicazione di una sanzione adeguatamente afflittiva. Ad avviso della C.A.F. l’inibizione per cinque anni inflitta all’appellante è certamente adeguata non solo alla qualifica rivestita dallo stesso in seno alla Società di appartenenza, ma anche al ruolo, non meramente esecutivo, che egli ha assunto nella vicenda in esame. Al riguardo va rilevato che il Pagliara si è attivato in tutte le fasi dell’illecito, assumendo iniziative personali sia nella realizzazione dell’incontro col Preziosi, sia nell’avvicinare almeno un calciatore del Venezia, sia infine nella fase di riscossione dell’illecito compenso pattuito. Pertanto, la decisione impugnata merita conferma anche in punto di determinazione della sanzione irrogata al Pagliara. VI. Reclamo Martin Lejsal La Commissione Disciplinare, ha dichiarato la responsabilità di Martin Lejsal, all’epoca dei fatti tesserato per A.S. Calcio Venezia 1907 s.r.l., per violazione dell’art. 6.1 C.G.S. con l’attenuante di cui all’art. 14.5 C.G.S. In sintesi il Lejsal è stato ritenuto responsabile in quanto: a) ha ricevuto dai dirigenti della propria Società, Pagliara e Michele Dal Cin, la richiesta di partecipare alla gara al fine di evitare i sospetti dell’Ufficio Indagini; b) ha appreso, nel corso di un colloquio con il proprio dirigente Pagliara, che il Genoa aveva fatto pressioni per evitare il suo impiego; c) secondo l’intesa raggiunta con i predetti dirigenti è stato sostituito ad un “cenno convenzionale”, così determinandosi la sua uscita dal terreno di gioco; Conseguentemente gli è stata inflitta la sanzione della squalifica di 6 mesi (art.6 c. 5 e 6; art. 14 co.1 lett. g e co.5). Il calciatore ha proposto reclamo avverso la detta pronunzia punitiva deducendo profili di merito, nonché comunque l’omessa motivazione su alcuni punti e vizi logici relativamente al contenuto della decisione impugnata. L’appello è infondato. La motivazione dell’impugnata sentenza, su tali specifici punti, è infatti pienamente condivisibile e non merita censura. La difesa del Lejsal basa il proprio reclamo su due argomenti asseritamente non presi in esame dalla Commissione Disciplinare: sotto il profilo oggettivo, non avrebbe valutato l’effettività dell’infortunio subito dal calciatore; sotto il profilo soggettivo, la mancanza di volontà del Lejsal di alterare lo svolgimento o il risultato della gara. Ha sostenuto infatti come il Leisal abbia effettivamente subito un duplice infortunio nel corso del primo tempo della gara che lo avrebbe costretto a chiedere la sostituzione alla fine della prima parte della gara. Tale dato sarebbe confortato sia dalla cd. perizia a firma di uno specialista in medicina dello sport, depositata insieme allo atto di appello, sia dalle dichiarazioni dei calciatori e dall’allenatore del Venezia sentiti dall’Ufficio indagini. Sul punto innanzitutto le dichiarazioni sullo “infortunio del Lejsal” rese dai soggetti sentiti dall’Ufficio Indagini sono “semplici” considerazioni personali e/o riferite sensazioni di altri soggetti e dello stesso “infortunato” Lejsal . E’ inoltre agevole osservare come la cd. perizia prodotta non è altro che una ricerca di trasporre in termini medico-legali un racconto riferito dal Lejsal e di una dichiarazione del medico, intervenuto al momento del “infortunio”, di quanto “raccontatogli” dallo stesso Lejsal. Ne discende che l’asserita gravità dell’infortunio subito dal calciatore risulta privo di riscontro probatorio. Sotto diverso profilo occorre osservare come i rilevanti elementi emersi sia in fase di indagini, sia in fase dibattimentale circa la sussistenza dell’illecito sportivo, così come ben argomentato dalla Commissione Disciplinare, non siano in alcun modo inficiati dal fatto che, secondo quanto affermato dalla difesa, il Lejsal non fosse d’accordo con il disegno illecito dei propri dirigenti. Né diverso significato, rispetto a quanto ritenuto dal primo Giudice, possono assumere le dichiarazioni del Lejsal il quale, con le sue ammissioni la cui valenza probatoria non è stata in alcun modo inficiata dalla condotta dibattimentale, parzialmente reticente, del calciatore ha fornito pieno riscontro all’ipotesi di illecito sportivo in esame. Peraltro il Lejsal ha sempre mostrato di ben conoscere la lingua italiana, anche nelle sue sfumature, così come emerge dalle intercettazioni ambientali, dai “colloqui” avuti con gli inquirenti sia in sede penale che disciplinare nonché nel corso degli interrogatori e dichiarazioni rese nel processo di I° e II° grado. Dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni rese dal calciatore, cui fa riferimento la decisione impugnata, risulta con evidenza che in seno alla squadra del Venezia si stavano verificando episodi di condotte illecite. Basti ricordare sul punto le “confidenze” che il Lejsal fa al Borgobello, compagno di squadra nel Venezia, definendo la gara contro il Genoa “un viaggio con metà squadra che non viene”, “che si deve perdere”, “che c’è un accordo vecchio tra Dal Cin e.”, al punto che si deve inventare “un dolore da dire al Mister per non giocare”, visto “tutti i casini che ci sono”. Il Lejsal arriva addirittura a chiedere quale “scusa potrà dire se gli faranno domande quelli dell’Ufficio Indagini”, ciò a seguito di quanto dettogli “da lui [il Sig. Michele dal Cin]”, ovvero di giocare perché se non lo fa “rischia che l’Ufficio Indagini apra un’inchiesta”. In tale occasione comunica che il Pagliara gli ha riferito che quelli del Genoa hanno chiesto che non giochi, tanto che il Borgobello precisa a tali parole che, “si sono messi d’accordo tra le due Società” ed il Lejsal conclude asserendo che Michele [Dal Cin ndr] ha detto che “ci sono soldi in ballo”, ma che non si sa “chi li prende”. In sede di audizione dinanzi all’Ufficio Indagini specificava poi che, in occasione di un allenamento, seppe dal Benussi che questi non avrebbe giocato in quanto aveva sentito in giro che vi era un precedente vecchio accordo tra le Società e che nel pomeriggio del sabato 11.6.05, nel ritiro, il sig. Michele Dal Cin gli aveva chiesto il favore di giocare almeno il 1° tempo della partita, perché altrimenti avrebbe avuto problemi con l’Ufficio Indagini; mentre il Pagliara, invitandolo sempre a giocare, gli disse che ad un cenno prestabilito - toccare l’asciugamento o allacciarsi uno scarpino - lo avrebbe fatto sostituire dal portiere di riserva (nel caso di specie Pezzato, portiere della Primavera, in quel periodo impegnato negli studi e mai allenatosi nella settimana precedente la gara!). Di fatto il Lejsal fu sostituito nell’intervallo fra i due tempi della gara contro il Genoa, dopo che aveva comunicato ad arte al medico sociale di avere una contrattura al quadricipite femorale della gamba sinistra che gli impediva un corretto appoggio del piede. Lo stesso calciatore ha espressamente ammesso che avrebbe potuto continuare a giocare, ma di avere chiesto la sostituzione come concordato con il Michele Dal Cin. Riguardo infine a quanto riferitogli dal compagno di squadra Oliveira, detto “LULU”, secondo il quale avrebbero perso 3 a 0, Lejsal specificava di aver saputo di tale circostanza quando alcuni giovani calciatori della primavera, aggregati alla prima squadra, gli avevano chiesto conferma in ordine a questa “voce” che avevano raccolto. A fronte di tali elementi, univoci e concordanti, non può che conseguire la dichiarazione di responsabilità del Lejsal in ordine al fatto contestatogli, avendo egli con il proprio comportamento commissivo ed omissivo, come sopra specificato, contribuito “ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”. Non possono poi essere accolte le richieste di riduzione della pena irrogata dalla Commissione Disciplinare (che nella gravità dei fatti ascritti ha giustamente sottolineato il decisivo apporto fornito dal ricorrente alla ricostruzione dei fatti ed allo sviluppo delle indagini, pur in un clima di evidente omertà, riconoscendogli giustamente l’attenuante di cui all’art.14 co.1 lett. g, co 5) avendo il Lejsal, in sede processuale, ingiustificatamente interrotto e/o ridimensionato il suo atteggiamento collaborativo. L’appello, così come proposto, va pertanto rigettato. VII. Reclamo Massimo Borgobello Come esposto in narrativa al calciatore Massimo Borgobello, tesserato all’epoca dei fatti per la Società A.C. Venezia 1907 s.r.l., è stata inflitta la sanzione della squalifica per cinque mesi (art. 6. 7 e art, 14.1 lett. g), essendo stato riconosciuto responsabile di mancata denuncia dell’art. 6. 7 C.G.S.. Avverso tale decisione la Procura Federale non ha ritenuto di interporre appello, mentre il calciatore ha proposto reclamo deducendo profili di rito e di merito. Nei propri motivi di impugnazione il Borgobello ha contestato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 37. co. 10, C.G.S., in combinato disposto con l’art. 33, co. 1, lett. b), C.G.S., per diversità del fatto prefigurato in sentenza rispetto a quello contestato con conseguente violazione del diritto di difesa, nonché la nullità della motivazione, ritenuta generica e contraddittoria. L’appello è infondato e deve essere rigettato. La motivazione della Commissione Disciplinare è infatti pienamente condivisibile e la posizione dell’incolpato, rispetto al fatto di cui è stato ritenuto responsabile, non è suscettibile di reformatio in pejus, in mancanza di impugnazione da parte della Procura Federale. Va innanzitutto osservato come nel caso in esame non sia di alcun pregio l’eccepita violazione degli artt. 37.10 e 33.1, lett. b), C.G.S., non vertendosi nella ipotesi di fatto diverso da quello contestato, bensì in quella di una diversa qualificazione giuridica dello stesso fatto contestato con il deferimento in data 16 luglio 2005 della Procura Federale. Quanto alla eccepita genericità e contraddittorietà della motivazione la stessa non sussiste avendo il Giudice di primo grado ,sia pure in maniera sintetica, dato adeguata e logica giustificazione delle proprie argomentazioni. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali (in particolare quelle con Lejsal), come ha giustamente sostenuto il primo Giudice, rivelano come egli “fosse perfettamente consapevole che, con riferimento alla gara in oggetto, vi fossero stati già da tempo dei tentativi di illecito e, addirittura, che quest’ultimo fosse già stato concordato a livello delle rispettive dirigenze”. Altre conversazioni intercettate nella stanza dell’albergo, dove erano ospitati i calciatori del Venezia Borgobello e Lejsal, mettono poi in evidenza lo stato d’animo dei giocatori.Alle ore 16.15, del 11.06.05, Borgobello chiama il fisioterapista della squadra, Manesso Pietro, ed al suo arrivo Lajsal gli dice che “si deve inventare un dolore da dire al Mister per non giocare”. Il fisioterapista risponde che “ne possono parlare”. Allora il giocatore ceco dice che “non vuole giocare…..perché non vuole giocare nessuno e non vede perché deve farlo lui ora.e poi con tutti i casini che ci sono.” Alle 16.48, Lejsal chiede al compagno di camera “Che scusa può dire al Mister per non giocare…”. Borgobello di contro lo invita a giocare, e Lajsal insiste dicendo “quale scusa potrà dire se gli faranno delle domande quelli dell’Ufficio Indagini sul perché non gioca”. Continuando nella discussione sul fatto che non voglia giocare, il giocatore dice che “alcuni giorni fa ne ha parlato anche con Benussi che gli ha detto di fare quello che vuole, però lui non vuole giocare…” Alle ore 17.56, il giocatore ceco rientrato in camera, riferisce a Borgobello che “è andato da lui [dalle risultanze degli atti istruttori il “lui” è risultato Michele Dal Cin ndr] Franco Dal e gli ha chiesto di giocare…perché se non gioca rischia che l’Ufficio Indagini apra un inchiesta. Allora giocherà per lui il primo tempo..”, poi continua dicendo che “ha parlato con Pino Pagliara e gli ha chiesto di giocare”, salvo farlo sostituire dopo 15 minuti a un segnale convenuto. Lejsal riferisce ancora al suo compagno che Pagliara avrebbe detto che quelli del Genoa gli hanno chiesto di non far giocare Lejsal. Lo stesso giocatore dice tuttavia di non credere a Pagliara, e Borgobello rincara dicendo che secondo lui “si sono messi d’accordo tra società”. Lajsal conviene con il compagno dicendo che anche Michele [Michele Dal Cin, figlio di Franco ndr] lo ha detto a lui che “ci sono soldi in ballo e non sa chi li prende…però qualcuno li prende”. Borgobello annuisce dicendo che secondo lui “li prende la società”. Alle ore 18.13, Borgobello conversa al telefono con un certo Stefano a cui dice che “questa sera sarà dura…che la squadra è disastrata e che gli tocca giocare perché ci sono tutti i ragazzi….”, poi risponde ad una domanda dicendo “bravo così poi non usciamo più dallo stadio..sono in 40 mila e io questa sera voglio tornare a casa.” Alle 18.20 il Lejsal dice al Borgobello che Lulù (l’Oliveira) gli ha detto “questa sera devono perdere tre a zero”. Ciò emerge pacificamente, e senza pericolo di letture alternative e/o dubitative, dalle numerose telefonate, quali ad esempio: - telefonata dell’8.6.2005 ore 21.15 fra Migliarina e Capozucca nel corso della quale riferisce di una mancanza di impegno nella partita da parte del Borgobello e dell’Oliveira. - telefonata 9.6.05 ore 10.53 tre il Migliorina ed il Borgobello laddove questi lo informava, fra l’altro, riferendosi alla partita in oggetto “è saltato tutto”; “mi han detto che non se la sentono”; “siamo tutti spaventati”, arrivando poi ad un linguaggio criptico quale “le mando un mazzo di fiori…., ce l’ha un vino buono”. Ancor più significative risultano le intercettazioni ambientali nella stanza di albergo dove pernottano il Borgobello ed il compagno di squadra Lejsal. Alle 18.59, del 10.6.05, veniva infatti registrato un dialogo tra il giocatore italiano ed il collega ceco, in cui il primo chiede al secondo “se è vero che non ha intenzione di giocare”. Lejsal risponde che “non ha nessun motivo per giocare perché tutte le volte che lo toglievano dalla porta, si vinceva o si perdeva, gli facevano fare il secondo portiere”. Continua dicendo ”….ora che si deve perdere, che si deve fare un viaggio e metà squadra non viene, lui ha parlato all’inizio di settimana con Benussi [Francesco Benussi, portiere del Venezia ndr] e gli ha detto che lui in porta non va…..si mette in panchina…”. Ancora, con maggiore decisione insiste nel dire che “lui avrebbe giocato anche se non si allena da due mesi, però ora che si deve perdere lui non va in porta”. Tanta insistenza sul fatto che si debba perdere la partita, induce il Borgobello a chiedere i motivi di tale decisione, ricevendo come risposta “che c’è un accordo vecchio tra Dal Cin e….”, a cui lo stesso giocatore italiano aggiunge: “anche se non ci fosse l’accordo, non si deve rovinare la festa….”. In una ulteriore conversazione, i militari registrano le parole di Borgobello al telefono con Paolo Fabbri (collaboratore di Capozucca) in cui il calciatore dice che “giocheranno domani ma senza fare allenamento…che si sente pronto a fare il primo goal in campionato...” per poi finire dicendo al Fabbri “se andava a festeggiare e di salutare Carla [moglie del Capozucca] e dirle di stare tranquilla”. I fatti contestati trovano pieno e puntuale riscontro probatorio nelle risultanze dell’attività dell’Ufficio Indagini e, in primis, proprio nelle stesse ammissioni degli incolpati. Il punto di partenza delle indagini è costituito dalle richiamate risultanze delle intercettazioni telefoniche e ambientali trasmesse dalla Procura della Repubblica di Genova, ai sensi dell’art. dell’art. 2 comma 3 legge 401 del 1989, ma non è contestato neppure dalla difesa degli incolpati che queste possano comunque essere acquisite e utilizzate nel giudizio sportivo almeno come notizia criminis. Ciò che inequivocabilmente emerge infatti dalle piene confessioni del Lejsal rese all’Ufficio Indagini, nonché dalle stesse dichiarazioni, anche se pregnate di omertà, degli altri tesserati comunque coinvolti nella vicenda , è la consapevolezza, da parte di quasi tutti, e del Borgobello, della “particolarità” che rivestiva la partita e delle varie modalità per addivenire ad un risultato comunque favorevole al Genoa. Ed il fatto che il Borgobello pienamente consapevole di quanto stesse accadendo, non abbia minimamente sentito la necessità di adempiere almeno al preciso obbligo di denuncia sancito dall’art. 6.7. C.G.S. – integra in tutti i suoi elementi quantomeno l’illecito disciplinare riconosciutogli dalla Commissione Disciplinare. L’art. 6.7. C.G.S. stabilisce infatti che “….i tesserati che comunque abbiano avuto rapporti con società o persone che abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi precedenti, ovvero che siano venuti a conoscenza, in qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno di detti atti, hanno il dovere di informare, senza indugio, la Lega od il Comitato competente ovvero direttamente l’Ufficio Indagini della F.I.G.C.” L’appello dallo stesso presentato va pertanto rigettato e la sanzione applicata va ritenuta congrua e proporzionata. P.Q.M. LA CAF • rigetta l’appello del signor Dal Cin Francesco; • rigetta l’appello del signor Dal Cin Michele; • rigetta l’appello del signor Pagliara Giuseppe; • rigetta l’appello del signor Preziosi Enrico; • rigetta l’appello del signor Capozucca Stefano; • rigetta l’appello del Genoa Cricket and F.C.; • rigetta l’appello del calciatore Lejsal Martin; • rigetta l’appello del calciatotore Borgobello Massimo. Dispone l’incameramento delle relative tasse.
O R D I N A N Z A
N. 1 Letti gli atti e sentite le parti presenti: - rigetta l'eccezione d'inammissibilità degli appelli dei signori Francesco DAL CIN e Michele DAL CIN avanzata dal Procuratore Federale; - rigetta l'eccezione di difetto di giurisdizione avanzata dalla difesa dei signori Francesco DAL CIN e Michele DAL CIN; - rigetta l'eccezione di difetto di giurisdizione avanzata dalla difesa del signor Giuseppe PAGLIARA; - rigetta l'eccezione di nullità della notifica di citazione davanti alla Commissione Disciplinare proposte dalle difese dei signori Giuseppe PAGLIARA e Massimo BORGOBELLO; - rigetta l'eccezione relativa allo stralcio della posizione del signor Matteo PREZIOSI nel giudizio di primo grado; - rigetta l'eccezione avanzata dalla difesa del signor Massimo BORGOBELLO relativa alla violazione delle regole del contraddittorio; - riserva la motivazione della presente ordinanza alla decisione di merito; - accoglie l'istanza di intervento della società TREVISO 1993 F. C.; - riserva di provvedere su ogni altra questione unitamente alla valutazione di merito. O R D I N A N Z A N. 2 Sulla richiesta di ammissione di testi di cui all'elenco depositato nel giudizio di primo grado, si riserva di decidere unitamente al merito con esclusione di testi peri quali è intervenuta rinunzia.
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RECLAMO DEL SIG. DAL CIN FRANCESCO AVVERSO LA SANZIONE
DELLA INIBIZIONE PER ANNI CINQUE (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6,
C.G.S.), CON PROPOSTA AL PRESIDENTE FEDERALE DI PRECLUSIONE
ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA
F.I.G.C. (ART. 14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN
RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO
DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della
Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com.
Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. DAL CIN MICHELE, AVVERSO LA SANZIONE
DELLA INIBIZIONE PER ANNI TRE E MESI UNO, (ART. 6 COMMI 1, 5 E
6 C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA
GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. PAGLIARA GIUSEPPE, AVVERSO LA SANZIONE
DELL’INIBIZIONE PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6 E ART.
14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA
GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. PREZIOSI ENRICO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE
PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6, C.G.S.) CON
PROPOSTA AL PRESIDENTE FEDERALE DI PRECLUSIONE ALLA
PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C.,
(ART. 14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE
ALLA GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della
Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com.
Uff. n.10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL SIG. CAPOZUCCA STEFANO, AVVERSO LA SANZIONE
DELL’INIBIZIONE PER ANNI CINQUE, (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6 E ART.
14, COMMA 2, C.G.S.), PER ILLECITO SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA
GARA GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
40/6
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)
RECLAMO DEL GENOA CRICKET AND F.C., AVVERSO LA SANZIONE
DELLA RETROCESSIONE ALL’ULTIMO POSTO DEL CAMPIONATO DI
SERIE B PER LA STAGIONE AGONISTICA 2004/2005 (ART. 13, LETT.
G), C.G.S.) E QUELLA DELLA PENALIZZAZIONE DI TRE PUNTI IN
CLASSIFICA DA SCONTARE NELLA STAGIONE AGONISTICA
2005/2006 (ART. 6, COMMI 1 E 6, E ART. 13, LETT. F), C.G.S.), PER ILLECITO
SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA
DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega
Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL CALCIATORE LEJSAL MARTIN AVVERSO LA SANZIONE
DELLA SQUALIFICA PER MESI SEI (ART. 6, COMMI 1, 5 E 6,
ART.14, COMMA 1 , LETT. G) E COMMA 5 C.G.S.), PER ILLECITO
SPORTIVO, IN RELAZIONE ALLA GARA GENOA – VENEZIA
DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega
Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del 27.7.2005)
RECLAMO DEL CALCIATORE BORGOBELLO MASSIMO, AVVERSO LA
SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI CINQUE (ART. 6, COMMA
7, E ART. 14, COMMA 1, LETT. G) C.G.S.), IN RELAZIONE ALLA GARA
GENOA – VENEZIA DELL’11.6.2005, A SEGUITO DI DEFERIMENTO
DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione
Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 10 del
27.7.2005)"